Friday, May 16, 2008

Riflettore sull'economia keynesiana

Ho raccolto le quattro parti in un solo post, per renderlo più facilmente fruibile con un solo link dai “feticci.”
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Di Murray N. Rothbard

  1. Sua Rilevanza
  2. Il Modello Spiegato
  3. Il Modello Criticato
  4. “L'Economia Matura”

Sua Rilevanza

Cinquanta anni fa, l'allora esuberante popolo americano poco sapeva e poco si curava dell'economia. Comprendeva, tuttavia, le virtù della libertà economica e questa comprensione era condivisa dagli economisti, che integravano il buonsenso con i più acuti strumenti di analisi.

Attualmente, l'economia sembra essere il primo problema dell'America e del mondo. I giornali sono pieni di discussioni complesse sul preventivo di spesa, su prezzi e stipendi, su prestiti stranieri e produzione. Gli economisti attuali aumentano notevolmente la confusione del pubblico. L'eminente professor X dice che il suo programma è l'unica cura per i mali economici del mondo; l'ugualmente eminente professor Y sostiene che questa è assurdità: così gira la giostra.

Tuttavia, una scuola di pensiero – il keynesismo – è riuscita a catturare la gran maggioranza degli economisti. L'economia keynesiana – che orgogliosamente si auto-proclama come “moderna,” anche se profondamente radicata nel pensiero medievale e mercantilista – si è offerto al mondo come la panacea per le nostre difficoltà economiche. I keynesiani sostengono, con suprema baldanza, di aver “scoperto” cosa determina il livello di occupazione in ogni dato momento. Assericono che la disoccupazione può venir curata prontamente con la spesa governativa di deficit e che l'inflazione può essere controllata per mezzo di eccedenze di imposta del governo.

Con grande arroganza intellettuale, i keynesiani spazzano via ogni opposizione bollandola come “reazionaria,” “antiquata,” ecc. Sono estremamente vanagloriosi per aver guadagnato la devozione di tutti i giovani economisti – un'affermazione che ha, purtroppo, molto di vero. Il pensiero keynesiano è fiorito nel New Deal, nelle dichiarazione del presidente Truman, nel suo Consiglio dei Consulenti Economici, con Henry Wallace, nei sindacati dei lavoratori, nella maggior parte della stampa, in tutti i governi stranieri e nei comitati delle Nazioni Unite e, con qualche sorpresa, fra gli “uomini d'affari illuminati” del genere Comitato per lo Sviluppo Economico.

Contro questo furioso assalto, molti cittadini di idee sinceramente liberali di sono stati influenzati dai keynesiani – specialmente dall'argomento che un pesante intervento governativo secondo loro “risolverà il problema della disoccupazione.” L'aspetto più scoraggiante della situazione è che gli argomenti dei keynesiani non sono stati contrastati efficacemente dagli economisti liberali, che si sono generalmente ritrovati impotenti nell'onda di marea. Gli economisti liberali hanno limitato i loro attacchi al programma politico dei keynesiani – non si sono occupati adeguatamente della teoria economica su cui questo programma è basato. Di conseguenza, l'affermazione dei keynesiani che il loro programma assicurerà la piena occupazione è passato generalmente incontestato.

Il motivo di questa debolezza da parte degli economisti liberali è comprensibile. Sono cresciuti con l'“economia neoclassica,” che è fondata sull'attenta analisi delle realtà economiche ed è basata sulle azioni di unità individuali nel sistema economico. La teoria keynesiana si basa su un modello del sistema economico – un modello che semplifica in modo drastico la realtà ma è estremamente complesso a causa della sua natura astratta e matematica. Per questa ragione, gli economisti liberali si sono scoperti confusi e sconcertati da questa “nuova” economia. Poiché i keynesiani erano gli unici economisti preparati per discutere il loro sistema, potevano facilmente convincere gli economisti e gli allievi più giovani della sua superiorità.

Per lanciare con successo un contrattacco contro l'invasione keynesiana, quindi, richiede più della giusta indignazione per le proposte di intervento governativo nel programma keynesiano. Richiede una cittadinanza ben informata che capisca a fondo la teoria keynesiana stessa, con i suoi numerosi errori, i presupposti non realistici ed i concetti malfermi. Per questo motivo sarà necessario seguire un difficile percorso attraverso un complesso labirinto di gergo tecnico per esaminare il modello keynesiano nel dettaglio.

Un'altra difficoltà nell'impresa di esaminare il keynesismo è la netta divergenza di opinioni fra i vari rami del movimento. Tutte le sfumature di keynesiani, tuttavia, sono d'accordo nel condividere una tendenza comune verso la funzione dello Stato, e tutte accettano il modello keynesiano come base per analizzare la situazione economica.

Tutti i keynesiani immaginano lo Stato come grande serbatoio potenziale di benefici, pronto per essere sfruttato. La preoccupazione principale per il keynesiano è di decidere la politica economica: quali dovrebbero essere le finalità economiche dello Stato e quali mezzi dovrebbe adottare lo Stato per realizzarli? Lo Stato è, naturalmente, sempre sinonimo di “noi”: cosa dovremmo fare "noi" per assicurare la piena occupazione? è una delle domande preferite. (se “noi” è riferito al “popolo” o ai keynesiani stessi non viene mai veramente chiarito.)

