Wednesday, April 30, 2008

Andante, veloce

“La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.”
(Karl von Klausewitz)
Un paio di notizie delle ultime ore, nessuna delle due inaspettata, tuttavia degne di nota per importanza e sincronia, e un po' perché ci ricordano e sembrano confermare la famosa frase di von Klausewitz.

Chi, magari ispirato dal timing, si provasse a collegare le due notizie, è un complottista.

Via con la prima:

L'Iran ha cessato di condurre le transazioni petrolifere in dollari americani, ha detto un funzionario mercoledì, nel tentativo concordato di ridurre la dipendenza da Washington in un momento di tensione per il programma nucleare di Tehran e del sospettato coinvolgimento in Iraq.

L'Iran, secondo produttore dell'OPEC, ha ridotto drammaticamente la sua dipendenza dal dollaro durante l'anno scorso di fronte all'aumento delle pressioni degli Stati Uniti sul suo sistema finanziario e la perdita di valore della valuta americana.

I mercati mondiali valutano il petrolio in dollari degli Stati Uniti. Il suo deprezzamento ha preoccupato i produttori perché ha contribuito all'aumento dei prezzi del greggio ed ha corroso il valore delle loro riserve del dollaro.

“Il dollaro è stato rimosso completamente dalle transazioni di petrolio iraniano,” ha detto mercoledì Hojjatollah Ghanimifard, alto funzionario del ministero del petrolio, alla televisione gestita dallo stato. “Ci siamo accordati con tutti i nostri clienti di greggio per fare le nostre transazioni in valute diverse dal dollaro.”

Ad un vertice l'anno scorso in Arabia Saudita, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad aveva chiamato il dollaro svalutato un “pezzo di carta senza valore.”
Se n'è accorto financo Mahmoud.

Ecco invece cosa si dice oltreoceano:

Il segretario della difesa degli Stati Uniti Robert Gates, spedendo una seconda portaerei nel Golfo Persico, ha detto che potrebbe servire da “promemoria” all'Iran, ma che non è un'escalation di forza.

Il crescente criticismo degli Stati Uniti verso l'Iran e del suo “sostegno a gruppi terroristici” non è un segnale che l'amministrazione di Washington stia ponendo le basi per un attacco contro Teheran, ha detto Gates ai reporter dopo essersi incontrato con dei leader messicani. Anche se, ha aggiunto Gates, l'Iran continua a sostenere i taliban in Afghanistan.

“Non ho l'impressione a questo punto di un aumento significativo nel sostegno iraniano ai taliban ed altri che si oppongono al governo afghano,” ha detto Gates. “c'è, per quel che posso dire, un flusso continuo ma tranquillo, lo caratterizzerei come relativamente modesto.”
“Moderato con brio.”

Tuesday, April 29, 2008

«A sinistra de che ahoo...»

Omaggio a Rutelli...

Monday, April 28, 2008

Niente di speciale

“L'importante non è saper se si ha torto o ragione. Non ha invero la minima importanza... Bisogna piuttosto scoraggiar la gente che si occupa di noi... Il resto è vizio.”
(Luis-Ferdinand Celine, Morte a credito)
Discutendo di ideali libertari noto sempre più spesso l'emergere di un certo equivoco ricorrente: vengo tacciato di proselitismo, accusato di voler conquistare consensi, con l'inganno per giunta.

Niente di più lontano dal vero. Tanto che vorrei sprecare un post per chiarire la questione, spero, una volta per tutte. Per farlo, è necessaria una premessa.

Voi – mi perdonerete questa piccola generalizzazione, ma le eccezioni in questo caso sono così rare da potersi considerare conferme alla regola – tutti voi, che leggete queste cyber-pagine e tutti gli altri voi che caso volle vi trovaste ad abitare questo sfortunato pianeta in contemporanea con me, avete le vostre vite. Vite che sono perfettamente piatte, prevedibili, talvolta insulse, inutili, pedisseque, ben poco originali, squallide, noiose, dimenticabili senza ripensamenti, anche ridicole, insomma: di nessun interesse per quanto mi riguarda.

Avete anche passioni, credenze, fedi, convinzioni assolute o quasi, benché temporanee, poco durevoli, effimere e cangianti con il cambiar dei tempi e delle stagioni, frequentemente indotte e precostituite, avete pregiudizi, simpatie ed antipatie, solitamente provocate da istinti ed emozioni del tutto comuni, spesso dovute a condizioni psicofisiche non perfette quando non causate dall'uso di sostanza psicotrope o a vere e proprie patologie. In breve: siete esseri di nessuna importanza, granelli di polvere trascinati dal vento, nullità quasi totali, davvero niente di così speciale
E mi ci metto anch'io, è chiaro, e con questo la premessa è conclusa.

Orbene, nonostante tutto ciò – che è ben poco, quasi nulla in fondo – e dando per scontato il rispetto della semplice norma di non aggredirci a vicenda, non ho nessun problema nell'accordarvi l'assoluta libertà nel condurre le vostre inutili e tristi vite come diavolo credete meglio, nella vana ricerca di una felicità di cui, se siete particolarmente fortunati, riuscirete a godere qualche fuggevole bagliore.

Ora, la grande maggioranza di voi questa libertà intende usarla, come mi è parso di capire dopo i miei primi quarant'anni in questa assurda commedia, per rinunciarvi sciogliendovi nella massa che, per qualche sconosciuto e sicuramente trascurabile motivo, vi è più congeniale, al seguito del capataz in cui per la stessa imperscrutabile ragione vi riconoscete meglio. Non chiedete di meglio che cedere la vostra libertà in cambio della schiavitù, dei cui molti vantaggi voi siete certi ma a me personalmente sfuggono, né mi interessa più di tanto indagarli. Non starò a tediarvi ricordandovi che il punto a cui siamo giunti è la conseguenza di questo tipo di atteggiamento, tanto non lo capirete.

Ma quello che vi chiedo di comprendere, che dovete comprendere un giorno o l'altro, perché non avete una briciola, un zinzinino, un'anticchia di diritti più di quanti ne abbia io, è che esiste a questo mondo chi non la pensa come voi, chi nonostante questo non intende ridurvi alla ragione con la forza, ma vi chiede semplicemente di usare la sua libertà diversamente da come non la usiate voi. Non sono un asociale, non sono un pazzo (almeno: non più di voi), anzi: ho diversi amici, come tutti, lavoro onestamente, come molti, ho una vita sociale, come alcuni.

Volete essere schiavi? Legittimo desiderio, mi batterò – nei limiti delle mie possibilità – perché possiate esaudirlo. Ma, ascoltate e bene, tenete le vostre stupide, trascurabili vite, le vostre idee demenziali, le vostre convinzioni di cui nulla m'importerà mai, ben lontane da me e dalla mia vita.

Questo è tutto l'ideale libertario che vorrei – oh! come lo vorrei! – una buona volta, che imparaste. Non mi interessa convincervi di niente altro, credetemi. Non mi interessate voi.

Sunday, April 27, 2008

«Mickey Mouse!»

Alla fine credo che i film di Kubrick li citerò tutti... ma cosa ci posso fare se penso che Full Metal Jacket ('87) sia il miglior film di guerra – o meglio, contro la guerra – che mai sia stato girato? Senza preoccuparsi più di tanto di raccontare una “storia,” il grande Stanley illustra con la solita maestria la trasformazione di un gruppo di uomini in una masnada di assassini, in altre parole, come un adeguato addestramento sia in grado di sottrarre l'anima a dei ragazzi come tutti gli altri, per farne sanguinose macchine di distruzione nelle mani dei governi. Niente di più, niente di meno: ogni altra considerazione sulla guerra, su qualsiasi guerra, effettivamente è secondaria.

Saturday, April 26, 2008

Guernica

Con la capsula temporale del nostro corrispondente da Laputa torniamo all'inizio della seconda guerra mondiale, in un paesino basco di cui mai avremmo avuto conoscenza se non fosse stato scelto come tappa fondamentale della nostra discesa all'inferno, e come tale ritratto in un celebre quadro di uno dei maggiori artisti del secolo appena trascorso. Il dispaccio telepatico di Giovanni Pesce arriva infatti da Guernica.

È sempre più forte l'impressione che la diffusione della conoscenza di determinati eventi tragici venga sfruttata per plasmare le menti e le opinioni delle masse, preparando il terreno a nuovi, inimmaginabili orrori: pare esserci davvero sempre un secondo scopo sottotraccia più importante di quello palese, in molti degli avvenimenti chiave degli ultimi secoli, questo sembrano suggerirci le incursioni temporali del nostro Pesce preferito.

Ricordando quelle vittime innocenti vi auguro anche questa settimana una buona lettura e – per chi se lo può permettere – un buon ponte lungo (sperando ovviamente che non venga bombardato).
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Di Giovanni Pesce


Uno dei miti della storia recente è imperniato su Guernica, citta basca distrutta da un bombardamento aereo, durante la guerra civile spagnola, il 26 Aprile 1937 .

Cosa sia successo veramente ormai è abbastanza chiaro; più difficile è ora ricostruire le motivazioni che produssero quell’evento.

Fin ad allora il bombardamento su cittadini inermi era “quasi” vietato: infatti era tollerato lo sterminio delle popolazioni civili nelle colonie; italiani ed Inglesi si erano dati parecchio da fare in tal senso.

Dal punto di vista teorico il generale italiano Douhet aveva proposto nel 1921 una dottrina su come utilizzare la nuova arma area bombardando i punti nevralgici di una nazione: porti, aeroporti, scali ferroviari, centri militari e così via..
Gli obiettivi da raggiungere erano due: quello immediato dell’annullamento del valore militare del manufatto e quello scenografico di instaurazione di un periodo di “terrore” nella popolazione civile.

Queste teorie erano state utilizzate dai dr. Strangelove dell’epoca, solo nelle colonie italiane ed inglesi, mentre i tedeschi non avevano avuto ancora possibilità di far esperienze di bombardamento “coloniale” in quanto erano stati privati dei territori d’oltremare al termine di WWI.

Niente paura: l’occasione di rifarsi viene subito con la guerra di Spagna, dove viene inviata la legione Condor comandata da Wolfram Von Richtofen, cugino di Manfred Von Richtofen il famoso “Barone Rosso.”
Il quadro operativo del 26 Aprile 1937 vede i gruppi italiani partecipare all’azione con 3 Savoia Marchetti 79 che alle ore 15,30 danno inizio all’operazione: obiettivo il ponte stradale sul fiume Oca verso il quartiere di Renterria.
Grazie all’inefficienza del bombardamento da 4000 metri di quota, il ponte non viene colpito.

