Wednesday, February 18, 2009

Il sistema bellico e i suoi miti intellettuali #1

Pubblicato originariamente nel 1968 con il titolo “Harry Elmer Barnes as Revisionist of the Cold War” nell'antologia -tributo Harry Elmer Barnes: Learned Crusader edita da Arthur Goddard, questo saggio sul revisionismo storico e sulla propaganda bellica è una lettura fondamentale per comprendere gli inganni utilizzati dai governi per mantenere le popolazioni in uno stato di continua tensione il cui sbocco naturale è la guerra. Le considerazioni sulla costruzione del Nemico, all'epoca della stesura riferito all'Unione Sovietica, rimangono valide anche oggi e forse ancor più di allora, ia causa di un meccanismo mortifero ormai perfezionatissimo.

In tre parti, questa è la prima.
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Di Murray N. Rothbard


I. Lo Stato guerriero e gli intellettuali di corte

Agli americani piace pensare di essere un popolo progressista che vive in un'era progressista. Ma il ventesimo secolo – al di là delle sue meraviglie – è stato soprattutto il secolo della guerra totale. Nonostante il fatto che il progresso tecnologico abbia reso la guerra totale sempre più assurda e grottesca in un'era di guerra nucleare; nonostante il progresso dei secoli precedenti nel civilizzare e limitare la guerra, e nell'evitare danni ai civili, la guerra all'ultimo sangue è tornata in grande spolvero. Herbert Spencer comprese brillantemente che il progresso dell'umanità dalla barbarie alla civiltà si potrebbe riassumere come il passaggio dalla società “militare” a quella “industriale.” Tuttavia, nel ventesimo secolo, siamo tornati bruscamente sulla via militare; così facendo, abbiamo rinnegato l'umanesimo stesso, i principi stessi di pace e libertà, su cui un sistema industriale moderno si basa inevitabilmente. Questo è stato davvero, nelle parole dell'amico e collega revisionista di Harry Elmer Barnes, F.J.P. Veale, “un progresso verso la barbarie.”

La regressione contemporanea alla brutalità di un Genghis Khan – ad uno stato caserma, alla conformità militare, all'omicidio di massa dei civili, alla terra bruciata ed alla resa senza condizioni, è stato realizzato con la ricerca del potere e relativi privilegi dai gruppi dirigenti, le “élite di potere,” dei vari Stati. Queste consistono dei membri e dei dirigenti a tempo pieno degli apparati dello Stato, così come quei gruppi nella società (per esempio, appaltatori di armamenti, leader sindacali) che beneficiano dai sistemi militari e bellici. In particolare, questa regressione è stata resa possibile dalla ricomparsa su vasta scala dell'“Intellettuale di Corte” – l'intellettuale che produce apologie per la nuova amministrazione in cambio di ricchezza, potere e prestigio offerti dallo Stato e dall'“Establishment” suo alleato. [i] Non c'è mai stato, dopo tutto, altro ruolo oltre ai due reciprocamente esclusivi che l'intellettuale possa svolgere ed ha svolto nella storia: o cercatore di verità indipendente, o favorito mantenuto della Corte. Certamente, la norma storica delle antiche civiltà morte era un dispotismo orientale, in cui il servizio come apologeta e “guardia del corpo intellettuale” dell'elite di governo era la funzione principale dell'intellettuale. Ma l'aver sviluppato una classe di intellettuali davvero indipendenti dalla struttura di potere dello Stato era la gloria della civiltà occidentale prima di questo secolo. Ora anche questo è andato in gran parte perduto.

Andrà ascritto all'imperituro onore di Harry Elmer Barnes che nei libri di storia non si potrà mai dire di lui che fosse un Intellettuale di Corte. L'assoluto coraggio, l'assoluta onestà, l'assoluta indipendenza sono state le sue stelle guida. Egli, quindi, non è stato altro se non “anti-Establishment” in un mondo in cui tale qualità era così disperatamente necessaria. E la sua presenza è stata particolarmente vitale precisamente nel guidare l'opposizione alla grande barbarie dei nostri giorni: il sistema bellico ed i suoi molteplici miti intellettuali.

