Sunday, February 28, 2010

Clima di terrore

Documentario in 5 parti. Piccola domanda polemica: son più di dieci anni che ci spacciano – a carissimo prezzo – questa robaccia. Dov'erano i cosiddetti “debunker,” in tutto questo tempo?

Friday, February 26, 2010

Intervista a Lew Rockwell

Presi nel vortice della decomposizione del sistema centralizzato capita di perdersi d'animo, di non riusicre a vedere vie d'uscita. Il Leviatano sembra essere più forte che mai, ormai intrecciato in ogni attività umana, portatore di sofferenza e morte.

È allora davvero rinfrancante leggere le parole di Lew Rockwell in questa intervista per Daily Bell, e condividere la sua passione refrattaria a qualsiasi disperazione, la sua fiducia nei giovani, nelle idee e nella libertà.

Gli imperi passano e muoiono, la libertà è per sempre.
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Introduzione: Lew Rockwell è uno dei principali sostenitori del moderno movimento del mercato libero e un importante fautore del rinascimento dell'economia austriaca in America ed all'estero. Rockwell è stato l'editore di Ludwig von Mises negli anni 60 e successivamente ha lavorato come capo dello staff del membro del Congresso Ron Paul. È fondatore del Mises Institute di Auburn in Alabama e del blog di successo LewRockwell.com. Insieme, queste entità sono fra i siti internet sul libero mercato più frequentati nel mondo.

Daily Bell: Avete condotto quasi da solo una rivoluzione nel pensiero che ha cambiato il mondo. Che sensazioni vi dà?

Rockwell: Be', grazie, ma non è così che funzionano le idee. Senza donatori, facoltà, studenti, collaboratori, mezzi di distribuzione e divisione del lavoro, siamo tutti soltanto degli scribacchini isolati. Questo è sempre stato vero, dal mondo antico ad oggi. Ci piace dire che una persona può fare la differenza, ma è vero solo in parte. Tutte le forme di produzione, comprese quelle nel mondo delle idee, richiedono tutta la cooperazione possibile. Ed anche se stavamo facendo grandi progressi prima del 1995, l'avvento dei media digitali ha fatto una grande differenza proprio perché ha ampliato drammaticamente le opportunità di comunicare e cooperare.

Daily Bell: Potete far conoscere ai nostri lettori la profondità e l'ampiezza delle organizzazioni di servizi che avete fondato – in particolare sulla rete?

Rockwell: Ho fondato il Mises Institute nel 1982 per garantire che l'influenza di Mises e degli altri economisti austriaci potesse crescere. Oggi Mises.org è il più grande sito no-profit di economia sul pianeta, ed è un potente centro educativo ed editoriale. Ho fondato LewRockwell.com nel 1999, innanzitutto perché avevo una gran quantità di informazioni da condividere e mi ero stancato di usare le liste mail. Pensai che avrei potuto anche postare ciò che trovavo interessante, in ogni campo, su un sito pubblico. Oggi, è il sito libertario più letto della rete.

Daily Bell: Avevate mai sognato di poter raggiungere questo livello di successo?

Rockwell: Né io né nessuno dei miei mentori, come Rothbard, o di coloro che mi influenzarono, come Mises, avremmo potuto immaginare una cosa simile. Naturalmente, il raggiungere le menti è tutta una questione di libertà. La posizione base del mondo è il dispotismo. Nella realtà delle cose, la libertà è un'eccezione. A rendere l'eccezione possibile è il lavoro ideologico, ovvero la diffusione delle idee con ogni mezzo possibile.

Daily Bell: Attribuite parte del successo a vostro padre. Potete dire ai nostri lettori qualcosa su questo uomo unico?

Rockwell: Era un chirurgo e un uomo dal carattere forte, un uomo all'antica di quel genere che è difficile da trovare. Non si lamentava, non piagnucolava quando le cose non andavano come voleva lui. Era incredibilmente arguto ed amava la libertà nel senso in cui l'amavano gli uomini dell'Illuminismo: non credeva che lo stato potesse far qualcosa meglio di come ciascuno può farlo da sé. Era un uomo della Old Right che disprezzava FDR, nella cui guerra intenzionale venne ucciso il mio fratello più grande, e ammirava Robert Taft, specialmente a causa della sua politica estera non-interventista. Mio padre lavorò duro fino all'ultimo istante in cui poté farlo. Così dovremmo far tutti.

Daily Bell: Potete fornirci una breve storia di come è nato il vostro interesse per il libero mercato e di come avete deciso di farne il lavoro della vostra vita?

Rockwell: Come con la maggior parte delle persone, cominciò osservando qualcosa di profondamente sbagliato nella cognizione comune, che fin dalla scuola elementare sembrava presumere che i saggi padroni nelle alte sfere avessero maggiore conoscenza di chiunque altro e che per questo motivo dovessero avere autorità su tutto e tutti. Questa supposizione pareva difettare di prova empirica, per quel che potevo vedere. Scoprii la letteratura della libertà nascosta nelle biblioteche e mi resi conto che la verità era una cosa che avrei sempre dovuto scavare per trovarla. Non mi sarebbe stata offerta dai giornalisti, dai politici, né dai luminari delle istituzioni accademiche. Quando scoprii quel che era vero, non potei evitare di agire in base ad esso, e parlarne ad altri. Niente di più complicato.

Daily Bell: La scomparsa dello stato è la conseguenza logica dell'economia austriaca?

Rockwell: Mises non la pensava così; e nemmeno Hazlitt. Sudha Shenoy sostiene che di tutti coloro che hanno esaminato la possibilità di una società senza stato in quella generazione, Hayek fu quello che si avvicinò di più a comprendere il temperamento anarchico. Comunque, l'uomo che ha fatto la vera differenza nella scuola austriaca in questo senso è stato Rothbard. È stato lui a spingere l'apparato teorico “oltre il limite,” per così dire. Oggi è difficile che un moderno austriaco non sia un anarchico. Questo grazie anche a rothbardiani come Walter Block, Hans-Hermann Hoppe e David Gordon, naturalmente. Un tempo Rothbard era denunciato per i suoi punti di vista, per aver, dicevano, marginalizzato la scuola. Ora, naturalmente, il suo anarchismo è forse la maggior parte dell'eredità che ha lasciato al mondo. Attrae molto i giovani, diversamente dello statalismo degli economisti di regime.

Daily Bell: È ragionevole credere che lo stato possa un giorno appassire o la realtà ci insegna che il meglio che si può fare è limitarne il potere?

Rockwell: Per me, è come chiedere se possiamo immaginare una società senza furti ed omicidi. Forse non accadrà mai, ma dobbiamo avere l'ideale in mente oppure non ci avvicineremo mai ad esso. Senza l'ideale, si ferma il progresso. In qualche misura, allora, chiedersi se alla fine la realtà vi si conformerà non è la domanda cruciale. Ciò che conta è se quello che immaginiamo possa e debba esistere. Mi piace immaginare una società senza aggressione legalmente sanzionata contro la persona e la proprietà.

Daily Bell: Vi preoccupa il fatto che le vostre organizzazioni possano subire attacchi pesanti con il progredire del movimento per il mercato libero?

Rockwell: No, non mi preoccupo di questo. D'altra parte, per i radicali è del tutto normale essere sottoposti ad attacchi da ogni lato, quindi non mi sorprenderebbe.

Daily Bell: Torniamo indietro nel tempo. Avete fondato Imprimis. Eravate amareggiato quando ve ne andaste?

Rockwell: Per niente! Ammiravo e ammiro ancora George Roche. Ma il mio lavoro a Hillsdale era finito e sono andato oltre.

Daily Bell: Quando avete deciso di fondare il Mises Institute? Fu quando vi alleaste con il famoso economista austriaco Murray Rothbard?

Rockwell: Ero stato editore di Mises alle edizioni Arlington House, verso la fine degli anni 60. Dopo la sua morte nel 1973, mi apparve sempre più chiaro che nessuna idea in questo mondo ha una probabilità di successo senza un'infrastruttura di supporto. I misesiani non l'avevano nelle università né nei think-tank. Mises stesso affrontò il problema della mancanza di supporto lasciando l'Austria e muovendosi verso un meraviglioso istituto a Ginevra. Io volevo fondare un istituto negli Stati Uniti che potesse essere un santuario per il libero pensiero nella tradizione misesiana. Innanzitutto mi avvicinai alla sua vedova, Margit von Mises, che mi dette la sua benedizione ed acconsentì ad essere il nostro primo presidente. Allora chiesi a Murray, che avevo allora conosciuto, di guidare i nostri affari di studio. Ne fu entusiasta anche lui. Era un alleato naturale non solo perché era il più grande allievo di Mises, ma anche perché veniva evitato perché troppo estremo, troppo radicale, non sufficientemente disposto a partecipare al gioco – proprio come lo era stato Mises. Prendo molto seriamente il suo esempio e la fiducia che ha riposto in me rendendomi il suo esecutore. In molti sensi, è stato la forza critica dietro al nostro sviluppo ed al nostro successo. Il suo spirito ancora li circonda oggi.