Un'ora dopo un secondo assalto ad opera di Junkers 52 tedeschi colpisce il centro città con bombe dirompenti.

Dopo essere tornati alla base aeroportuale di Vittoria i bombardieri tedeschi imbarcano bombe incendiarie e ripartirono all’assalto del paesino; il risultato è un incendio quasi totale.

Il ponte e una fabbrica di armi situati a Guernica non vengono danneggiate.

Qualche giorno dopo i giornalisti inglesi annunciarono al mondo la strage a Guernica di 1650 persone, una cifra alquanto diversa da quanto accertato negli ultimi anni.

Picasso per 300mila peseta (500 mila euro attuali) preparò un quadro chiamato “Guernica” che venne esposto i primi di Giugno a Parigi; le dimensioni del quadro (7,8 x 3,5 m) fanno ipotizzare un periodo di composizione maggiore di quello dichiarato (30 gg. di maggio 1937).
Una teoria “di corridoio” afferma che Picasso avrebbe modificato in quattro e quattrotto un quadro che aveva quasi completato in ricordo di un suo amico torero deceduto in una corrida..

Sembrerebbe che il grande mainstream culturale abbia gestito la vicenda avendo come obiettivo finale l’accettazione psicologica di un bombardamento di popolazioni civili nel quadro generale di una preparazione degli animi umani a convivere con una serie di nuovi eventi che faranno tremare la terra. Coventry, Desdra, Amburgo, Tokio, Hiroshima sono quindi stati i passi successivi di questa demenza dove le uccisioni di massa e le rappresentazioni pubbliche delle stragi avrebbero terrificato tutti i nemici sia in essere che potenziali.

Ma questo è il modo di essere del nostro mondo.

Stato di prigionia

Non c'è nulla che illustri meglio del carcere la natura coercitiva e violenta dello stato.

Allo stesso tempo metafora e sua massima realizzazione, il carcere sta diventando l'industria pubblica principale in tutti gli stati moderni, immagine vivente del Leviatano che divora sé stesso.

Dell'
industria carceraria negli USA me n'ero già occupato, ci ritorno con la traduzione di questo ottimo articolo di Lew Rockwell.
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Di Llewellyn H. Rockwell, Jr.


Gli Americani, come forse ogni popolo, hanno una notevole capacità di disconnettersi da spiacevolezze che non li interessano direttamente. Sto pensando ad esempio alle guerre in terre straniere, ma anche al fatto stupefacente che gli Stati Uniti sono diventati il paese più innamorato delle prigioni del mondo, con oltre uno su 100 adulti che vivono come schiavi in carcere. Costruire e amministrare prigioni, rinchiudere la gente, sono diventati in un'attività importante del potere del governo nel nostro tempo, e per coloro che amano la libertà è già arrivato da molto il momento di cominciare preoccuparsi.

Prima di arrivare alle ragioni, guardiamo ai fatti come riportati dal New York Times. Gli Stati Uniti sono primi al mondo nella produzione di prigionieri. Ci sono 2,3 milioni di persone dietro le sbarre. La Cina, con una popolazione quattro volte superiore, ha 1,6 milioni in prigione.

In termini di popolazione, gli Stati Uniti hanno 751 persone in carcere ogni 100.000, mentre il competitore più vicino a questo proposito è la Russia con 627. Sono colpito da questo numero: 531 a Cuba. Il tasso globale medio è 125.

Veramente sorprendente è che la maggior parte di questa tendenza all'incarceramento è recente, risale in effetti agli anni 80, e la maggior parte di tale cambiamento è dovuto alle leggi sulla droga. Dal 1925 al 1975, il tasso di incarceramento era stabilizzato a 110, inferiore alla media internazionale, che è ciò che potreste aspettarvi in un paese che pretende di stimare la libertà. Ma è quindi schizzato su all'improvviso negli anni 80. C'erano 30.000 persone in carcere per droga nel 1980, mentre oggi sono mezzo milione.

Altri fattori includono l'attuale criminalizzazione di quasi tutto, persino il oltrepassare dei blocchi o il più piccolo dei furti. Ed i giudici sono sottoposti ad ogni specie di numeri minimi di sentenze richieste. Ora, prima di spostarci verso le cause e le risposte, vi prego di considerare cosa significa prigione. Le persone all'interno sono schiave dello stato. Sono catturate e rinchiuse e considerate dai loro rapitori come niente più di esseri biologici che occupano spazio. L'erogazione di qualsiasi servizio è contingente ai capricci dei loro padroni, che non hanno interesse alcuno nel risultato.

Ora, potreste dire che questo è necessario per qualche persona, ma siate consapevoli che si tratta del supremo assalto alla dignità umana. Essi “stanno pagando il prezzo” per le loro azioni, ma nessuno è nella posizione di trarre beneficio dal prezzo pagato. Non stanno lavorando per ripagare debiti o compensare vittime o lottando per superare qualche cosa. Stanno solo “passando il tempo,” mentre costano ai contribuenti quasi 25.000 dollari a testa. Questo è tutto ciò che queste persone sono per la società: un costo, e sono trattate come tali.

E le comunità in cui vivono in queste prigioni consistono di altra gente senza valore, e socializzano in questa mentalità assolutamente contraria ad ogni nozione di civilizzazione. Quindi c'è l'inesorabile minaccia e la realtà della violenza, il rumore indicibile, la dominanza di ogni perversità morale. In breve, le prigioni sono l'Inferno. Non deve sorprendere se non riabilitano nessuno. Come disse George Barnard Shaw, “la prigionia è irrevocabile quanto la morte.”

Ancora, tutto ciò che sappiamo circa il governo si applica a questo basilare programma governativo. È costoso (gli stati da soli spendono 44 miliardi di dollari nelle prigioni ogni anno), inefficiente, brutale ed irrazionale. Il sistema carcerario moderno è inoltre un fenomeno relativamente nuovo nella storia, usato per far rispettare priorità politiche (la guerra alla droga) piuttosto che per punire i crimini reali. Inoltre è azionato dalle passioni politiche piuttosto che da un genuino interesse per la giustizia. Lo scopo della guerra alla droga non è di ridurre il consumo ma piuttosto l'opposto. Le droghe illegali sono ora un'industria da 100 miliardi negli Stati Uniti, mentre la guerra alla droga di per sé è costata ai contribuenti 19 miliardi, proprio mentre i costi per operare il sistema della giustizia sono andati alle stelle (su del 418% in 25 anni).

La gente dice che il crimine è calato, per cui il sistema deve funzionare. Bene, questo dipende da cosa intendete per crimine. L'uso e la distribuzione di droga sono associati con la violenza soltanto perché illegali. Sono crimini perché lo stato dice che sono crimini, ma non entrano nella definizione usuale che troviamo nella storia della filosofia politica, che si concentra sulla violazione della persona o della proprietà.

Inoltre, il “crimine” dell'uso e della distribuzione di droga in realtà non è stato mantenuto basso; è solo diventato più sommerso. Con insieme somma ironia e giudizio sulla funzionalità delle prigioni, il mercato della droga è proprio lì molto attivo.

Ora le cause. Alcuni sociologi danno la prevedibile spiegazione che tutto questo è dovuto alla mancanza di una “rete sociale di sicurezza” negli Stati Uniti. In primo luogo, gli Stati Uniti hanno avuto una tal rete per cento anni, ma questa gente sembra non averlo notato, anche se per alcune persone non c'è una rete simile abbastanza grande. Inoltre, è più probabile che la presenza stessa di una tal rete – che crea un azzardo morale di modo che la gente non impara ad essere responsabile del proprio benessere – contribuisca al comportamento criminale (tutto il resto essendo uguale).

C'è, da ogni parte, chi attribuisce l'aumento a fattori razziali, dato che la popolazione incarcerata è sproporzionatamente nera e ispanica, e notando la disparità nei tassi del crimine in posti come il Minnesota con basse percentuali di minoranze etniche. Ma anche questo fattore potrebbe essere illusorio, particolarmente riguardo all'uso di droga, poiché è molto più probabile che un sistema di stato interferirà e punirà gli individui con minor influenza e peggior condizione sociale che quelli che lo stato considera rilevante.

Un punto più significativo ci arriva dagli analisti politici, che osservano la politicizzazione delle nomine giudiziarie negli Stati Uniti. I giudici fanno carriera sulla loro “durezza contro il crimine,” o sono nominati su tale base, ed hanno quindi ogni motivo per rinchiudere più gente di quanta la giustizia richieda veramente.

Un fattore cui non si è accennato finora nella discussione è il potere di pressione dell'industria carceraria stessa. La vecchia regola è che se sovvenzionate qualcosa, ne ottenete di più. E così è anche con le prigioni ed il complesso industrial-carcerario. Devo ancora trovare tutti i dati possibili su quanto grande questa industria sia, ma considerate che include aziende edili, manager di carceri private, guardiani, fornitori di servizi di ristoro, consiglieri, servizi di sicurezza ed altri 100 tipi di aziende per costruire e controllare queste società in miniatura. Che genere di influenza politica hanno? Sto speculando, ma dev'essere notevole.

Per quanto riguarda l'interesse pubblico, ricordate che ogni legge, ogni regolamentazione, ogni linea nei codici governativi, è fatta rispettare in definitiva per mezzo del carcere. La cella della prigione è il simbolo ed il fine ultimo dello statalismo stesso. Sarebbe bello se pensassimo agli interessi di coloro che sono prigionieri nella società e di coloro che lo diventeranno. Ma anche se è improbabile che sarete uno di essi, considerate la perdita dell'intimità, la perdita della libertà, la perdita dell'indipendenza, la perdita di tutto ciò che eravamo abituati a considerare davvero americano, nel corso della costruzione dello stato-prigione.

Ma il crimine non aumenterà se abbandoniamo il nostro sistema carcerario?

Lasciamo la risposta a Robert Ingersoll:
Il mondo è stato riempito di prigioni e segrete, di catene e fruste, di croci e patiboli, di schiacciadita e ruote da tortura, di boia e carnefici – ma questi terribili mezzi e strumenti e crimini hanno avuto ben poco successo nel preservare la proprietà e la vita. Si può ben dire dire che i governi hanno commesso molto più crimini di quelli che hanno evitato. Finché la società si piega e striscia di fronte ai grandi ladri, ce ne saranno sempre in abbondanza di piccoli per riempire le prigioni.
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Llewellyn H. Rockwell, Jr. è presidente del Ludwig von Mises Institute di Auburn, in Alabama, editore di LewRockwell.com ed autore di Speaking of Liberty. Vedi il suo archivio su Mises.org. Mandagli una mail. Commenta sul blog.

