Saturday, July 26, 2008

Le élite naturali, gli intellettuali e lo Stato #2

Di Hans-Hermann Hoppe



L'ascesa della democrazia

Un cambiamento fondamentale nel rapporto fra lo stato, le élite naturali e gli intellettuali si è avuto soltanto con la transizione dalla monarchia alla democrazia. Fu il prezzo inflazionato della giustizia e le perversioni della legge antica da parte dei re come giudici e pacificatori monopolistici a motivare l'opposizione storica contro la monarchia. Ma, quanto alle cause di questo fenomeno, la confusione è prevalsa. Ci furono coloro che riconobbero correttamente che il problema era nel monopolio, non nelle élite o nella nobiltà. Tuttavia, sono stati largamente superati nel numero da coloro che incolparono erroneamente il carattere elitista del governo per il problema e che sostennero il mantenimento del monopolio della legge e della sua applicazione e la semplice sostituzione del re e dello sfoggio reale altamente visibile con il “popolo” e la presunta decenza dell'“uomo comune.” Da qui il successo storico della democrazia.

È molto ironico che il monarchismo si sia distrutto con le stesse forze sociali che i re in primo luogo avevano stimolato ed arruolato quando cominciarono ad escludere le autorità naturali concorrenti dalla funzione di giudice: l'invidia degli uomini comuni contro i migliori ed il desiderio degli intellettuali per il loro presunto posto meritato nella società. Quando le promesse del re di e giustizia migliore e meno costosa risultarono essere vuote, gli intellettuali rivoltarono i sentimenti egalitari che i re precedentemente avevano sollecitato contro gli stessi governanti monarchici. Di conseguenza, sembrò logico che anche i re dovessero essere abbattuti, e che le politiche egalitarie, che i monarchi avevano iniziato, dovessero essere portate alla loro ultima conclusione: il controllo monopolistico dell'ordinamento giudiziario da parte dell'uomo comune. Degli intellettuali, questo intendevano loro, come portavoci del popolo.

Come l'elementare teoria economica poteva prevedere, con la transizione dal governo monarchico a quello democratico di un-uomo-un-voto e con la sostituzione del re con il popolo, la situazione si è aggravata. Il prezzo della giustizia è aumentato astronomicamente mentre la qualità della legge si è deteriorata in modo costante. Perché questa transizione si è rivelata essere la sostituzione di un sistema di proprietà privata del governo – un monopolio privato – con un sistema di proprietà pubblica del governo – un monopolio pubblico.

Una “tragedia dei comuni” era stata generata. Tutti, non solo il re, erano ora autorizzati a tentare di arraffare ogni proprietà privata altrui. Le conseguenze sono state un maggiore sfruttamento del governo (tasse); il deterioramento della legge al punto che l'idea di un corpo di principi universali ed invariabili di giustizia è scomparsa ed è stata sostituita dall'idea della legge come legislazione (legge fatta, piuttosto che trovata e “eternamente data”); e un aumento nel tasso sociale di preferenza temporale (orientamento al presente aumentato).

Un re possedeva il territorio e poteva passarlo al proprio figlio, e provava così a conservarne il valore. Un governante democratico era ed è un guardiano provvisorio e tenta così di massimizzare ogni tipo di reddito del governo corrente a scapito dei valori capitali, e così spreca.

Ecco alcune delle conseguenze: durante l'era monarchica prima della Prima Guerra Mondiale, la spesa pubblica come percentuale del PIL era raramente superiore al 5%. Da allora è arrivata tipicamente intorno al 50%. Prima della Prima Guerra Mondiale, l'occupazione statale era tipicamente meno del 3% dell'occupazione totale. Da allora è aumentata fra il 15 e il 20%. L'era monarchica è stata caratterizzata dalla moneta merce (oro) ed il potere di acquisto del denaro aumentava gradualmente. In contrasto, l'era democratica è l'era dei soldi di carta il cui potere di acquisto è permanentemente diminuito.

