Wednesday, May 13, 2009

I “postumi della sbronza”

La “disfida” tra il campione keynesiano, il professor Krugman, e la teoria austriaca rappresentata dal professor Murphy continua (vedi le puntate precedenti: 1, 2, 3, 4), e ci riserva sempre nuove sorprese. In questo episodio, il Premio Nobel tenta un uno-due su disoccupazione e bolla immobiliare, ma Murphy prima schiva in scioltezza, poi sfrutta da vero virtuoso delle arti marziali la stessa spinta del colpo di Krugman per mandarlo al tappeto.

Ora, non per togliere meriti alle capacità di Murphy, ma devo dire che il suo avversario comincia ad apparire piuttosto “groggy” nei suoi maldestri tentativi. Ho l'impressione che il suo sia un classico caso di cattiva allocazione di risorse: non sembrerebbe tanto fuori posto, infatti, e così poco produttivo, in qualche campo di patate o in una miniera di carbone.
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Di Robert P. Murphy


In un recente dibattito, il prominente professore e blogger e keynesiano Brad DeLong ha affermato che la spiegazione austriaca del ciclo economico “non funziona come impresa intellettuale.” [1]

DeLong cita Paul Krugman che, lo scorso dicembre, a quanto pare definì la diagnosi austriaca una sconfitta schiacciante sia su base teorica che su base empirica.

Nel presente articolo, rimetterò le cose a posto. La critica teorica di Krugman alla (come la chiama con disprezzo) “teoria dei postumi della sbornia” sulle recessioni è sciocca, e anche la sua prova empirica è scadente. Una volta stabilita una prova più adeguata, la teoria dei “postumi della sbornia” – ovvero, la spiegazione di Mises-Hayek – la supera con estrema facilità.

La doppia critica di Krugman alla “teoria dei postumi della sbornia”

Nel suo popolare blog sul New York Times, lo scorso dicembre, Krugman ha deplorato l'idiozia dei suoi colleghi. Non può credere che John Cochrane abbia detto qualcosa di così (si presume) insensato:
“La recessione dovrebbe esserci,” ha detto Cochrane in novembre, parlando a studenti ed investitori in una sala per conferenze affacciata sul lago Michigan. “La gente che passa la vita martellando chiodi in Nevada deve fare qualcosa d'altro.”
In risposta a tale (apparente) assurdità, Krugman offre in primo luogo un'obiezione teorica:
L'idea di base è che una recessione, persino una depressione, sia in qualche modo una cosa necessaria, parte del processo di “adeguamento della struttura della produzione.” Dobbiamo spostare quella gente che martellava chiodi in Nevada in altri posti ed impieghi, ed è per questo che, negli stati della bolla immobiliare, la disoccupazione per un po' dev'essere alta.

Il problema di questa teoria, come ho precisato tempo fa, è doppio:
1. Non spiega perché non c'è disoccupazione di massa quando le bolle si gonfiano così come quando si contraggono – perché non abbiamo avuto bisogno dell'alta disoccupazione altrove per far entrare quella gente nel commercio del martellamento-di-chiodi-in-Nevada?
Prima di occuparsi della seconda obiezione (empirica) di Krugman, occupiamoci di questa obiezione teorica.

Non si può comprendere la teoria austriaca del ciclo economico (ABCT) se non si è compreso innanzitutto la versione austriaca della struttura capitale dell'economia. In questo articolo, ho mostrato come Krugman fosse semplicemente incapace di afferrare l'ABCT perché difetta di un modello di capitale sufficientemente profondo. Per quei neofiti che non avessero familiarità con l'ABCT, li incoraggio fortemente a leggere la più completa discussione nell'articolo hyperlinkato.

Per i nostri scopi qui, un breve riepilogo della discussione: in un'economia di mercato, i prezzi in realtà servono una funzione; i prezzi di mercato non sono semplici accessori di rapporti di sfruttamento e di potere, ma piuttosto segnalano la scarsità reale di fondo, e aiutano tutti i partecipanti in un'economia ad aggiustare i loro piani alla luce della realtà. Anche i tassi d'interesse su vari prestiti significano qualcosa; non sono arbitrari.

In particolare, il tasso d'interesse del mercato coordina le attività “intertemporali” (ovvero, attraverso il tempo) di investitori, aziende e consumatori. Se i consumatori diventano più orientati al futuro e vogliono ridurre il consumo a breve termine per avere di più negli anni a venire, ciò che accade nel mercato libero è che l'aumentato risparmio spinge giù i tassi d'interesse, che a loro volta segnalano agli imprenditori di prendere in prestito di più e investire in progetti più lunghi. Così le risorse (come lavoro, petrolio, acciaio e tempo macchina) vengono dirottate dai beni presenti, come le TV e le automobili sportive, e le risorse liberate si trasferiscono nel capitale o nei beni d'investimento come i trattori e le navi da carico.

