Saturday, February 28, 2009

Siamo tutti malati di mente

Spesso, assistendo all'apparentemente inarrestabile espansione dello stato, ho l'impressione che gli sforzi dei fautori della libertà, dei vari mises.org, lewrockwell.com, fee.org, di Ron Paul, Peter Schiff, e in piccolo anche di questo blog, siano purtroppo vani. Le guerre si succedono ai bailout, i politici esibiscono i loro sorrisi, i media e gli “intellettuali di corte” tessono le loro vesti invisibili e nessuno pare farci caso.

Poi capita di leggere qualcosa, una notizia tra il curioso e il demenziale, e capisci che ciò che si offre al tuo sguardo è, inopinatamente, una piccola ma netta crepa nel sistema, un'imperfezione nella matrice, il segno che al potere sta sfuggendo il controllo. La notizia la segnala il Cato Institute, ed è la presentazione di una conferenza della Harvard Law School dedicata all'analisi dell'“atteggiamento mentale del libero mercato.”

Tra i titoli in programma leggiamo “Come pensare come un economista insidia la comunità” e “Assuefatto agli incentivi: come l'ideologia dell'interesse personale può essere appagante.” Forse il più assurdo è “Fallimento colossale: il pregiudizio della produzione nelle economie di mercato”: secondo la descrizione, l'autore sostiene che il mercato “comporta eccessivi livelli di consumo” (ma non si doveva spendere per salvare l'economia?).

Daniel J. Mitchell, nel suo breve articolo, ricorda che “ai bei vecchi tempi della dittatura sovietica, il regime classificava i dissidenti come malati di mente (dopo tutto, soltanto un pazzo non riuscirebbe a vedere le glorie del comunismo).” In effetti la sensazione generale, scorrendo il programma della conferenza, è che si cerchi dare dello psicopatico a chi, lungi dall'accettare i diktat del governo centrale, si ostini a chiedersi “quanto costa?” e “chi paga?”

Ecco la crepa: il sistema sente di non poter giustificare le sue azioni sul piano economico, sa che la gente sta rifiutando la logica dei salvataggi, e cerca di spostare la lotta su un campo diverso: appuntando lo stigma della malattia mentale su chi si occupa di economia. Chissà, il passo successivo potrebbe essere la reclusione in campi di rieducazione keynesiana, in cui i poveri economisti in erba saranno costretti a scavare buche ed a riempirle da mane a sera.

Forse andrà così, ma questo è senza dubbio il segno di un cedimento, una dimostrazione di debolezza. Il messaggio libertario e le idee dell'economia austriaca circolano, e cominciano a preoccupare. Nella peggiore delle ipotesi, arrivederci al gulag!

Friday, February 27, 2009

Hayek a “Meet the Press” nel 1975

Hayek parla dei pericoli dell'inflazione in questa intervista del 22 giugno 1975 a “Meet the Press.” L'audio completo lo potete trovare a questo link. Trascrizione a cura di Karen Y. Palasek, direttrice dei programmi educativi e accademici della Fondazione John Locke. (Scarica il pdf.)
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Intervistatori:
Irving R. Levine di NBC News
George F. Will di National Review
Hobart Rowan di The Washington Post
Eileen Shanahan di The New York Times

Will:
“Dott. von Hayek, durante i 30 anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, le economie di alcune nazioni sonno andate molto meglio di altre. La Repubblica federale di Germania, per esempio, è andata molto meglio della Gran Bretagna. Potete ricavare delle generalizzazioni da ciò? Qual è il segreto per il successo ed il segreto per i problemi?”

Hayek:
“Bene, naturalmente è una questione molto complicata ma c'è un punto semplice: i sindacati tedeschi sono stati straordinariamente ragionevoli e sono stati ragionevoli perché si sono ricordati cosa significa inflazione. Tuttavia, c'è una certa implicazione; questa direzione potrebbe non durare a lungo, perché la generazione che la ricorda ora sta svanendo. Sono piuttosto apprensivo per il futuro.”

Will:
“Dott. von Hayek, abbiamo oggi un'amministrazione fondamentalmente conservatrice negli Stati Uniti, ma anch'essa deve affrontare deficit pianificati (più o meno pianificati) che superano forse i 100 miliardi di dollari nei due prossimi anni. Pensate che questo causerà un'inflazione rinnovata e forse socialmente distruttiva?”

Hayek:
“Non è improbabile, temo. Finché la gente al governo sarà persuasa che un'inflazione di questo tipo sia persino benefica nei suoi effetti, la tendenza in quella direzione sarà molto forte. Penso che tutto dipenda dal persuadere le persone responsabili del pericolo dell'inflazione.”

Rowan:
“Dott. von Hayek, avete parlato in risposta al sig. Levine di un doloroso aggiustamento degli spiacevoli effetti che avremmo dovuto sopportare per sconfiggere l'inflazione. Con tutto il dovuto rispetto, signore, non sono le vostre teorie in qualche modo non realistiche in senso politico?Potete immaginare oggi governi in grado di intraprendere le azioni che suggerite?”

Hayek:
“Forse non sono realistico. Finché la gente non comprenderà completamente il pericolo di inflazione, potrà ben fare pressione per maggiore inflazione come rimedio di breve durata ai mali. Quindi è ben possibile che saremo guidati ad una maggiore inflazione, finché la gente non avrà imparato la lezione, ma questo significa che l'inflazione potrà ancora arrecare molti più danni, prima di essere curata.”

Rowan:
“Bene, per essere specifico, che tasso di disoccupazione pensate che questo paese debba essere disposto a tollerare per battere l'inflazione? Dodici per cento, quindici per cento?”

Hayek:
“Non è una questione di cosa il paese è disposto a tollerare. Più a lungo avete inflazione, e più una maggiore disoccupazione diventa inevitabile. Non avremo scelta. La questione è che il governo non può evitare la disoccupazione causata dalla precedente errata destinazione della forza lavoro, che l'inflazione ha prodotto.”

Rowan:
“Ma quando parlate di effetti sgradevoli che il paese dovrebbe sopportare, di cosa parlate esattamente? Deve trattarsi di un certo livello di disoccupazione che pensate risulterebbe se curiamo l'inflazione.”

Hayek:
“Bene, un periodo d'inflazione, non un'inflazione duratura. Quando se volete realizzare una posizione ragionevolmente stabile, dovete in realtà passare per un periodo d'inflazione, che respingerebbe la disoccupazione, che potrebbe durare più di un anno.„

Rowan:
“E a che livello potrebbe arrivare?”

Hayek:
“Non saprei dire. Intendo dire che dovrei conoscere molto di più sulle circostanze specifiche, ma non escluderei un aumento provvisorio al tredici, quattordici per cento o a qualcosa di quel genere.”

Rowan:
“Pensate il tessuto sociale di questo paese potreste tollerare un tasso del quattordici per cento di disoccupazione?”

Hayek:
“Per alcuni mesi, certamente.”

Shanahan:
“Professor von Hayek, il vostro collega Premio Nobel, il professor Leontief, è un fautore della pianificazione, e due dei nostri prominenti senatori, Humphrey e Javits, hanno introdotto una legislazione per realizzare la sua idea, che è in gran parte materia di studio per vari enti governativi e raccomandazioni – niente di obbligatorio. Vedete in questo tipo di pianificazione gli stessi pericoli che vedete in una forma più obbligatoria?”

Hayek:
“Bene. se davvero non è obbligatorio, sarebbe anche completamente inefficace e quindi non arrecherebbe danni. Penso che ci sia una risposta molto semplice. Egli in realtà immagina che la gente sarà spinta in qualche modo a far ciò che progetta.”

Shanahan:
“Il pensiero, credo, che hanno espresso è che potrebbero essere evidenziate cose come la previsione di carenze di capacità produttiva industriale, e le industrie incoraggiate a procedere nella costruzione di nuovi impianti, questo genere di cose. Comprendete che nel vostro pensiero ciò sarebbe del tutto inefficace?”

Hayek:
“Ma perché chiamarla pianificazione? Se potete fornire migliori informazioni all'industria, fatelo, con qualsiasi mezzo.”

Shanahan:
“Possiamo allora dire che sosterreste quella legislazione, nonostante i vostri timori verso la pianificazione?”

Hayek:
“Be', non ha niente a che fare con la pianificazione.”

Moderatore:
“Dott. von Hayek, se ho ben capito quel che avete detto in risposta alla domanda del sig. Levine il modo per fermare l'inflazione è fermare le macchine tipografiche? Allora voi suggerite che è questo che stiamo facendo, stiamo semplicemente stampando soldi, e che così ha avuto inizio questa inflazione, e così continua, e così continuerà?”

Hayek:
“La frase “fermare le macchine tipografiche” è un'espressione figurata, perché ora sta venendo fatto con la creazione di credito dal sistema della Federal Reserve. Ma questa è un'azione governativa – tutta l'inflazione è alla fine il risultato di attività che il governo determina e che può controllare. E tutte le inflazioni si sono interrotte nel passato quando il governo ha smesso di creare denaro, o ha impedito alla banca centrale di creare altro denaro. Posso aggiungere solo una cosa? Vedete, tutte le inflazioni sono state fermate da gente che ha creato o creduto in una forma molto naif della Teoria della Quantità ed ha agito su quella base. Può essere errata, ma è l'unica teoria adeguata che sia efficace per fermare un'inflazione.”

Moderatore:
“Avrete studiato, ne sono certo, gli Stati Uniti perché avete insegnato qui per molti anni. Che cosa pensate abbia dato inizio alla nostra inflazione? Abbiamo avuto inflazione per un certo numero di anni e non penso che stessimo stampando soldi a quel tempo, o che la Federal Reserve stesse necessariamente spargendo grandi quantità di denaro. Che cosa pensate sia stato responsabile dell'inizio della nostra inflazione?”

Hayek:
“La fede nell'aumento intenzionale della domanda aggregata, al fine di creare occupazione. In effetti, quella che è comunemente chiamata fede nelle politiche keynesiane per creare occupazione.”

Levine:
“Il Dott. von Hayek, la generale credenza fra gli economisti dell'amministrazione è che ora siamo al fondo, o quasi, della recessione che stiamo attraversando. Se ho capito bene, voi dite che dovremmo essere disposti ad sperimentare una continuazione di questo periodo di bassa attività economica per più o meno un altro anno piuttosto che fare il tipo di sforzi che il governo ha intrapreso – di un taglio delle tasse per stimolare l'economia?”