Nei tempi medioevali e premoderni, anche gli antenati dei keynesiani che sostenevano politiche simili avevano affermato che lo Stato non poteva sbagliare. A quel tempo, il re ed i suoi nobili erano i governanti dello Stato. Ora abbiamo periodicamente il dubbio privilegio della scelta dei nostri governanti da due insiemi di aspiranti assetati di potere. Questo ci rende una democrazia." [1] Così, i governanti dello Stato, “democraticamente eletti” e quindi rappresentanti il “popolo,” sono autorizzati, secondo quanto si dice, a controllare il sistema economico e a costringere, persuadere, “influenzare,” e ridistribuire la ricchezza dei loro riluttanti sudditi.

Un'importante illustrazione recente del pensiero politico keynesiano è stato il messaggio di Truman che annunciava il veto sulla riduzione dell'imposta sul reddito. La ragione principale per il veto è stata che le imposte elevate sono necessarie per “controllare l'inflazione,” dal momento che un periodo di “boom” richiede un avanzo di bilancio per “drenare il potere di acquisto eccedente.”

Di primo acchito, questo argomento sembra convincente ed è sostenuto da quasi tutti gli economisti, compresi molti conservatori non-keynesiani. Sono tutti molto fieri di opporsi alla via "politicamente facile" della riduzione delle tasse nell'interesse della verità scientifica, del benessere nazionale e della “lotta contro inflazione.”

È necessario, tuttavia, analizzare il problema più attentamente. Qual è l'essenza dell'inflazione? Consiste nell'aumento dei prezzi, con alcuni prezzi che aumentano più velocemente di altri. [2] Che cos'è un prezzo? È una somma di denaro (potere di acquisto generale) pagata volontariamente da un individuo ad un altro in cambio di un determinato servizio reso dal secondo individuo al primo. Questo servizio può essere sotto forma d'un determinato prodotto o un beneficio intangibile.

D'altra parte, che cos'è una tassa? Una tassa è l'espropriazione coercitiva della proprietà di un individuo dai governanti dello Stato. I governanti usano questa proprietà per qualsiasi scopo desiderino: solitamente i governanti la distribuiranno in un tal modo che assicuri la continuazione della loro carica, ovvero sovvenzionando i gruppi favoriti. In più, i governanti decidono quali individui pagheranno le tasse – decisione che consiste nell'espropriare la proprietà dei gruppi non graditi dai governanti.

Un prezzo, quindi, è un atto libero di scambio volontario fra due individui, da cui entrambi traggono beneficio (altrimenti lo scambio non avrebbe luogo!). Una tassa è un atto obbligatorio di espropriazione, senza alcun beneficio per l'individuo (a meno che si trovi all'estremità ricevente della proprietà espropriata dallo Stato a qualcun altro).

Alla luce di questa distinzione, sostenere le imposte elevate per impedire i prezzi elevati ricorda un ladro di strada che assicura alla vittima che il suo furto controlla l'inflazione, dal momento che non intende spendere i soldi per un certo tempo o che potrebbe usarlo per rimborsare i suoi debiti. Quando si sveglierà il popolo americano e realizzerà che il furto avvantaggia soltanto il ladro e che il comandamento “non rubare” si applica ai governanti (ed ai keynesiani) così come a chiunque altro?


Il Modello Spiegato


La teoria (o modello) keynesiana ipersemplifica il mondo reale occupandosi di pochi grandi aggregati, ammassando l'attività di tutti gli individui in una nazione.

Il concetto basilare usato è reddito nazionale aggregato, che è definito come uguale al valore monetario della produzione nazionale di merci e servizi durante un dato periodo di tempo. È inoltre uguale all'insieme del reddito ricevuto dagli individui durante quel periodo (profitti corporativi non distribuiti compresi).

Ora, l'equazione fondamentale del sistema keynesiano è reddito aggregato = spesa aggregata. L'unica maniera in cui un individuo possa ricevere un reddito in denaro è che un certo altro individuo spenda una somma uguale. Per contro, ogni atto di spesa da parte di un individuo provoca un reddito in denaro equivalente per qualcun'altro. Ciò è ovviamente e sempre, vero. Il sig. Smith spende un dollaro nella drogheria del sig. Jones: questo atto risulta in un dollaro di reddito per il sig. Jones. Il sig. Smith riceve il suo reddito annuale come conseguenza di un atto di spesa della XYZ Company; la XYZ Company riceve il relativo reddito annuale come conseguenza delle spese fatte da tutti i suoi clienti, ecc. In ogni caso, i consumi e soltanto i consumi, possono generare un reddito in denaro.

Le spese aggregate sono classificate in due tipi base: (1) la spesa finale per le merci ed i servizi che sono stati prodotti durante il periodo è uguale al consumo e (2) la spesa sui mezzi di produzione di queste merci è uguale all'investimento. Quindi, il reddito in denaro è creato tramite decisioni di spesa, consistenti in decisioni di consumo e decisioni di investimento.