Daily Bell: Cosa penserebbe Rothbard di ciò che è successo? Sarebbe sorpreso?

Rockwell: Be', soprattutto sarebbe eccitato. Ma si ricordi che è stato il più grande ottimista per la libertà. Era pieno di speranza e odiava la disperazione. E questa non era solo un atteggiamento. Era vera speranza radicata nella ferma convinzione che se avessimo fatto la cosa giusta, avremmo potuto fare la differenza. In questo senso, non penso che si sarebbe sorpreso vedendo che abbiamo più richieste di ammissione di quelle che possiamo accettare, che sempre più studiosi ci cercano, che i nostri programmi di affiliazione vadano esauriti, che i nostri file audio vengono scaricati da milioni, che i nostri libri vendano più velocemente di quanto riusciamo a stamparli, e tutto il resto.

Daily Bell: C'è stata una risurrezione del randismo. Siete sorpreso? L'approvate?

Rockwell: La incontrai ed ascoltai le sue conferenze, e ne rimasi sempre impressionato. Ricordate che quando uscì La Rivolta di Atlante, sia Mises che Rothbard scrissero delle appassionate recensioni. I suoi romanzi sono profondamente efficaci nel promuovere il messaggio capitalista e tutto ciò è un bene. Ma ci sono alcuni errori cruciali. Non penso che abbia capito completamente la natura cooperativa dell'ordine sociale capitalista, per esempio. Aveva meno riguardo per il consumatore che per il capitalista ed a tale riguardo aveva ragione soltanto a metà. Ma generalmente se i suoi libri possono liberare la gente da miti contro la libera economia, è un grande risultato.

Daily Bell: Potete fare ai nostri lettori una breve descrizione di Antiwar.com e, nel caso, di come è collegato alle vostre imprese?

Rockwell: Direi che AWC è specializzato in un aspetto del pensiero rothbardiano. Ma anche se è un parente ideologico di LRC e di Mises.org, non c'è un rapporto diretto. I figli di Rothbard sono ovunque, naturalmente. Una ragione è il modo speciale che aveva di comunicare con la gente. Parlava a lungo con chiunque circa i suoi precipui interessi intellettuali. Se amavate le notizie, vi parlava di notizie. Se amavate la storia delle idee, vi parlava della storia delle idee. Se eravate dedito alla partizione del Belgio, vi parlava di questa causa. Aveva una personalità e un intelletto giganteschi. Nessuna inclinazione o interesse o causa possono riassumere la sua vita.

Daily Bell: Come sta andando la raccolta di fondi? È diminuita con la crisi finanziaria?

Rockwell: Per niente. Se mai, la gente è ancor più dedicata all'ideale della libertà ed alla propagazione della verità. Le idee austriache stanno ottenendo tanta attenzione come mai prima, come conseguenza di una crisi spiegata così bene dal paradigma austriaco.

Daily Bell: Vedete un aumento constante nella gente che vuole finanziare gli sforzi a sostegno del libero mercato?

Rockwell: Anche qui vediamo un grande progresso.

Daily Bell: Qual è il futuro del movimento per la libertà di Ron Paul dal vostro punto di vista?

Rockwell: Una cosa è chiara: il movimento di Paul ha fatto una differenza enorme nell'avvicinare la gente alle idee libertarie. In qualche modo, c'è un elemento tragico nel fatto che serva la politica per risvegliare la gente. L'ideale sarebbe che le persone scoprissero le idee della libertà per altre vie. Ron Paul è d'accordo con questa osservazione, tra l'altro. Lui si vede prima di tutto come educatore. Ha scelto la politica perché, per lui, era un percorso efficace per il suo obiettivo più grande e importante. E che lavoro straordinario ha fatto, nei suoi scritti e discorsi e con il suo esempio per quasi quattro decadi. Ha portato alla luce un gran numero di persone. Quello è sempre stato il suo sogno. Dovrei aggiungere che suo sostegno nei primi tempi è stato molto importante per il successo dell'istituto. Siamo onorati di averlo come nostro Consigliere Distinto.

Daily Bell: Le vostre organizzazioni educative saranno in futuro più coinvolte nell'azione politica oppure no?

Rockwell: Direi di no. A meno di essere Ron Paul, la politica è un affare pericoloso, ed è una tentazione a dire e fare cose da pazzi. Il successo è effimero, mentre noi siamo qui per il lungo termine.

Daily Bell: Come va la diffusione del movimento per il mercato libero all'estero?

Rockwell: A meraviglia. L'austro-libertarismo è paragonabile al marxismo nell'estensione della sua diffusione internazionale. Tutto ciò è molto emozionante. La libertà dell'uomo è un desiderio universale, quindi è naturale che non possa esserci un movimento libertario che non sia davvero internazionale.

Daily Bell: Sperate che questa crescita continuerà al passo tenuto nel decennio passato?

Rockwell: Il futuro è sempre incerto, ma abbiamo gli strumenti, l'energia e le idee. Solo negli ultimi anni, abbiamo ristampato virtualmente tutto dalle biblioteche libertarie ed austriache. I nostri download sono immensi, in particolare fra i giovani. Se voleste predire il futuro, guardate alle idee dei giovani e vi avvicinerete a trovarlo. In questo senso, sono sicuro che il nostro movimento continuerà a crescere molto a lungo dopo la mia vita.

Daily Bell: Avete notato un aumento della resistenza ai vostri sforzi da parte degli enti governativi organizzati?

Rockwell: Si sentono delle voci, ma niente è sicuro. Il governo attualmente ha molti nemici e i soliti problemi burocratici nell'affrontarli tutti.

Daily Bell: Cosa succederà al governo degli Stati Uniti ed alla sua struttura di potere alleata? Pensiamo che stiano perdendo credibilità ed influenza.

Rockwell: Sì, e confrontate gli attuali sentimenti antigovernativi a come erano le cose subito dopo il 9/11/01, un enorme fallimento dello stato che lo stato ha usato per promuovere sé stesso. Oggi vediamo la crescita dei sentimenti anti-statalisti, ritornati ai livelli degli anni 90. Ma questo è il problema. La sinistra odia alcuni aspetti dello stato e ne ama altri. La destra è la sua immagine speculare. Il lavoro del libertario è di convincere entrambi gli schieramenti a vedere che gli altri hanno ragione a metà. Pensate ai Tea Parties, ad esempio. Le folle ruggiscono la loro disapprovazione per il socialismo proprio mentre applaudono le invasioni militari socialiste.

Daily Bell: È possibile restituire gli Stati Uniti ad una forma di governo più repubblicana? Si può abrogare la storia?

Rockwell: La nostra è la storia di una nazione radicalmente decentralizzata e questa memoria non si è volatilizzata del tutto. Potrebbe essere che il percorso verso la libertà negli Stati Uniti passi per la secessione. E guardo al Nullification Handbook di Tom Wood di prossima pubblicazione. O la decentralizzazione potrebbe essere de facto con sempre più persone che scoprono i mezzi per secedere individualmente da settori specifici dello statalismo: usando valute alternative, istruendo in casa i loro bambini, leggendo i media alternativi, aggirando il complesso industrial-farmaceutico, iniziando un'attività in nero, fumando qualsiasi sostanza vogliano, o rifiutando di tornare ad una missione militare. La ribellione può prendere molte forme. Dobbiamo imparare ad accoglierle tutte favorevolmente.

Daily Bell: Pensate che vedrete l'oro fare concorrenza al dollaro come valuta nel corso della vostra vita?

Rockwell: La tecnologia permette questa cosa come mai prima. L'oro non scomparirà, mentre la vita del dollaro è limitata.

Daily Bell: Vi aspettate una revisione della Fed?

Rockwell: Potrebbe accadere, comunque come nota Ron Paul, la trasparenza è soltanto un passo verso quello che dev'essere lo scopo finale: la fine della banca centrale.