Link all'articolo originale.

Friday, April 25, 2008

Premio Caligola - Aprile '08

Dopo la pausa di marzo riprende l'appassionante viaggio del Gongoro nel delirio da potere. In attesa dei primi atti degli apostoli di Silvio, la giuria del Premio Caligola - Il potere gli ha dato alla testa ha trovato all'estero le nomination per il concorso di aprile, che si presenta particolarmente gustoso.

La prima candidatura è davvero da leccarsi i baffi, in tutti i sensi. Il verdi e socialisti francesi, infatti, invadono la gastronomia e dichiarano guerra, nientemeno, al glorioso croissant. Sembra incredibile, ma pare proprio che i deputati rosso-verdi vogliano oscurare la fama di Marie Antoinette, che consigliava al popolo affamato il sapido cornetto, condannandolo al patibolo fiscale per aver attentato con un eccessivo contenuto di grassi al peso forma del popolo francese. À la guerre comme à la guerre!

Seconda candidatura per Alistair Darling, cancelliere dello scacchiere inglese, che se la guadagna con un raddoppio delle tasse automobilistiche travestito da tassa verde. Non molto originale di questi tempi, ma sempre efficace. Peccato che, come era facile aspettarsi, a fronte del raddoppio delle entrate il taglio delle emissioni previsto si limiti, poverino, a meno dell'un per cento. Ma anche qui, come oltremanica, basta un poco di verde e la pillola va giù: inglesi e francesi quasi li preferivamo quando si scannavano a vicenda, ora che marciano fianco a fianco verso un verde orizzonte ci preoccupano molto di più.

Per il terzo candidato passiamo dalla guerra ai grassi ed alle emissioni alla guerra vera e propria, che in questi tempi tristi è quella al terrore. L'amministrazione Bush, per mezzo del dipartimento di Homeland Security, forse a causa della difficoltà nell'eliminare i terroristi se la prende, pensate un po' come stanno, con il linguaggio. Non riusciamo a scovarli? Poco male, li depenniamo dal dizionario e il gioco è fatto. La prossima mossa, e qui la previsione è facile, sarà di chiamare terroristi i blogger e i dissidenti domestici, che sono molto più semplici da trovare, e deportarli quindi nei campi di prigionia sparsi qua e là negli States: a quel punto la guerra al terrorismo sarà vinta, alla faccia di Osama “Mandocazzostà” Bin Laden.

Orsù, lo so che vi sta venendo a noia, ma votate! È un vostro diritto/dovere, a milioni sono morti perché voi possiate oggi usufruirne!

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Parigi mette alla gogna il croissant


Son peggio dei giacobini, degli edificatori di ghigliottine e di patiboli! Parigi si affanna a inchinarsi a Maria Antonietta, a renderle postumi e toccanti omaggi e all’Assemblea nazionale un gruppo di esagitati, Verdi e socialisti, degni eredi degli aguzzini del ’93, vuol mettere sul ceppo liquidatore il croissant. Sì, quel delizioso «Hornchen», cornetto, che proprio lei, l’austriaca smorfiosetta e gaudente fece diventare di moda a Versailles, ultima delizia gustativa prima della Quaresima di ben più efficaci dispotismi. Che poi la Francia repubblicana si è annessa; obnubilando gli eroismi degli inventori, i panettieri viennesi, che nel 1683 presero come modello la mezzaluna intravista sulle vinte bandiere dei turchi assediatori. E fu un ghiotto modo per ricordare l’ultima ondata islamica arrivata a lambire il cuore d’Europa, prima di Bin Laden, si intende. L’unico avaro pedaggio alla loro arroganza di profittatori l’hanno pagato, i francesi, definendolo «viennoiserie».

Bene, questi deputati forsennati e immemori, mentre si discuteva il bilancio del 2008, hanno caricato delle peggiori colpe il croissant: in particolare di essere il grasso e mattutino alimento della obesità infantile nell’Exagone. Via, bisogna liberarsene, e alla svelta. Affiancandogli nella condanna un’altra notoria e falsamente innocua tempra di brigante da pasticceria, il «pain au chocolat», hanno appoggiato sulla brioche la lama implacabile dell’iva portata al 19,5 per cento. Un boia che non dà speranze. Ne risulterebbe un croissant caro perfino per le finanze del dilapidante Luigi sedicesimo. Come se di salvare la finanza statale dovesse farsi carico quel dolce che la regina proponeva un po’ arditamente ai sudditi dispettosi e maneschi. E pensare che il perfido hamburger americano gode della tariffa di favore del 5,5 per cento! La maggioranza per fortuna ha fatto quadrato, ma è solo un rinvio.
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L'inutile tassa verde sugli automobilisti rastrella 4 miliardi di sterline


Grafici del Ministero del Tesoro indicano che la “tassa verde” sugli automobilisti annunciata nel primo preventivo del tesoro di Alistair Darling raddoppierà il reddito d'imposta sull'auto a 4 miliardi di sterline ma ridurrà le emissioni dei veicoli di meno dell'un per cento .

L'aumento di imposta sull'auto è l'ultimo esempio di politiche possibilmente sgradite che vengono presentate come misure ambientali.

Il cancelliere ha annunciato un aumento significativo della tassa sull'auto in marzo.

Questo costerà ai proprietari di auto familiari, aziendali e dei trasporti pubblici centinaia di sterline in più l'anno per l'utilizzo delle strade.

Il sig. Darling ha sostenuto che l'aumento dell'imposizione è stato studiato per consigliare agli automobilisti di passare ad automobili più verdi e ridurre l'impatto ambientale dei trasporti.

Tuttavia, il Telegraph ha visto le proiezioni del Ministero del Tesoro che rivelano che mentre l'importo raccolto dalla tassa automobilistica aumenterà di più del doppio – da 1,9 miliardi a 4.4 miliardi di sterline entro il 2010 – le emissioni di anidride carbonica dall'automobilismo ci si aspetta che calino di meno dell'un per cento.

Justine Greening, un ministro del Tesoro ombra che ha ottenuto i grafici, ha detto la sera scorsa: “questo è un enorme aumento di imposta che non avrà virtualmente effetto sull'ambiente.

“Nonostante i suoi proclami, il governo non si aspetta affatto che questa decisione possa cambiare i comportamenti: è solo un'altra tassa eco-mascherata del peggior tipo.”

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Il termine “Jihadista” eliminato dal lessico del governo degli Stati Uniti
L'amministrazione Bush all'attacco del linguaggio nella guerra al terrorismo



Non chiamateli più jihadisti.

E non chiamate Al-Qaida movimento.

L'amministrazione Bush ha aperto un nuovo fronte nella guerra al terrorismo, questa volta prendendo di mira il linguaggio.

Gli enti federali, compresi il ministero dell'interno, il dipartimento di Homeland Security ed il centro nazionale anti-terrorismo, stanno istruendo il loro personale di non descrivere gli estremisti islamici come “jihadisti” o “mujahedeen,” secondo i documenti ottenuti da Associated Press. Anche neologismi come “islamo-fascismo” sono da evitare.

Il motivo: tali parole possono in realtà amplificare il sostegno ai radicali fra il pubblico arabo e musulmano dando loro l'apparenza di credibilità religiosa o offendendo i moderati.

Per esempio, mentre gli Americani possono intendere con “jihad” la “guerra santa,” è in effetti un più vasto concetto islamico della lotta per fare il bene, dice la guida preparata per i diplomatici ed altri funzionari incaricati di spiegare la guerra contro il terrore al pubblico. Similmente, “mujahedeen,” che indica coloro impegnati nella jihad, deve essere visto nel suo più vasto contesto.

I funzionari degli Stati Uniti possono “ritrarre involontariamente i terroristi, che difettano della legittimità morale e religiosa, come coraggiosi combattenti, soldati o portavoce legittimi per i comuni musulmani,” dice un rapporto di Homeland Security. È intitolato: “Terminologia per definire i terroristi: raccomandazioni dai musulmani americani.”

Wednesday, April 23, 2008

Vaginocrazia

Ma tu guarda se per leggere qualcosa di sensato sui quotidiani sulla farsa delle quote rosa bisogna aspettare Mina. Proprio lei, la Tigre di Cremona, che su La Stampa di qualche giorno fa commenta con graffiante sarcasmo ed intelligenza rara la notizia del nuovo governo Zapatero, quello – che tanto è piaciuto ai giornalisti nostrani – con la maggioranza di donne, una persino incinta, pensate!

Il
pensiero di Mina è potente e limpido come i suoi leggendari acuti:
È maturo il tempo della vaginocrazia e la meritocrazia vada pure a quel paese. Ebbene sì, ci risiamo con le quote rosa. Siamo messi male, se ancora si deve parlare di pari opportunità. Riuscirò mai a vedere il giorno in cui la scelta tra un uomo e una donna venga fatta tenendo conto delle specifiche capacità, della preparazione e dell’intelligenza operativa? Cosa c’entra, nella selezione, se uno porta mutandine di pizzo rosa oppure boxer?

Avete visto la foto di Carme Chacon, 37 anni, socialista catalana, prima donna Ministro della Difesa della storia di Spagna? El Mundo titola: «È un ministro da Guinness». Sotto sotto, ma mica tanto, in questa definizione viene fuori la verità. Fenomeno da baraccone! Sì, sì, Viva España! Viva el Rey! E intanto l’immagine di questa ragazza, col pancione di sette mesi ben in vista sotto una camicetta chiara e una giacchina nera opportunamente aperta, fa il giro del mondo.

Lei, con una faccia né fiera né timorosa, ma piuttosto con l’espressione di chi soffre di acidità di stomaco, passa in rassegna le truppe sull’attenti. E io avverto come un prurito fastidioso, come se la foto venisse vista come la prima immagine dell’abominevole uomo delle nevi o quella del primo «marziano» che scende sulla terra con il suo piedino verde.
Zapatero, invece, si è dichiarato “molto fiero” di aver nominato nove donne ministro: come questo evento abbia il potere di migliorare la vita degli spagnoli non è dato sapere, per il momento, ed è sinceramente difficile da prevedere. Al contrario, il fatto che una di esse occupi il dicastero dell'Uguaglianza, anzi, il fatto stesso che esista un simile dicastero, rende bene il livello del delirio raggiunto nella penisola iberica.

Monday, April 21, 2008

«Sleep, now»

Svegliarsi in una vasca da bagno, sanguinante, senza memoria, e dover sfuggire dalla polizia che ti bracca in una città che di notte cambia forma mentre tutti tranne te cadono in una specie di letargo. E scoprire di essere l'oggetto di un esperimento di una razza aliena, tetra e misteriosa, il cui scopo è svelare il segreto dell'individualità umana. Dark City (Dark City, '98) di Alex Proyas è un viaggio in forma di incubo nei meandri più oscuri della psiche, in quel subconscio così ben rappresentato dalla città-labirinto in perenne trasfigurazione.