I re si indebitavano sempre di più, ma almeno durante il tempo di pace riducevano caratteristicamente il loro carico di debito. Durante l'era del governo democratico il debito è aumentato in guerra e in pace ad altezze incredibili. I tassi di interesse reale durante l'era monarchica scendevano gradualmente intorno al 2½ %. Da allora, i tassi di interesse reale (tassi nominali aggiustati sull'inflazione) sono stati in rialzo fino a intorno il 5% – come i tassi del XV secolo. La legislazione virtualmente non è esistita fino alla fine del diciannovesimo secolo. Oggi, durante un singolo anno, decine di migliaia di leggi e regolamenti vengono approvati. I tassi di risparmio stanno diminuendo invece di aumentare con l'aumento dei redditi e gli indicatori della disintegrazione della famiglia e del crimine si stanno muovendo costantemente verso l'alto.


Il destino delle élite naturali

Mentre lo stato è andato molto meglio sotto il sistema democratico, e mentre il “popolo” è andato molto peggio da quando hanno cominciato “essi stessi” a governare, che cosa è successo alle élite naturali ed agli intellettuali? Per quanto riguarda le prime, la democratizzazione è riuscita laddove i re fecero soltanto un modesto inizio: nella distruzione dell'élite e della nobiltà naturali. Le fortune delle grandi famiglie sono state dissipate con la confisca delle tasse, durante la vita ed al momento della morte. La tradizione di queste famiglie di indipendenza economica, la lungimiranza intellettuale e la direzione morale e spirituale sono state perse e dimenticate.

Esistono anche oggi gli uomini ricchi, ma più frequentemente che no devono direttamente o indirettamente le loro fortune allo stato. Quindi, dipendono spesso dai continui favori dello stato di molte persone di ricchezza molto minore. Non sono più in genere i capi di importanti famiglie da lunga data, ma “nuovi ricchi.” Il loro comportamento non è caratterizzato da virtù, saggezza, dignità, o dal gusto, ma è una riflessione della stessa cultura di massa proletaria orientata al presente, dell'opportunismo e dell'edonismo che i ricchi e famosi ora condividono con tutti gli altri. Di conseguenza - e grazie al cielo – i loro pareri non hanno maggior peso nell'opinione pubblica di quelli della maggior parte dell'altra gente.

La democrazia ha realizzato quello che Keynes aveva soltanto sognato: “l'eutanasia della classe della classe redditiera.” La dichiarazione di Keynes che “a lungo termine saremo tutti morti” esprime lo spirito democratico del nostro periodo: edonismo orientato al presente. Anche se è perverso non pensare oltre la propria vita, tale pensiero è diventato tipico. Invece di nobilitare i proletari, la democrazia ha proletarizzato le élite e ha pervertito sistematicamente il pensiero ed il giudizio delle masse.


Il destino degli intellettuali

Dall'altro lato, mentre le élite naturali venivano distrutte, gli intellettuali hanno guadagnato una posizione più prominente e più potente nella società. Effettivamente, in larga misura hanno realizzato il loro obiettivo e si sono trasformati nella classe dirigente, controllando lo stato e funzionando come giudice monopolistico.

Questo non vuol dire che i politici democratico scelti sono tutti intellettuali (anche se ci sono al giorno d'oggi certamente più intellettuali che diventano presidenti di quanti ce ne furono che diventarono re.) Dopo tutto, essere un intellettuale richiede abilità e talenti in qualche modo diversi da quelli necessari per affascinare le masse ed essere un raccoglitore di fondi di successo. Ma persino i non-intellettuali sono i prodotti dell'indottrinamento delle scuole finanziate dalle tasse, delle università e degli intellettuali occupati nel pubblico, e quasi tutti i loro consiglieri arrivano da questo ambiente.

Non ci sono quasi economisti, filosofi, storici, o teorici sociali di rango occupati privatamente dai membri dell'élite naturale. E quei pochi della vecchia élite che rimangono e che potrebbero comprare i loro servizi non possono più permettersi finanziariamente gli intellettuali. Invece, gli intellettuali sono ora in genere impiegati pubblici, anche se lavorano per istituzioni o fondazioni nominalmente private. Quasi completamente protetti dal capriccio della domanda dei consumatori (“impiegato di ruolo”), il loro numero è aumentato drammaticamente e la loro compensazione è in media molto al di sopra del loro genuino valore di mercato. Allo stesso tempo la qualità della loro produzione intellettuale è calata costantemente.