Hayek:
“Il taglio delle tasse punta ancora sull'aumento della domanda aggregata e la difficoltà attuale non è dovuta ad una mancanza di domanda aggregata. È dovuta al fatto che senza continua inflazione, voi non potete mantenere la gente nei nuovi impieghi in cui è stata attirata dall'inflazione del passato.”

Levine:
“Vorrei insistere sulla prima parte della mia domanda: vedete la necessità, per evitare un risorgere dell'inflazione, che il governo intraprenda politiche che ci manterranno al presente basso livello di attività economica per un periodo di un anno o più?”

Hayek:
“Bene, non necessariamente al più basso livello, ma noi non dovremmo produrre niente più di un recupero molto lento. Vorrei aggiungere, più lento è il recupero, migliori sono le probabilità che duri.”

Levine:
“In un discorso di fronte ad un gruppo congressuale non molto tempo fa, avete detto che la minaccia contro il sistema della libera impresa della nostra società non è mai stata più imminente di quanto lo sia ora. Cosa intendevate?”

Hayek:
“Be', che temo che il governo continuerà a inflazionare per combattere la disoccupazione, ed abbiamo provato ad contrastarne gli effetti imponendo controlli dei prezzi. E se utilizzate i controlli dei prezzi per quello scopo, finite in un sistema pianificato centralmente.”

Will:
“Trent'anni fa, dott. von Hayek, voi avete insistito, e insistito ancora, che le libertà politiche ed economiche devono fiorire insieme o perire insieme. Vedete dei segni – specificamente negli Stati Uniti di oggi (o in Gran Bretagna, con la quale avete familiarità) – che indichino che la libertà politica è in pericolo?”

Hayek:
“In Gran Bretagna certamente, ed è piuttosto evidente che tramite il processo democratico stabilito, non potete condurre il genere di politiche economiche che l'attuale partito al governo vuole condurre. Perché il pericolo di una riduzione della libertà politica in Gran Bretagna è considerevole. In questo paese non è così imminente, in massima parte per la ragione per cui gli sforzi non sono stati diretti così tanto verso la nazionalizzazione ed il diretto controllo statale delle industrie. Ma i tentativi sono stati fatti tramite una ridistribuzione dei redditi per mezzo delle tasse. E quello è un processo molto più lento. Penso che tenda nella stessa direzione, ma molto più lentamente dell'altro.”

Rowan:
“Dott. von Hayek, come valutate l'impatto del potere di mercato esercitato dai sindacati o dalle corporazioni come fattore nell'inflazione? Sembrate mettere tutta l'enfasi sulla quantità di moneta e sulle macchine tipografiche. Non è una parte della nostra inflazione, e parte delle inflazioni in alcune altre parti del mondo, dovuta all'eccessivo potere di mercato dei sindacati e delle corporazioni?”

Hayek:
“Mai direttamente. Bene, può anche essere e frequentemente accade, che a causa del potere dei sindacati come pure delle corporazioni il governo si senta obbligato a inflazionare. Si trasforma in un incentivo per l'azione governativa. Ma la causa immediata è sempre l'aumento della quantità di moneta da parte del governo, qualunque sia l'incentivo ad agire in tal modo.”

Rowan:
“Tornando alla crisi in Gran Bretagna, il cancelliere dello Scacchiere mi ha detto mercoledì che il governo considererà il ritorno ad una politica formale salari-prezzi-redditi. Che effetto pensate che potrebbe avere, nel caso, negli stipendi e nei prezzi con l'altissimo livello d'inflazione britannica?”

Hayek:
“Non penso che sarà affatto d'aiuto. Vede, potrebbe essere necessario come misura provvisoria, nel momento in cui siete nella posizione di arrestare l'aumento nella quantità di moneta. Non vedo alcuna prospettiva nell'immediato futuro che il governo britannico possa arrestare efficacemente un aumento nella quantità di moneta. In quella situazione, nascondete soltanto momentaneamente gli effetti dell'inflazione.”

Rowan:
“Quale sarebbe la vostra prescrizione per i mali che affliggono la Gran Bretagna?”

Hayek:
“Be', è innanzitutto un problema di persuadere il pubblico che, nella situazione attuale, la pressione del sindacato non merita supporto pubblico. Cosa che dovete realizzare prima di poter fare qualcosa attraverso la legislazione per ridurre il potere dei sindacati. Deve essere un processo lungo. Non vedo alcuna cura immediata.”

Shanahan:
“Professor von Hayek, avete sempre evidenziato che le azioni governative che inflazionano, la pianificazione e il controllo del governo sono i grandi pericoli per la nostra libertà politica. Molti americani vedono un altro scenario per la perdita della libertà in questo paese, e sono le politiche economiche per cui ora la disoccupazione nelle città si concentra fra la gioventù di colore, oltre il quaranta per cento, e che la loro rabbia e la loro frustrazione possono condurre alla violenza, che a sua volta condurrà all'azione repressiva governativa. Cosa dite di questo scenario? Possiamo semplicemente sederci e lasciare che accadono?”

Hayek:
“No, ma questo deriva dalla stessa causa. La disoccupazione di cui parlate, che è la causa iniziale, è dovuta al fatto che la forza lavoro è stata temporaneamente diretta in posti o attività o industrie in cui non possono essere mantenuti senza ulteriore inflazione. Di conseguenza potete curarla soltanto ottenendo una nuova ridistribuzione del lavoro fra le occupazioni. Adattamento ad una condizione in cui la domanda aggregata non deve progressivamente aumentare per mantenere quell'occupazione.”

Shanahan:
“Ma voi avete detto in tutto quello che aveste scritto e detto ultimamente che questo è un lungo processo, che non torneremo rapidamente ad una moneta stabile. Nel frattempo, cosa fareste per questi urgenti problemi e difficoltà umane?”

Hayek:
“Non dobbiamo supporre che tutti i problemi siano solubili nel breve periodo. Ci sono problemi che non possiamo risolvere o che provare a risolverli rapidamente può arrecare più danni che benefici.”

Shanahan:
“Ma nel frattempo, che cosa fareste per le difficoltà umane e la rabbia montante che certamente sta accumulandosi?”

Hayek:
“Be', non penso che ci sia qualcosa che io possa fare a questo proposito. Dobbiamo navigare oltre la minacciosa tempesta.”

Moderatore:
“Dott. von Hayek, possiamo essere un attimo specifici su una cosa particolare, ovvero la Gran Bretagna? Siete un cittadino della Gran Bretagna; vi avete insegnato e penso che conosceste qualcosa della sua economia. Se ho capito, il loro tasso d'inflazione potrebbe arrivare al cinquanta per cento. Qual è la conseguenza di una cosa del genere? Che cosa pensate accadrà nel paese di cui siete un cittadino?”

Hayek:
“Bene, avrete una crisi economica molto grave con disoccupazione ragionevolmente estesa, nel momento in cui si arresta l'inflazione. Probabilmente ci saranno ripetuti tentativi di riavviare il processo tornando all'inflazione… il che probabilmente combatterebbe la cosa sbagliata – gli effetti dell'inflazione sui prezzi tramite il controllo dei prezzi – conducendo ad un'economia diretta centralmente, che indebolirà la posizione economica internazionale della Gran-Bretagna ancora di più. E questo probabilmente porterebbe ad una posizione per cui qualcuno può decidere che la direzione della politica economica dev'essere completamente cambiato. Quasi spero che la crisi grave arrivi presto. Non ci sarà il trascinarsi di un lungo processo di miseria. Ma non vedo alcuna possibilità immediata, con l'attuale situazione politica in Inghilterra, di un cambiamento nella politica economica così completo come sarebbe necessario.”

Moderatore:
“State dicendo che l'Inghilterra o fallirà, o si trasformerà in una dittatura? Cosa dite che accadrà precisamente in Gran Bretagna?”

Hayek:
“Il popolo inglese sta cominciando a sperimentare, forse per la prima volta, ma sono diventati molto più poveri e stanno diventando velocemente ancora più poveri. E quello condurrà alla risoluzione o al riconoscimento che la politica del passato era errata. Il fatto stupefacente è che la grande maggioranza del popolo inglese non è ancora cosciente di stare vivendo in una crisi economica molto grave. Per questo motivo, non sono disposti a considerare seriamente un cambiamento completo nella politica.”

Moderatore:
“Bene, ma cosa pensate che accadrà dal momento che la pensate così? Che cosa succederà? Falliranno?”

Hayek:
“Nessun paese può fallire. Tutto quel che accade è che le condizioni economiche della vita quotidiana peggiorano molto, così ci sarà penuria. Le persone scopriranno che il loro reddito non è più sufficiente per mantenere il loro livello di vita. Cominceranno a diffidare in primo luogo dell'attuale governo e delle attuali politiche, e potrebbero allora essere disposti a tornare ad un sistema complessivamente differente. Ma non sono un profeta; non posso dire quando succederà.”

Moderatore:
“E pensate che, se proseguiamo lungo il nostro attuale percorso, la stessa cosa accadrà a noi?”

Hayek:
“Sì, ma in dieci o vent'anni, non è un problema per il futuro immediato.”

Levine:
“Dott. von Hayek, per provare a tradurre alcune delle cose che state dicendo nei termini del portafoglio dell'americano medio, che consiglio dareste ad un americano con un risparmio di venti, trenta, forse centomila dollari? Che cosa dovrebbe fare con quei soldi per proteggerli dai problemi dell'inflazione che state discutendo?”

Hayek:
“Credo che ancora non ci sia niente di meglio che metterli nelle azioni ordinarie, anche se neppure quello oggi può promettere di proteggerli davvero, ma vi potrebbe dare buone probabilità di salvarne una buona parte.”

Levine:
“Dott. von Hayek, queste teorie, con cui avete guadagnato riconoscimento in questi anni, hanno avvertito costantemente, come è stato notato, dei pericoli e delle minacce dell'inflazione. Ma questo paese ha vissuto con l'inflazione per molti, molti anni, ed il tenore di vita è aumentato costantemente. Questo vi fa mettere in discussione in qualche modo la vostra tesi?”