Sunday, April 20, 2008

Metafascismo autarchico

“Verso un nuovo mondo non si puo’ andare con idee e strumenti vecchi.”
(Giulio Tremonti)

Eccoci qua: il prossimo ministro Tremonti straparla di nazionalizzazioni e di “mondi nuovi” che ci aspettano (ma le elezioni non avevano eliminato i comunisti dal parlamento?), preparandosi a riparare ai fallimenti degli imprenditori nostrani – parola grossa, per chi ha sempre evitato il rischio dell'impresa grazie alla mammella statale! – ovviamente con i soldi dei contribuenti, che magari li avrebbero voluti e potuti spendere in modo più utile e produttivo. È come un tandem, in cui però pedalano sempre gli stessi. Insomma, il metafascismo comincia come la sua versione primeva: con il grido belluino “autarchia, autarchia!”

A questo proposito sono lieto di pubblicare un lucido intervento di Carlo Lottieri, che spiega con chiarezza come non solo non sia morale, ma nemmeno necessario rinunciare alla libertà in nome del protezionismo economico.
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Di Carlo Lottieri


Di recente taluni commentatori sono entrati nel dibattito suscitato dalle proposte neo-protezioniste avanzate da Giulio Tremonti nel suo ultimo pamphlet in favore di un’Europa che guardi con crescente sospetto all’integrazione economica internazionale e si attrezzi a tutelare se stessa di fronte alla concorrenza portata dai popoli del Terzo Mondo: Cina e India, in testa.

Quasi sempre le tesi neomercantiliste sono contrastate, e insieme ad esse è avversata ogni prospettiva dettata dalla paura dei competitori, oltre che dal desiderio di chiudersi di fronte all’economia globalizzata, sottraendo l’Europa ai benefici del commercio internazionale. Nel ragionamento di vari economisti e commentatori sedicenti liberali c’è però non di rado qualcosa che non appare del tutto convincente.

In effetti, più di un opinionista non solo accetta la prospettiva per così dire “olista” di quanti ritengono che si possa parlare di un interesse dell’Europa nel suo insieme (anche sacrificando i diritti di quei proprietari che vogliono disporre a loro piacere delle proprie risorse, negoziando con chi vogliono), ma in più si ritiene che i nemici della globalizzazione non abbiano torto quando affermano che nel breve termine un’Europa aperta al mondo perderebbe qualcosa, e che questo beneficio verrebbe riacquistato solo in un secondo tempo grazie allo sviluppo ulteriore degli scambi. Il loro argomento è che vi sarebbe un ritardo tra quando un paese perde ricchezza a favore di quello emergente e poi la riacquista accresciuta, ed è in questo gap temporale che avrebbe luogo l’impoverimento del primo.

La tesi è che c’è bisogno di un certo lasso di tempo perché i paesi sviluppati, pressati dalla concorrenza dei paesi emergenti, riescano a ridefinire le proprie produzioni e cogliere le nuove opportunità offerte dall’aprirsi di mercati emergenti verso cui esportare. Tanto più che vi sono situazioni – come quella cinese – in cui ci si confronta con attitudini protezionistiche anche da parte dei paesi a basso livello di sviluppo.

Questo argomento secondo cui esisterebbe un momento (seppure solo iniziale) durante il quale l’apertura dei mercati si rivelerebbe dannosa per un’economia avanzata mi pare possa essere messo in discussione.

Immaginiamo un modello molto semplificato: in un pianeta perduto nello spazio esiste una società ad alto livello di sviluppo, la chiameremo Europa, la quale occupa fisicamente solo una parte di quel corpo celeste, per il resto del tutto disabitato. All’interno di tale società vi sono individui dediti alle più diverse attività e impegnati a scambiare ciò che producono. Una parte di loro produce biciclette che vende alla restante parte della società: farmacisti, attori, agricoltori, e via dicendo.

Un bel giorno, su un’altra del pianeta che ospita la società europea una navicella spaziale scarica una popolazione nuova, che chiameremo Cina. Si tratta di soggetti le cui attività economiche sono, al momento, assai meno sviluppate di quelle europee, come testimonia il basso standard del loro stile di vita: alimentazione, abitazioni, cure mediche, e via dicendo.

Molti europei scoprono però che grazie a una serie di ragioni – e in primo luogo il basso costo della manodopera dei cinesi – le biciclette realizzate in quell’altra parte del pianeta da questi suoi nuovi abitanti sono assai convenienti. La qualità è la medesima, ma il costo è inferiore. Smettono quindi di comprare le biciclette europee e acquistano quelle cinesi.

Che ne deriva?

Per sviluppare un’analisi razionale delle conseguenze delle scelte, molto comprensibili, compiute da quanti vivono in Europa e hanno bisogno di una bicicletta bisogna preliminarmente cogliere una semplice verità: ogni scambio è (soggettivamente) vantaggioso. Chi acquista o cede un bene lo fa perché ritiene che quel negozio giuridico l’avvantaggi: esiste insomma un beneficio che va tanto a chi compra una bicicletta come a chi la vende.

Nel momento in cui compaiono in scena le biciclette cinesi si assiste ad un venir meno di transazioni intra-europee (gli europei non comprano più le biciclette europee) e a una crescita delle transazioni tra europei e cinesi. Per gli europei il venir meno dei commerci interni è certamente una perdita (poiché ogni scambio, come ho detto, produce ricchezza), ma bisogna aggiungere che lo svilupparsi delle relazioni commerciali tra Cina ed Europa è invece un beneficio.

La tesi degli economisti che enfatizzano le difficoltà del “breve termine” sarebbero difendibili se fossimo in grado di sapere che quanto si perde nel rarefarsi degli scambi interni – gli europei non comprano più biciclette europee – è maggiore di quanto si guadagna con il commercio esterno (gli europei comprano biciclette cinesi perché le trovano convenienti).

Quanti ritengono che commerciare con l’esterno impoverisca un Paese muovono in fondo da un’osservazione elementare e non infondata: quando il negozio riguardante una bicicletta concerne due europei (chi vende e chi compra), sono due europei a migliorare la loro condizione, e quindi è facile capire come l’economia europea ne guadagni complessivamente in maniera cospicua; quando invece l’interazione vede protagonisti un cinese produttore di biciclette e un europeo che ne acquista una, la ricchezza complessiva dell’Europa è incrementata solo sul lato dell’acquirente.

Ma siamo certi che la somma dei due benefici ottenuti entro un quadro autarchico sia superiore al beneficio ricavato dall’acquirente entro il quadro di un’economia aperta? Per nulla. Non abbiamo nessun solido argomento che possa essere usato a sostegno di tale ipotesi. Si può anzi ipotizzare che in taluni casi – e forse spesso – il beneficio ricavato dall’europeo che acquista la bicicletta cinese sia superiore alla somma dei benefici che, in passato, ottenevano i due europei che vendevano e compravano una bicicletta realizzata in Europa.

Abbiamo invece un’altra certezza: che il proprietario europeo che prima usava i propri soldi per comprare biciclette europee ora li utilizza per acquistare biciclette cinesi. Dispone della propria ricchezza liberamente, e questo è certamente più importante di tanti sofismi economici.

C’è comunque un’altra considerazione da farsi. Anche prescindendo dall’entità dei benefici dei due europei impegnati nella negoziazione entro un’economia europea autarchica e dall’entità degli utili divisi tra europeo e cinese entro un’economia aperta, nel momento in cui gli europei sanno che i cinesi sono sbarcati sul loro pianeta e producono biciclette convenienti, se una qualunque autorità inibisce agli europei (compresi quanti producono biciclette europee) di comprare biciclette cinesi, quanto avviene è puramente e semplicemente un trasferimento di risorse dai consumatori di biciclette ai produttori delle medesime.

In questo senso, anche quando non fa ricorso a dazi, il protezionismo è davvero nella sua essenza una forma di tassazione e redistribuzione delle risorse, a tutto vantaggio di produttori che non sono in grado di soddisfare al meglio il pubblico.

C’è poi un ulteriore aspetto che merita di essere sviluppato, a completamento di quanto detto in precedenza.

Prima si è sostenuto che alla base dell’avversione diffusa verso lo scambio internazionale si può ritrovare il dato elementare che mentre lo scambio tra due europei avvantaggia “due volte” l’economia europea, lo scambio tra un cinese e un europeo l’avvantaggia “una volta sola”. E in un’economia basata sul baratto le cose sono certamente così.

Ma si può dire lo stesso in un’economia monetaria?

Immaginiamo che all’interno dell’Europa vi siano cento persone molto abili nel produrre televisori. Fino a ieri avevano prodotto i loro televisori per il mercato interno, ma dopo l’arrivo della società cinese scoprono come in Cina vi sia molta gente disposta anche a pagare una cifra superiore per i loro prodotti. Iniziano quindi a orientare la loro produzione verso il mercato cinese, ricevendo renimimbi in cambio dei beni esportati.

Che faranno però di quella valuta?

Essi possono accantonarla, rinunciando a utilizzarla, e in questo caso hanno ceduto prodotti di qualità (i televisori) in cambio di semplici pezzi di carta. Oppure possono utilizzare quel denaro per comprare i prodotti disponibili sul mercato cinese. Ad esempio, possono acquistare biciclette.

Quanto intendo dire è davvero elementare. Magari non sempre nel brevissimo termine, ma certamente nel medio o lungo termine, le bilance commerciali tendono ad essere in pareggio perché nessuno è interessato a cedere beni e servizi in cambio di foglietti di carta colorati prodotti da questa o quella banca centrale.

Tale osservazione mi serve però a integrare ciò che ho detto in precedenza.

La constatazione che lo svilupparsi del commercio delle biciclette cinesi in Europa farebbe perdere all’economia europea un lato del beneficio delle interazioni commerciali (il beneficio della transazione si ripartirebbe tra cinesi ed europei, e non solo tra europei) va corretta con la considerazione che bisogna però attendersi che verrà presto un giorno in cui gli euro incassati dal venditore cinese di biciclette verranno utilizzati per acquistare, ad esempio, televisori europei. A questo punto è l’economia della Cina che perde un lato dei due benefici, poiché mentre in passato il mercato tutto interno dei televisori fatti dai cinesi per i cinesi avvantaggiava acquirenti e venditori cinesi, con l’apertura verso l’Europa l’acquirente cinese che si orienta verso un televisore europeo certamente ne trae un beneficio, ma viene meno il beneficio del venditore cinese.