Di fronte alle due grandi guerre di questo secolo, ed alle enormi pressioni per allinearsi al loro seguito, Barnes ha guidato intrepidamente i movimenti revisionisti nell'analisi delle cause, della natura e delle conseguenze di entrambe le guerre. Revisionismo, naturalmente, significa penetrare al di sotto dei miti ufficiali della propaganda generati dalla guerra e dallo stato-in-guerra, ed analizzare la guerra indipendentemente dalle pressioni e dalle retribuzioni della corte. Ma ha anche altri significati – e uno dei problemi nel revisionismo è stato l'incapacità di molti dei suoi precedenti seguaci di penetrarne la vera natura e di capirne le principali implicazioni.

II. Le due scuole del revisionismo

Nel trarre le conclusioni delle lezioni del revisionismo della prima e della seconda Guerra Mondiale, i barnesiani possono essere separati in due gruppi, che possiamo denominare i revisionisti limitati ed i revisionisti generali. I revisionisti limitati, che formano, purtroppo, la grande maggioranza, hanno ragionato più o meno come segue: la lezione principale della Prima Guerra Mondiale è l'ingiustizia imposta sulla Germania – prima, nel dichiararle guerra, e poi nel costringerla a confessare di essere l'unica colpevole nel brutale e disastroso Trattato di Versailles. Lo stesso punto focale sulla Germania danneggiata entra quindi in gioco nell'analisi della Seconda Guerra Mondiale, causata essenzialmente dalle continue e ripetute ostruzioni da parte degli alleati di qualsiasi revisione pacifica di un Versaillesdiktat che essi stessi ammisero essere gravemente ingiusto per la Germania.

Quale insegnamento, allora, trae per il periodo del dopoguerra il revisionista limitato? Dato che la sua concentrazione è limitata ai torti sofferti dalla Germania, la sua conclusione conseguente è che questi torti devono essere raddrizzati il più rapidamente possibile: il che, nel contesto attuale, diventa un'obbligata unificazione della Germania Occidentale e Orientale (o, per il revisionista, Centrale) alle condizioni occidentali, ed una restituzione dalla Polonia delle terre oltre l'Oder-Neisse. In breve, il revisionista limitato finisce, ironicamente, per anelare lo stesso tipo di diktat unilaterale e di cieca revanche che così giustamente ha deplorato quando la Germania li ha dovuti sopportare. In conclusione, nella sua attuale preoccupazione per la Seconda Guerra Mondiale ed il problema tedesco, il revisionista limitato assume il vecchio spirito anti-Comintern, o ciò che oggi viene chiamato “duro anticomunismo,” in un'era totalmente differente. Nell'unirsi, o persino nel guidare, il procedimento militante della Guerra Fredda – e perfino di una guerra calda – il revisionista limitato può pensare che, mentre guadagna una rispettabilità inconsueta, stia cambiando i piani dell'Establishment seguendo la linea di politica estera degli anticomunisti “più duri” di tutti (la Germania del Terzo Reich). Ma, così facendo, i revisionisti limitati non riescono a cogliere l'ironia: essi si sono ora uniti involontariamente alla truppa degli odierni Intellettuali di Corte.

Il revisionista limitato, con la sua preoccupazione fondamentale per la tragedia tedesca, ha finito per impigliarsi in un vero groviglio di contraddizioni. Partito da una dedizione alla pace, è diventato un fautore virtuale della guerra totale (contro l'Unione Sovietica); partito come campione della “neutralità” (prima delle due Guerre Mondiali), è arrivato a insultare il “neutralismo” (dalla Seconda Guerra Mondiale); partito come tagliente critico della “sicurezza collettiva,” ora richiede la “liberazione” americana di ogni paese sulla faccia della terra che sia o potrebbe diventare comunista; partito come oppositore delle guerre estere, dell'intervento, del “globalismo,” dell'imperialismo, della coscrizione e dello stato caserma, ora sostiene tutto ciò come parti della guerra contro il comunismo; partito come critico tagliente e indipendente dell'Establishment e di quello che il presidente Eisenhower ha chiamato “complesso militar-industriale,” ora entra a far parte entusiasta dei loro vari istituti “strategici;” partito come avversario delle due Grandi Crociate, è il primo a suonare la tromba per la terza, la Più Grande e certamente l'Ultima. Gli stessi uomini che un tempo assalirono l'intervento americano nei conflitti oltremare considerano ora un tradimento il non intervenire in ogni angolo del mondo, non importa quanto insignificante o remoto. Gli stessi uomini che usavano dire “perché morire per Danzica?” sono pronti a morire – e, cosa più importante, ad uccidere – per cause molto più assurde. E l'odierno revisionista limitato che truculento si chiede “perché abbiamo perso la Cina?” avrebbe considerato, venticinque anni prima, uno scherzo dal gusto discutibile il porre tali irragionevoli domande.