Hayek:
“Neanche un po', perché i pericoli dell'inflazione sono molto differenti. Sono esattamente il tipo di disoccupazione che ora si sta presentando. Nella discussione solita, c'è un'enfasi piuttosto errata. Ci sono molti nocivi effetti dell'inflazione, ma il peggiore è che dirotta i lavoratori in occupazioni dove possono essere mantenuti impiegati soltanto con un'inflazione in accelerazione. Ed il problema si presenta inevitabilmente dove l'inflazione non può essere accelerata abbastanza per mantenerli in quell'inflazione. Facciamo un breve [esempio]… l'inflazione è come mangiare troppo e fare indigestione. Mangiare troppo è molto piacevole; così è l'inflazione. L'indigestione viene soltanto in seguito, e quindi la gente non vede il collegamento.”

Will:
“Dott. von Hayek, il capitalismo e specialmente il capitalismo americano sembrerebbe avere una buona tradizione nel dare alla gente un crescente tenore di vita. Perché tanti intellettuali, e specialmente tanti economisti, sono scettici o perfino ostili al capitalismo?”

Hayek:
“Be', da tempo sono sconcertato a questo proposito, specialmente per gli economisti che dovrebbero capirne di più. È molto difficile sapere perché non lo fanno. Penso che sia l'attrazione intellettuale di un sistema che potete controllare deliberatamente, che affascina l'intellettuale.”

Rowan:
“Dott. von Hayek, tornando rapidamente alla Gran Bretagna, non è possibile che se perseguissimo la vostra filosofia e la vostra teoria, che potremmo distruggere il capitalismo piuttosto che salvarlo, guardando all'analogia degli italiani?”

Hayek:
“No, non è probabile che si aggravi. La tendenza attuale distruggerà inevitabilmente il capitalismo. Penso che la cosa importante sia che alla gente sia data una possibilità di cambiare idea, prima che sia distrutto irrevocabilmente…”

Moderatore:
“Mi dispiace interrompere, ma il nostro tempo è quasi finito e non possiamo avere un'altra domanda ed un'altra risposta. Grazie dott. von Hayek per essere stato con noi oggi a Meet the Press.”

Thursday, February 26, 2009

L'inflazione jaguara

La versione originale di questo interessante articolo di Robert R. Prechter, Jr. è apparsa nel numero del 20 febbraio 2004 di “The Elliott Wave Theorist,” un anno prima dello scoppio della bolla immobiliare. L’autore di Conquer the Crash: You Can Survive and Prosper in a Deflationary Depression spiega con una metafora il problema della creazione del credito e di come possa portare all’arresto totale dell’economia, ovvero proprio quello che è successo negli anni seguenti.

La traduzione è di Vincenzo D’Urso (a questo link trovate l'audio formato mp3 di questo articolo, letto dal Dr. Floy Lilley).
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Di Robert R. Prechter, Jr.


Mi sono stancato di sentire economisti sostenere che il governo e la FED dovrebbero espandere il credito per il bene dell'economia. Qualche volta un'analogia può schiarire le idee, proviamone una.

Potrebbe sembrare folle, ma poniamo il caso che il governo decida che il benessere della nazione dipenda dalla produzione di automobili Jaguar e di fornirne a tutti quante più possibile.

Per rendere l'obiettivo più semplice, il governo inizia aprendo stabilimenti in tutta la nazione, sovvenzionando la produzione con le tasse. Per il piacere di tutti, il governo offre queste macchine lussuose al 50% del vecchio prezzo. Tutti si precipitano negli showroom per l'acquisto.

Successivamente, gli aqcuisti diminuiscono, allora il governo taglia i prezzi di un ulteriore 50%. Più persone corrono ad acquistare. Gli acquisti calano ancora, perciò il governo decide di abbasare il prezzo a 900 dollari l'una. La gente ritorna nei depositi per acquistarne due o tre, o una mezza dozzina. Perché no? Guarda quanto sono economiche. I genitori regalano Jaguar ai loro figli e ne parcheggiano qualcuna extra nel giardino di casa. Alla fine la nazione è inondata di Jaguar.

Diamine, le vendite calano ancora, e il governo va in panico. Deve muovere più Jaguar o, secondo la sua teoria - adesso ironicamente fatta realtà - l'economia andrà in recessione. La gente lavora tre giorni a settimana solo per pagare tasse che il governo userà per sostenere la produzione di più Jaguar. Se si arresta la produzione di Jaguar, si ferma l'economia. Perciò il governo vara il programma di “stimolo” ed inizia a dar via Jaguar. Qualche Jaguar in più esce dagli showroom ma poi è la fine. Nessuno vuole più Jaguar. Alla gente non interessa se sono gratis. Non sanno che farsene. La produzione di Jaguar cessa.

Ci vogliono anni per sistemare l'eccessiva fornitura di Jaguar. Le aziende chiudono, la disoccupazione aumenta e l'introito delle tasse collassa. L'economia è distrutta. La gente non può permettersi la benzina o le riparazioni, di conseguenza molte Jaguar s'arruginiscono perdendo valore. Il numero di Jaguar – tutt'al più – ritorna ai livelli precedenti al programma di stimolo.

Lo stesso può accadere con il credito. Sembrerebbe assurdo, ma poniamo il caso che il governo decida che il benessere della nazione dipenda dalla produzione di credito e fornirne a tutti quanto più è possibile.

Per semplificare l'obiettivo, il governo inizia ad aprire istituti in tutta la nazione - chiamati Federal Reserve Banks, Federal Home Loan Banks, Fannie Mae, Sallie Mae, and Freddie Mac, tutti sovvenzionati dai monopoli statali o garanzie governative - per convogiare credito al pubblico attraverso le banche. Per il piacere di tutti, il governo inizia a ridurre i requisiti collaterali offrendo, in tal modo, credito al di sotto degli interessi di mercato. La gente si riversa in banca a richiedere credito.

Successivamente le richieste di credito diminuiscono, le banche, quindi, abbassano gli interessi. Più gente corre in banca. Le richieste diminuiscono nuovamente, gli istituti abbassano gli interessi all'1% senza collaterali e senza richiesta di anticipi. La gente ritorna in banca a richiedere più credito. Perché no? Guarda quanto è conveniente. I debitori usano il credito per l'acquisto di case, barche e altre Jaguar da parcheggiare nel giardino di casa. Alla fine la nazione è inondata di credito.

Diamine, le richieste calano ancora e il governo e le banche vanno in panico, devono muovere più credito o, secondo le loro teoria - adesso ironicamente fatta realtà - l'economia andrà in recessione. La gente lavora tre giorni a settimana solo per pagare i loro debiti in modo che le banche possano continuare ad offrire più credito. Se si arresta il credito, si ferma l'economia. Perciò il governo vara il programma di “stimolo” ed inizia a dar via credito al tasso dello 0%. Qualche altra persona si reca agli sportelli bancari ma poi è la fine. Nessuno vuole più credito. Alla gente non interessa se è gratis. Non sanno che farsene. La produzione di credito cessa.

Ci vogliono anni per sistemare l'eccessiva concessione di credito. Le aziende chiudono, la disoccupazione aumenta e l'introito delle tasse collassa. L'econimia è distrutta. La gente non ha i soldi per ripagare i propri debiti, di conseguenza molte promesse di pagamento divengono senza valore. Il valore creditizio - tutt'al più - ritorna ai livelli precedenti al programma di stimolo.

Visto come funziona?

L'analogia è perfetta? No. L'idea di spingere credito sulla gente è molto più pericoloso dell'idea di inondarli di Jaguar. Nello scenario “creditizio” debitori e anche molti creditori alla fine perdono tutto. Nello scenario “Jaguar” almeno tutti, alla fine, rimangono con il garage pieno di automobili. Va da sé che lo scenario “Jaguar” è impossibile, perché il governo non può produrre valore. Può, tuttavia, ridurre il valore.

Un governo che impone il monopolio della banca centrale, ad esempio, può ridurre il progressivo valore del credito. Un sistema di monopolio creditizio permette pure frodi e furti su una scala più grande. Invece di appropriarsi apertamente del lavoro dei cittadini facendoli produrre automobili, il governo, attraverso il monopolio bancario e del credito, se ne appropria (lavoro dei cittadini) clandestinamente, rubando i risparmi custoditi dai cittadini presso i conti correnti bancari inflazionando l'offerta di credito, riducendo, in tal modo, il valore dei risparmi.

Le teorie macroeconomiche del 20° secolo - sia keynesiana che monetarista - hanno difeso l'idea che un'economia in crescita necessiti di credito facile. Ma è una falsa teoria. Il credito dovrebbe essere offerto in regime di libero mercato, in tal caso verrebbe offerto quasi sempre intelligentemente, prima ai produttori e poi ai consumatori.

Meno disponibilità di credito significa che meno persone avrebbero una casa o un'automobile? L'opposto. Solo i tempi sarebbero diversi. Inizialmente ci vorrebbero più anni, per lo stesso numero di persone, per risparmiare abbastanza da permettersi la proprietà di una casa o di un'automobile - proprietà effettiva, non presa in affitto dalle banche. I prezzi sarebbero più bassi perché il credito non concorrerebbe con il denaro a giocare a rialzo su queste merci. E, siccome le banche non si approprierebbero di tanto lavoro e ricchezza dei cittadini, l'economia, nella sua totalità, crescerebbe molto più velocemente. Alla fine, l'estensione della proprietà di automobili e case - proprietà effettiva - eclisserebbe quella di una società a credito facile. Inoltre, la gente manterrebbe la propria casa o la propria automobile perché le banche non potrebbero riscattarne le ipoteche. Come bonus, non ci sarebbe un devastante collasso generalizzato del sistema bancario, che, come la storia ha ripetutamente dimostrato, è inevitabile in un sistema con banca centrale e altri istituti di credito creati dal governo.

Jaguar per tutti? Più credito? C'è un'idea migliore: torniamo ad usare moneta sonante.

Wednesday, February 25, 2009

Tuesday, February 24, 2009

Grandi menzogne per grandi cervelli

“Persons with anything life sustaining to sell, fellow citizens as well as foreigners, were refusing to exchange their goods for money.
They were suddenly saying to people with nothing but paper representations of wealth, “Wake up, you idiots! Whatever made you think paper was so valuable?”