Ora, quando la Federal Reserve riduce artificialmente i tassi d'interesse sotto il loro livello di mercato, trasmette un falso messaggio agli imprenditori. Le ditte cominciano a espandersi come se i consumatori avessero aumentato il loro risparmio, quando in effetti i consumatori l'hanno ridotto (a causa dei tassi d'interesse più bassi). Le aziende che producono beni durevoli, come le fornaci, le navi da carico e, sì, le case, si troveranno in un boom degli affari, perché questi settori rispondono positivamente ai bassi tassi d'interesse.

Dall'altro lato, altri settori non hanno bisogno di contrarsi, perché (diversamente dal caso di un vero risparmio) nessuno sta riducendo i consumi. Questo è precisamente perché il boom indotto dalla Fed è insostenibile: le risorse reali non sono state liberate dai settori di consumo per rifornire l'espansione dei settori capitali. Dato che le economie moderne sono molto complesse, la sciarada può continuare per alcuni anni, che vedranno gli imprenditori viaggiare con il vento in poppa e “consumare il capitale” (in altre parole, posporre i necessari rinnovamenti e manutenzione dei macchinari) mentre sia gli investimenti che i beni di consumo continueranno a correre sempre più veloci. Ma la musica alla fine si spegne, dal momento che (dopo tutto) stampando biglietti di carta verdi la Fed non rende davvero più ricco un paese. Quando la Fed “taglia i tassi d'interesse” in realtà non sta creando più capitale che le aziende possono prendere in prestito; sta invece distorcendo il segnale che il tasso d'interesse del mercato stava cercando di trasportare.

Così, in questo contesto, il Premio Nobel Krugman è confuso. Quando la Fed comincia a scaricare mucchi di soldi appena stampati in settori particolari dell'economia, perché questo promuove un periodo di prosperità – per quanto illusorio e temporaneo possa essere? Perché invece la pioggia di soldi non provoca il licenziamento di milioni di persone?

Ammetto che mi sento imbarazzato anche solo esprimendo la domanda in questi termini, ma andate a rileggere il post nel blog di Krugman; è quello che chiede. La risposta, naturalmente, è che le aziende munite dei dollari appena stampati della Fed devono attrarre i lavoratori dai loro impieghi originali nella struttura di produzione. Ovviamente, questo processo non conduce alla disoccupazione di massa. I lavoratori hanno rinunciato volontariamente ai loro impieghi originali perché la massa monetaria gonfiata ha permesso ad alcune ditte di offrir loro stipendi più alti. L'iniezione di nuova moneta della Fed non ha ancora distorto l'intera economia e così non c'è ragione per cui altre aziende si debbano trovare improvvisamente in difficoltà e debbano licenziare i lavoratori all'inizio del boom artificiale.

Al contrario, una volta che la bolla è scoppiata, molte ditte realizzano di aver intrapreso progetti insostenibili. Devono licenziare i loro operai. La disoccupazione sale, e solo allorché i lavoratori, riluttanti, accettano stipendi più bassi possono essere reintegrati nell'economia. In media, i lavoratori guadagnano di meno durante il periodo della crisi che al momento del boom. Questo perché paghe e stipendi del periodo del boom erano esagerazioni dei veri “fondamentali” della produttività del lavoratore, ed anche perché i fondamentali stessi sono stati danneggiati dallo spreco di capitale durante il periodo del boom.

In breve, i lavoratori non sono in media altrettanto produttivi economicamente durante la recessione perché l'intera struttura della produzione è stata mandata fuori registro dalle iniezioni di soldi allegri della Fed. Per i lavoratori è molto più difficile cambiare lavoro accettando un taglio di stipendio che lasciare il lavoro per prenderne uno migliore che paga di più.

Questa è la semplice spiegazione del perché durante il boom indotto dalla Fed abbiamo una disoccupazione bassa, mentre nell'inevitabile crisi abbiamo una disoccupazione alta.

La bolla immobiliare non ha niente a che fare con la perdita di posti di lavoro?!