Ancora una volta è utile ricordare la saggezza delle analisi di Frédéric Bastiat su ciò che si vede e ciò che non si vede, e insomma il fatto che non bisogna farsi ingannare da ciò che appare a prima vista, finendo per trascurare altri (e non meno importanti) elementi.

I critici del commercio internazionale ci lasciano intendere che mentre negli scambi interni si traggono due benefici (quello di chi vende e quello di chi acquista), nel commercio internazionale il beneficio è solo uno. Ma in realtà il venditore cinese di biciclette si appresta a minare il tradizionale commercio dei televisori tutto interno alla Cina: userà gli euro che ha ottenuto producendo e vendendo biciclette per acquistare apparecchi televisivi prodotti nell’altra parte del mondo.

È poi ugualmente da sottolineare quanto sia curioso che l’argomento del “breve termine” sia talora usato per scongiurare l’apertura dei mercati ricchi come pure di quelli poveri. Il neo-colbertismo protezionista dice oggi che bisogna – almeno in una prima fase – tutelare le economie ricche dall’arrivo di beni a basso prezzo prodotti nel Terzo Mondo, mentre nei decenni scorsi era moneta corrente la retorica di quanti dicevano che un’economia fragile dell’Africa o dell’America latina non poteva subito competere con quelle più dinamiche e quindi deve conoscere una fase di “incubazione”. (Tale argomento fu usato anche a fine Ottocento, in Italia, per “proteggere” la nostra industria nascente.) Ma non è chiaro, né può esserlo, se l’apertura dei mercati giovi ai più poveri a danno dei più ricchi, oppure non avvenga l’opposto.

In conclusione, anche accettando la prospettiva anti-liberale di chi ragiona in termini di entità collettive (la popolazione chiamata Europa e quella chiamata Cina) e quindi anche accantonando i principi morali che devono spingerci a riconoscere il diritto di ogni singolo proprietario a interagire con chi vuole (quale che sia il colore della pelle o la nazionalità), pure restando su quel piano e limitando per giunta la riflessione a considerazioni strettamente economiche, pare legittimo sostenere che le antiche tesi della scienza economica sui benefici del libero commercio e i danni del protezionismo mostrino ancora oggi, e del tutto intatta, la loro validità.

Saturday, April 19, 2008

Imbonimento globale

Avevamo appena scoperto gli altarini verdi della BBC, che arriva dall'Australia una nuova conferma a quello che ormai più che un sospetto è una certezza: l'informazione sul riscaldamento globale è soprattutto propaganda della peggior specie, con membri di “organismi internazionali” che controllano giornalisti via mail come fossero burattini.

Curiosamente non si sente in questo caso il coro di sdegno che avremmo certamente sentito alto e stentoreo nel caso che, per dirne una, ad esercitare la pressione sui media fosse stata una qualche multinazionale.


Eppure sono stati gli stessi giornalisti di The Age (“Giornale dell'Anno”) a confessare la loro colpa pubblicamente. Da News.com:
In una dichiarazione di protesta, la scorsa settimana 235 giornalisti di The Age hanno confermato che la loro copertura della Earth Hour del mese passato era, in effetti, propaganda.

“È stata fatta pressione sui reporter affinché non scrivessero articoli ‘negativi’ ed i soggetti per gli articoli hanno seguito un programma preparato dagli organizzatori della Earth Hour,” hanno detto.

Questa confessione è arrivata dopo che l'organismo di vigilanza ABC Media Watch ha reso noto una imbarazzante mail spedita dal gruppo verde WWF al redattore capo di The Age Andrew Jaspan con un'inquietante intestazione: Re: Qualche altra richiesta?.

In essa, il membro di WWF Fiona Poletti rispondeva di avere effettivamente ulteriori richieste, e diceva a Jaspan di pubblicare altri tre pezzi per Earth Hour, un evento in cui ai lettori si chiedeva di aiutare a salvare il pianeta dal riscaldamento globale spegnendo le luci per un'ora.

Ecco una delle richieste: “gradiremmo veder pubblicato l'articolo sulla moda. È stata data ad Orietta e parla del sostegno unificato dell'industria della moda per Earth Hour.”

WWF ordina, Jaspan obbedisce. The Age ha servilmente pubblicato quell'articolo, sotto il titolo: “Gli stilisti non sono manichini quando si tratta di spegnere.”

Richiesta del WWF per un secondo articolo sulle aziende che sostengono Earth Hour? Soddisfatta. Sulle città nel mondo che si sono unite? Soddisfatta. In ogni caso Jaspan ha messo dei giornalisti al lavoro, anche se controvoglia, su ordine del gruppo verde.
Come arlecchini servitori di due padroni! Ma non sarebbe giusto fare di Jaspan il capro espiatorio dietro al cui sacrificio nascondere colpe che sono anche di altri:
Ma, anche se il suo personale ora vuole la sua pelle, questa vergogna non è stata soltanto opera sua.

La colpa è anche dei giornalisti che, per i loro motivi, per lungo tempo non sono riusciti a riportare entrambi i lati del dibattito sul riscaldamento globale, né a protestare – finora – per la polarizzazione del giornale.

La colpa è del dirigente capo di The Age, Don Churchill, che ha spedito mail al personale per ringraziarlo per la “promozione” di Earth Hour – quando i giornalisti avrebbero dovuto soltanto segnalarla o persino criticarla.

E la colpa è di David Kirk, capo del gruppo Fairfax, che possiede il giornale, che ha chiesto ai reporter di “partecipare ed osservare l'Earth Hour e la speranza che esprime per il nostro futuro ambientale.”

La cosa buffa è che la maggior parte dei giornalisti di The Age è così verde che non hanno bisogno di spinte per predicare questo salmo. Ma la pressione dei loro boss cambia tutto.

Ciò che un giornalista può scrivere liberamente come notizia si trasforma in propaganda se lui o lei non è libero di segnalare tutti i fatti relativi. Così tutti i giornalisti di The Age che scrivono sulla Earth Hour, o sul riscaldamento globale, devono ora essere considerati propagandisti.
Nulla di sorprendente quando si decide di sostituire la scienza col consenso.

Corte Sconcia

L’inviato da Laputa del Gongoro questo fine settimana ci riporta a Venezia, per vedere se nella nebbia magica di questa città destinata a scomparire tra le acque di cui un tempo fu regina riusciamo a intravedere le ombre di remoti e misteriosi consessi la cui influenza pervade la storia degli ultimi secoli e continua ad esercitarsi ai nostri giorni.

Non è cambiata infatti la peculiare abitudine di certi personaggi, di classe assai agiata perlopiù, di riunirsi in “clubbini” per decidere le magnifiche sorti e progressive dell'umanità, o meglio: di tutta quell'umanità che, avendo necessità di sgobbare per vivere (e per mantenere nel lusso i suddetti “benefattori”), nei clubbini non può certo mettere piede.

È consigliabile un bel bicchiere di qualcosa di forte, a vostra scelta, per resistere al clima umido delle calli, anche se non credo sarà sufficiente ad evitare qualche brivido lungo la spina dorsale, non necessariamente causato dal freddo.

Buona lettura e buon fine settimana a tutti.

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Di Giovanni Pesce


E' vissuto a Venezia nel 1700, un interessante gruppo di pensatori: Gasparo Contarini, Frà Paolo Sarpi, Gianmaria Ortes e l'abate Antonio Conti.

In realtà il personaggio centrale è Paolo Sarpi, il quale pur non essendo molto conosciuto, ha collaboratoto alla “prototipazione” di famosissime teorie sociali:
  • il Malthusianesimo
  • la Globalizzazione
  • la Teoria economica Marxista
  • la Teoria economica Fascista
  • il Liberismo mercantile
  • il Libertinismo
  • il Bluff al gioco delle carte.
Paolo Sarpi è stato il propugnatore dei think tank ovvero i “pensatoi” dell'epoca; infatti a quei tempi frequentava il Ridotto Morosini, un prestigioso salotto dell'epoca; sul modello di salotto si sono basati i successivi club italiani inglesi ed americani.
Frà Paolo non ha elaborato quelle teorie sociali citate, ma è stato superlativo nell'individuazione delle teorie sociali che più facessero comodo alle necessità contingenti ed era inimitabile nella loro applicazione politica.

Un grande appassionato di quel periodo è Webster Tarpley che ha trattato in convegni e libri l'Oligarchia Venexiana come il peggiore di tutti i mali.

In sostanza Tarpley afferma che le famiglie veneziane hanno dominato i circoli culturali e scientifici di tutta Europa per cercare di distruggere i regimi più potenti di loro ed infine hanno deciso di trasferire il loro centro di comando commerciale a Londra.

I circoli culturali inglesi hanno creato Newton, Marx, Malthus, Bentham, Adan Smith, la Compagnia delle Indie come i circoli venexiani avevano dominato Dante e Petrarca, ingaggiato Galileo e creato la Compagnia del Gesù.

Tarpley paragona Sarpi al Doctor Faust di Marlowe.

Dal punto di vista demografico, Sarpi suggeriva di non fare molti figli, e se per caso in una famiglia ricca ne nascesse qualcuno in più oltre al primo, era meglio che questi ultimi si dedicassero al libertinaggio, o si richiudessero in un convento o entrambe le cose anche contemporaneamente.

Se per i ricchi era importante non disperdere l'asse ereditario, alla povera gente mancava il diritto di godere dei benefici di questa terra.

Queste idee sono state consolidate dai lavori di Ortes (“Economia Nazionale” e “Chi mi sa dir s'io fingo”) e Antonio Conti che a loro volta hanno “indottrinato” Adam Smith, Malthus e Carlo Marx; tra l'altro Conti cercò di far da arbitro nella sfida tra Newton e Leibinz.

Marx parla di “proletari” come persone, con molti figli, contrapposte a quelle che detengono il potere; i proletari erano coloro che avevano la possibilità tecnica di procreare “ad libitum” in quanto non avevano eredità da suddividere.

Il libero mercato e la globalizzazione sotto un unico governo (venexiano) che dettasse le leggi (mondiali) era il sogno del club frequentato da Sarpi, non molto diverso dall'attuale progetto PNAC che è in realtà la continuazione dell'opera di Sarpi.

Molto meno interessato a questi problemi c'era un altro mitico personaggio, anche lui allegro fratacchione: l'abate (diffidato dal dir Messa) Anton Vivaldi, che componendo il “Concerto de ‘Le pute’” probabilmente trovò altri motivi di interesse e svago con le sue allieve.