(Kurt Vonnegut, Galapagos)

Nel suo brillante romanzo Galapagos, Kurt Vonnegut descrive la fine della civiltà, e dell'umanità stessa come la conosciamo, un tracollo provocato, in ultima analisi, dall'eccessiva quantità di menzogne prodotta dai nostri cervelli “troppo grandi.” Da queste menzogne derivano una serie di conseguenze non intenzionali che finiscono per spazzar via la razza umana dalla faccia della terra, fatto salvo uno sparuto gruppo di esemplari, capitato per caso nell'isolato arcipelago.

Può darsi che Vonnegut avesse ragione, che non sarà possibile per l'umanità sfuggire alle conseguenze delle sue menzogne, ma l'idea che l'autore sembra sottintendere con il suo artificio letterario è che, forse, così come sfruttiamo le nostre capacità cerebrali per mentire, potremmo invece utilizzarle per diradare la coltre di falsità che ci circonda, e riguadagnarci così il diritto di vivere una vita da uomini e non da foche spensierate su qualche isola nel Pacifico.

Vivere da uomini, senza dubbio, significa essere liberi. Essere governati come bestiame certamente non ricade in questa definizione. Piuttosto, è a buona ragione una delle conseguenze di alcune delle menzogne più plateali della nostra storia di ballisti: che l'istinto più forte dell'uomo sia l'aggressione, che solo una repressione autoritaria (ovvero: aggressione!) possa contenere tale istinto, e che tutti gli uomini siano uguali (tranne, ovviamente, coloro i quali sono investiti dell'autorità di cui sopra, il cui istinto aggressivo, per qualche misterioso processo alchemico si trasforma in benigno paternalismo).

Dalle radici di queste falsità di base si sviluppano quindi una serie di rami, viticci, escrescenze, che tutto avviluppano e che in effetti finiamo per considerare “la nostra realtà,” anche se della realtà non sono che un simulacro, neanche tanto ben riuscito. Consideriamo, per esempio, la storia del nostro paese, che tutti ben conosciamo perché recitata ripetutamente – Goebbels docet – sia nei centri d'indottrinamento obbligatorio (che, ovviamente mentendo, vengono chiamate “scuole”), sia nelle molte occasioni in cui lo stato celebra se stesso e le sue dubbie glorie: ci viene narrato che la nostra nazione nasce dalla liberazione, ad opera di alcuni eroi, delle popolazioni del sud.

Ora, molto spesso si ha l'impressione che, per scoprire la verità delle cose, siano necessarie lunghe e approfondite ricerche ma, se questo è vero in molti casi in cui la nebbia della storia rende ostica la decifrazione della realtà, svelare le falsità più sfacciate richiede soltanto di mettere in funzione le prodigiose capacità dei nostri grossi cervelli liberandoli magari dalle spesse incrostazioni di propaganda che li ricoprono. È sufficiente provare ad elencare i casi in cui l'invasione di un esercito straniero è stata motivata da reali intenzioni “liberatorie.” Il grosso cervello non ci metterà molto, la risposta è: nessuno.

Invero, il motivo dell'aggressione piemontese nel Regno delle Due Sicilie non aveva niente a che vedere con fantomatiche liberazioni dei sudditi meridionali dal “giogo dell'oppressione borbonica.” È sufficiente rileggere la lunga lista dei soprusi che tali sudditi hanno dovuto subire dalle forze dell'occupazione per rendersi conto che, per quanto possano aver sofferto prima della liberazione, non è nulla in confronto a quanto hanno dovuto subire dopo. Ricordare quali e quante sono le attuali conseguenze che derivano da questa falsità originaria è superfluo, ma giusto per nominarne alcune pensiamo alla“questione meridionale,” alla “commistione di mafia e politica,” all'“emigrazione,” all'“arretratezza culturale” e via elencando. Dell'Italia sorta da questa falsa liberazione, Dostoevskij scrisse nel 1877 nel suo diario:
... per che cosa possiamo congratularci con l'Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? E' sorto un piccolo regno dì second'ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, ... un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un'unità meccanica e non spirituale (cioè non l'unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second'ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!
Altra menzogna fondamentale, probabilmente la peggiore di tutte poiché estesa a livello globale e assolutamente pervasiva, è l'infame illusione di poter creare ricchezza dal nulla, ovvero: la moneta irredimibile a corso forzoso. Come scrisse Ayn Rand in La rivolta di Atlante,
L'oro era un valore obiettivo, l'equivalente di una ricchezza prodotta. La carta è un'ipoteca su della ricchezza che non esiste, garantita da una pistola puntata contro coloro da cui ci si aspetta che la producano. La carta è un assegno firmato dai saccheggiatori legali su un conto che non è loro: sulla virtù delle vittime. Verrà il giorno in cui tornerà indietro, con la scritta, ‘Cliente scoperto.’
Discendente diretta di questa enorme menzogna primigenia è la crisi attuale, con tutto il suo carrozzone di bufale accessorie – per dirne una, “i prezzi degli immobili salgono sempre” – prodotte in quantità industriali da quelli che Rothbard chiamava gli “intellettuali di corte,” ovvero economisti ed altri eruditi il cui unico scopo è di conquistarsi il favore dei parassiti ingannando i produttori che li mantengono. Parto malsano dei loro grossi cervelli sono i vari pacchetti di stimolo dell'economia, fondati sull'idea che stampare pezzi di carta possa sostituire la ricchezza reale, idea questa che non dovrebbe richiedere troppi neuroni per comprenderne la somma idiozia.

Tuttavia, anche in questo caso, la macchina statale della propaganda, pur se basata in gran parte sulla semplice ripetizione ad nauseam di concetti deliranti, pare avere la meglio sulle capacità di elaborazione dei nostri grossi cervelli, forse troppo impegnati anch'essi a costruire a loro volta quelle piccole falsità che ormai costituiscono il nostro habitat naturale, quella fitta rete di menzogne che ci protegge dalla verità. Che gli “intellettuali di corte” ci hanno insegnato a temere così come la temono loro.

Perché loro sono incompatibili con la verità, per loro è veleno. Guardate ad esempio Richard Perle, il “Principe delle Tenebre” dei neocon, promotore della dottrina della guerra preventiva: ora nega tutto, non è mai stato un neocon, anzi, non sono neanche mai esistiti i neocon! La verità va negata, sempre. È per poterlo fare impunemente che la libertà viene limitata ogni giorno di più: non si può rischiare che gli uomini, una volta liberi, scostino la tenda che nasconde il mago di Oz svelandone la misera natura.

E gli “intellettuali di corte” ci insegnano allora a temere anche la libertà, così come la temono loro. Sta a noi capire che il presunto rischio dell'essere liberi, unica via per la verità, è uno scherzo in confronto a quelli reali e incombenti della schiavitù.

Monday, February 23, 2009

La teoria di classe Agorista

È pronta la traduzione – opera di RanTasipi e, in misura minore, anche mia – del libello di Wally Conger “La teoria di classe Agorista”, tratto dagli scritti incompleti di Samuel Edward Konkin III.

È scaricabile gratuitamente qui e qui.

Buona lettura.

Premio Caligola - Febbraio '09

È carnevale, e anche il Premio Caligola - Il potere gli ha dato alla testa vuole partecipare all'atmosfera festosa e scanzonata. E cosa c'è di meglio del nostro primo candidato, il nostro vecchio amico Robert Mugabe che festeggia il suo compleanno con aragoste e champagne mentre i suoi sudditi muoiono di fame sommersi da un mare di carta straccia un tempo chiamata denaro? Sicuramente il superfavorito di questa edizione, e direi anche serio candidato a diventare una maschera da Commedia dell'Arte, un Mugabe farebbe la sua porca figura tra un Arlecchino e un Pulcinella.

Parlando di Commedia dell'Arte non poteva mancare un degno rappresentante dell'Italia, paese dalle grandi tradizioni carnevalesche, e chi meglio del senatore dell'UDC Gianpiero D’Alia, autore del repellente emendamento per il filtraggio di internet, che potrebbe facilmente provocare la chiusura di popolari siti e social network. Un provvedimento che evoca in qualche modo l'immagine di un oratore che impone il silenzio in sala perché le sue parole possano essere udite più chiaramente. Immagine cui si accompagna il fastidioso sospetto che quelle parole non ci saranno affatto gradite.

Terza eccellente performance a guadagnare la candidatura, Beverley Hughes, il ministro dell'infanzia inglese – da sottolineare che l'esistenza stessa di un tale ministero dovrebbe valere almeno un Premio della Giuria – che ha pensato bene di utilizzare i soldi dei contribuenti per spiegar loro, a mezzo opuscolo, quando e come introdurre la progenie ai misteri del sesso. Il quando, i più smaliziati l'avranno già intuito, è il più presto possibile; il come, logica conseguenza, è senza inutili orpelli di tipo morale. Del resto, considerato come vengono trovati i fondi per simili pubblicazioni, raccontare ai bimbi di principi morali potrebbe confonderli irrimediabilmente, e condannarli ad un'esistenza da disadattati.

Un bel trio, non vi potete lamentare: c'è solo il piacevole imbarazzo della scelta. È il vostro turno di essere protagonisti e di sottoporre al vostro insindacabile giudizio di elettori le ambizioni dei candidati. Un voto più importante di quello sardo, forse anche di quello sanremese. Votare è un dovere, ma è anche un piacere!
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Zimbabwe alla fame, aragoste per Mugabe


Morgan Tsvangirai, leader dell’opposizione e che oggi giurerà come primo ministro nel governo di unità nazionale dello Zimbabwe, ha scelto Tendai Biti come ministro delle Finanze. Tale mossa segue l’agognato accordo stipulato l’anno scorso tra il presidente Robert Mugabe e Tsvangirai, secondo cui al primo ministro era infatti concessa la possibilità di scegliere chi avrebbe presieduto l’importante ministero delle finanze.

L’economia del Paese, in palese fallimento da tempo, ha bisogno di grossi investimenti da parte dei Paesi donatori e di personalità forti che, dopo più di un decennio, riportino lo Zimbabwe ad essere un «ottimo esempio di riuscita economica» per gli Stati dell’Africa meridionale. «Il ministero delle finanze dovrà creare un’economia stabile per tutti i cittadini, e rendere lo Zimbabwe un forte centro di investimenti» ha detto il primo ministro il cui governo di unità nazionale giurerà venerdì 13 febbraio.