Daily Bell: Cosa pensate della teoria di Ellen Brown secondo cui lo stato ha storicamente creato la moneta e che le banche, compresa la Fed, dovrebbe essere nazionalizzata ed guidata dal “governo del popolo.” Alcuni dicono che la supervisione che Ron Paul vuole che il congresso abbia sulla Fed è in qualche modo un'approvazione della posizione browniana.

Rockwell: Non la conosco molto, ma la Fed è la banca centrale del governo, la legge di revisione non dà potere monetario ad altre parti del governo, e le banche sono già in combutta con il regime. Ecco perché abbiamo una Fed e la riserva frazionaria è ufficialmente permessa.

Daily Bell: Sappiamo bene che Ron Paul vuole una parità aurea ed in un mondo perfetto la fine della Fed. Potete riaffermare questa posizione per i nostri lettori?

Rockwell: Sì, benché non voglia un monopolio per nessuna cosa, nemmeno per l'oro. Vuole che la moneta sia radicata nell'esperienza del mercato. Non è così complicato.

Daily Bell: Abbiamo notato quello che noi pensiamo essere un ammorbidimento della posizione istituzionale per quanto riguarda la parità aurea – e la possibilità che le libere attività bancarie siano anch'esse un'opzione considerata. È questa un'osservazione corretta della posizione delle vostre organizzazioni?

Rockwell: Non direi che abbiamo una posizione ufficiale. Ci sono molti modi per muoversi verso la moneta di mercato e le attività bancarie non-inflazionarie. Non vorrei mai chiudermi nessuna possibile via. Un problema con il programma misesiano per la parità aurea è che conta sull'idea che le persone in carica facciano la cosa giusta. Questa è un'idea affascinante, all'antica, ma non penso che possa funzionare nel nostro tempo. Dobbiamo essere aperti alla possibilità che la riforma non arrivi mai dal vertice.

Daily Bell: Siete favorevole ad uno standard privato oro-argento o la parità aurea è sempre preferibile?

Rockwell: Sono assolutamente per la concorrenza fra metalli. Ma un vero standard è sempre privato e lascia sempre spazio per valute concorrenti.

Daily Bell: Una delle questioni più difficili da risolvere dal punto di vista del mercato è la proprietà intellettuale. Potete dire ai nostri lettori la vostra posizione su questo difficile tema? In un mercato libero, gli individui potrebbero rivendicare e far rispettare i diritti di proprietà intellettuale con qualche prospettiva di successo?

Rockwell: Rothbard ha condannato i brevetti ma non il copyright. Mises e Machlup vedevano i brevetti come concessioni governative di monopolio, ma nessuno di loro li ha condannati completamente. Hayek era contro il copyright ed i brevetti, ma non ne ha scritto molto. Sono stati i media digitali a portare la questione al centro dell'attenzione. Il pensatore chiave qui è Stephan Kinsella. Lui e Jeffrey Tucker hanno fatto il lavoro pesante ed hanno convinto la maggior parte di noi che la proprietà intellettuale è un artificio che non ha posto in un'economia di mercato. Ci sono implicazioni incredibili in questa presa di coscienza. La riproducibilità infinita delle idee significa che abbiamo molte probabilità di successo. Il fatto che le idee non sono merci limitate significa che non devono essere controllate. Questa è una cosa meravigliosa. C'è molto lavoro da fare in questo campo. L'intera storia dell'invenzione ha bisogno di essere rivista e la nostra teoria dei mercati deve tenere migliore conto del ruolo centrale dell'emulazione nel progresso sociale.

Daily Bell: Pensate che il complesso militar-industriale negli Stati Uniti verrà gradualmente eroso con l'accrescersi della forza del movimento per il libero mercato, o la struttura del potere è determinata a mantenere l'impero?

Rockwell: Deve erodersi. L'impero è follemente sovradimensionato. Ad un certo punto, faremo la fine della Gran-Bretagna e di Roma. Possiamo solo sperare che gli Stati Uniti seguano questo percorso con saggezza e non per disperazione.

Daily Bell: Dove volete arrivare? Avete altri cambiamenti organizzativi in programma? Espansioni?

Rockwell: Ci sono espansioni giornalmente. Stiamo assistendo a cose meravigliose, cose che sono più grandi di qualsiasi cosa che abbiamo fatto. Ma non voglio rovinare la sorpresa.

Daily Bell: Qual è il vostro futuro personalmente? Su quali attività intellettuali avete rivolto la vostra attenzione?

Rockwell: Voglio continuare a lavorare, particolarmente sul mio sito e continuare ad allargare i confini delle idee e della tecnologia. Non penso mai di andare in pensione, e nessuno dovrebbe farlo. C'è troppo lavoro da fare.

Daily Bell: Potete suggerire ai nostri lettori quali pubblicazioni ed informazioni cercare sui vostri siti – dove cominciare?

Rockwell: Cominciamo sempre con le nostre passioni, quali che siano. Non ci sono due persone uguali. A questo servono i motori di ricerca. Ma lasciatemi dire che ad un certo punto, tutti dovrebbero aspirare ad essere un serio allievo di Mises e di Rothbard. Non c'è formazione completa senza di loro.

Daily Bell: Se i lettori desiderano imparare di più sulle vostre organizzazioni, qual è il punto di partenza più facile? È possibile per chiunque assistere ai seminari di Mises, ecc?

Rockwell: I siti sono un grande posto per cominciare, ma naturalmente amiamo far venire nuova gente ai nostri congressi. Stiamo lavorando per creare più occasioni per questo.

Daily Bell: Dove suggerireste di andare ad un giovane per l'istruzione superiore negli Stati Uniti?

Rockwell: Intendete per la formazione o l'università? Non sempre coincidono. Oggi potete ottenere una buona formazione online. Per i titoli universitari, suggerirei l'investimento meno caro. Ma ricordate che il costo opportunità dell'educazione scolastica è molto alto. Dopo quattro – sei anni in un istituto universitario, una persona può scoprire di non avere alcuna abilità. Questo è il modo peggiore di entrare nel mondo del lavoro.

Daily Bell: Grazie per il vostro tempo e per la vostra analisi.

Rockwell: Grazie a voi.

Thursday, February 25, 2010

Le misure della secessione

Riporto questo ottimo articolo di Kirkpatrick Sale (inviagli una mail), studioso, direttore del Middlebury Institute e autore di Secession is in the air (tradotto da Micaela Marri per il sito www.comedonchisciotte.org).

Un pezzo che merita di essere diffuso il più possibile.
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Di Kirkpatrick Sale


Più grande è lo stato, più sono i disastri economici e le vittime militari, è la legge della grandezza del governo.

Sì, Aristotele ha dichiarato che ci doveva essere un limite alla grandezza di uno stato: “un limite, come c’è per le altre cose, piante, animali, strumenti; perché nessuno di questi conserva la propria capacità naturale quando è troppo grande…, ma rimarrà interamente privo della propria natura, o si troverà in cattive condizioni”, così ha detto. Ma che diamine ne sapeva veramente? Ha vissuto in un’epoca in cui l’intera popolazione mondiale arrivava a circa 50 milioni di persone – pressappoco la grandezza dell’Inghilterra oggi – la popolazione delle città stato dove si parlava greco, che non erano unite in una nazione, potrà essere stata in tutto 8 milioni, ed Atene, dove viveva, considerata una grande città, avrebbe avuto meno di 100 000 abitanti. Limiti? Non poteva nemmeno immaginare un mondo (il nostro) con una popolazione di 6,8 miliardi, una nazione (la Cina) con 1,3 miliardi di abitanti, né una città (Tokyo) con 36 milioni di abitanti. In che modo ci può aiutare?

Innanzitutto sapeva che esistono dei limiti: “l’esperienza insegna che una città molto popolosa può raramente essere ben governata; dato che tutte le città che hanno fama di essere governate bene hanno un limite di popolazione. E questo è provato anche da un ragionamento convincente: poiché la legge è ordine, e la buona legge è buon ordine; ma un numero troppo smisurato non può avere ordine”. E non conta se quella città ha 1 milione o 36 milioni di abitanti – le entità politiche di tali dimensioni non potrebbero certamente essere democratiche in alcun senso, non potrebbero possibilmente funzionare in alcun modo che si avvicini all’efficienza, e potrebbero esistere solo con grandi sperequazioni di ricchezza e benessere materiale.