Ora, un individuo, ricevendo il suo reddito, lo divide fra consumo e risparmio. Risparmiare, nel sistema keynesiano, è definito semplicemente come non spendere nel consumo. Un principio keynesiano fondamentale è che, per qualsiasi livello particolare di reddito aggregato, c'è un determinato importo definito e prevedibile che verrà consumato e un importo definito che verrà risparmiato. Questo rapporto fra reddito e consumo aggregati è considerato come stabile, fissato dalle abitudini dei consumatori. Nel gergo matematico keynesiano, il consumo aggregato (e di conseguenza il risparmio aggregato) è una funzione stabile e passiva del reddito (la famosa funzione del consumo). Per esempio, useremo la funzione del consumo: consumo = 90 per cento del reddito. (Questa è una funzione altamente semplificata, ma serve ad illustrare i principi di base del modello keynesiano.) In questo caso, la funzione del risparmio sarebbe risparmio = 10 per cento del reddito.

La spesa per consumo, quindi, è determinata passivamente dal livello di reddito nazionale. La spesa per investimenti, tuttavia, secondo i keynesiani, è effettuata indipendentemente dal reddito nazionale. In questa fase, cosa determini l'investimento non è importante: il punto cruciale è che è determinato indipendentemente dal livello di reddito.

Abbiamo lasciato fuori due fattori che determinano anch'essi il livello di spesa. Se le esportazioni sono superiori alle importazioni, la quantità totale di spesa in un paese è aumentata, quindi il reddito nazionale aumenta. Inoltre, un deficit di bilancio pubblico aumenta la spesa ed il reddito aggregati (a condizione che altri tipi di spesa si possano considerare costanti). Mettendo da parte il problema del commercio estero, è evidente che i deficit o le eccedenze di governo sono, come gli investimenti, decisi indipendentemente dal livello di reddito nazionale.

Quindi, reddito = spese indipendenti (investimenti privati + deficit di governo) + spese passive di consumo. Usando la nostra funzione illustrativa del consumo, reddito = spese indipendenti + 90 per cento del reddito. Ora, con semplice aritmetica, il reddito è uguale a dieci volte le spese independenti. Per ogni aumento nelle spese independenti, ci sarà un aumento di dieci volte del reddito. Similmente, una diminuzione nelle spese indipendenti condurrà ad un calo di dieci volte del reddito. Questo effetto “moltiplicatore” sul reddito verrà realizzato da qualunque tipo di spesa indipendente – sia deficit di governo che investimenti privati. Quindi, nel modello keynesiano, i deficit di governo e gli investimenti privati hanno lo stesso effetto economico.

Ora esaminiamo dettagliatamente il processo con cui un reddito di equilibrio è determinato nel modello keynesiano. Il livello di equilibrio è il livello a cui il reddito nazionale tende a depositarsi.

Assumiamo che reddito aggregato = 100, consumo = 90, risparmio = 10 ed investimento = 10. Inoltre supponiamo che non ci sia deficit o eccedenza di governo. Per i keynesiani, questa situazione è una posizione di equilibrio: il reddito tende a rimanere a 100. Una posizione di equilibrio è raggiunta perché entrambi i gruppi principali nell'economia – le aziende e i consumatori – sono soddisfatti. Le aziende, nell'aggregato, sborsano 100. Di questi 100, 10 sono investiti nel capitale e 90 sono utilizzati per produrre beni di consumo. L'insieme delle aziende si aspetta che questi 90 vengano recuperate con la vendita dei beni di consumo. I consumatori soddisfanno le aspettative delle aziende dividendo il reddito di 100 in 90 per consumo e 10 nel risparmio. Quindi, le aziende aggregate sono soddisfatte della situazione ed i consumatori aggregati sono soddisfatti perché stanno consumando il 90 per cento del loro reddito e risparmiandone il 10 per cento.

Adesso lasciate che la spesa indipendente aumenti a 20, a causa di un aumento negli investimenti privati o a causa di un deficit di governo. Ora, i pagamenti di reddito ai consumatori è 90 + 20 = 110. I consumatori, ricevendo 110, vorranno consumarne il 90 per cento, o 99, e risparmiarne 11. Ora, le aziende, che avevano previsto un consumo di 90, sono sorprese piacevolmente nel vedere i consumatori spingere i prezzi e ridurre gli stock dei commercianti nello sforzo di consumare 99. Di conseguenza, le aziende espandono la loro produzione di beni di consumo a 99 e sborsano 99 + 20 = 119, prevedendo un ritorno di 99 dalle vendite. Ma di nuovo sono piacevolmente sorprese, poiché i consumatori vorranno spendere il 90 per cento di 119, o 107. Questo processo di espansione continua fino a che il reddito non sia nuovamente pari a dieci volte gli investimenti – quando il consumo è di nuovo pari al 90 per cento del reddito. Il punto sarà raggiunto quando reddito = 200, investimento = 20, consumo = 180 e risparmio = 20.