Secondo il Times di Londra invece, il nipote di Mugabe, Patrick Zhuwawo, è occupato con i preparativi per la festa di compleanno dello zio che avverrà il 21 febbraio. A 85 anni, e al potere dal 1980, Robert Mugabe non ha nessuna intenzione di cedere. Sembra che agli invitati della festa sia stato proposto di donare una somma tra i 45 e 55mila dollari per il “Movimento del 21 febbraio”, la controparte giovanile del partito Zanu-PF del presidente. Per il menù sono state ordinate 2mila bottiglie di champagne, 8mila aragoste, 100 chili di gamberi, 4mila porzioni di caviale e 8mila scatole di cioccolatini.

Il tutto in un Paese in cui la disoccupazione ha raggiunto il 90% e l’inflazione i 231 milioni per cento. Inoltre, secondo le stime ufficiali dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e del ministero della Sanità di Harare, capitale del Paese, fino al 7 febbraio ci sono stati almeno 3.391 morti per colera. Una situazione «devastante», secondo John Roach, responsabile della divisione Africa della Federazione internazionale della Croce Rossa. Per il quale «il numero dei casi sospetti di colera è vicino ai 70mila ed è probabile che l’epidemia s’impadronisca anche degli Stati limitrofi con la stagione delle piogge».

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Italia, libertà filtrate?


Con il pacchetto sicurezza, potrebbero finire fuori dalla rete apologia di reato e istigazione a delinquere. Gli ISP potrebbero diventare l'ascia dell'inibizione. E Facebook potrebbe rischiare l'esilio dalla rete italiana

Roma - La sicurezza pubblica passa dalla rete: in caso di apologia di reato, in caso di istigazione a delinquere, i provider potrebbero trovarsi costretti a innescare misure per filtrare le pagine sotto indagine. Dietro l'angolo, in caso di inottemperanza, c'è la minaccia della corresponsabilità. Nelle mani dei provider ci potrebbe essere l'onere di percorrere il crinale che divide la libertà di espressione e il reato di opinione.

La disposizione che potrebbe costringere i provider a filtrare le sortite dei cittadini della rete è contenuta nel pacchetto sicurezza, il noto disegno di legge 733: sotto forma di un emendamento incastonato nel testo dal senatore Gianpiero D'Alia (UDC), si introduce nel DDL l'articolo 50-bis, "Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet". Il Senato ha approvato ieri il testo definitivo, testo che ora rimbalzerà alla Camera.

Al comma 1 si recita:
Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell'interno, in seguito a comunicazione dell'autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l'interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.
Se le parole di un cittadino della rete dovessero finire sotto indagine per essersi pronunciato riguardo a certi delitti, se il cittadino della rete dovesse essere sospettato di aver incoraggiato a commettere un reato, l'autorità giudiziaria potrebbe comunicare al Ministro dell'Interno la necessità di intervenire. "Ci sono i presupposti perché il ministro agisca in modo discrezionale" spiega l'avvocato Daniele Minotti, contattato da Punto Informatico: la formulazione del testo non sembra obbligare il Ministro a disporre il decreto per mettere in moto i provider.

Ma una volta emesso il decreto la palla passerà agli ISP: dovranno innescare "appositi strumenti di filtraggio", dei quali tracceranno i contorni tecnici e tecnologici il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con quello della pubblica amministrazione e innovazione. Avranno 24 ore per isolare dalla rete la pagina indicata dal decreto del Ministro: a pendere sul capo del provider potrebbero esserci sanzioni che oscillano dai 50mila ai 250mila euro. Ma soprattutto, sottolinea l'avvocato Minotti, l'ombra dell'accusa di essere corresponsabili di "apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet". "Rischiano di essere accusati di concorso - spiega Minotti - si tratta di un meccanismo perverso: avere l'obbligo giuridico di impedire un evento e sfuggire a quest'obbligo equivale a lasciare che altri continuino a compiere il reato e si finisce per dover rispondere di reato omissivo improprio. Pagando per la stessa imputazione". Un'imputazione che, delineata dagli artt. 414 e 414 c.p., è punita con il carcere: da 1 a 5 anni per l'istigazione a delinquere e per l'apologia di reato, da 6 mesi a 5 anni per l'istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all'odio fra le classi sociali.

L'articolo 50-bis del DDL prevede in sostanza che, in caso di indagini relative a delitti di apologia di reato e di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, in caso di decreto emesso dal Ministro i provider operino così come disposto per quanto riguarda pedopornografia e gambling. Fatta eccezione per ordinanze della magistratura come quella emessa nel caso delle sigarette vendute online o nel caso di The Pirate Bay, solo per gli abusi sui minori riversati online e solo per il gambling non autorizzato mediato dalla rete è possibile ordinare ai provider di operare il filtraggio. Le sanzioni che rischiano i provider che non procedono a rendere irraggiungibile la pagina sono le stesse di quelle previste dal decreto Gentiloni in materia di pedopornografia online: in entrambi i casi incombe sugli ISP un'ammenda da 50mila a 250mila euro, in entrambi i casi i provider potrebbero rischiare la corresponsabilità.

Le poche parole contenute nell'articolo 50-bis potrebbero aprire uno squarcio su uno scenario inquietante: l'avvocato Minotti sottolinea che i reati d'opinione sono reati che non sono inquadrati dalla legge in maniera definita, che potrebbero sovrapporsi con la manifestazione del pensiero dell'individuo, un diritto tutelato dall'articolo 21 della Costituzione. I provider, concordano i consumatori, potrebbero trovarsi ad agire come setacci della libera espressione: il filtraggio può essere ordinato qualora "sussistono concreti elementi che consentano di ritenere" che sia stato commesso un reato.

Sono numerosi gli interrogativi che si configurerebbero, qualora il DDL dovesse convertirsi in legge senza che l'art.50-bis venga stralciato. L'attenzione dell'autorità giudiziaria potrebbe concentrarsi ad esempio su un video postato su una piattaforma di sharing. Nell'ipotesi che la piattaforma non rimuova il contenuto su segnalazione, dovrebbero intervenire i provider. Che potrebbero non avere i mezzi per agire in maniera chirurgica, e potrebbero trovarsi costretti a inibire l'accesso all'intero dominio. "L'applicazione del DDL appena approvato - conferma a Punto Informatico l'avvocato Guido Scorza - porta come automatica conseguenza il ritorno del paese ad un film liberticida già visto 10 anni fa: quello in cui per impedire la circolazione di un contenuto ritenuto illecito si sequestrava un intero server".

Gli ISP, in attesa del testo consolidato del DDL, manifestano apprensioni e denunce. Assoprovider, che poche settimane fa si era espressa in materia, è netta: "Lo schema ormai collaudato - spiega a Punto Informatico il presidente Dino Bortolotto - è che se qualche reato viene commesso per mezzo di Internet allora è indispensabile un intervento legislativo speciale che contenga necessariamente un coinvolgimento dei provider (ovviamente italiani) nell'azione di repressione e dove le sanzioni per i provider che non ottemperano in tempi richiesti ovviamente non tengono in nessun conto né delle capacita operative ed economiche dei provider". "Come dire - affonda Bortolotto - che con la scusa di perseguire un fine nobile (perseguire un reato) si determinino delle misure che ledono significativamente la libertà d'impresa di chi non ha commesso alcun reato". Il presidente di Assoprovider scaglia una provocazione: "ad esempio per catturare tutti i latitanti perché non obbligare tutti gli esercizi pubblici ad effettuare l'identificazione dei frequentatori e ovviamente, in caso di mancata identificazione di un latitante, erogare una multa da 50mila a 250mila euro"?

"Se fosse vero - paventa invece il presidente di AIIP Paolo Nuti - ci troveremmo di fronte ad un provvedimento che sovverte, e non sarebbe la prima volta, il concetto di sequestro". "Anziché concentrare l'attenzione su chi utilizza Internet per compiere reati e rimuovere i contenuti illecitamente diffusi - spiega Nuti a Punto Informatico - ci si limiterebbe a nasconderne l'esistenza ad un'opinione pubblica giustamente allarmata, ma sostanzialmente inconsapevole della differenza che corre tra pull e push, tra internet e la televisione, tra censura e sequestro". "Se fosse vero - denuncia Nuti - il prossimo passo potrebbe essere il ripristino della censura, espressamente esclusa dall'articolo 15 della Costituzione, delle comunicazioni interpersonali".

Ma il senatore D'Alia, che pure in passato si è fatto promotore di altre misure di controllo della rete, si mostra soddisfatto dell'integrazione dell'emendamento. Un emendamento che fa seguito alle invettive scagliate contro coloro che su Facebook inneggino a capi mafiosi, a gruppi terroristici, alla violenza. D'Alia nei giorni scorsi aveva definito Facebook "un social network che si sta rendendo complice di ogni genere di nefandezza, cavalcando per puri motivi pubblicitari i più beceri istinti emulativi". Il senatore aveva promesso "la regolamentazione di un settore che somiglia sempre più a una giungla dove tutto è tollerato". Il primo passo verso la regolamentazione è stato compiuto: "In questo modo - ha commentato D'Alia nelle scorse ore - diamo concretezza alle nostre iniziative per ripulire la rete, e in particolare il social network Facebook, dagli emuli di Riina, Provenzano, delle BR, degli stupratori di Guidonia e di tutti gli altri cattivi esempi cui finora si è dato irresponsabilmente spazio".

"L'ICT - denuncia l'esperto Stefano Quintarelli sulle pagine di Punto Informatico - è un tema specialistico non così ampiamente noto ai parlamentari. Esiste la Fondazione Bordoni che è un thinktank in materia di TLC, che ha sempre lavorato per il ministero delle Comunicazioni." "È stata consultata? - si chiede Quintarelli - Non credo proprio che avrebbero espresso parere favorevole a un provvedimento come questo. E se non è stata consultata, sarebbe cosa buona e giusta farlo, per il futuro". "Internet è uno strumento di comunicazione - ammonisce Quintarelli - non un'arma di diffusione di massa".
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Opuscolo consiglia ai genitori di evitare la moralità nell'educazione sessuale


I genitori dovrebbero evitare di cercare di convincere i loro figli adolescenti della differenza fra giusto e sbagliato quando parlano con loro di sesso, è la raccomandazione un nuovo opuscolo del governo.