In secondo luogo, sapeva che gli esseri umani hanno un cervello di dimensioni e capacità di comprensione limitate, e che metterli in aggregazione non li rende più intelligenti – come ha detto un altro filosofo, Lemuel Gulliver, “la ragione non aumenta con la massa corporea”. C’è una scala umana per la politica umana, definita dalla natura dell’uomo, che funziona bene solamente in quelle aggregazioni che non solleciti e sovraccarichi troppo il … molto capace e ingegnoso ma limitato cervello umano, né la capacità umana.

Quindi le unità politiche, diceva Aristotele – pensava principalmente a città, non conoscendo le nazioni – ma anche se potessimo allargare tali unità con l’esperienza di altri 2000 anni fino ad unità più grandi come le nazioni, devono essere limitate: limitate dalla natura umana e dall’esperienza umana. Ed è con quella massima di Aristotele che adesso possiamo iniziare a contemplare quale dimensione di uno stato nel mondo odierno rappresenterebbe la grandezza ideale, o diciamo la grandezza ottimale, con questi due criteri di primaria importanza: “sufficiente”, citando Aristotele, “per una buona vita nella comunità politica” – che sarebbe una qualche forma di democrazia – e “il massimo numero che è sufficiente per gli scopi di una vita agiata” – che sarebbe l’efficienza. Democrazia ed efficienza.

E sentite – questa non è una di quelle futili ricerche filosofiche. È, o potrebbe essere, il fondamento di una seria riorganizzazione del nostro mondo politico, e di una riorganizzazione che il processo di secessione – in effetti, che solo il processo di secessione, per come la vedo io – potrebbe darci. Abbiamo prove in abbondanza che uno stato di 305 milioni di abitanti è ingovernabile – uno studioso ha detto a un quotidiano la scorsa domenica che siamo al quarto decennio dell’inabilità del Congresso di approvare il benché minimo provvedimento di utilità sociale. Gonfiato e corrotto oltre la sua abilità di affrontare, né tantomeno di risolvere, nessuno dei problemi come un impero che ha creato, è un palese fallimento. Allora dobbiamo chiederci cosa potrebbe sostituirlo, quali [dovrebbero essere] le dimensioni? La risposta, come sarà chiaro, sono stati indipendenti, ovvero le nazioni d’America.

Diamo innanzitutto uno sguardo ai numeri del mondo reale delle nazioni dei nostri giorni per farci un’idea delle dimensioni della popolazione che funzionano veramente.

Di tutte le entità politiche mondiali – ce ne sono 223, contando anche le isole indipendenti più piccole – 45 sono al di sotto dei 250 000 abitanti, 67 sotto 1 milione, 108 sotto i 5 milioni; in effetti il 50 per cento delle nazioni sono sotto i 5,5 milioni, ed un netto 58 per cento sono più piccole della popolazione della Svizzera di 7,7 milioni (Wikipedia: popolazioni mondiali in ordine di grandezza). Da questo si evince che è ovvio che la maggior parte dei paesi nel mondo funzionano con popolazioni relativamente piccole. E guardando alle nazioni che sono modelli riconosciuti di governo, ce ne sono otto persino sotto i 500 000 abitanti – il Lussemburgo, Malta, l’Islanda, le Barbados, l’Andorra, il Liechtenstein, il principato di Monaco e la repubblica di San Marino – e l’esempio dell’Islanda, con il parlamento più vecchio d’Europa e modello incontestato di democrazia (lasciando da parte i suoi problemi bancari), suggerisce che 319 000 abitanti sarebbero più che sufficienti. Salendo un po’ con le dimensioni, ci sono altri nove modelli di buon governo sotto i 5 milioni di abitanti, compresi Singapore, la Norvegia, la Costa Rica, l’Irlanda, la Nuova Zelanda, l’Estonia, il Lussemburgo e Malta.

Adesso diamo uno sguardo alle dimensioni delle nazioni più prospere in ordine di prodotto interno lordo (Wikipedia: elenco dei paesi per pil, CIA Factbook). (Tra parentesi, lasciatemi dire che mi rendo conto che il PIL è una misura cruda ed acritica della crescita economica, e riflette tutti i tipi di crescita, molti non desiderabili, ma fintantoché avremo nazioni dedite ad economie “steady state”, questo è il miglior modo per misurare la prestazione economica). Diciotto dei 20 maggiori paesi in ordine di PIL (un totale di 27 paesi a causa di situazioni di parità) sono piccoli, sotto i 5 milioni di abitanti, e tutti tranne uno dei primi dieci sono sotto i 5 milioni (sono gli Stati Uniti, al decimo posto, e gli altri sono, in ordine, il Liechtenstein, il Qatar, il Lussemburgo, le Bermuda, la Norvegia, il Kuwait, il Jersey, Singapore e il Sultanato del Brunei); la grandezza media di questi nove è di 1,9 milioni di abitanti. La grandezza media delle 27 nazioni più grandi, Stati Uniti esclusi, è di 5,1 milioni di abitanti. Si inizia a capire come stanno le cose.

Prendiamo un altro parametro – la libertà, come viene classificata da tre diversi siti, Freedom House, il Wall Street Journal, e il The Economist, usando misure delle libertà civili, elezioni aperte, media liberi, e via dicendo. Dei 14 stati ritenuti i più liberi al mondo, nove (il 64 per cento) hanno una popolazione minore di quella della Svizzera di 7,7 milioni, 11 minore di quella della Svezia di 9,3 milioni, e gli unici stati di una certa grandezza sono il Canada, il Regno Unito e la Germania, la più grande, con 8,1 milioni di abitanti.

C’è un’altra misura della libertà pubblicata da Freedom House, che classifica tutte le nazioni del mondo secondo i diritti politici e le libertà civili, e ci sono solo 46 nazioni con un punteggio perfetto. Di queste 46, la maggior parte hanno una popolazione sotto i 5 milioni, e per l’appunto 17 hanno una popolazione persino sotto il milione. Questo in sé è sbalorditivo. E solo 14 delle 46 nazioni libere superano i 7,5 milioni. Ad esclusione degli Stati Uniti, la cui reputazione per la libertà è del tutto smentita dall’incarcerazione di 2,3 milioni di persone, il 25 per cento dei detenuti nel mondo, ed escludendo il Regno Unito, la Spagna e la Polonia, la popolazione media degli stati liberi del mondo è di circa 5 milioni.

Lasciatemi infine prendere in esame altre classifiche nazionali: Alfabetizzazione: dei 44 paesi che sostengono di avere una percentuale di alfabetizzazione pari al 99 per cento o maggiore, (dico sostengono, dato che è difficile verificarlo), solo 15 sono grandi, 29 (il 66 per cento) dei 44 sono sotto i 7,5 milioni. Sanità: misurata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, 12 dei primi 20 paesi sono sotto i 7 milioni di abitanti, nessuno supera i 65 milioni. In una classifica della felicità e del tenore di vita secondo il sociologo Steven Hales, le nazioni in testa sono la Norvegia, l’Islanda, la Svezia, i Paesi Bassi, l’Australia, il Lussemburgo, la Svizzera, il Canada, l’Irlanda, la Danimarca, l’Austria e la Finlandia, tutti tranne il Canada e l’Australia sono paesi piccoli. Ed un “indice di società sostenibile” creato da due studiosi l’anno scorso, che tiene conto di fattori ambientali ed ecologici, classifica solo i paesi più piccoli tra i primi 10 – in ordine sono Svezia, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Austria, Islanda, Vietnam, Georgia, Nuova Zelanda e Latvia.

In sostanza – la mia idea è chiara e semplice. Una nazione può essere non solo possibile e sostenibile a livelli di popolazione abbastanza bassi, un modello di governo efficiente e più o meno democratico, ma può in effetti fornire tutte le qualità necessarie ad una vita superiore. Per l’appunto, le cifre sembrano suggerire che, seppure sia possibile prosperare a dimensioni sotto il milione di abitanti, esiste una grandezza più o meno ottimale per uno stato riuscito, ossia tra i 3 e i 5 milioni di abitanti.

Adesso diamo una rapida scorta alla grandezza geografica delle nazioni prospere. Molte nazioni sono sorprendentemente piccole – sottolineando il fatto, spesso non notato dai critici della secessione, che una nazione non deve essere autosufficiente per funzionare bene nel mondo moderno. Infatti ci sono 85 entità politiche, delle 223 contate dall’ONU, che sono più piccole di 16 000 chilometri quadrati – ossia la grandezza del Vermont o anche più piccole – e comprendono Israele, El Salvador, le Bahamas, il Qatar, il Libano, il Lussemburgo, Singapore e l’Andorra.