È importante notare che l'equilibrio è stato raggiunto in entrambi i casi quando investimento aggregato = risparmio aggregato. Il suddetto processo di equilibrio può essere descritto in termini di risparmio ed investimento: Quando l'investimento è maggiore del risparmio, l'economia si espande ed il reddito nazionale aumenta fino a che il risparmio aggregato non sia pari all'investimento aggregato. Similmente, l'economia si contrae se l'investimento è minore del risparmio, finché non ritornino ad essere uguali.

Si noti che due cose molto importanti devono rimanere costanti affinché l'equilibrio sia raggiunto. La funzione del consumo (e quindi la funzione del risparmio) è assunta come sempre costante mentre il livello di investimento è costante almeno finché l'equilibrio è raggiunto. Una domanda si pone ora: cosa c'è di così importante nel reddito in denaro aggregato da renderlo il centro d'attenzione permanente? Prima di rispondere a questa domanda, è necessario fare determinate premesse.

Supponete che le seguenti cose siano considerate come date (o costanti): lo stato attuale di tutte le tecniche, l'attuale efficienza, la quantità e la distribuzione di tutto il lavoro, la quantità e la qualità attuale di ogni macchinario, la distribuzione attuale del reddito nazionale, la struttura attuale dei prezzi relativi, i tassi salariali attuali nominali (!) e la struttura attuale dei gusti del consumatore, delle risorse naturali e delle istituzioni economiche e politiche.

Allora, dati questi presupposti, per ogni livello di reddito monetario nazionale, corrisponde un livello unico e definito di occupazione. Più alto il reddito nazionale, più alto sarà il livello di occupazione, fino a raggiungere uno stato di “piena occupazione.” (Possiamo definire semplicemente la piena occupazione come livello molto basso di disoccupazione.) Quando il livello di piena occupazione è raggiunto, un più alto reddito monetario rappresenterà soltanto un aumento dei prezzi, senza l'aumento nella produzione fisica (reddito reale) e nell'occupazione.

Riassumendo il suddetto modello, conosciuto come teoria keynesiana dell'equilibrio di sottoccupazione: ad ogni livello di reddito nazionale corrisponde un unico livello di occupazione. C'è, quindi, un determinato livello di reddito cui corrisponde uno stato di piena occupazione, senza un grande aumento dei prezzi. Un reddito inferiore a questo reddito di “piena occupazione” significherà disoccupazione su vasta scala; un reddito superiore significherà grande inflazione dei prezzi.

Il livello di reddito, in un sistema di impresa privata, è determinato dal livello delle spese indipendenti di investimento e delle spese di consumo che sono una funzione passiva del livello di reddito. Il livello di reddito risultante tenderà a depositarsi al punto in cui l'investimento aggregato è pari al risparmio aggregato.

Ora (e qui è il grande climax keynesiano), non c'è alcun motivo di assumere che questo livello di equilibrio del reddito determinato nel libero mercato coinciderà con il livello di reddito di “piena occupazione” – può essere superiore o inferiore.

Ciò è il modello dell'economia privata accettata da tutti i keynesiani. Lo Stato, affermano i keynesiani, ha la responsabilità di mantenere il sistema economico al livello di reddito di “piena occupazione,” perché “noi” non possiamo dipendere dall'economia privata per farlo.

Il modello keynesiano fornisce i mezzi con cui lo Stato può compiere questa operazione. Dal momento che i deficit di governo hanno gli stessi effetti sul reddito dell'investimento privato, tutto ciò che lo Stato deve fare è di valutare il previsto livello di reddito di equilibrio dell'economia privata. Se è inferiore al livello di “piena occupazione,” lo Stato può impegnarsi nella spesa di deficit fino a raggiungere il livello di reddito voluto. Allo stesso modo, se è superiore al livello voluto, lo Stato può ottenere eccedenze di bilancio con imposte elevate. Lo Stato, se lo desidera, può anche stimolare o scoraggiare gli investimenti o i consumi privati per mezzo di tasse e sovvenzioni, o imporre tariffe se vuole generare un'eccedenza di esportazioni. La prescrizione keynesiana favorita per stimolare i consumi è la tassazione progressiva del reddito, visto che i “ricchi” sono quelli che risparmiano di più. Il metodo favorito per “incoraggiare l'investimento privato” è di sovvenzionare gli industriali “ progressisti” e “illuminati” a scapito dei grandi affaristi Tory.”



Il Modello criticato


Ricordiamo che perché il modello keynesiano sia valido, i due fondamentali fattori determinanti il reddito, vale a dire, la funzione del consumo e l'investimento indipendente, devono rimanere costanti abbastanza a lungo per raggiungere e mantenere l'equilibrio del reddito. Come minimo, per queste due variabili deve essere possibile rimanere costanti, anche se, generalmente, non sono tali nella realtà. L'essenza dell'errore di base del sistema keynesiano è, tuttavia, che è impossible che queste variabili rimangano costanti per la durata richiesta.