Al contrario, ogni discussione sui valori dovrebbe essere mantenuta “leggera” per incoraggiare gli adolescenti a formare proprie opinioni, spiega l'opuscolo, che un critico ha chiamato “amorale.”

Parlare ai vostri figli adolescenti del sesso e delle relazioni sarà distribuito nelle farmacie a partire dal mese prossimo come parte di un'iniziativa guidata da Beverley Hughes, il ministro dell'infanzia.

L'opuscolo viene a seguito del caso di Alfie Patten, il ragazzo di 13 anni dell'East Sussex che ha generato un bambino con una ragazza di 15 anni ed ha acceso un dibattito su come abbassare le percentuali di genitori adolescenti.

Raccomanda: “Discutere i vostri valori con i vostri figli adolescenti li aiuterà a formare il loro propri. Ricordate, tuttavia, che provare a convincerli di cosa è giusto e cosa è sbagliato può scoraggiarli dall'essere aperti.”

L'opuscolo suggerisce che i genitori dovrebbero iniziare il “grande discorso” quando i bambini sono più giovani possibile, prima che prendano “informazioni sbagliate” dai loro coetanei. Dice poi che il miglior modo di introdurre il soggetto può essere mentre si effettuano mansioni quotidiane come “lavare l'automobile ... pulire, guardare la TV, ecc.”

Saturday, February 21, 2009

Liberi dalla libertà

Di Marco Bollettino


L’edizione di ieri di Libero, giornale diretto da Vittorio Feltri, presentava un titolo tanto inquietante quanto rivelatore:




Un liberale ottocentesco che si trovasse catapultato in questo 2009 farebbe una grandissima fatica ad orientarsi. Seguendo la semantica si troverebbe ad appoggiare, forse, un partito che porta il nome di “Popolo delle Libertà” ed a leggere proprio un giornale come Libero, dove tra l'altro scrivono molti di quelli che si considerano "intellettuali liberali."

Prenderebbe una cantonata colossale.

Le parole “libertà” e “libero”, infatti, hanno assunto oggi un significato molto limitato e circostanziato che non ha nulla a che spartire con quello ricoperto in passato. Per capire cosa è successo può essere utile leggere un brano tratto da 1984, capolavoro letterario di George Orwell:
“Il suo lessico [della Neolingua] era costituito in modo tale da fornire espressione esatta e spesso assai sottile a ogni significato che un membro del Partito potesse desiderare propriamente di intendere. Ma escludeva, nel contempo, tutti gli altri possibili significati, così come la possibilità di arrivarvi con metodi indiretti. Ciò era stato ottenuto in parte mediante l'invenzione di nuove parole, ma soprattutto mediante la soppressione di parole indesiderabili e l'eliminazione di quei significati eterodossi che potevano essere restati e, per quanto era possibile, dei significati in qualunque modo secondari. Daremo un unico esempio. La parola libero esisteva ancora in Neolingua, ma poteva essere usata solo in frasi come "Questo cane è libero da pulci" ovvero "Questo campo è libero da erbacce". Ma non poteva essere usata nell'antico significato di "politicamente libero" o "intellettualmente libero" dal momento che la libertà politica e intellettuale non esisteva più, nemmeno come concetto, ed era quindi, di necessità, priva di una parola per esprimerla.”
Risulta chiaro che quando utilizziamo il termine “libertà”, oggi, lo possiamo fare soltanto in frasi come “Previti è stato condannato a due anni di libertà vigilata” oppure come “Mills viene condannato per corruzione mentre Berlusconi rimane libero.”

A questo solo significato di “libertà,” ovvero il "non trovarsi in carcere," ci riferiamo oggi quando parliamo del partito di Berlusconi oppure del giornale di Feltri.

Non esiste un giornale “politicamente o intellettualmente libero” e nemmeno un partito che ponga come proprio obiettivo la tutela delle “libertà politiche ed economiche di tutti gli individui”. Non esistono, infine, nemmeno “intellettuali liberali” che scrivono per quel giornale e sposano la causa di quel partito.

Esistono, invece, intellettuali che si definiscono liberali e liberisti ma che appoggiano un intervento invasivo e totalitario dello Stato nella vita degli individui, lo sterminio di migliaia di persone, la soppressione delle libertà individuali ed il controllo dell’informazione; il tutto dietro lo spauracchio della crisi economica, del terrorismo internazionale, dei cattivi internauti che inneggiano ai mafiosi….

Nell’archeolingua esistevano diversi termini per definire queste persone ma due sono più che sufficienti: ipocriti e fascisti.

Collective Hope #14

Friday, February 20, 2009

Il sistema bellico e i suoi miti intellettuali #3

Di Murray N. Rothbard


Nell'edizione aggiornata del 1962 del suo History of Historical Writing, Barnes critica brevemente la storiografia della Guerra Fredda. Lo storico inglese revisionista A. J. P. Taylor è citato in un duro, e giustamente meritato, attacco agli storici di Corte. Scrivendo nel Manchester Guardian, il 19 gennaio 1961, Taylor dichiarava che: “Gli storici accademici occidentali possono asserire la loro indipendenza da studiosi anche quando lavorano per un ministero del governo; ma sono ‘coinvolti’ come se indossassero le belle uniformi progettate per i professori tedeschi dal dott. Goebbels.” Barnes afferma che la Guerra Fredda è responsabile della mancanza di una storia sufficientemente obiettiva, dopo la Seconda Guerra Mondiale, per permettere ai Russi di ottenere un equo ascolto. “Il malanimo degli storici si è esteso rapidamente dalla Germania e dall'Italia alla Russia, la Cina e ad altre nazioni comuniste.” Ancora, nei suoi copiosi riferimenti storiografici, Barnes elenca appena un libro sulla Guerra Fredda, ed è la monumentale opera di D. F. Fleming, The Cold War and Its Origins (2 vols., 1961). [xiv]

Barnes tornò a fare una argomentazione completa sulla Guerra Fredda nell'edizione aggiornata (1965) del suo Intellectual and Cultural History of the Western World, pubblicato la prima volta nel 1937. Mentre assegna le colpe per il mantenimento della pericolosa Guerra Fredda a ciascuna delle Grandi Potenze, Barnes nota “un atteggiamento più conciliante” da parte di Khrushchev e dai più tardi successori di Stalin, così come le richieste successive di alcune delle potenze dell'Europa occidentale per un allentamento della Guerra Fredda. Quindi, Barnes nota che:
Non sembra irragionevole supporre che la Russia sia oggi più disponibile degli Stati Uniti ad attenuare la Guerra Fredda, per ragioni pratiche piuttosto che idealistiche. La Russia può sopportare meno il grande peso degli armamenti in questione; non ha bisogno dell'industria delle armi per far funzionare la sua economia…. Non potendo stornare grandi spese pubbliche dagli armamenti al welafare, che non è ovviamente possibile nell'attuale stato d'animo del paese, non ci sono incentivi paragonabili per indurre gli Stati Uniti a voler ridurre la struttura della Guerra Fredda. [xv]
Barnes vede correttamente l'economia politica degli Stati Uniti fin dal New Deal come “capitalismo di stato,” i cui esempi estremi sono stati il fascismo in Italia ed il nazionalsocialismo in Germania. Dalla Seconda Guerra Mondiale, questo sistema è diventato “capitalismo militare di stato,” che la Guerra Fredda “ha fissato… come modello permanente di vita economica, per un periodo indefinito.” La prosperità dell'economia americana ora dipende dalla spesa militare, anche se il drenaggio delle risorse per la Guerra Fredda carica ovviamente una grande peso sull'economia civile. Barnes attribuisce la recessione del 1959 in gran parte ad una precedente leggera riduzione nell'aeronautica militare, un presagio di cosa accadrebbe se gli Stati Uniti provassero ad abbandonare l'apparato militare. [xvi]

Barnes trova un'accelerazione delle tendenze orwelliane nella vita americana, e cita The Power Elite di C. Wright Mills come “la migliore descrizione del progresso fatto verso un ordine sociale alla 1984 negli Stati Uniti.” Nota inoltre l'avvertimento espresso dal presidente Eisenhower alla fine del suo mandato contro il complesso militar-industriale che consiste dei poteri saldati “dei manager di corporation, dei capi del Pentagono e della Difesa, dei più importanti scienziati e tecnici militari, e dei magnati della pubblicità,” tutti sempre più alla guida della nostra società. È stato precisato prima che Barnes era molto impressionato dai fatti presentati da Philip Abelson in Saturday Review del 1° gennaio 1966, dove avvertiva nel suo articolo “I gatti domestici al comando: presagi di Orwell” che gli aspetti spaziali e nucleari della Guerra Fredda stanno deviando sempre più una parte pericolosamente grande dei nostri migliori scienziati al servizio del complesso militar-industriale, un sintomo molto allarmante della crescita delle tendenze orwelliane all'interno del sistema della Guerra Fredda. Più recentemente, Barnes è rimasto molto impressionato da un altro ponderato articolo di uno scienziato, l'autorità nella fisica nucleare Hans Trilling, in Saturday Review del 28 ottobre 1967, intitolato “Può uno scienziato essere un ottimista?” per la sua asserzione, sostenuta da prove convincenti, che il revisionismo offra l'unica speranza ragionevole di por fine alla Guerra Fredda e di preservare la civiltà.