E se torniamo a quella misura di forza economica che è il prodotto interno lordo pro capite, le nazioni piccole dimostrano di essere decisamente vantaggiose: delle prime 20 nazioni nella classifica (27 in totale incluse quelle pari merito), tutte tranne otto sono piccole per territorio, meno di 56000 chilometri quadrati, la media globale (grande come il South Carolina) e due di quelle otto includono la Norvegia e la Svezia, tecnicamente grandi, ma che escluse le loro aree settentrionali deserte, sono effettivamente piccole; in altre parole il 77 per cento delle nazioni prospere sono piccole. E la maggior parte di queste sono davvero piuttosto piccole, meno di 16000 chilometri quadrati (Liechtenstein, Qatar, Lussemburgo, Bermuda, Kuwait, Jersey, Singapore, Brunei, Guernsey, Isole Cayman, Hong Kong, San Marino, Isole Vergini Britanniche e Gibilterra).

Tutto questo è prova certa che le nazioni economicamente coronate da successo non devono necessariamente essere grandi in quanto a dimensioni geografiche, e anzi, questo è il punto importante: è molto indicativo che la grandezza possa essere in effetti un ostacolo. Il motivo di ciò è che i costi di amministrazione, distribuzione, trasporto e di simili operazioni ovviamente devono crescere, forse esponenzialmente, con l’aumento delle dimensioni geografiche. Anche il controllo e la comunicazione diventano più difficili da gestire sulle lunghe distanze, spesso fino al punto che autorità e governo centrali diventano quasi impossibili, e mentre le linee e i segnali diventano più complessi, l’abilità di gestire efficientemente diminuisce fortemente.

Piccolo, ammettiamolo, non è solo bello ma vuol dire anche ricchezza.

[Una volta capita questa importante idea, ne può derivare un ulteriore argomento logico: che in molti casi una nazione piccola potrebbe desiderare di suddividersi ulteriormente per sfruttare il vantaggio di aree più piccole per funzioni economiche più efficienti. Questo potrebbe comportare una secessione vera e propria, in alcuni luoghi dove porterebbe semplicemente un buon vantaggio economico – e in altri posti dove avrebbe anche vantaggi politici e culturali. Ma potrebbe anche prendere la forma di una “devolution” economica e politica, in cui si concedono autonomia e potere ad aree più piccole senza una vera e propria secessione, un po’ secondo il modello svizzero].

In effetti, voglio proporre, considerando queste cifre ed ancor più considerando la storia del mondo, che c’è una Legge di Grandezza del Governo, che dice: la miseria sociale ed economica aumenta proporzionalmente alla grandezza e al potere del governo centrale di una nazione.

Nel verificare questa legge – la legge di Sale, come mi piace chiamarla – alla luce della storia, lasciatemi iniziare con lo studio giustificabilmente classico della civilizzazione dell’uomo di Arnold Toynbee, la cui conclusione primaria è che il penultimo stadio di qualunque società, che conduce direttamente al suo finale stadio di crollo è “la sua forzata unificazione politica in uno stato centralizzato”, e cita come esempi gli imperi romano, ottomano, bengalese e mongolo, e lo Shogunato Tokugawa, ed infine gli imperi spagnolo, britannico, francese e portoghese. Il consolidamento delle nazioni in imperi potenti porta, non a periodi felici di pace e prosperità e al progresso del miglioramento umano, ma ad un aumento delle restrizioni, alla guerra, all’autocrazia, l’affollamento, la riduzione in miseria, le sperequazioni, la povertà e la fame.

La ragione di tutto questo non è un mistero. Mentre il governo cresce, allarga sia il suo potere burocratico sugli affari interni che il suo potere militare sugli affari esteri. Si deve trovare il denaro per tale espansione, e questo arriva o sotto forma di tassazione, che porta all’aumento dei prezzi ed infine all’inflazione – un risultato che Micawber definirebbe miseria sociale – o [proviene] dalla stampa di nuove banconote, che porta lo stesso a prezzi più alti e all’inflazione – il risultato, ancora, è la miseria sociale. Si crede inoltre che la ricchezza provenga dalla conquista e dalla colonizzazione, dall’aumento dei saccheggi attraverso la guerra, ma si paga con l’imposizione di un maggiore controllo da parte del governo e del reclutamento militare in patria (“la guerra è la salute degli stati” come avrebbe detto Randolph Bourne), con più violenza, spargimenti di sangue e miseria per il proprio esercito e per i propri civili e per le forze di opposizione all’estero. Risultato: miseria economica e sociale. Ho trattato approfonditamente questo argomento nel mio libro Human Scale (disponibile su richiesta dalla New Catalist Books), ma lasciatemene dare giusto una versione riassuntiva qui, concentrandoci sull’Europa. Ci sono stati quattro maggiori periodi di grande consolidamento ed espansione statale nell’ultimo millennio:

1. Dal 1150 al 1300 d.C., con l’instaurarsi delle dinastie reali che hanno rimpiazzato le baronie medievali e le città stato in Inghilterra, Aquitania, Sicilia, Aragona e Castiglia, portando come risultato un’inflazione rampante di quasi il 400 per cento e guerre quasi ininterrotte, con l’aumento dei caduti in battaglia da qualche centinaia a più di quasi un milione.

2. Dal 1525 al 1650, con il consolidamento del potere nazionale attraverso eserciti permanenti, tassazione regia, banche centrali, burocrazie civili, e religioni di stato, si è visto un tasso di inflazione di oltre il 700 per cento in soli 125 anni ed un aumento delle guerre senza precedenti, un’intensità bellica sette volte maggiore di quanto l’Europa avesse mai visto prima, l’aumento delle morti in guerra fino a forse 8 milioni, forse 5 milioni di caduti solo durante la Guerra dei Trent’anni.

3. Dal 1775 al 1815, il periodo del governo dello stato moderno in gran parte d’Europa, comprese le forze di polizia nazionali, gli eserciti di coscritti, il potere statale centralizzato in stile napoleonico, c’è stato un tasso d’inflazione di oltre il 250 per cento in soli 40 anni, nel 1815 è stato il più alto in assoluto fino a quello degli anni ’20, e i caduti di guerra hanno raggiunto i 15 milioni (forse 5 milioni nelle guerre napoleoniche) in quel breve periodo.

Infine, nel quarto periodo, dal 1910 al 1970, familiare a noi tutti, tutte le nazioni europee si sono consolidate ed hanno ampliato il loro potere, conosciuto in molti luoghi come totalitarismo (seppure conosciuto negli USA come libertà e democrazia – pur avendo avuto tutte le componenti del totalitarismo – potere centrale consolidato, banca nazionale, imposta sul reddito, polizia nazionale, reclutamento, presidenza imperiale), avendo come risultato la peggior depressione della storia e un’inflazione del 1400 per cento, e certamente le due guerre più devastanti di tutta la storia dell’umanità, avendo contribuito alla morte di 100 milioni di persone o più.

Conclusione inevitabile: più grande è lo stato, più sono i disastri economici e le vittime militari. La legge della grandezza del governo.

Adesso che abbiamo stabilito la virtù dell’essere piccolo in tutto il mondo, applichiamo questi numeri agli Stati Uniti e vediamo cosa ci dicono.

Dei 50 stati, appena più della metà (29) sono al di sotto dei 5 milioni di abitanti. La metà della popolazione vive in 40 stati che hanno in media 3,7 milioni di abitanti; l’altra metà è nei 10 stati più grandi. Ci sono 10 stati ed una colonia nella classe che va dai 3 ai 5 milioni di abitanti, che, suggerirei, sarebbero candidati ideali per una secessione – Iowa, Connecticut, Oklahoma, Oregon, Porto Rico, Kentucky, Louisiana, South Carolina, Alabama, Colorado, e Mississippi – altri 13 stati tra 1 e 3 milioni di abitanti - Montana, Rhode Island, Hawaii, New Hampshire, Maine, Idaho, Nebraska, West Virginia, New Mexico, Nevada, Utah, Kansas, ed Arkansas – ed altri otto stati sotto il milione di abitanti ma più grandi dell’Islanda, compreso l’amato Vermont. In altre parole, 30 degli stati (insieme al Porto Rico) rientrano in una categoria dove stati di simili dimensioni nel resto del mondo avrebbero prodotto nazioni indipendenti riuscite. Questi sono i candidati a una secessione di successo.