Ricordiamo che quando reddito = 100, consumo = 90, risparmio = 10 ed investimento = 10, il sistema è supposto essere nell'equilibrio, perché le aspettative aggregate delle imprese e del pubblico sono soddisfatte. Nel complesso, entrambi i gruppi sono perfettamente soddisfatti con la situazione, tanto che non c'è presumibilmente tendenza ad una variazione del livello di reddito. Ma gli aggregati hanno un senso soltanto nel mondo dell'aritmetica, non nel mondo reale. Le imprese possono ricevere in aggregato proprio quanto avevano previsto; ma questo non significa che ogni singola azienda sia necessariamente in una posizione di equilibrio. Le imprese non fanno guadagni in aggregato. Alcune aziende possono fare degli utili eccezionali, mentre altre possono subire perdite inattese. Senza contare che, in aggregato, questi profitti e perdite possono annullarsi e che ogni azienda dovrà procedere agli aggiustamenti relativi alla propria esperienza particolare. Questo aggiustamento varierà ampiamente da azienda e azienda e da industria ad industria. In questa situazione, il livello dell'investimento non può rimanere a 10 e la funzione del consumo non rimarrà fissa, obbligando il livello del reddito a cambiare. Niente nel sistema keynesiano, tuttavia, può dirci quanto lontano o in quale direzione si muoverà una di queste variabili.

Analogamente, nella teoria keynesiana del processo di aggiustamento verso il livello di equilibrio, se l'investimento aggregato è maggiore del risparmio aggregato, si suppone che l'economia si espanderà verso il livello di reddito dove il risparmio aggregato è uguale all'investimento aggregato. Nel processo stesso di espansione, tuttavia, la funzione del consumo (e del risparmio) non può rimanere costante. Utili eccezionali saranno distribuiti irregolarmente (ed in un modo sconosciuto) fra le numerose aziende, conducendo così a diversi tipi di aggiustamento. Questi aggiustamenti possono condurre ad un aumento sconosciuto nel volume degli investimenti. Inoltre, sotto lo slancio dell'espansione, le nuove imprese entreranno nel sistema economico, cambiando così il livello di investimento.

In più, con l'espansione del reddito, la ripartizione del reddito fra gli individui nel sistema economico necessariamente cambia. È un fatto importante, di solito trascurato, che l'assunto keynesiano di una funzione rigida del consumo presuppone una data ripartizione del reddito. Di conseguenza, il cambiamento nella ripartizione del reddito causerà un cambiamento nella funzione del consumo di dimensioni e direzione ignote. Ancora, la certa emersione di guadagni in conto capitale cambierà la funzione del consumo.

Quindi, dato che i fondamentali fattori keynesiani di determinazione del reddito – la funzione del consumo ed il livello dell'investimento – non possono rimanere costanti, non possono determinare alcun livello di equilibrio del reddito, neppure approssimativamente. Non c'è alcun punto verso cui il reddito si dirigerà o dove tenderà a rimanere. Tutto quel che possiamo dire è che ci sarà un movimento complesso nelle variabili di direzione e grado sconosciuti.

Questo fallimento del modello keynesiano è il risultato diretto dei fuorviati concetti aggregativi. Il consumo non è solo una funzione del reddito; dipende, in un modo complesso, al livello del reddito passato, dal reddito futuro previsto, dalla fase del ciclo congiunturale, dalla lunghezza del periodo di tempo in discussione, dai prezzi dei prodotti, dai guadagni in conto capitale o dalle perdite e dai bilanci dei consumatori.

Ancora, la ripartizione del sistema economico in pochi aggregati suppone che questi aggregati siano indipendenti tra loro, che siano determinati e possano cambiare indipendentemente. Questo trascura la grande quantità di interdipendenza e di interazione fra gli aggregati. Quindi, il risparmio non è indipendente dall'investimento; la maggior parte, specialmente il risparmio di impresa, è fatta in previsione di investimenti futuri. Di conseguenza, un cambiamento nelle prospettive per investimenti vantaggiosi avrà una grande influenza sulla funzione del risparmio e quindi sulla funzione del consumo. Analogamente, l'investimento è influenzato dal livello di reddito, dagli sviluppi previsti del reddito futuro, dal consumo previsto e dal flusso del risparmio. Per esempio, un calo nel risparmio significherà un taglio nei fondi monetari disponibili per investimenti, che saranno così limitati.

Un'ulteriore dimostrazione della fallacia degli aggregati è l'assunto keynesiano che lo Stato può semplicemente aggiungere o sottrarre la sua spesa da quella dell'economia privata. Ciò suppone che le decisioni di investimento privato rimangano costanti, inalterate dai deficit di governo o dai surplus. Non c'è alcuna base per questo assunto. In più, la tassazione progressiva del reddito, che è progettata per spingere al consumo, si presume non abbia effetto sugli investimenti privati. Questo non può essere vero, poiché, come abbiamo già visto, una limitazione nel risparmio ridurrà gli investimenti.

Quindi, l'economia aggregativa è una rappresentazione drasticamente falsa della realtà. Gli aggregati sono soltanto un mantello aritmetico sul mondo reale, dove il gran numero di imprese e di individui reagiscono ed interagiscono in maniera altamente complessa. Gli stessi presunti “fattori determinanti fondamentali” del sistema keynesiano sono determinati dalle interazioni complesse in seno e tra questi aggregati.