Quindi, il revisionista limitato, nel distorcere il punto focale delle sue preoccupazioni, ha finito essenzialmente per abbandonare complessivamente il revisionismo. Il revisionista generale è andato esattamente nella direzione opposta. Pur accettando lo stesso punto di partenza, il revisionista generale ha capito che il problema principale è sempre stato la guerra e la pace, e che la sua principale preoccupazione non era di piangere per la Germania, ma di opporsi ad un'escalation della guerra in tutto il mondo. In particolare, di opporsi all'intervento americano in guerre basate sul mito propagandistico che queste orge di omicidi di massa, per estirpare un qualche nemico diabolico, potranno essere santificate da un'imponente retorica e, successivamente, aprirci le porte del nuovo Millennio. I revisionisti generali videro con orrore che le moderne guerre totali mobilitano le masse in una macchina da guerra irregimentata, addestrata per odiare un Nemico che si suppone essere disumano, diabolico, contro il quale qualsiasi mezzo è giusto e morale.

Nella mitologia della guerra, il Nemico non è mai titubante, mai confuso, mai umano, mai spaventato dal nostro attacco contro di lui o dal precipitare di una guerra distruttiva e soprattutto mai pronto a negoziare onestamente per provare a diminuire le tensioni o a trovare un modo reciprocamente soddisfacente per vivere in pace. Il Nemico è sempre Luciferino, innaturalmente astuto e malvagio, spinto soltanto e sempre dal suo obiettivo predeterminato di “conquistare il mondo” a tutti i costi, mai onestamente desideroso di fare accordi reciprocamente soddisfacenti. Ma questo stesso Nemico sovrumano, secondo il mito, può essere fermato nella sua aggressione in continua preparazione in un unica maniera: con forza maggiore, con la “più dura” delle linee dure, con ultimata sempre più severi consegnati dal divinamente nominato campione delle “democrazie” o del “mondo libero,” i cari, vecchi U.S.A. E se per caso il nemico non si rivelasse in realtà essere così vigliacco e scoppiasse una guerra totale, allora questo dimostra soltanto che la guerra è l'unica risposta e non arriva mai troppo presto. L'insegnamento da trarre è quindi che soltanto lo sterminio e la resa incondizionata sono i termini adeguati per trattare con il Nemico.

Tutto questo, naturalmente, è un bel modo per giustificare una politica di “linea dura” contro il Nemico a prescindere da ciò che accade realmente. Due esempi particolarmente chiari sono la politica della Finlandia verso la Russia nel 1940, e quella della Polonia verso la Germania e la Russia nel 1939. I finlandesi (polacchi) hanno insistito fino al momento dello scoppio di una guerra che avrebbe soltanto potuto essere disastrosa per loro che i russi (tedeschi) “stessero solo bluffando,” e che una politica rigida, inflessibile, intransigente, di chiusura alla trattativa, avrebbe obbligato la Russia (Germania) a tornare sui propri passi e ritirare le proprie richieste. Dopo aver proclamato risolutamente questo proposito in ogni momento, gli intransigenti (polacchi) finlandesi hanno scoperto improvvisamente che era successo il contrario, che il Nemico “non stava bluffando,” e che la guerra effettivamente era scoppiata. Reagirono forse ammettendo umilmente l'errore e rivolgendosi verso la pace e la trattativa? Certo che no; al contrario, gli intransigenti proclamarono immediatamente che ora non c'erano trattative possibili finché ogni singolo soldato russo (tedesco) non fosse stato scacciato da ogni centimetro quadrato del sacro suolo (polacco) finlandese. Il resto è storia; la differenza nel risultato finale è dovuto soltanto alla fortuna della Finlandia di aver trovato dei leader decisi ad abbandonare una politica di linea dura prima che fosse troppo tardi.