Aggiungiamoci le lezioni imparate dalle dimensioni geografiche. Abbiamo già visto che 84 aree politiche nel mondo sono più piccole del Vermont, il penultimo stato americano in ordine di grandezza. Ora vediamo come gli stati si rapportano alle cifre mondiali. La dimensione media dell’area di uno stato americano è di circa 93 000 chilometri quadrati – 25 stati sono più piccoli, 25 più grandi. Se tutti quelli al di sotto di 93 000 fossero indipendenti, sarebbero come altre 79 nazioni nel mondo, tra cui Grecia, Nicaragua, Islanda, Ungheria, Portogallo, Austria, Repubblica Ceca, Irlanda, Sri Lanka, Danimarca, Svizzera, Paesi Bassi e Taiwan. In altre parole, la grandezza non è in alcun modo di intralcio al successo del funzionamento delle nazioni nel mondo – e, come ho suggerito, le piccole dimensioni sembrano appunto essere una virtù.

Non devono necessariamente importare solo la popolazione o le dimensioni geografiche – un fattore importante di coesione sociale, infrastruttura sviluppata, identità storica e affini – ma quello certamente mi sembra il punto più logico da cui iniziare, quando si considerano stati possibili. E dato che l’esperienza del mondo ha dimostrato – per l’appunto, di volta in volta nella formazione delle nazioni a partire dal XIX secolo – che le entità nella fascia dai 3 ai 5 milioni di abitanti possono essere l’optimum per governabilità e l’efficienza, ed alcuni nella fascia da 1 milione a 7 milioni, è così che si deve iniziare a valutare gli stati per il loro potenziale di secessione e per le loro possibilità di successo nazionale.

Spero che tutto questo esame aristotelico non venga considerato come un mero esercizio accademico, anche se ci è voluto un bel po’ di esercizio, vi assicuro, [per scriverlo]. Credo che stabilisca qualcosa alla maniera di un impeto propellente per quegli Americani che capiscono che il loro governo nazionale (ossimoro non intenzionale) è rotto e non può essere riparato (ce n’erano un 70 per cento in un sondaggio nazionale non tanto tempo fa), e che si rendono conto che l’unica maniera di ridare energia alla politica americana e ricreare la vibrante collezione di democrazie, che si era figurata la generazione dei fondatori nel XVIII secolo, è quella di creare stati veramente sovrani attraverso una secessione pacifica, popolare e potente.

Lasciatemi sottolineare questa conclusione: l’unica speranza è la secessione.

Copyright © 2010 Middlebury Institute

Wednesday, February 24, 2010

Tuesday, February 23, 2010

Riflessioni su un'intervista del generale Stanley McChrystal

In Afghanistan, la democrazia continua a piovere allegramente dal cielo sulle teste delle reticenti popolazioni autoctone, mentre sulle nostre grandina impietosa la retorica guerriera e imperialista della giusta guerra, passpartout di ogni potere costituito che sulla morte e sulla disperazione costruisce le sue fortune programmando al contempo la propria fine.

A noi non resta che assistere stupefatti al suicidio della civiltà, ringraziando il cielo per la penna di Fred Reed.
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Di Fred Reed


Ossignore. Ossignore. Non posso farcela. Qualcuno mi porti un drink.

Recentemente ho visto un'intervista con il generale McChrystal, capo macellaio della Forza d'Impianto della Democrazia in Afghanistan del Pentagono. Il generale spiegava i progressi della nostra vittoria. Sì, della vittoria. Stiamo facendo progressi. È solo una questione di tempo. Egli vede la luce in fondo al tunnel. Non ha però spiegato cosa stiamo facendo in un tunnel in primo luogo. Immagino che se ne sia dimenticato.

L'uomo era un superbo esegeta. Intelligente, magro e in forma, abbronzato – gotico americano in mimetica. Irradiava Serietà a ondate, insieme a Fermezza, Soldatesca Determinazione e, sospetto, assoluta incomprensione di quel che stava facendo. Trent'anni nei militari trasformano il più brillante ufficiale in un sempliciotto. La maggior parte ci arriva nel momento in cui diventa tenente.

Il tipo è grezzo, ho pensato. Lo hanno dissotterrato e lo hanno animato in digitale. Aveva le stesse statistiche, ha tracciato gli stessi confortanti grafici che mostrano gli stessi progressi nella pacificazione, lo stesso declino delle cose brutte e l'aumento delle cose buone. Sì, pensava, dovremmo davvero finirla di ammazzare tanti civili, e la finiremo. Aiuteremo gli afgani, non appena avremo finito di ammazzare la gran parte di essi (non ha citato la parte a proposito l'ammazzamento della gran parte di essi ma pare che ci stia lavorando). Vinceremo i loro cuori e le loro menti con salubri e caritatevoli bombardamenti (ok, non ha detto neanche questo. Ma pare che sia quel che pensa).

Buon Dio, ho pensato non troppo caritatevolmente, se questo tizio dovesse mai ammalarsi, avrà bisogno di un proctologo equino.

Così ora stiamo invadendo Marjah, una città, per costruire scuole e ospedali. Le scuole e gli ospedali si costruiscono tipicamente con l'artiglieria pesante. Non appena avremo distrutto quel posto, ci ameranno e vedranno le virtù del Metodo Americano (la prima cosa che abbiamo fatto è stata far esplodere una casa, ammazzare dodici civili incluso la quota obbligatoria di bambini. Se questa non è un'azione del tipo hearts-and-minds, non so immaginare cosa potrebbe essere. Questo resoconto l'ho letto su Antiwar.com, e lo suggerisco a tutti).

Questa strategia ha perfettamente senso, davvero. Voglio dire, se gli afgani ammazzassero il vostro pargolo, non vi farebbe venir voglia di adottare la loro forma di governo e lasciare che migliorino la vostra vita? A me sì.

Tutto ciò è così minacciosamente familiare. Westmoreland, il Fantasma del McChrystal Passato, fu anch'egli un pacificatore di villaggi. Uccidi i loro bambini, e da' loro cinquecento dollari e un lecca-lecca come compensazione. Spiega il voto. Che piano perfetto.

Datemi retta, agli ufficiali non dovrebbe essere permesso di pensare. Un emendamento costituzionale sarebbe la cosa migliore. Passano decenni immersi come bustine di tè verde in una cultura marziale priva della minima concezione di come funzioni la gente. Se volete combattere l'Armata Rossa a Fulda Gap (io non lo desidero in particolar modo) mandateci McChrystal. Senza dubbio conosce le corazze, gli elichoppers, i grossi cannoni che fanno boom. Ma per quanto riguarda il popolo, ha meno senno di quello che Dio ha dato ad un melograno. E questa è una guerra di popolo.

Dovete capire: i soldati non sono normali. Vivono in un mondo in una bolla, sigillato in basi semi-isolate con menti profondamente isolate. Le caratteristiche tipiche del comportamento umano, come il pensiero individuale e l'indipendenza mentale, qui non si applicano. Credono in Dio e nella Patria (almeno, coloro che ci rimangono dentro abbastanza a lungo da farne una politica). Sono lindi e puliti, si sentono parte di una collettivo che lavora insieme, rispettano l'autorità e credono che gli altri, come gli afgani, sarebbero più felici se solo facessero quel che viene loro detto e seguissero il programma. La nozione militare di Buono e Cattivo è rigida e molto, molto semplice. Noi siamo i buoni e i negri che non ci vogliono nel loro paese sono cattivi.

Qualcosa in tutto ciò non è così sciocco come appare, finché rimanete nelle basi. Queste ultime sono tipicamente piacevoli e ordinate, autoritarie ma non tiranniche, con piscine pubbliche e palestre e cliniche e per molti versi il genere di welfare-più-responsabilità a cui anelano i liberal. I soldati vogliono che gli afgani vivano alla stessa maniera. Non funzionerà.

Lo stile protestante da “Selezione dal Reader’s Digest” non si può trasferire a Kandahar. “Siamo qui per aiutarvi” nella maggior parte del mondo si traduce “scappa a gambe levate.” Il senso del giusto fra gli ufficiali di campo è forte. Stanno facendo il lavoro di Dio. Non passa per la loro testa – non può passare per la loro testa – che i musulmani devoti non vogliono affatto alcun cristiano nel loro paese, ancor meno dei cristiani che scardinano le loro porte e umiliano le loro donne. I colonnelli pensano che stanno cercando di estirpare il male, e che sei robotici soldati stranieri che ammanettano un uomo davanti alla sua famiglia è un piccolo prezzo da pagare per la democrazia.

Naturalmente i bulli che si occupano di scardinare odiano i locali, che si vestono in modo buffo e mangiano della strana merda e gli sparano addosso.