La nostra analisi è confermata dal fatto che i keynesiani hanno fallito completamente nei loro tentativi di stabilire una funzione reale e stabile del consumo. Le statistiche rivelano il fatto che la funzione del consumo cambia considerevolmente con il mese dell'anno, la fase del ciclo congiunturale e nel lungo termine. Le abitudini dei consumatori sono certamente cambiate nel corso degli anni. A breve termine, un cambiamento nel reddito delle famiglie condurrà soltanto ad un cambiamento nei consumi dopo un ritardo di un certo periodo di tempo. In altri casi, i cambiamenti nel consumo possono essere indotti da previsti cambiamenti nel reddito (per esempio, con il credito al consumo). Questa instabilità della funzione del consumo elimina la possibilità di qualsiasi validità del modello keynesiano.

Ancora un altro errore fondamentale nel sistema keynesiano è il supposto rapporto unico fra reddito ed occupazione. Questo rapporto dipende, come abbiamo visto sopra, sull'assunto che le tecniche, la quantità e la qualità dei macchinari ed il tasso salariale e di efficienza del lavoro siano fissi. Questo assunto omette fattori di basilare importanza nella vita economica e può essere vero soltanto per un periodo estremamente breve. I keynesiani, tuttavia, tentano di usare questa relazione sui lunghi periodi come base per la predizione del livello di occupazione. Un risultato diretto fu il fiasco keynesiano della predizione di otto milioni di disoccupati dopo la fine della guerra.

Il dispositivo più importante che assicura la relazione unica fra reddito ed occupazione è l'assunto del tasso salariale monetario costante. Questo significa che, nel modello keynesiano, un aumento degli dispendii può aumentare l'occupazione soltanto se i tassi salariali monetari non aumentano. In altre parole, l'occupazione può aumentare solo se il tasso del salario reale scende (tasso salariale relativo ai prezzi ed ai profitti). Inoltre, non ci può essere un livello di equilibrio della disoccupazione su larga scala nel modello keynesiano a meno che i tassi salariali monetari non siano rigidi e non siano liberi di scendere.

Questo risultato è estremamente interessante, poiché gli economisti classici hanno sempre sostenuto che l'occupazione aumenterà soltanto se il tasso del salario reale scende e che la disoccupazione su larga scala può persistere soltanto se ai tassi salariali viene impedito di scendere con l'interferenza monopolistica nel mercato del lavoro. Sia i keynesiani che gli economisti liberali riconoscono che i tassi salariali monetari, specialmente dall'avvento del New Deal, non sono più liberi di scendere a causa del controllo monopolistico operato dal sindacato e dal governo sul mercato di lavoro.

I keynesiani rimedierebbero a questa situazione ingannando i sindacati nell'accettare tassi di salario reale più bassi, mentre i prezzi ed i profitti aumentano attraverso la spesa di deficit del governo. Propongono di realizzare questo compito contando sull'ignoranza del sindacato, accoppiata ai frequenti appelli “al senso di responsabilità dalla direzione dei lavoratori.” In questi giorni quando i sindacati emettono grida di rabbia e minacciano di colpire ad ogni segnale di prezzi più alti o di maggiori profitti, un tal atteggiamento è incredibilmente ingenuo. Lungi dall'avere un senso di responsabilità, lo scopo della maggior parte dei sindacati sembra essere tassi salariali in veloce e continuo aumento, prezzi più bassi e profitti inesistenti.

È evidente che la soluzione liberale di ricostruzione di un mercato del lavoro liberamente competitivo con l'eliminazione dei monopoli del sindacato e dell'interferenza governativa è un requisito essenziale per la rapida scomparsa della disoccupazione come questa si presenta nel sistema economico.

I keynesiani, in particolar modo i rabbiosi partigiani del “movimento liberal-labor,” tentano di confutare questa soluzione sostenendo che i tagli dei tassi salariali monetari non conducono ad una riduzione della disoccupazione. Sostengono che i redditi da stipendio verrebbero ridotti, quindi riducendo la domanda di beni di consumo ed abbassando i prezzi, lasciando i tassi del salario reale al loro livello precedente.

Questa discussione si basa su una confusione fra il tasso salariale ed il reddito da stipendio. Una riduzione dei tassi di salariali monetari, specialmente nelle industrie dove i tassi salariali sono stati più rigidi, condurrà immediatamente ad un aumento nelle ore di lavoro effettive e nel numero di uomini impiegati. (Naturalmente, la quantità dell'aumento varierà da industria a industria.) In questo modo, i pagamenti totali sono aumentati, così aumentando a loro volta i redditi da stipendio e la domanda di beni di consumo. Un calo nei tassi salariali monetari avrà un effetto particolarmente favorevole sull'occupazione nell'industria edilizia e dei beni capitale. Proprio quelle industrie che ora hanno i sindacati più forti.

Ancora, se i redditi da stipendio sono ridotti, allora i redditi degli imprenditori e di altri saranno aumentati e il “potere d'acquisto” totale nella comunità non declinerà.