Quello che scoprirete è principalmente irrilevanza ed incomprensibilità. Peggio, quando l'attuale produzione intellettuale è del tutto rilevante e comprensibile, è viziosamente statalista. Ci sono eccezioni, ma se praticamente tutti gli intellettuali sono occupati nelle molteplici ramificazioni dello stato, non dovrebbe sorprendere che la maggior parte della loro sempre più voluminosa produzione sia, per commissione o per omissione, propaganda statalista. Ci sono in giro oggi più propagandisti del sistema democratico di quanti ce ne siano stati del sistema monarchico in tutta la storia dell'umanità.

Questa spinta apparentemente inarrestabile verso lo statalismo è illustrata dal destino della cosiddetta Scuola di Chicago: Milton Friedman, i suoi predecessori, e i suoi seguaci. Negli anni 30 e 40, la Scuola di Chicago era ancora considerata di sinistra, e giustamente, considerando che Friedman, per esempio, sosteneva la necessità di una banca centrale e dei soldi di carta al posto della parità aurea. Sottoscrisse con entusiasmo il principio dello stato sociale con la sua proposta di un reddito minimo garantito (imposta negativa sul reddito) al quale non poté fissare un limite. Sostenne l'imposta progressiva sul reddito per realizzare i suoi obiettivi esplicitamente egalitari (e aiutò personalmente ad implementare la ritenuta d'acconto). Friedman appoggiò l'idea che lo stato potesse imporre delle tasse per finanziare la produzione di tutte le merci che avessero un effetto ambientale positivo o che egli pensava lo avessero. Ciò implica, naturalmente, che non c'è quasi niente che lo stato non possa finanziare con le tasse!

In più, Friedman ed i suoi seguaci erano fautori della più superficiale di tutte le filosofie superficiali: il relativismo etico ed epistemologico. Non esistono verità morali definitive e tutta la nostra conoscenza effettiva e empirica è, nel migliore dei casi, solo ipoteticamente vera. Tuttavia non hanno mai dubitato che ci debba essere uno stato e che lo stato debba essere democratico.

Oggi, mezzo secolo dopo, la Scuola di Chicago e di Friedman, senza essenzialmente aver cambiato alcuna delle sue posizioni, è considerata di destra ed a favore del libero mercato. In effetti, la scuola costituisce il limite ultimo dell'opinione rispettabile nella destra politica, che soltanto gli estremisti attraversano. Tale è la dimensione del cambiamento nell'opinione pubblica che gli impiegati pubblici hanno determinato.

Considerate altri indicatori della deformazione statalista determinata dagli intellettuali. Se diamo uno sguardo alle statistiche elettorali, generalmente troveremo la seguente immagine: più tempo una persona passa negli istituti scolastici, qualcuno con una laurea, per esempio, rispetto a qualcuno con soltanto un diploma, più è probabile che questa persona sia ideologicamente statalista e voti democratico. Inoltre, maggiore la quantità di tasse usate per finanziare l'educazione, più in basso cadranno i risultati del SAT [test attitudinale scolastico, NdT] e di altre simili misure della prestazione intellettuale, e sospetto che ancora di più declineranno gli standard tradizionali di condotta morale e di comportamento civile.

Oppure considerate il seguente indicatore: nel 1994 è stata chiamata una “rivoluzione,” ed il Presidente della Camera, Newt Gingrich, è stato chiamato un “rivoluzionario,” quando appoggiò il New Deal e la previdenza sociale, ed elogiò la legislazione sui diritti civili, in altre parole la discriminazione positiva e l'integrazione forzata che è responsabile della distruzione quasi totale dei diritti della proprietà privata, e dell'erosione della libertà di contratto, di associazione e dissociazione. Che razza di rivoluzione è quella in cui i rivoluzionari hanno accettato di tutto cuore le premesse stataliste causa dell'attuale disastro? Ovviamente, questa può essere identificata come rivoluzione soltanto in un ambiente intellettuale inerentemente statalista.

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Hans-Hermann Hoppe è professore di economia all'Università del Nevada a Las Vegas. È l'autore di The Economics and Ethics of Private Property. Mandagli una mail. Vedi i suoi articoli. Commenta sul blog.
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