Ciò che McMoreland non afferra è che alla gente, semplicemente, non piace essere invasa. Sì, sì, è per il loro stesso bene. Naturalmente, siamo noi a decidere qual è il loro bene.

Tale è l'ingratitudine di questa gente e la loro mancanza di rispetto per i confini, che ci troviamo costretti a ampliare la guerra in Cambog – volevo dire, Pakistan. Il Pakistan. E così i Predator volano, Predando, ammazzando le persone sbagliate perché di quelle ce n'è di più. Che questo potrebbe produrre dell'animosità è irrilevante per i soldati. La missione è sacra. Le nostre intenzioni sono buone.

Le conseguenze di non comprendere ciò che state facendo possono essere conseguenti (è geniale o no? Lo avete letto qui per la prima volta).

È così noioso. Stiamo sempre salvando il mondo da questo o da quel terrore, di solito senza che ce l'abbiano chiesto. Recentemente un amico mi ha letto un passaggio da Robert Bork, l'intellettuale molto brillante e molto conservatore che non riuscì ad arrivare alla Corte Suprema. Parlava di quanto fosse giusta e necessaria la guerra nel Vietnam, dicendo che era cruciale per lo sforzo di fermare la diffusione del comunismo. Coloro che si opposero alla guerra semplicemente non capivano il pericolo.

Abbiamo perso la guerra. Cosa accadde? L'Unione Sovietica uscì pacificamente di scena. Le sue “repubbliche” si sono unite alla NATO o vogliono farlo. La Cina “comunista” è un importante partner commerciale. Il Vietnam, ancora comunista, ospita un grande impianto della Intel. La Cambogia è quella che è sempre stata, un piccolo posto caldo e grigio di nessuna importanza. Anche il Laos è verde e caldo e pieno di gente che ricorda i loro padri uccisi dagli americani.

Per questo abbiamo macellato milioni, abbiamo portato Pol Pot al potere per ammazzarne degli altri ed abbiamo ucciso in proporzione pochi dei nostri concittadini. Ora, se l'America vuole uccidere i suoi stessi soldati, quello è un affare dell'America. È una questione di sovranità nazionale con cui nessun altro paese dovrebbe avere il diritto di interferire. McChrystal potrebbe forse condurre una sua guerra privata da qualche parte nei deserti sud-occidentali. Sapete, McCrystal contro David Petraeus, con due divisioni ciascuno, dodici colpi o ko, nessuna mossa vietata, ma devono comprarsi le armi da soli.

E che lascino fuori gli altri.

Collective Hope #105

Monday, February 22, 2010

Friday, February 19, 2010

Taxation victim

–update 2–

“It sounds like it’s from some other person,” Samantha Dawn Bell, Stack’s daughter from his first marriage, told The Associated Press in an interview from her home in Norway. “It’s not him. The letter itself sounds like it’s coming from a different person. It didn’t sound like it came from him.”

–update –

Questo suicidio, scrive Robert Murphy sul suo blog – e io sono del tutto d'accordo – potrebbe danneggiare il Tea Party Movement più degli sproloqui della Palin. Gli obamiani vi si sono buttati come avvoltoi su una carcassa: Daily Kos titola Teabagger terrorist attack on IRS building, nell'articolo di Time Magazine compare un link ad un pezzo sul movimento, in un editoriale il Washington Post scrive che “la sua alienazione è simile a quella che vediamo negli elementi più estremi del Tea Party Movement,” e paragona Stack con il presunto bombarolo di Oklahoma City Timothy McVeigh. E tutto ciò anche se Stack non ha mai fatto parte di alcun gruppo anche solo lontanamente legato al Tea Party Movement.

Non so voi, ma io sento una gran puzza di false-flag.
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Usa, in aereo contro palazzo delle tasse: 2 i morti e 13 i feriti


AUSTIN (19 febbraio) - È salito a due morti e 13 feriti il bilancio dello schianto, intenzionale, di un piccolo aereo contro un palazzo per uffici lungo una trafficata autostrada di Austin, in Texas. Lo hanno reso noto oggi le autorità locali. «Due corpi non identificati sono stati rinvenuti fra le macerie» dell'edificio, ha detto alla France Presse Candice Wade, portavoce dell'ufficio della protezione civile di Austin, senza poter confermare che il pilota, Joseph Stack, sia fra le vittime. Altre 13 persone sono rimaste ferite, due in modo grave, nel devastante incendio provocato dall'impatto del monomotore Piper Dakota contro l'edificio di sette piani.

Il pilota, Joseph Stack, un ex ingegnere informatico di 53 anni, ha usato ieri l'aereo come un'arma piena di carburante incendiario contro il palazzo dove ha sede tra l'altro un ufficio dell'Irs, l'agenzia federale delle imposte dirette con cui l'uomo aveva un lungo contenzioso.
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Questo è il messaggio lasciato da Joseph Andrew Stack su embeddedart.com:


If you’re reading this, you’re no doubt asking yourself, “Why did this have to happen?” The simple truth is that it is complicated and has been coming for a long time. The writing process, started many months ago, was intended to be therapy in the face of the looming realization that there isn’t enough therapy in the world that can fix what is really broken. Needless to say, this rant could fill volumes with example after example if I would let it. I find the process of writing it frustrating, tedious, and probably pointless… especially given my gross inability to gracefully articulate my thoughts in light of the storm raging in my head.

Exactly what is therapeutic about that I’m not sure, but desperate times call for desperate measures. We are all taught as children that without laws there would be no society, only anarchy. Sadly, starting at early ages we in this country have been brainwashed to believe that, in return for our dedication and service, our government stands for justice for all. We are further brainwashed to believe that there is freedom in this place, and that we should be ready to lay our lives down for the noble principals represented by its founding fathers. Remember? One of these was “no taxation without representation”. I have spent the total years of my adulthood unlearning that crap from only a few years of my childhood.

These days anyone who really stands up for that principal is promptly labeled a “crackpot”, traitor and worse. While very few working people would say they haven’t had their fair share of taxes (as can I), in my lifetime I can say with a great degree of certainty that there has never been a politician cast a vote on any matter with the likes of me or my interests in mind. Nor, for that matter, are they the least bit interested in me or anything I have to say.

Why is it that a handful of thugs and plunderers can commit unthinkable atrocities (and in the case of the GM executives, for scores of years) and when it’s time for their gravy train to crash under the weight of their gluttony and overwhelming stupidity, the force of the full federal government has no difficulty coming to their aid within days if not hours? Yet at the same time, the joke we call the American medical system, including the drug and insurance companies, are murdering tens of thousands of people a year and stealing from the corpses and victims they cripple, and this country’s leaders don’t see this as important as bailing out a few of their vile, rich cronies. Yet, the political “representatives” (thieves, liars, and self-serving scumbags is far more accurate) have endless time to sit around for year after year and debate the state of the “terrible health care problem”.

It’s clear they see no crisis as long as the dead people don’t get in the way of their corporate profits rolling in. And justice? You’ve got to be kidding! How can any rational individual explain that white elephant conundrum in the middle of our tax system and, indeed, our entire legal system? Here we have a system that is, by far, too complicated for the brightest of the master scholars to understand. Yet, it mercilessly “holds accountable” its victims, claiming that they’re responsible for fully complying with laws not even the experts understand. The law “requires” a signature on the bottom of a tax filing; yet no one can say truthfully that they understand what they are signing; if that’s not “duress” than what is. If this is not the measure of a totalitarian regime, nothing is.

How did I get here? My introduction to the real American nightmare starts back in the early ‘80s. Unfortunately after more than 16 years of school, somewhere along the line I picked up the absurd, pompous notion that I could read and understand plain English.

Some friends introduced me to a group of people who were having ‘tax code’ readings and discussions. In particular, zeroed in on a section relating to the wonderful “exemptions” that make institutions like the vulgar, corrupt Catholic Church so incredibly wealthy. We carefully studied the law (with the help of some of the “best”, high-paid, experienced tax lawyers in the business), and then began to do exactly what the “big boys” were doing (except that we weren’t steeling from our congregation or lying to the government about our massive profits in the name of God). We took a great deal of care to make it all visible, following all of the rules, exactly the way the law said it was to be done.

The intent of this exercise and our efforts was to bring about a much-needed re-evaluation of the laws that allow the monsters of organized religion to make such a mockery of people who earn an honest living. However, this is where I learned that there are two “interpretations” for every law; one for the very rich, and one for the rest of us… Oh, and the monsters are the very ones making and enforcing the laws; the inquisition is still alive and well today in this country.