Friday, April 18, 2008

C'è chi dice no

Il buon Vincenzo D'Urso, dal blog Trovalo tu, segnala:
Piu’ che una speranza, un segnale libertario da un piccolo paesino della Campania, anzi due, anzi tutta la regione. L’89% dei cittadini di Savignano Irpino ha rifiutato la democrazia, le elezioni, lo stato e l’intero apparato politico nel suo insieme. L’89% ha deciso di non essere più governato come un gregge, di non esser più’ rappresentato.
Il che dimostra che, se sufficientemente vessato, il popolo riesce a svegliarsi dal sonno collettivo. Considerato quello che hanno dovuto subire da quelle parti, non sono sicuro che si tratti di una buona notizia, ma tenendo conto dell'inevitabile destino cui va incontro la democrazia, forse si può ancora sperare.

Thursday, April 17, 2008

Il capitalismo ha fallito?

In questo articolo, tratto dalla prima parte di “Pillars of Prosperity”, del 2002, Ron Paul prevedeva tra le altre cose il tracollo del dollaro a cui stiamo assistendo in questi ultimi mesi, e che non accenna a rallentare. Con buona pace degli habitué del “non potevamo sapere, non potevamo prevedere.” In economia è invece quasi tutto prevedibile, perché le azioni – ancor più delle idee – hanno sempre delle conseguenze.

I politici tuttavia sono molto bravi almeno in una cosa: nello scaricarsi dalle responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni, attribuendole al capitalismo, al mercato, alla “troppa libertà.” Soprattutto alla troppa libertà. È il loro peggior nemico, la troppa libertà.

(Una versione audio MP3 di questo articolo, registrata dal dott. Floy Lilley, è liberamente scaricabile a questo link.)
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Di Ron Paul

Registro del Congresso - Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, 9 luglio 2002.


Oggi è un luogo comune politicamente corretto attribuire a quelli che vengono definiti gli eccessi del capitalismo per i problemi economici che affrontiamo, e particolarmente per la frode di Wall Street che domina i notiziari economici. I politici sono impegnati in una serrata campagna per presentare demagogicamente la questione mentre, naturalmente, non riescono ad affrontare la frode e l'inganno nei falsi in bilancio del governo federale – per i quali sono direttamente responsabili. Invece, la ciurma di keynesiani che guida lo show sfrutta l'opportunità per attaccare i mercati liberi ed ignorare la questione della moneta solida.

Così ancora una volta sentiamo il coro: “il capitalismo ha fallito; abbiamo bisogno di più controlli statali sull'intero mercato finanziario.” Nessuno chiede perchè i miliardi spesi e le migliaia di pagine di regole scritte dall'ultimo grande attacco al capitalismo negli anni 30 non hanno impedito le frodi e le truffe di Enron, WorldCom e Global Crossings. Tale fallimento di certo non può dipendere da una penuria di regole.

Ciò che si distingue per la sua assenza è un qualsiasi accenno al fatto che tutte le bolle finanziarie sono sature di esagerazioni, speculazione, debito, avidità, frode, di grossi errori nel giudizio di investimento, di disattenzione da parte degli analisti e degli investitori, di profitti di carta enormi, di convinzione che una nuova era economica è giunta e, sopra tutto il resto, di aspettative magiche.

Quando la bolla si gonfia, non ci sono proteste. Quando scoppia, il gioco della colpa comincia. Questo è particolarmente vero nell'era del vittimismo, ed è fatto su larga scala. Diventa rapidamente un problema filosofico, partigiano, di classe, generazionale e perfino razziale. Mentre evita la causa reale, tutte le accuse rendono difficile risolvere la crisi ed insidiano ulteriormente i principii su cui poggiano la libertà e la prosperità.

Nixon era nel giusto – almeno una volta – quando dichiarò “oggi siamo tutti keynesiani.” Tutta Washington è sincronizzata nel dichiarare che il troppo capitalismo ci ha portati al punto in cui siamo oggi. L'unica decisione che i pianificatori centrali di Washington prenderanno riguarda quali interessi particolari continueranno a trarre beneficio dalle montanti pretese di riforma. I vari interessi particolari presseranno pesantemente come gli investitori di Wall Street, le corporazioni, il complesso industrial-militare, le banche, i lavoratori, i sindacati, gli agricoltori, i politici e quant'altro.

Ma quello che non viene discusso è la reale causa e perpetrazione degli eccessi che si stanno dipanando ad un passo frenetico. Questa stessa risposta si presentò nei 30 negli Stati Uniti quando i nostri responsabili delle decisioni politiche risposero ad eccessi molto simili che si svilupparono e collassarono nel 1929. A causa dell'incapacità di allora di comprendere il problema, la depressione fu prolungata. Questi errori hanno permesso ai nostri problemi attuali di svilupparsi ad un grado molto più elevato. Considerate il fallimento nel cimentarsi con la causa della bolla degli anni 80, mentre l'economia del Giappone continua a languire al livello di recessione e di crescita zero, con il loro mercato azionario ad approssimativamente un quarto del suo picco di 13 anni fa. Se non facciamo attenzione – e finora non l'abbiamo fatta – faremo gli stessi errori che impediranno la correzione necessaria perché lo sviluppo economico possa riprendere.

Nei 30, era piuttosto popolare accusare del disastro l'avidità del capitalismo, della parità aurea, della mancanza di regolamentazione e della mancanza di un'assicurazione governativa sui depositi bancari. Gli uomini d'affari diventarono il capro espiatorio. Cambiamenti vennero fatti di conseguenza e l'economia sociale e di guerra venne istituzionalizzata. Il credito facile diventò il santo graal della politica monetaria, particolarmente sotto Alan Greenspan, “l'ultimo Maestro.” Oggi, malgrado la presunta protezione di questi programmi di governo costruiti nel sistema, ci troviamo in un caos più grande che mai. La bolla è più grande, il boom è durato più a lungo ed il prezzo dell'oro è stato sabotato deliberatamente come segnale economico. L'inflazione monetaria continua ad un tasso mai visto prima nello sforzo frenetico di spingere i prezzi delle azioni e continuare a gonfiare la bolla immobiliare, mentre evita le inevitabili conseguenze del credito facile. Tutto ciò avviene perché non siamo disposti a riconoscere che l'attuale politica sta soltanto preparando la scena per un enorme calo nel valore del dollaro. Tutti lo temono, ma nessuno vuole occuparsene.

L'ignoranza, come pure la disapprovazione per le restrizioni naturali imposte agli eccessi del mercato che il capitalismo ed un sano mercato impongono, induce i nostri capi attuali a rifiutare il capitalismo e ad incolparlo di tutti i problemi che affrontiamo. Se questo errore non verrà corretto ed il capitalismo verrà ancora più insidiato, la prosperità creata dal libero mercato verrà distrutta.

La corruzione e le frodi nelle pratiche di contabilità di molte aziende stanno venendo alla luce. C'è chi vorrebbe farci credere che questa è una parte integrante del capitalismo del libero mercato. Se avessimo un capitalismo del libero mercato, non ci sarebbero garanzie che una certa truffa non si verificherebbe. Quando accadesse, allora se ne occuperebbe l'autorità locale di applicazione di legge e non i politici nel Congresso, che hanno avuto la loro opportunità di “impedire” tali problemi ma hanno scelto invece di politicizzare la questione, usando l'occasione per promuovere le più inutili regole keynesiane.

Il capitalismo non dovrebbe essere condannato, poiché non abbiamo avuto il capitalismo. Un sistema capitalista presume una moneta sana, non dei soldi di carta a corso legale manipolati da una banca centrale. Il capitalismo presuppone contratti volontari e tassi di interesse determinati dal risparmio, non creazione di credito da parte di una banca centrale. Non è capitalismo quando il sistema è contagiato con regole incomprensibili per quanto riguarda fusioni, aquisizioni e vendite di azioni, insieme al controllo di salari e prezzi, al protezionismo, alle sovvenzioni corporative, alla gestione internazionale del commercio, alle complesse e punitive tasse corporative, ai contratti governativi privilegiati per il complesso industrial-militare, e ad una politica estera controllata dagli interessi corporativi e dagli investimenti stranieri. Aggiungete una cattiva gestione federale centralizzata dell'agricoltura, dell'educazione, della medicina, delle assicurazioni, delle operazioni bancarie e del benessere. Questo non è capitalismo!

Condannare il capitalismo del libero mercato a causa di una qualsiasi cosa che avvenga al giorno d'oggi non ha senso. Non c'è alcuna prova che il capitalismo esista oggi. Siamo profondamente implicati in un'economia interventista e pianificata che permette che grandi benefici vengano ottenuti dai meglio collegati politicamente di entrambi i partiti politici. Si può condannare la truffa ed il sistema corrente, ma deve essere chiamato con i suoi veri nomi: inflazionismo, interventismo, e corporativismo keynesiani.

Ciò che non è discusso è che il presente raccolto di fallimenti rivela che le distorsioni e le plateali menzogne derivanti dagli anni dell'orgia speculativa erano prevedibili.

In primo luogo, il Congresso dovrebbe studiare la truffa e l'inganno del governo federale nella contabilità, specialmente segnalando gli obblighi futuri quale la previdenza sociale, e come il sistema monetario distrugga la ricchezza. Quei problemi sono più grandi di qualsiasi cosa nel mondo corporativo e sono responsabilità del Congresso. Inoltre, è lo standard posto dal governo e dal sistema monetario che controlla ad essere le più importanti concause di tutto ciò che è oggi sbagliato a Wall Street. Laddove la frode esiste, è un problema statale piuttosto che federale, e le autorità statali possono far rispettare queste leggi senza alcun aiuto dal Congresso.

In secondo luogo, sappiamo perchè le bolle finanziarie accadono e la storia ci insegna che sono associate normalmente con la speculazione, il debito eccessivo, le promesse selvaggie, l'avidità, le menzogne e l'inganno. Questi problemi sono stati descritti da alcuni osservatori quando i problemi si stavano sviluppando durante gli anni 90, ma gli avvertimenti sono stati ignorati per un motivo. Tutti ci guadagnavano e nessuno si preoccupava, e coloro che ricordavano la storia vennero rassicurati dal presidente della Fed che “questa volta” una nuova era economica era giunta e di non preoccuparsi. L'aumento della produttività, si diceva, può spiegare tutto.

Ma ora sappiamo che, semplicemente, non è così. Le bolle speculative e tutte quelle di cui siamo stati testimoni sono una conseguenza degli enormi importi di credito facile, creati dal nulla dalla Federal Reserve. Essenzialmente non abbiamo avuto risparmio, che è una delle forze guida più significative nel capitalismo. L'illusione generata dai bassi tassi di interesse perpetua la bolla e tutto il male ad essa associato. E questo non è un difetto del capitalismo. Ci stiamo occupando di un sistema inflazionista ed interventista che produce sempre un'economia della bolla che finirà male.