“L'Economia Matura”

È importante ricordare che il keynesismo nacque e catturò il suo vasto seguito nell'impeto della Grande Depressione degli anni trenta, di una depressione unica per lunghezza e gravità e, in particolare, nella persistenza della disoccupazione su larga scala. Fu il suo tentativo di fornire una spiegazione per gli eventi degli anni trenta che guadagnarono al keynesismo il suo seguito popolare. Usando un modello con assunti che ne limitano l'applicazione ad un periodo di tempo molto breve, e completamente fallace nella sua dipendenza da semplici aggregati, tutti i keynesiani decretarono con sicurezza che la cura erano i deficit governativi.

Interpretando il significato della depressione, tuttavia, i keynesiani hanno compagnia. I “moderati” sostengono che si trattò semplicemente di una severa depressione nel familiare giro dei cicli congiunturali. I keynesiani “radicali”, guidati dal professor Hansen di Harvard, assericono che i trenta introdussero negli Stati Uniti un'era di “stagnazione secolare (di lunga durata).” Sostengono che l'economia americana è ora matura, che le occasioni per investimenti ed espansione sono in gran parte esaurite, tanto che si può prevedere che la spesa per investimenti rimarrà ad un livello permanente basso, ad un livello troppo basso per garantire la piena occupazione. La cura per questa situazione, secondo i keynes-hanseniti, è un programma permanente di governo di spesa di deficit su progetti a lungo termine e pesante tassazione del reddito progressiva per aumentare permanentemente il consumo e scoraggiare il risparmio.

Dove la tesi di ristagno di Hansen va oltre il modello di Keynes è nel suo tentativo di spiegare i fattori determinanti del livello di investimento. L'investimento si suppone sia determinato “dalla quantità di opportunità per gli investimenti” che, a loro volta, è determinata (1) dal miglioramento tecnologico, (2) dalla crescita della popolazione e (3) dalla disponibilità di nuovi territori. Gli hanseniti continuano a disegnare un'immagine tenebrosa delle opportunità per gli investimenti privati nel mondo moderno.

Il decennio dei trenta fu la prima nella storia americana con un declino nello sviluppo della popolazione e non ci sono nuovi territori da sviluppare – la “frontiera” è chiusa. Di conseguenza, possiamo contare soltanto sul progresso tecnologico per ottenere delle opportunità per gli investimenti, opportunità che devono essere molto più grandi di quanto lo fossero in passato per ammortizzare i cambiamenti sfavorevoli degli altri due fattori. Per quanto riguarda il progresso tecnologico, anch'esso sta rallentando. Dopo tutto, le ferrovie sono già state costruite e l'industria automobilistica ha raggiunto la maturità. Qualsiasi miglioramento secondario in essa con ogni probabilità potrebbe essere impedito dai “monopolisti reazionari,” ecc.

Esaminiamo ciascuno dei fattori determinanti l'investimento secondo Hansen. L'oscurità riguardo alla mancanza di nuove terre da sviluppare – la sparizione della “frontiera” – può essere dissipata rapidamente. La frontiera è sparita nel 1890 senza interessare sensibilmente il progresso e la veloce prosperità dell'America; ovviamente non può essere fonte di problemi adesso. Questo è confermato dal fatto che, dal 1890, l'investimento pro capite in America è stato maggiore nelle zone più antiche che nelle zone recenti della frontiera.

È difficile vedere come possa un declino nella crescita della popolazione influenzare avversamente gli investimenti. La crescita della popolazione non fornisce una fonte indipendente di opportunità per investimenti. Una calo del tasso di crescita della popolazione può influenzare avversamente l'investimento solo se
1. Tutti i desideri dei consumatori esistenti sono soddisfatti in modo completo. In quel caso, la crescita della popolazione sarebbe l'unica fonte supplementare di domanda di beni di consumo. Questa situazione chiaramente non esiste; c'è un numero infinito di desideri insoddisfatti.

2. Il declino conduce ad una ridotta domanda di beni di consumo. Non c'è ragione per la quale questo dovrebbe essere il caso. Le famiglie non useranno in modo diverso i soldi che avrebbero altrimenti speso per i loro bambini?
In particolare, Hansen sostiene che il calo catastrofico nell'edilizia negli anni trenta fu causato dal declino nella crescita della popolazione, che ridusse la domanda di nuovi alloggi. Il fattore rilevante a questo proposito, tuttavia, è il tasso di crescita nel numero di famiglie; che negli anni trenta non declinò. Ancora, Manhattan aveva avuto una popolazione totale declinante (non solo il tasso di crescita) dal 1911, tuttavia negli anni 20 a Manhattan si registrò il più grande boom edilizio residenziale della sua storia.

Per concludere, se il nostro male è la sottopopolazione, perchè nessuno ha suggerito la sovvenzione dell'immigrazione per curare la disoccupazione? Avrebbe lo stesso effetto dell'aumento nel tasso di crescita della popolazione. Il fatto che Hansen non abbia neppure suggerito questa soluzione è una dimostrazione conclusiva dell'assurdità dell'argomento della “crescita della popolazione”.

Il terzo fattore, il progresso tecnologico, è certamente importante; è una delle principali caratteristiche dinamiche di un'economia di libera impresa. Il progresso tecnologico, tuttavia, è un fattore decisamente favorevole. Ora sta continuando ad un tasso più veloce che mai, con le industrie che spendono somme senza precedenti sulla ricerca e sullo sviluppo di nuove tecniche. Nuove industrie già appaiono all'orizzonte. C'è certamente ogni motivo di essere euforici piuttosto che tetri sulle possibilità del progresso tecnologico.