Al revisionista generale, allora, revisione e trattativa pacifiche non sono ideali applicabili solamente in Germania dal 1914 al 1941. Al contrario, sono applicabili in tutte le date e località e quindi anche al mondo del dopoguerra. Il revisionista generale sa che il Nemico non è una fantascientifica Cosa dallo Spazio Cosmico, ma un essere umano capace di ragionare e quindi di concludere accordi reciprocamente soddisfacenti. Sa, ancora, che non c'è mai un singolo Nemico personificato, ma piuttosto che l'omicidio di massa e la tirannia sono i principali nemici dell'uomo e che la guerra globale è la grande fonte di entrambi. Conosce inoltre la fallacia del pernicioso mito wilsoniano per cui le dittature sono automaticamente belliciste e le democrazie automaticamente pacifiste. Sa fin troppo bene che le democrazie possono essere altrettanto se non più aggressive ed imperialiste – la differenza principale essendo che i governi democratici devono utilizzare una propaganda più ipocrita e più intensa per trascinare ed ingannare gli elettori nell'unirsi agli sforzi bellici. Per il revisionista generale la grande lezione delle due guerre mondiali è precisamente di evitare come la peste una nuova Grande Crociata, e di mantenere – se diamo un valore alle vite ed alla libertà del popolo americano – una ferma politica di coesistenza pacifica e di astinenza dall'intromissione negli affari esteri. Soltanto una tale politica può evitare l'annientamento totale dell'America e forse della civiltà stessa, così come la pompa totalitaria del tempo di pace di un Leviatano-caserma. Questo, per il revisionista generale, è il vero significato e la lezione del revisionismo; ed è una conclusione in opposizione quasi diametrale alla visione del suo vecchio collega revisionista limitato.

Com'è, quindi, che questa molto importante spaccatura fra i revisionisti è passata in gran parte inosservata? Penso che i motivi siano tripli. Per prima cosa, la più grande percentuale di revisionisti ha scelto il percorso limitato e si è unito al campo della guerra da Fredda-a-Calda. Secondo, la coraggiosa rimanenza di revisionisti generali si è in gran parte votata alla storiografia della Seconda Guerra Mondiale e non ha fatto molto lavoro sulla Guerra Fredda, dove il revisionismo è così disperatamente necessario. E per concludere, c'è una tendenza naturale dei vecchi amici e colleghi da entrambi i lati ad evitare una spaccatura pubblica, e questa tendenza rinforza il desiderio dei revisionisti generali di limitarsi ai fatti della Seconda Guerra Mondiale dove l'unità può essere preservata. Anche se lo studio della Seconda Guerra Mondiale non può, naturalmente, essere mai definito antiquario, devo confessare una certa impazienza verso molti dei revisionisti generali; perché non può esserci operazione più importante nel mondo odierno del chiarire al massimo grado le grandi lezioni del revisionismo ed applicarle ai problemi vitali di oggi – specificamente alla Guerra Fredda. Per questa volta, non possiamo permetterci il “ritardo culturale” di affrontare storiograficamente la prossima guerra con solo un'analisi dell'ultima. La prossima guerra dev'essere evitata, dato che non ci saranno storici per discutere sulle sue lezioni. E se questo può essere fatto soltanto esponendo l'inerente spaccatura nel revisionismo – ebbene, ci sono cose peggiori che possono accadere, e accadono, nel mondo.

III. Barnes e il revisionismo generale

Non dovrebbe provocare sorpresa che il grande leader del revisionismo ha capito e adottato saldamente la veduta d'insieme della sua natura e delle sue implicazioni. Harry Elmer Barnes, fin dalla sua pubblicazione, è stato notevolmente impressionato da 1984 di George Orwell, ed è unico nell'aver penetrato la vera lezione che il libro offre al mondo moderno. Perché è particolarmente ironico che l'Establishment della Guerra Fredda si sia impadronito di 1984 come di un altro bastone con cui picchiare la Russia Sovietica. Molti conservatori hanno esteso la spaventosa visione di 1984 financo al socialismo. Ma Barnes, quasi da solo, si rese conto che i veri precursori di 1984 non erano semplicemente la Russia o la Gran-Bretagna ma anche noi stessi; perché il dominio mostruoso e mortale della società di 1984 veniva imposto a tutti i blocchi di potere del mondo con la giustificazione di perpetue guerre fredde e secondarie guerre calde. Attraverso sempre variabili coalizioni, i governanti dei grandi paesi potevano manipolare i Nemici e inscenare “emergenze” così da stordire il pubblico abbastanza da fargli accettare dei regimi tirannici. 1984 non era semplicemente una geremiade contro il socialismo, ancor meno contro l'ala comunista del socialismo; era un profetico attacco al dispotismo collettivista reso ovunque possibile dalla guerra, dall'intervento straniero e dallo stato caserma.