Finora la valutazione fatta dall'amministrazione, dal Congresso e dalla Fed fa presagire il peggio per il nostro futuro economico. Tutto ciò che offrono è sempre la stessa ricetta, che non può in alcun modo aiutare. Tutto quel che fa è di guidarci più vicino al fallimento nazionale, ad un dollaro in rapido calo e ad un livello di vita più basso per la maggior parte degli americani, così come a minor libertà per tutti.

Questo è una brutta prospettiva che non deve accadere. Ma conservare il nostro sistema è impossibile se ai critici viene permesso di incolpare il capitalismo ed una politica monetaria sana è rifiutata. Più spesa, più debito, credito più facile, più distorsione dei tassi di interesse, più regole su tutto e più ingerenza straniera presto ci spingeranno nella molto scomoda posizione di decidere il destino del nostro intero sistema politico.

Se dovessimo scegliere la libertà ed il capitalismo, ristabiliremmo la parità aurea o ad una merce per il nostro dollaro. La spesa federale sarebbe ridotta, le imposte sul reddito sarebbero abbassate e non sarebbe imposta alcuna tassa sul risparmio, sui dividendi e sui guadagni in conto capitale. Le regolamentazioni sarebbero ridotte, le sovvenzioni di interessi particolari si interromperebbero e nessuna misura protezionista sarebbe consentita. La nostra politica estera cambierebbe, e riporteremmo le nostre truppe a casa.

Non possiamo dipendere dal governo per restituire la fiducia ai mercati; soltanto persone fidate lo possono fare. In realtà, la mancanza di fiducia nei quadri di Wall Street è sana perché è meritata e invita alla cautela. La stessa mancanza di fiducia nei politici, nel processo del bilancio e nel sistema monetario può servire come sano incentivo per la riforma nel governo di cui abbiamo bisogno.

I mercati si regolano meglio di come possano farlo i governi. Dipendere dalle regolamentazioni del governo per proteggerci contribuisce significativamente alla mentalità della bolla.

Queste mosse produrrebbero il clima giusto per liberare l'energia creativa necessaria semplicemente per servire i consumatori, che è il vero senso del capitalismo. Il sistema che alleva inevitabilmente il connubio corporazioni-governo vera causa del nostro attuale disastro continuo giungerebbe alla fine.

Non è stato il capitalismo a darci questa crisi di fiducia visibile oggi nel mondo corporativo. La mancanza di mercati liberi e di moneta solida lo ha fatto. Il Congresso ha un ruolo, ma non è un ruolo attivo. Il compito del Congresso è di togliersi di mezzo.
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Il dott. Ron Paul è un membro repubblicano del Congresso dal Texas e candidato presidente degli Stati Uniti per il 2008. Mandagli una mail. Commenta sul blog.

Link all'articolo originale.

Wednesday, April 16, 2008

«Amoureux? Qu'est-ce que c'est?»

Ad Alphaville, il computer centrale che governa la città ha messo fuorilegge il pensiero libero e l'individualità. Le parole amore, poesia, emozione sono bandite, ma soprattutto agli abitanti è vietato chiedere “perché.” I dizionari vengono di continuo orwellianamente aggiornati. I simboli del potere, onnipresenti, sono le equazioni E=mc2 e E=hf. Alphaville (Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution, Jean-Luc Godard '65) racconta la missione del detective Lemmy Caution, il cui scopo è distruggere il computer Alpha 60, il dittatore di questa fantascientifica città che Godard ha rappresentato girando tutto il film a Parigi, senza effetti speciali: l'orrore non è lontano, è appena girato l'angolo.

Tuesday, April 15, 2008

“Il Grande e Terribile Impostore”

Storiella educativa post-elettorale: il capitolo 15 de “Il Mago di Oz,” scaricabile gratuitamente dal sito Gutenberg Project.

Buona riflessione.
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La scoperta di Oz, il Terribile

di L. Frank Baum


I quattro viaggiatori camminarono fino al grande cancello della Città di Smeraldo e suonarono il campanello. Dopo aver suonato diverse volte, gli venne aperto dallo stesso Guardiano dei Cancelli che avevano incontrato prima.

“Come! Siete ritornati?” egli domandò, sorpreso.

“Non ci vedi?” rispose lo Spaventapasseri.

“Ma pensavo che foste andati a visitare la Strega Cattiva dell'Ovest.”

“L'abbiamo visitata,” disse lo Spaventapasseri.

“E vi ha lasciati andar via?” chiese l'uomo, meravigliato.

“Non poteva farci niente, visto che si è dissolta,” spiegò lo Spaventapasseri.

“Si è dissolta! Bene, questa è davvero una buona notizia,” disse l'uomo. “chi l'ha dissolta?”

“È stata Dorothy,” disse il Leone gravemente.

“Per Dio!” esclamò l'uomo, e s'inchinò fino a terra davanti a lei.

Quindi li condusse nella sua piccola stanza e fece mettere a tutti gli occhiali presi dalla grande scatola, proprio come aveva già fatto precedentemente. Dopodiché entrarono attraverso il cancello nella Città di Smeraldo. Quando la gente seppe dal Guardiano dei Cancelli che Dorothy aveva dissolto la Strega Cattiva dell'Ovest, tutti si riunirono intorno ai viaggiatori e una grande folla li seguì al palazzo di Oz.

Il soldato con i mustacchi verdi era ancora di guardia davanti al portone, ma li lasciò entrare immediatamente, ed essi incontrarono di nuovo la bella ragazza verde, che subito introdusse ciascuno di loro alle loro vecchie stanze, in modo che potessero riposarsi finché il grande Oz non fosse stato pronto a riceverli.

Il soldato riferì direttamente ad Oz la notizia che Dorothy e gli altri viaggiatori erano ritornati, dopo avere distrutto la Strega Cattiva; ma Oz non diede risposta. Avevano pensato che il grande mago li avrebbe contattati subito, ma non fu così. Non ebbero notizie di lui il giorno dopo, né quello dopo, né quello dopo ancora. L'attesa era noiosa e stancante ed alla fine erano tutti irritati che Oz li trascurasse così, dopo averli mandati ad affrontare grandi difficoltà e la schiavitù. Così lo Spaventapasseri chiese infine alla ragazza verde di portare un altro messaggio ad Oz, dicendo che se non li avesse incontrati subito avrebbero chiamato le Scimmie Alate in loro aiuto, per scoprire se avrebbe mantenuto le sue promesse oppure no. Quando il mago ricevette questo messaggio si spaventò talmente che dette ordine affinché venissero condotti alla stanza del trono quattro minuti dopo le nove in punto la mattina successiva. Aveva incontrato le Scimmie Alate una volta nella Terra dell'Ovest, e non voleva incontrarle di nuovo.

I quattro viaggiatori passarono una notte in bianco, ciascuno pensando al regalo che Oz aveva promesso di concedergli. Dorothy si addormentò una volta sola, e sognò di essere in Kansas, dove la zia Emma stava dicendole quanto felice fosse di riavere la sua piccola a casa.

Precisamente alle nove in punto la mattina successiva il soldato verde-baffuto venne da loro e quattro minuti più tardi tutti entravano nella stanza del trono del grande Oz.

Naturalmente ognuno di loro aveva pensato di vedere il mago nella figura che aveva preso precedentemente, e tutti furono notevolmente sorpresi quando si guardarono attorno e non videro nessuno nella stanza. Rimasero vicino alla porta e più vicino ancora l'uno all'altro, dato che l'immobilità della stanza vuota era la più terribile di tutte le forme che avevano visto assumere da Oz.

In quel momento sentirono una voce solenne, che sembrava provenire da qualche luogo vicino alla sommità della grande cupola, che disse:

“Sono Oz, il grande e terribile. Perché mi cercate?”

Guardarono di nuovo in ogni parte della stanza ed allora, non vedendo nessuno, Dorothy domandò, “dove sei?”

“Sono dappertutto,” rispose la voce, “ma agli occhi dei comuni mortali sono invisibile. Ora mi metterò a sedere sul mio trono, e potrete conversare con me.” Effettivamente, la voce sembrò allora venire dritto dal trono stesso; così camminarono verso di esso e rimasero in piedi in fila mentre Dorothy diceva:

“Siamo venuti ad esigere la nostra promessa, o Oz.”

“Che promessa?” chiese Oz.

“Avete promesso di rispedirmi in Kansas quando la Strega Cattiva fosse stata distrutta,” disse la ragazza.

“Ed avete promesso di darmi un cervello,” disse lo Spaventapasseri.

“Ed avete promesso di darmi un cuore,” disse l'Uomo di Latta.

“Ed avete promesso di darmi il coraggio,” disse il Leone Codardo.

“È davvero distrutta la Strega Cattiva?” chiese la voce, e Dorothy pensò che tremasse un poco.

“Sì,” rispose, “l'ho fusa con un secchio d'acqua.”

“Povero me,” disse la voce, “che sorpresa! Bene, tornate da me domani, dato che ho bisogno di tempo per pensarci sopra.”

“Avete avuto già abbondanza di tempo,” disse irosamente l'Uomo di Latta.

“Non attenderemo un giorno di più,” disse lo Spaventapasseri.

“Dovete mantenere le vostre promesse!” esclamò Dorothy.

Il Leone pensò che avrebbe potuto spaventare pure il mago, così mandò un grande, forte ruggito, che fu così feroce e terribile che Toto saltò via da lui allarmato e capovolse il paravento che stava in un angolo. Mentre questo cadeva con un tonfo essi guardarono in quella direzione, e l'attimo seguente tutti furono pieni di meraviglia. Perché videro, in piedi proprio nel punto che il paravento nascondeva, un piccolo uomo anziano, con una testa calva ed una faccia rugosa, che sembrava tanto sorpreso quanto loro. L'Uomo di Latta, alzando la sua ascia, corse veloce verso il piccolo uomo e gridò, “chi sei?”

“Sono Oz, il grande e terribile,” disse il piccolo uomo, con voce tremante. “Ma non mi colpire – ti prego – e farò qualsiasi cosa volete.”

I nostri amici lo guardarono con sorpresa e costernazione.

“Io pensavo che Oz fosse una grande testa,” disse Dorothy.

“Ed io pensavo che Oz fosse una bella signora,” disse lo Spaventapasseri.

“Ed io pensavo che Oz fosse una bestia terribile,” disse l'Uomo di Latta.