Questo è quanto per la minaccia dell'economia matura. Abbiamo visto che dei tre presunti fattori determinanti l'investimento, uno solo è rilevante, e le sue prospettive sono molto favorevoli. La tesi dell'economia matura di Hansen è una spiegazione della realtà economica senza valore almeno quanto il resto dell'impianto keynesiano.

Così si conclude la nostra lunga analisi della bufala più riuscita e più perniciosa nella storia del pensiero economico: il keynesismo. Tutto il pensiero keynesiano è un intreccio di distorsioni, errori e di assunti drasticamente non realistici. Gli effetti politici viziosi del programma keynesiano sono stati considerati solo di sfuggita. Sono semplicemente fin troppo evidenti: legislatori di Stato impegnati nel furto diretto con la tassazione “progressiva”, che creano e spendono nuovi soldi in concorrenza con gli individui, dirigendo gli investimenti, “influenzando” il consumo – lo Stato onnipotente, l'individuo inerme e strozzato sotto il giogo. Tutto ciò in nome del “salvataggio della libera impresa.” (Raro è il Keynesian che ammette di essere un socialista.) Questo è il prezzo che ci viene richiesto di pagare per applicare una teoria completamente fallace!

Ma il problema della spiegazione della Grande Depressione ancora permane. È un problema che ha bisogno di una ricerca completa ed attenta; in questo contesto, possiamo indicare soltanto in breve quelle che sembrano essere promettenti linee d'indagine. Ecco alcuni dei fatti: durante il decennio dei trenta, i nuovi investimenti calarono rapidamente (specialmente nell'edilizia); la spesa dei consumatori aumentò; le tariffe erano al loro massimo livello; la disoccupazione rimase ad un livello anormalmente alto durante il decennio; i prezzi dei prodotti scesero; i tassi salariali aumentarono (in particolare nell'edilizia); le imposte sul reddito aumentarono notevolmente e diventarono molto più nettamente progressive; gli scioperi e gli associati ai sindacati crebbero notevolmente, in particolar modo nelle industrie delle merci capitale. Ci fu inoltre un enorme sviluppo della burocrazia federale, di una pesante “legislazione sociale,” e dell'atteggiamento anti-business estremamente ostile del governo del New Deal.

Questi fatti indicano che la depressione non fu il risultato di un'economia che era diventata improvvisamente “matura,” ma delle politiche del New Deal. Un'economia di libera impresa non può funzionare con successo sotto gli attacchi costanti di un potere di polizia coercitivo. L'investimento non viene deciso secondo una certa “mistica opportunità.” È determinato dalle prospettive per il profitto e dalle prospettive di mantenere quel profitto. Le prospettive per il profitto dipendono da costi più bassi rispetto ai prezzi previsti ed le prospettive per il mantenimento del profitto dipendono dal più basso livello possibile di tassazione.

L'effetto del New Deal fu di aumentare drasticamente i costi attraverso la costruzione di un movimento del sindacato monopolista, che causò direttamente l'aumento dei tassi salariali (anche quando i prezzi erano bassi e in caduta) ed all'abbassata efficienza per via di “picchetti,” rallentamenti, sciperi, privilegi di anzianità, ecc. La sicurezza della proprietà era compromessa dai continui assedi del governo del New Deal, in particolar modo tramite la tassazione confiscatoria che prosciugò il flusso necessario del risparmio e non lasciò alcun motivo per investire produttivamente il risparmio rimasto. Questo risparmio, invece, trovò la sua strada verso l'acquisto di titoli governativi per finanziare ogni tipo di progetti di nessuna utilità.

Il benessere economico, quindi, così come i principi di base della moralità e della giustizia, conduce allo stesso obiettivo politico necessario: il ristabilimento della sicurezza della proprietà privata da tutte le forme di coercizione, senza cui non ci può essere libertà individuale né prosperità economica durevole né progresso.

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Note

[1] Questo non implica che la democrazia sia diabolica. Significa che la democrazia dovrebbe essere considerata come tecnica desiderabile per la scelta dei governanti in modo competitivo, a condizione che il potere di questi governanti sia rigorosamente limitata.

[2] La causa dell'aumento dei prezzi è generalmente un'abbondanza di moneta fiat creata dai passati o presenti deficit di governo.
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Murray N. Rothbard (1926-1995) era un decano della scuola austriaca. Vedi il suo archivio. Commenta sul blog.


1 comment:

Fiorenzo said...

Sono convinto che in qualsiasi modo si guardi l'economia ci sia sempre della cacca da mangiare e si arrivi ad un'inico risultato. O si cambia, smettendo di mantenere con lauti guadagni vip e lazzaroni di giornata, anche Pareto rigira nella tomba per l'uso improprio del suo Ottimo Parietano, oppure la natura stanca di dover mantenere degli inconcludenti sperpera risorse si decida a cambiare tattica e far sparire degli animali ormai inutili alla propria soppravvivenza.