Il tema orwelliano è stato dominante negli scritti di Barnes sulla Guerra Fredda. Nel suo più recente libro sugli affari esteri, Barnes ha scritto:
Nel suo libro terribilmente profetico 1984, George Orwell nota che la principale ragione per la quale è possibile per l'autorità mantenere la barbarie dello stato di polizia è che nessuno può ricordare le molte benedizioni del periodo che l'ha preceduto…. La grande maggioranza [dei popoli occidentali di oggi] ha conosciuto soltanto un mondo devastato dalla guerra, dalle depressioni, dagli intrighi e dall'intromissione internazionali, dai vasti debiti e da una tassazione schiacciante, dalle intrusioni dello stato di polizia, e dal controllo dell'opinione pubblica per mezzo di una propaganda spietata ed irresponsabile.

Il capitalismo dello stato militare sta inghiottendo sia la democrazia che la libertà in paesi che non hanno ceduto al comunismo…. Negli anni dal 1937, il vecchio internazionalismo pacifico è stato virtualmente estinto e l'internazionalismo stesso è stato conquistato dal militarismo e dal globalismo aggressivo. Il militarismo, precedentemente, era legato molto strettamente all'arroganza nazionale. Oggi, si nasconde dietro il travestimento semantico dell'internazionalismo, che si è trasformato in un mantello per l'ingrandimento e l'imperialismo nazionali…. L'ovvio slogan degli internazionalisti dei giorni nostri, che dominano la professione storica così come la scena politica, è “una guerra perpetua per una pace perpetua.” Questo, si può notare, è anche il cuore ideologico della società di “1984.”

Le misure di sicurezza che si presumono necessarie per promuovere ed eseguire crociate globali stanno determinando velocemente lo stato di polizia in nazioni fino ad ora libere, compresa la nostra. Qualsiasi quantità di controllo arbitrario nella vita politica ed economica, le più vaste intrusioni nelle libertà civili, la più estrema caccia alle streghe e le spese più sontuose, tutto può essere richiesto e giustificato in base ai presunti requisiti della “difesa”…. Questo è precisamente l'attitudine psicologica e la politica procedurale che dominano la società di “1984.” [II]
Barnes continuava spiegando nel dettaglio i modi con cui la storia corrente è diventata Storia di Corte, in modo orwelliano, così come l'opposizione isolata a questa tendenza di storici eminenti come Herbert Butterfield e Howard K. Beale. Indicava il corpo degli storici ufficiali che lavoravano con le forze armate e il ministero dell'interno; al pernicioso ruolo storiografico dell'ammiraglio professor Samuel Eliot Morison, ed allo stringere dei ranghi, nel gennaio 1951, di quasi novecento storici e sociologi, che dichiararono la loro pubblica approvazione della politica della Guerra Fredda di Truman e Acheson. Barnes inoltre sottolineava decisamente il ruolo delle opere di James Burnham nel prepararci “ideologicamente per… la gestione militare [per] istituzioni, tecniche politiche e gli attitudini mentali in stile ‘1984’.” Con vera preveggenza, Barnes notava anche il ruolo crescente della RAND Corporation come “uno degli esempi più cospicui dell'entrata degli storici e di altri scienziati sociali nel ‘Ministero della Verità.’ [III] La sua ideologia di base, la “diplomazia della violenza,” è esposta completamente in Arms e Influence (1966) dal professor Thomas C. Schelling, che venne nominato Sottosegretario di Stato per l'amministrazione nell'aprile del 1967.

Sull'altro lato, Barnes ha elogiato le scritture anti-Guerra Fredda di Lewis Mumford, che era tornato all'anti-interventismo e di Garet Garrett in The People’s Pottage. Come sue raccomandazioni politiche, Barnes ricordava “la tradizionale politica estera americana di benigna neutralità e le sagge esortazioni di George Washington, di Thomas Jefferson, John Quincy Adams e di Henry Clay ad evitare intricate alleanze e sfuggire i litigi stranieri,” e sosteneva il ritorno “ad una sensata politica estera, basata sul continentalismo, sull'interesse nazionale, sulla coesistenza ideologica, sull'urbanità internazionale e sulla cooperazione razionale negli affari mondiali.” [iv]