“Ed io pensavo che Oz fosse una sfera di fuoco,” esclamò il Leone.

“No, vi sbagliate tutti,” disse umilmente il piccolo uomo. “Ve l'ho fatto credere.”

“Fatto credere!” gridò Dorothy. “Non siete non un grande mago?”

"Piano, mia cara,” disse. “Non parlate troppo forte, o vi sentiranno, e sarei rovinato. Si suppone ch'io sia un grande mago.”

“E non lo siete?” chiese ella.

“Neanche un po', mia cara; sono solo un uomo comune.”

“Siete più di quello,” disse lo Spaventapasseri, in tono addolorato; “siete un impostore.”

“Proprio così!” dichiarò il piccolo uomo, strofinandosi le mani insieme come se la cosa lo soddisfacesse. “Sono un impostore.”

“Ma questo è terribile,” disse l'Uomo di Latta. “Come potrò mai ottenere il mio cuore?”

“O io il mio coraggio?” chiese il Leone.

“O io il mio cervello?” si lamentò lo Spaventapasseri, asciugandosi le lacrime dagli occhi con la manica del cappotto.

“Miei cari amici,” disse Oz, “vi prego di non parlare di queste piccole cose. Pensate a me ed alle terribili difficoltà cui andrei incontro se mi scoprissero.”

“Nessun altro sa che siete un impostore?” domandò Dorothy.

“Nessuno lo sa eccetto voi quattro – ed io stesso,” Oz rispose. “Ho imbrogliato tutti così a lungo che ho pensato che non sarei mai stato scoperto. È stato un mio grande errore lasciarvi entrare nella Stanza Del Trono. Solitamente non lo permetto neppure ai miei sudditi, e così essi credono che io sia qualcosa di terribile.”

“Ma, non capisco,” disse Dorothy, perplessa. “Come avete fatto ad apparirmi come grande testa?”

“Era uno dei miei trucchi,” rispose Oz. “Venite con me, per favore, e vi spiegherò tutto.”

Li condusse ad una piccola camera nella parte posteriore della Stanza del Trono. Egli indicò un angolo, dove stava la grande testa, fatta da molti spessori di carta, e con una faccia verniciata con attenzione.

“Questa l'ho appesa dal soffitto con un cavo,” disse Oz. “Stavo in piedi dietro il paravento e tiravo un filo, per fare muovere gli occhi ed aprire la bocca.”

“Ma la voce?” domandò ella.

“Oh, sono un ventriloquo,” disse il piccolo uomo. “Posso gettare il suono della mia voce dove voglio, così avete pensato che uscisse dalla testa. Ecco le altre cose che ho usato per ingannarvi.” Mostrò allo Spaventapasseri il vestito e la mascherina che aveva indossato quando sembrò essere la bella signora. E l'Uomo di Latta vide che la sua bestia terribile non era altro che un sacco di pelli, cucite insieme, con delle stecche per tenderne i lati. Per quanto riguarda la sfera di fuoco, il falso mago aveva appeso anche quella dal soffitto. Era in realtà una sfera di cotone, ma quando vi fu versato dell'olio la sfera bruciò ferocemente.

“Davvero,” disse lo Spaventapasseri, “dovreste vergognarvi di voi stesso per essere un tal impostore.”

“Lo sono – certo che lo sono,” rispose il piccolo uomo tristemente; “ma era l'unica cosa che potevo fare. Sedetevi, per favore, c'è abbondanza di sedie; e vi dirò la mia storia.”

Così si sedettero ed ascoltarono mentre gli raccontò la seguente storia.

“Sono nato nell'Omaha...”

“Hei, non è molto lontano dal Kansas!” gridò Dorothy.

“No, ma è più lontano di qui,” disse, scuotendo tristemente la testa verso di lei. “Quando sono cresciuto sono diventato un ventriloquo, ed in questo sono stato istruito molto bene da un grande maestro. Posso imitare ogni genere di uccello o bestia.” Qui miagolò così bene che Toto drizzò le sue orecchie e guardò dappertutto per vedere dove fosse il gattino. “Dopo un certo tempo,” continuò Oz, “mi stancai e diventai un aeronauta"

“Che cos'è?” chiese Dorothy.

“Un uomo che sale in cielo con un aerostato il giorno del circo, in modo da attirare una folla di gente e le convincerla a pagare per vedere il circo,” egli spiegò.

“Oh,” disse lei, “capisco.”

“Bene, un giorno sono andato su con l'aerostato e le corde si sono attorcigliate, cosicché non sono potuto ridiscendere. Salì su sopra le nubi, così in alto che una corrente d'aria lo colpì e lo trasportò per molte, molte miglia. Per un giorno e una notte viaggiai per l'aria e la mattina del secondo giorno mi svegliai e vidi che l'aerostato galleggiava sopra un paese bello e sconosciuto.

“Scese gradualmente e non venni danneggiato neanche un po'. Ma mi trovai in mezzo a della gente strana, che, vedendomi arrivare dalle nubi, pensò che fossi un grande mago. Naturalmente lasciai che lo pensassero, perché erano impauriti da me, e promisi di fare qualsiasi cosa desiderassero.

“Solo per divertirmi e mantenere la buona gente occupata, ordinai loro di costruire questa Città ed il mio Palazzo; e tutti lo fecero bendisposti e volenterosi. Allora pensai, dato che il paese era così verde e bello, lo chiamerò la Città di Smeraldo; e per far sì che il nome si adattasse meglio feci indossare gli occhiali verdi a tutti, così che tutto ciò che vedevano fosse verde.”

“Ma non è tutto verde, qui?” chiese Dorothy.

“Non più che in qualunque altra città,” rispose Oz; “ma quando indossate gli occhiali verdi, naturalmente tutto quel che vedete vi sembrerà verde. La Città di Smeraldo è stata costruita molti, molti anni fa, perché ero giovane quando l'aerostato mi ha portato qui ed ora sono un uomo molto anziano. Ma la mia gente ha portato gli occhiali vetri verdi sugli occhi così a lungo che la maggior parte di loro pensano che davvero è una Città di Smeraldo, e certamente è un bel posto, abbondante in gioielli e metalli preziosi ed in ogni buona cosa che è necessaria a rendere qualcuno felice. Sono stato buono con la gente, e gli piaccio; ma da quando questo Palazzo è stato costruito, mi ci sono chiuso dentro e non ho più visto nessuno di loro.

“Uno dei miei timori più grandi erano le Streghe, dato che, mentre io non ho mai avuto alcun potere magico, presto scoprii che le Streghe erano realmente in grado di fare cose meravigliose. C'erano quattro di loro in questo paese, e governavano la gente che vive nel Nord e Sud ed Est ed Ovest. Fortunatamente, le Streghe del Nord e del Sud erano buone, e sapevo che non avrebbero fatto alcun danno; ma le Streghe dell'Est e dell'Ovest erano terribilmente cattive, e se non avessero creduto che fossi più potente di loro, certamente mi avrebbero distrutto. Così, ho vissuto nella mortale paura di loro per molti anni; così potete immaginare che piacere mi fece sapere che la vostra casa era caduta sulla Strega Cattiva dell'Est. Quando siete venuti da me, ero disposto a promettere qualsiasi cosa se voi aveste eliminato l'altra Strega; ma, ora che l'avete dissolta, mi vergogno di dire che non posso mantenere le mie promesse.”

“Penso che siate un uomo molto cattivo,” disse Dorothy.

“Oh, no, mia cara; sono davvero un uomo molto buono, ma sono un mago molto cattivo, devo ammetterlo.”

“Non potete darmi un cervello?” chiese lo Spaventapasseri.

“Non ne avete bisogno. State imparando qualcosa ogni giorno. Un bambino ha il cervello, ma non conosce granché. L'esperienza soltanto è ciò che porta alla conoscenza e più a lungo siete sulla terra più esperienza siete certo di ottenere."

“Tutto questo può essere vero,” disse lo Spaventapasseri, "ma sarò molto infelice se non mi date un cervello.”

Il falso mago lo guardò attentamente.

“Bene,” disse con un sospiro, “non sono un granché come mago, come ho detto; ma se verrete domani mattina da me, vi riempirò la testa con un cervello. Non posso dirvi come usarlo, tuttavia; dovrete scoprirlo da solo.”

“Oh, grazie – grazie!” gridò lo Spaventapasseri. "troverò il modo di usarlo, non temete!”

“E il mio coraggio?” chiese il Leone con ansia.

“Ne avete in abbondanza, ne sono certo,” rispose Oz. “Tutto quello di cui avete bisogno è la fiducia in voi stesso. Non c'è cosa vivente che non sia impaurita quando affronta il pericolo. Il Vero coraggio sta nell'affrontare il pericolo quando siete impauriti e di quel genere di coraggio ne avete in abbondanza.”

“Forse, ma sono spaventato lo stesso,” disse il Leone. “Davvero sarò molto infelice a meno che mi diate la specie di coraggio che fa dimenticare di essere impaurito.”

“Molto bene, vi darò quel tipo di coraggio domani,” rispose Oz.

“E il mio cuore?” chiese l'Uomo di Latta.

“Per quanto riguarda quello,” rispose Oz, “penso che sbagliate a desiderare un cuore. Rende la maggior parte della gente infelice. Se lo volete sapere, siete fortunato a non avere un cuore.”

“Dev'essere una questione di opinioni,” disse l'Uomo di Latta. “Per parte mia, sopporterò tutta l'infelicità senza un brontolio, se mi darete un cuore.”

“Molto bene,” rispose dolcemente Oz. “Venite domani da me e vi darò un cuore. Ho giocato al mago per tanti anni che posso pure continuare la parte un po' più a lungo."

“Ed ora,” disse Dorothy, “come posso ritornare nel Kansas?”

“Dovremo pensarci,” rispose il piccolo uomo. “Dammi due o tre giorni per considerare il problema e proverò a trovare il modo di trasportarvi oltre il deserto. Nel frattempo voi tutti sarete trattati come miei ospiti e mentre vivete a Palazzo la mia gente vi seguirà ed obbedirà ogni vostro minimo desiderio. C'è soltanto una cosa che vi chiedo in cambio del mio aiuto – così com'è. Dovete mantenere il mio segreto e non dire a nessuno che sono un impostore.”

Acconsentirono a non dire niente di ciò che avevano appreso e tornarono alle loro stanze di ottimo umore. Anche Dorothy nutriva la speranza che “il Grande e Terribile Impostore,” come lo chiamava, avrebbe trovato la maniera di rimandarla indietro nel Kansas, e se lo avesse fatto era disposta a perdonargli tutto.