Le minacciose tendenze orwelliane si possono inoltre trovare nell'incitamento intenzionale da parte del governo della paura pubblica del nemico; effettivamente, il ministro John Foster Dulles ha ammesso francamente che i cittadini americani hanno dovuto essere “allarmati artificialmente,” per evitare qualsiasi possibile rilassamento delle paure pubbliche. Un esempio particolarmente minaccioso di “neolingua” orwelliana è un concetto come l'“overkill” (la capacità di distruggere più di quanto necessario, NdT), sotto il quale l'America accatasta abbastanza armi nucleari da distruggere tutta la vita umana più volte, ma tuttavia prosegue a costruire sempre più armi. “Il chiaro aspetto orwelliano della questione è che la dimostrazione e il vanto di questa capacità di annientamento sono stati seguiti dall'offerta e dall'approvazione del più grande preventivo nell'intera storia della Guerra Fredda.” [xvii]

Per questo capitolo finale dell'edizione aggiornata del suo Intellectual and Cultural History of the Western World, le letture suggerite da Barnes comprendono libri supplementari allora disponibili che erano critici della Guerra Fredda. Oltre a Fleming e Ingram citati sopra, questi includono A History of the Cold War di John Lukacs (1961), The Abolition of War di Walter Millis and James Real (1963), The Cold War di Frederick L. Schuman (1962), e Disarmament: Its Politics and Economics di Seymour Melman ed. (1963). Rileggendo questa lista più di recente, Barnes ha osservato che avrebbe potuto aggiungervi Cold War Diplomacy, 1945–1960 di N. A. Graebner (1962); Collective Security and American Foreign Policy di R. N. Stromberg (1963); e The Tragedy of American Diplomacy di W. A. Williams (1962). I primi due di questi libri erano opere storiche notevoli e fra i primi ad offrire osservazioni leggermente critiche verso la nostra politica estera della Guerra Fredda. Il libro di Williams era una critica vigorosa e probabilmente più influente su questa politica.

Un'espressione più recente delle opinioni di Barnes sul revisionismo si può trovare in un'edizione speciale sul revisionismo del giornale Rampart Journal, un'edizione che Barnes ha contribuito a pubblicare ed organizzare. L'articolo di Barnes, “Revisionismo: una chiave per la pace” offre un sommario completo ed aggiornato dei suoi punti di vista sul revisionismo in generale e sul revisionismo della Seconda Guerra Mondiale in particolare. [xviii] Nell'articolo, Barnes nota come un esempio del pensiero orwelliano della Guerra Fredda l'inclusione nel novero delle “nazioni libere” dei più disgustosi regimi totalitari, a condizione che si schierassero con gli Stati Uniti negli affari mondiali. Ma Barnes inoltre precisa con forza che la negligenza del revisionismo della Seconda Guerra Mondiale dalla fine della guerra può essere considerata responsabile della mortale conformità intellettuale imposta dal sistema della Guerra Fredda. In contrasto con il pensiero coraggioso ed indipendente che pervadeva l'America durante gli anni 20, Barnes scrive, “dopo il 1945, siamo entrati in un periodo di conformità intellettuale forse insuperata dal tempo del supremo potere ed unità della chiesa cattolica nel Medioevo. Fra le pressioni esercitate dagli aspetti militari del sistema orwelliano della Guerra Fredda e quelle ugualmente potenti nel mondo civile o commerciale, l'individualità e l'indipendenza intellettuale sono del tutto spariti.” La Guerra Fredda ha avuta uguale effetto sul mondo dell'educazione:
In questa era di 1984, “gli Uomini dell'Organizzazione,” “l'Uomo nel Vestito Grigio di Flanella,” “i Persuasori Occulti,” e “Madison Avenue,” persino il medio laureato americano è diventato poco più propenso al pensiero indipendente di un contadino cattolico durante il papato di Innocenzo III. Come Irving Howell ha sottolineato su Atlantic del novembre 1965, l'istruzione superiore americana si è conformata al sistema orwelliano della Guerra Fredda tanto confortevolmente quanto il Pentagono o il mondo degli affari americano. Quando, a metà degli anni 60, una piccola minoranza di studenti ha cominciato a mostrare segni di irrequietezza, questo causò sorpresa ed allarme diffusi e leader pubblici come il senatore Thomas I. Dodd del Connecticut suggerì procedure che avrebbero conquistato il plauso di Hitler. [xix]
In questo articolo, Barnes non dimentica la serie di guerre calde locali in via di sviluppo che sono ora diventate una parte fondamentale del sistema della Guerra Fredda: “la serie di minori ‘guerre calde’ tattiche o rivoluzionarie in Corea, nel Vietnam del Sud, in Congo ed altrove, che sono così necessarie per alimentare il fuoco della nostra economia capitalista militare di stato. Effettivamente, nel Time del 25 settembre 1965, è stato suggerito in un lungo e ben informato editoriale che potremmo pure adattarci a questa situazione di guerra mondiale non nucleare come permanente fino a quando l'annientamento atomico finale non arriverà.” [xx]

Secondo Barnes, una presentazione molto valida del concetto che gli Stati Uniti e gran parte del mondo, non solo stanno funzionando su un'economia militare ma sono basati su un ordine sociale completamente legato ad una struttura di riferimento e ad un modello di vita militari, è apparso verso la fine dell'autunno del 1967. Era intitolato Report from Iron Mountain (Dial Press), e pretendeva di essere il rapporto di un gruppo di studio speciale “sulla possibilità e sull'opportunità della pace.” È finora un lavoro anonimo attribuito ad uno stimato giornalista, Leonard C. Lewin, il quale suggerisce che possa avere ispirazione e iniziale promozione governative. Un grande, differenziato e quasi ideale gruppo di esperti sono rappresentati come gli autori dello studio. Chiunque sia l'autore, e sia che fosse stato progettato come un'opera seria o come una satira informata, Barnes lo considera come di gran lunga la più impressionante dichiarazione della dominazione della nostra società da parte del complesso militare-scientifico-tecnologico-industriale-economico-politico che finora abbia raggiunto la stampa. È davvero Orwell, molto più informato, aggiornato e applicato negli Stati Uniti e nel mondo due decenni più tardi di quello che scrisse Orwell.

A seguito dei libri dei primi anni 60 ce n'è stata una quantità dedicata alla storia della nostra politica di Guerra Fredda, molti dei quali fortemente critici. Atomic Diplomacy di Gar Alperowitz (1965) è un'analisi critica dello sfruttamento della superiorità atomica americana per lanciare la Guerra Fredda. The Free World Colossus (1965) di David Horowitz è la critica più diretta delle operazioni americane di Guerra Fredda dalla pubblicazione del libro di Fleming. Horowitz ha anche recentemente pubblicato una raccolta di opinioni, dal titolo Containment and Revolution, che comprende contributi riguardanti la maggior parte degli aspetti del revisionismo generale. Ronald Radosh si è occupato di una fase importante dell'impatto della guerra del Vietnam sulla vita accademica americana nel suo Teach-ins, USA: Reports, Opinions, Documents (1967) che espone il tipo di materiale presentato nella descrizione e nella critica dell'intervento americano nel Vietnam.

La ferma opposizione di Barnes alla guerra americana in Vietnam è espressa in una lettera che loda il cronista Emmet J. Hughes per i suoi articoli di critica della guerra su Newsweek. [xxi] Nella lettera, Barnes sottolinea la filiazione storica della guerra del Vietnam dalle “assurdità” di Henry L. Stimson su “aggressione” e “aggressori” giù fino al devoto discepolo di Stimson McGeorge Bundy, il cui padre “usava portarlo per mano da bambino nelle sue visite al grand'uomo.” Barnes nota che il ricorrente leitmotif della guerra da Stimson fino a Bundy “è stato trascurato in tutti i commenti che abbia visto sullo scandalo del Vietnam.” Indica inoltre il ruolo di Dean Rusk come rappresentante dell'Establishment “dei cartelli del petrolio, dei minerali e delle banche orientali consacrati a mantenerci coinvolti ovunque in nome della ‘protezione delle nazioni libere.’” Ha dichiarato di credere che l'Establishment orientale fosse una vera e propria “chiesa” per Rusk, che la serve con una devozione davvero religiosa. La sua teologia è stata rinnovata da Walt W. Rostow e da Bundy. Barnes considera Rusk come un onesto e sincero fondamentalista della Guerra Fredda. Il suo “Discorso della Montagna” fu pronunciato nella sua intransigente conferenza stampa del 12 ottobre 1967 che Walter Lippmann, come dice Barnes, smontò nel Newsweek del 6 novembre in una maniera che ricordava il trattamento di Bryan da parte di Darrow nel processo a Scopes.

Barnes conclude l'edizione aggiornata della sua Intellectual and Cultural History of the Western World su una nota comprensibilmente pessimistica, tenuto conto della pervasività della guerra e della mentalità guerriera nel mondo attuale. indica correttamente come i liberal e molti socialisti, ideologicamente all'avanguardia nell'opposizione alla guerra, hanno rapidamente capitolato alla parata della guerra in tutte le grandi guerre del secolo attuale; in effetti, in tutte le guerre della storia americana eccetto il furto della Guerra Messicana. Negli Stati Uniti, effettivamente, le due guerre mondiali e la Guerra di Corea sono state guerre preminentemente di sinistra.

Nell'anno trascorso, Barnes ha notato ottimisticamente che, per la prima volta in questo secolo, tantissimi liberal, in particolare della generazione più giovane, stavano reagendo con veemenza contro una guerra americana oltremare e perfino intensificando la loro opposizione mentre la guerra del Vietnam continua e si aggrava. Sempre più, i membri giovani della “New Left” stanno cominciando a rendersi conto che il liberalismo guerriero dei loro vecchi è stato, per dirla con Barnes, un “liberalismo totalitario.” Come Barnes ha scritto nel titolo di un opuscolo dopo la Seconda Guerra Mondiale: I polli degli interventisti liberal sono tornati a casa a dormire [“Chickens back home to roost” è una frase idiomatica che significa che le conseguenze di azioni passate cominciano a palesarsi, NdT] e, sempre più, la giovane generazione sta rifiutando attivamente e radicalmente, l'amara eredità della società guerriera. La caratteristica di questo approccio New Left alla politica estera americana è Containment and Change (1967) di Carl Oglesby e Richard Shaull, che presenta la futilità della politica di Guerra Fredda trattando le tendenze rivoluzionarie dell'era del dopoguerra, e chiede un nuovo schieramento tra i rappresentanti della Old Right come hanno mantenuto il loro anti-interventismo con quelli della New Left che hanno ripudiato l'interventismo e la Guerra Fredda.

Un esperto in Scienze Politiche che è stato molto attivo e costante nell'opporsi alla Guerra Fredda e nell'appoggiare il revisionismo generale è Neal D. Houghton dell'Università dell'Arizona, che è stato impegnato in questo lavoro per un decennio. [xxii] Ha scritto e parlato estesamente ed ha organizzato notevoli congressi con personalità eccezionali per occuparsi della situazione del mondo. Houghton è stato interessato soprattutto dalla dimostrazione del carattere sostanzialmente rivoluzionario dell'era del dopoguerra e della futilità assoluta del pensare che la strategia o la mania della Guerra Fredda possano occuparsi con efficacia dei problemi del periodo più fluido e dinamico nella storia dell'umanità. Gli elementi essenziali della sua posizione, esposti in numerosi articoli, saranno riuniti in un'antologia che ha pubblicato e che apparirà nel maggio 1968. Si intitola molto appropriatamente La lotta contro la storia: la politica estera americana in un'era rivoluzionaria.