Due dei saggi in Perpetual War, entrambi elogiati da Barnes, trattavano interamente o in parte della Guerra Fredda. Il professor William L. Neumann scrisse criticamente del programma di sussidi esteri di Truman, compreso il prestito Greco-Turco, e il professor George A. Lundberg indicò allarmato i remoti impegni militari globali dell'amministrazione Truman. Lundberg commentava tagliente:
È affermato solennemente che queste disposizioni sono soltanto per difesa, e qualunque persona, partito, o nazione straniera che manchi di prender per buona la nostra parola su questa intenzione è apertamente ingiurioso ed è accusato di progetti aggressivi contro di noi…. La sensazione sembra essere che le nostre intenzioni pacifiche siano manifeste o che, in ogni caso, la nostra reputazione attuale e passata dovrebbe essere garanzia sufficiente della natura puramente difensiva delle nostre politiche…. Purtroppo, l'annotazione storica e la reputazione sostengono precisamente la tesi contraria – un fatto che può essere spiacevole ma che deve, tuttavia, essere concesso da chiunque non sia disperatamente preda di illusioni etnocentriche…. Come minimo, le nazioni straniere non possono fare a meno di notare che negli ultimi trentacinque anni gli Stati Uniti hanno invaso due volte sia Europa che l'Asia con spedizioni militari che non si potrebbero, senza il più sfrenato sforzo d'immaginazione, essere chiamate difensive. [v]
Barnes introduceva il suo saggio conclusivo nel volume con una stimolante citazione sull'impulso bellico dell'eminente giornalista conservatore, William R. Mathews: “Dopo aver combattuto due guerre mondiali nel giro di una generazione per difendere la democrazia e la libertà, senza altro risultato del vedere quegli ideali perdere terreno nel mondo intero, saremmo ciechi se non capissimo che una terza guerra simile… finirà in una delle più grandi catastrofi della storia.”
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Note

[i] Il concetto di “Intellettuale di Corte” è una sollecita estensione della ripetuta enfasi di Barnes sul ruolo dello “Storico di Corte.” Cfr. Murray N. Rothbard, “The Anatomy of the State,” Rampart Journal (Summer, 1965), pp. 5–11.

Il sig. Marcus Raskin, precedentemente un membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale, è giunto alla ponderata conclusione, sugli strateghi professionisti delle agenzie militari della Guerra Fredda, “che la loro funzione più importante è di giustificare ed estendere l'esistenza dei loro datori di lavoro…. Per giustificare la continuata produzione su grande scala di queste bombe e missili [termonucleari], i leader militari ed industriali avevano bisogno di un certo tipo di teoria per razionalizzare il loro uso…. Questo è diventato particolarmente urgente durante i tardi anni 50, quando i membri con mentalità economica dell'amministrazione Eisenhower cominciarono a domandarsi perché così tanti soldi, pensiero e risorse venivano spesi in armamenti se il loro uso non poteva essere giustificato. E così è cominciata una serie di razionalizzazioni degli ‘intellettuali della difesa’ dentro e fuori le università…. L'approvvigionamento militare continuerà a fiorire, e loro continueranno a dimostrare perché dev'essere così. A tale riguardo non sono diversi dalla grande maggioranza degli specialisti moderni che accettano i presupposti delle organizzazioni che li impiegano a causa delle ricompense in soldi, potere e prestigio…. Ne sanno abbastanza per non mettere in discussione il diritto ad esistere dei loro datori di lavoro.” Marcus Raskin, “The Megadeath Intellectuals,” The New York Review of Books (14 novembre 1963), pp. 6–7. Inoltre vedi Martin Nicolaus, “The Professor, the Policeman and the Peasant,” Viet-Report (giugno-luglio 1966), pp. 15–19.

[II] Harry Elmer Barnes, “Revisionism and the Historical Blackout,” in Barnes, ed., Perpetual War for Perpetual Peace (Caldwell, Id.: Caxton Printers, 1953), pp. 4ff., 59ff. Barnes indicò per la prima volta i pericoli di una Guerra Fredda con la Russia in un dibattito con Morris H. Rubin in Progressive del 30 luglio 1945, alcune settimane prima della fine della Seconda Guerra Mondiale.

[iii] Perpetual War for Perpetual Peace, pp. 61–74. Vedi anche la rivista New Yorker, 8 ottobre 1966, pp. 98ff.; 15 febbraio 1968, pp. 127ff.

[iv] Perpetual War for Perpetual Peace, pp. viii, 4.

[v] George A. Lundberg, “American Foreign Policy in the Light of National Interest at the Mid-Century,” in Perpetual War for Perpetual Peace, pp. 566–568.
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Link alla seconda parte.
Link alla terza parte.

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