Dopo la sua obiezione teorica, Krugman si affida ai dati per sollevare una seconda obiezione alla “teoria dei postumi della sbornia”:
2. Non spiega perché le recessioni riducono [l'occupazione] in generale, non solo nelle industrie gonfiate da una bolla.
Un fatto notevole, su cui ho già scritto, è che l'attuale crollo sta interessando alcuni stati non coinvolti nella bolla immobiliare come o più severamente degli epicentri della bolla. Ecco una pratica tabella dal BLS, che allinea gli stati secondo l'aumento della disoccupazione nel corso dell'anno scorso. La disoccupazione è salita dappertutto. E mentre i centri della bolla, Florida e California, sono ai primi posti, così anche la Georgia, l'Alabama e le due Carolina.
Questo è piuttosto sorprendente, non è vero? Dimenticate la teoria austriaca; qui Krugman sta dicendo che lo scoppio della bolla immobiliare non contribuisce a spiegare l'inizio della recessione! Ma non vi preoccupate, non state impazzendo: l'analisi di Krugman è difettosa.

Innanzitutto, notate che la tabella di BLS linkata da Krugman esamina la variazione annua (per stato) della disoccupazione dal dicembre 2007 al dicembre 2008. Ora, è davvero un buon metro per giudicare se lo scoppio della bolla immobiliare ha avuto qualcosa a che fare con la recessione? Dopo tutto, la bolla era bella che scoppiata prima del dicembre 2007. Così se i “teorici dei postumi della sbornia” hanno ragione, vi aspettereste un collegamento fra il balzo nella disoccupazione e il crollo dei prezzi degli immobili tanto più debole quanto più vi allontanereste dallo scoppio della bolla.

In risposta ad una mail da un amico all'università, ho deciso di verificare il rapporto in una finestra temporale che fissa più precisamente lo scoppio della bolla immobiliare. L'OFHEO [ora FHFA, Ndt] ha i dati trimestrali sui prezzi degli immobili per stato; ho selezionato come punto massimo della bolla il secondo trimestre del 2006.

Poi ho selezionato come altra variabile la variazione (in termini di cambiamento di punto assoluto, non di percentuali delle percentuali) nella disoccupazione dal giugno 2006 al dicembre 2008, che è disponibile (comunque non in una forma molto pratica) sul sito del BLS.

Armato di questi dati, ho ordinato gli stati secondo questi due criteri, ed ho cercato i 10 peggiori casi in entrambe le classifiche. Cioè ho osservato la lista dei 10 stati che avevano sperimentato il maggior declino percentuale nei prezzi delle case dal secondo trimestre del 2006, poi ho osservato la lista dei 10 stati che avevano sperimentato il più grande balzo nel tasso di disoccupazione dal giugno 2006 al dicembre 2008. Le posizioni dalla settima alla decima nelle due liste non combaciavano, ma guardate le 6 peggiori posizioni in entrambe le liste:

Ordine degli stati per aumento di punto nel tasso di disoccupazione, giugno 2006 - dicembre 2008
  1. Rhode Island (+4.9)
  2. Florida (+4.8)
  3. Nevada (+4.8)
  4. California (+4.4)
  5. North Carolina (+3.9)
  6. Michigan (+3.8)
Ordine degli stati per calo percentuale nell'indice OFHEO dei prezzi degli immobili, 2Q 2006 - 4Q 2008
  1. California, -27%
  2. Nevada, -26%
  3. Florida, -22%
  4. Arizona, -16%
  5. Rhode Island, -11%
  6. Michigan, -11%
Notate che North Carolina ed Arizona sono gli unici che non combaciano. Sembra una correlazione molto forte (secondo come inquadriamo il problema, le probabilità che tale corrispondenza avvenga per caso sono da qualche parte tra 1 su 8.400 e circa 1 su 350.000).

Conclusione

Brad DeLong e Paul Krugman continuano a farsi beffe della spiegazione austriaca per il ciclo economico, ma il loro scherno è basato sul loro carente modello di struttura capitale dell'economia. Inoltre, i rapidi argomenti empirici di Krugman risultano sostenere, ad un controllo più accurato, la posizione austriaca. Purtroppo, dato che DeLong e Krugman hanno così fondamentalmente mal diagnosticato il problema, le loro “soluzioni” sono una ricetta per ulteriori disastri.
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Note

[1] Il dibattito di DeLong contro Michele Boldrin su UC Davis è disponibile qui. La discussione di DeLong's sull'asse (come la chiama lui) "Marx-Hoover-Hayek” della teoria del ciclo economico si può trovare al minuto 10:00 del video.

4 comments:

Thomas Morton said...

Ehi, adesso ho capito il punto molto meglio dell'altra volta, con la storia dei pesci e delle barche.

Paxtibi said...

Forse perché stai cominciando ad afferrare la logica... anche se, in effetti, questo è un articolo breve ma particolarmente efficace.

Anonymous said...

http://www.ecolcity.it/cms/crisi-economica-2009-2010-2011-2012-2020-prepariamoci-a-diventare-poveri-2#comment-371

Anonymous said...

Non si possono avere "mini città ecologiche" del futuro, in quanto la mini-città è foriera di discriminazione.