Un altro istruttivo esempio dell'opposizione alla Guerra Fredda è apparso nei libri dell'eminente critico e pubblicista Edmund Wilson, che si è rivelato essere un perfetto revisionista generale nei suoi Patriotic Gore e The Cold War and the Income Tax. [xxiii] Un exploit significativa per il revisionismo della Guerra Fredda è apparso recentemente nelle auguste pagine dell'inserto domenicale del New York Times. In esso il giovane storico Christopher Lasch, ha descritto in modo devastante l'apologeta della Guerra Fredda Arthur M. Schlesinger Jr. ed ha applaudito William Appleman Williams come il miglior revisionista della Guerra Fredda, affermando che la critica anti-imperialista di Williams della politica estera americana è sempre più giustificata. [xxiv]

V. Barnes e lo spettro ideologico

Alla luce dell'approfondito revisionismo di Harry Elmer Barnes, dove lo si può collocare nello spettro ideologico degli affari esteri? Albert Jay Nock scrisse una volta del suo divertimento ironico nell'essere maledetto come “radicale” negli anni 20, e quindi come “reazionario” negli anni 30 anche se la sua filosofia politica non era cambiata di una virgola. Qualcosa di simile è accaduto a Barnes. Tutta la sua vita è rimasto il campione risoluto ed indomito della pace e della ragione. Per questo è stato considerato un “liberale di sinistra” negli anni 20 e nei primi anni 30, e un “isolazionista reazionario” verso la fine degli anni 30 e negli anni 40. Se fu in gran parte la sinistra a diventare sua alleata nel primo periodo, e la destra nell'ultimo, questo è perché erano loro che continuavano a cambiare posizione, e non Barnes.

Barnes ha dovuto resistere due volte nella sua vita alle totali diserzioni dal principio di amici e colleghi. Se avesse scelto, come loro, di fare “inversione di marcia” a favore della guerra intorno al 1940 – o almeno rimanere in silenzio – starebbe indubbiamente ancora ricevendo tutti gli onori e il prestigio che la nostra società può concedere. Mai più, senza dubbio, i libri di Barnes saranno recensiti sull'ambita prima pagina del New York Sunday Times Book Review. Ma Barnes sapeva bene che ci sono cose in questo mondo più importanti degli effimeri onori; cosa ci guadagna un uomo, se conquista il mondo intero e perde la propria anima? Sarà detto sempre di Harry Elmer Barnes che la sua anima era sua propria, che lui mai s'inginocchiò davanti al Potere; e che quello spirito raro e prezioso, quell'alto coraggio, dovrebbero essere onorati ovunque e ogni volta che gli uomini premiano e rendono omaggio al meglio che l'uomo ha in sé.

Per la fine degli anni 30, gli alleati di Barnes per la pace e la neutralità erano pricipalmente di destra, e questo è continuato fino all'inizio degli anni cinquanta. Quanta gente oggi si ricorda che non fu la sinistra, ma i repubblicani “dell'estrema destra” ad opporsi alla coscrizione, all'aiuto Greco-Turco, alla NATO e perfino alla Guerra di Corea? In breve, che gli eccezionali avversari della Guerra Fredda erano gli uomini della destra? La Guerra di Corea, per esempio, mobilitò l'ardente supporto persino di compagni di viaggio di sinistra di lunga data (con eccezioni onorevoli come I. F. Stone) – nel sacro nome dell'ONU e della “sicurezza collettiva contro l'aggressione.” Soltanto gli “isolazionisti” della destra si opposero fermamente. Ma presto anche questo schieramento è cambiato nettamente, e la destra si è spostata in blocco, quasi senza accorgersene, su un'estrema posizione pro-Guerra Fredda.

È evidente che nessuna semplice etichetta di “destra” o “sinistra” può essere appuntata su Barnes; effettivamente, i recenti riallineamenti hanno reso queste categorie ingannevoli ed obsolete – un vero ritardo culturale. Con l'associazione alla Guerra Fredda di molti della sinistra e gran parte della destra, un movimento contrario ha recentemente preso il via. Emerso fin da circa il 1959, questo movimento offre la prospettiva di un riallineamento di base per la pace, un raggruppamento che trascende completamente i vecchi stereotipi di “destra” e “sinistra.” A sinistra, è emerso il vasto movimento pacifista giovanile della New Left, mentre a destra, critiche dure e fondamentali dell'impulso bellico sono state espresse da autori capaci come l'ultimo Howard Buffett, William R. Mathews, Felix Morley, Ronald Hamowy, Robert LeFevre e, in misura più limitata, da figure pubbliche quali Hamilton Fish, Marriner S. Eccles, e l'ultimo Bruce Barton.

Ogni volta che un uomo si leva per la pace, sarà accusato dai suoi più fanatici avversari di essere uno “sciocco” o un “agente” del terribile Nemico. In tutta la sua vita, Harry Elmer Barnes è stato indubbiamente accusato a turno di essere uno strumento degli stati maggiori prussiani, “pro-Hitler,” ed ora forse “filocomunista” militante. L'assurdità dell'ultima accusa si può vedere nel seguente passaggio dal suo più recente capitolo su Orwell e sulla Guerra Fredda:
Stalin ed i suoi successori erano soddisfatti dalla Guerra Fredda perché la guerra spaventa e la presunta minaccia dell'attacco capitalista ha permesso al Politburo di mantenere l'unità ed impedire qualsiasi minaccia di guerra civile nella Russia sovietica, nonostante molto schiavismo e bassi standard di vita….

L'antagonismo delle Potenze Occidentali e della Guerra di Corea ha aiutato [i comunisti cinesi] ad istituire un regno del terrore nel paese e ad eliminare i loro nemici sotto le spoglie delle necessità della difesa e della sicurezza nazionale.
È molto giusto e appropriato onorare Harry Elmer Barnes in questo Festschrift. Per tutta la sua vita, sia che fosse circondato dai più luminosi personaggi del suo tempo, sia che combattesse da solo, ricoperto di allori o di ingiurie, Harry Barnes ha lottato senza compromessi per la verità e la giustizia, per la ragione e la pace. In un secolo di vile “trasformismo,” è sempre rimasto fedele a sé stesso. Se non può ragionevolmente essere accusato di essere “filonazista” o “filocomunista,” “filotedesco” o “filorusso,” forse qualcuno potrebbe insinuare che, alla fine, è stato “antiamericano,” perché effettivamente ha avuto il grande coraggio di opporsi ad alcune delle politiche estere più acclamate dell'America del secolo attuale. Ma questa è, forse, la più grande calunnia di tutte. Perché Barnes sa, come sapeva quello spirito nobile, Randolph Bourne, che ci sono due Americhe, e che la storia degli affari esteri è stata una continua lotta fra esse. Egli stesso un martire virtuale della Prima Crociata Americana, le ultime, immortali parole di Bourne furono queste:
La nazione è un concetto di pace, di tolleranza, di vivere e di lasciar vivere. Ma lo Stato è essenzialmente un concetto di potere… che indica un gruppo nei suoi aspetti aggressivi….

La storia dell'America come nazione è abbastanza diverso da quella dell'America come Stato. In un caso è il dramma della conquista pionieristica della terra, della crescita della ricchezza, e il sostegno di ideali spirituali…. Ma come Stato, la sua storia è quella di svolgere un ruolo nel mondo, facendo la guerra, ostruendo il commercio internazionale… punendo quei cittadini che la società concorda nel ritenere offensivi, e raccogliendo i soldi per pagare tutto ciò… [xxv]
Siamo qui riuniti per onorare Harry Elmer Barnes, una degna personificazione dell'America migliore, e speriamo, anche più vera.
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Note


[xiv] Barnes, A History of Historical Writing (2nd ed., New York: Dover Publishers, 1962) pp. 290, 397 ff.

[xv] Barnes, An Intellectual and Cultural History of the Western World (3rd rev. ed., New York: Dover Publishers, 1965), p. 1329.

[xvi] Ibid., p. 1340. Vedi anche ibid., pp. 1094, 1339.

[xvii] Ibid., p. 1330. Vedi anche ibid., p. 1328.

[xviii] Barnes, “Revisionism: A Key to Peace,” Rampart Journal (primavera 1966), pp. 8–74.

[xix] Ibid., pp. 36-37.

[xx] Ibid., p. 67. Nella stessa edizione del Rampart Journal, il prof. James J. Martin precisa che la Guerra Fredda “era un'estensione logica della politica della Seconda Guerra Mondiale,” con la propaganda che riadattava il ritornello ‘Hitler-vuole-conquistare-il-mondo' per assegnare quel ruolo a Stalin ed ai russi.” Egli sostiene inoltre che la Guerra Fredda cominciò in realtà fin dal novembre 1944, quando Churchill entrò in Grecia per reprimervi un trionfo comunista. James J. Martin, “Revisionism and the Cold War, 1946–1966,” Rampart Journal (primavera 1966), pp. 91, 96, 101.

[xxi] Barnes a Emmet John Hughes, 8 marzo 1966.

[xxii] Gli scritti di Houghton, in particolare, sono state ingiustamente trascurate. Vedi in particolare, Neal D. Houghton, “Perspective for Foreign Policy Objectives in Areas – and in an Era – of Rapid Social Change,” Western Political Quarterly (dicembre 1963), pp. 844–884.

[xxiii] Edmund Wilson, Patriotic Gore (New York: Oxford University Press, 1962); e Wilson, The Cold War and the Income Tax (New York: Farrar, Straus and Co., 1963). Un critico confuso potrebbe vedere nella posizione di Wilson soltanto “un'unione dell'estrema destra e dell'estrema sinistra.”

[xxiv] Lasch, “The Cold War Revisited and Revisioned,” New York Times Sunday Magazine, 14 gennaio 1968.

[xxv] Randolph Bourne,“Unfinished Fragment on the State,” Untimely Papers (New York: B. W. Huebsch, 1919), pp. 229–230.
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