That little lesson in patriotism cost me $40,000+, 10 years of my life, and set my retirement plans back to 0. It made me realize for the first time that I live in a country with an ideology that is based on a total and complete lie. It also made me realize, not only how naive I had been, but also the incredible stupidity of the American public; that they buy, hook, line, and sinker, the crap about their “freedom”… and that they continue to do so with eyes closed in the face of overwhelming evidence and all that keeps happening in front of them.

Before even having to make a shaky recovery from the sting of the first lesson on what justice really means in this country (around 1984 after making my way through engineering school and still another five years of “paying my dues”), I felt I finally had to take a chance of launching my dream of becoming an independent engineer.

On the subjects of engineers and dreams of independence, I should digress somewhat to say that I’m sure that I inherited the fascination for creative problem solving from my father. I realized this at a very young age. The significance of independence, however, came much later during my early years of college; at the age of 18 or 19 when I was living on my own as student in an apartment in Harrisburg, Pennsylvania.

My neighbor was an elderly retired woman (80+ seemed ancient to me at that age) who was the widowed wife of a retired steel worker. Her husband had worked all his life in the steel mills of central Pennsylvania with promises from big business and the union that, for his 30 years of service, he would have a pension and medical care to look forward to in his retirement. Instead he was one of the thousands who got nothing because the incompetent mill management and corrupt union (not to mention the government) raided their pension funds and stole their retirement. All she had was social security to live on. In retrospect, the situation was laughable because here I was living on peanut butter and bread (or Ritz crackers when I could afford to splurge) for months at a time. When I got to know this poor figure and heard her story I felt worse for her plight than for my own (I, after all, I thought I had everything to in front of me).

I was genuinely appalled at one point, as we exchanged stories and commiserated with each other over our situations, when she in her grandmotherly fashion tried to convince me that I would be “healthier” eating cat food (like her) rather than trying to get all my substance from peanut butter and bread. I couldn’t quite go there, but the impression was made. I decided that I didn’t trust big business to take care of me, and that I would take responsibility for my own future and myself.

Return to the early ‘80s, and here I was off to a terrifying start as a ‘wet-behind-the-ears’ contract software engineer… and two years later, thanks to the fine backroom, midnight effort by the sleazy executives of Arthur Andersen (the very same folks who later brought us Enron and other such calamities) and an equally sleazy New York Senator (Patrick Moynihan), we saw the passage of 1986 tax reform act with its section 1706. For you who are unfamiliar, here is the core text of the IRS Section 1706, defining the treatment of workers (such as contract engineers) for tax purposes.

Visit this link for a conference committee report (http://www.synergistech.com/1706.shtml#ConferenceCommitteeReport) regarding the intended interpretation of Section 1706 and the relevant parts of Section 530, as amended. For information on how these laws affect technical services workers and their clients, read our discussion here (http://www.synergistech.com/ic-taxlaw.shtml).

SEC. 1706. TREATMENT OF CERTAIN TECHNICAL PERSONNEL.

(a) IN GENERAL – Section 530 of the Revenue Act of 1978 is amended by adding at the end thereof the following new subsection:

(d) EXCEPTION. – This section shall not apply in the case of an individual who pursuant to an arrangement between the taxpayer and another person, provides services for such other person as an engineer, designer, drafter, computer programmer, systems analyst, or other similarly skilled worker engaged in a similar line of work.

(b) EFFECTIVE DATE. – The amendment made by this section shall apply to remuneration paid and services rendered after December 31, 1986.

Note:

· “another person” is the client in the traditional job-shop relationship.

· “taxpayer” is the recruiter, broker, agency, or job shop.

· “individual”, “employee”, or “worker” is you.

Admittedly, you need to read the treatment to understand what it is saying but it’s not very complicated. The bottom line is that they may as well have put my name right in the text of section (d). Moreover, they could only have been more blunt if they would have came out and directly declared me a criminal and non-citizen slave. Twenty years later, I still can’t believe my eyes. During 1987, I spent close to $5000 of my ‘pocket change’, and at least 1000 hours of my time writing, printing, and mailing to any senator, congressman, governor, or slug that might listen; none did, and they universally treated me as if I was wasting their time. I spent countless hours on the L.A. freeways driving to meetings and any and all of the disorganized professional groups who were attempting to mount a campaign against this atrocity.

This, only to discover that our efforts were being easily derailed by a few moles from the brokers who were just beginning to enjoy the windfall from the new declaration of their “freedom”. Oh, and don’t forget, for all of the time I was spending on this, I was loosing income that I couldn’t bill clients. After months of struggling it had clearly gotten to be a futile exercise. The best we could get for all of our trouble is a pronouncement from an IRS mouthpiece that they weren’t going to enforce that provision (read harass engineers and scientists). This immediately proved to be a lie, and the mere existence of the regulation began to have its impact on my bottom line; this, of course, was the intended effect.

Again, rewind my retirement plans back to 0 and shift them into idle. If I had any sense, I clearly should have left abandoned engineering and never looked back. Instead I got busy working 100-hour workweeks. Then came the L.A. depression of the early 1990s. Our leaders decided that they didn’t need the all of those extra Air Force bases they had in Southern California, so they were closed; just like that. The result was economic devastation in the region that rivaled the widely publicized Texas S&L fiasco. However, because the government caused it, no one gave a shit about all of the young families who lost their homes or street after street of boarded up houses abandoned to the wealthy loan companies who received government funds to “shore up” their windfall. Again, I lost my retirement.

Years later, after weathering a divorce and the constant struggle trying to build some momentum with my business, I find myself once again beginning to finally pick up some speed. Then came the .COM bust and the 911 nightmare. Our leaders decided that all aircraft were grounded for what seemed like an eternity; and long after that, ‘special’ facilities like San Francisco were on security alert for months.

This made access to my customers prohibitively expensive. Ironically, after what they had done the Government came to the aid of the airlines with billions of our tax dollars … as usual they left me to rot and die while they bailed out their rich, incompetent cronies WITH MY MONEY! After these events, there went my business but not quite yet all of my retirement and savings. By this time, I’m thinking that it might be good for a change. Bye to California, I’ll try Austin for a while. So I moved, only to find out that this is a place with a highly inflated sense of self-importance and where damn little real engineering work is done. I’ve never experienced such a hard time finding work.

The rates are 1/3 of what I was earning before the crash, because pay rates here are fixed by the three or four large companies in the area who are in collusion to drive down prices and wages… and this happens because the justice department is all on the take and doesn’t give a fuck about serving anyone or anything but themselves and their rich buddies. To survive, I was forced to cannibalize my savings and retirement, the last of which was a small IRA. This came in a year with mammoth expenses and not a single dollar of income. I filed no return that year thinking that because I didn’t have any income there was no need.

The sleazy government decided that they disagreed. But they didn’t notify me in time for me to launch a legal objection so when I attempted to get a protest filed with the court I was told I was no longer entitled to due process because the time to file ran out. Bend over for another $10,000 helping of justice. So now we come to the present. After my experience with the CPA world, following the business crash I swore that I’d never enter another accountant’s office again. But here I am with a new marriage and a boatload of undocumented income, not to mention an expensive new business asset, a piano, which I had no idea how to handle.

After considerable thought I decided that it would be irresponsible NOT to get professional help; a very big mistake. When we received the forms back I was very optimistic that they were in order. I had taken all of the years information to Bill Ross, and he came back with results very similar to what I was expecting. Except that he had neglected to include the contents of Sheryl’s unreported income; $12,700 worth of it. To make matters worse, Ross knew all along this was missing and I didn’t have a clue until he pointed it out in the middle of the audit. By that time it had become brutally evident that he was representing himself and not me.

This left me stuck in the middle of this disaster trying to defend transactions that have no relationship to anything tax-related (at least the tax-related transactions were poorly documented).

Things I never knew anything about and things my wife had no clue would ever matter to anyone. The end result is… well, just look around. I remember reading about the stock market crash before the “great” depression and how there were wealthy bankers and businessmen jumping out of windows when they realized they screwed up and lost everything. Isn’t it ironic how far we’ve come in 60 years in this country that they now know how to fix that little economic problem; they just steal from the middle class (who doesn’t have any say in it, elections are a joke) to cover their asses and it’s “business-as-usual”.

Now when the wealthy fuck up, the poor get to die for the mistakes… isn’t that a clever, tidy solution. As government agencies go, the FAA is often justifiably referred to as a tombstone agency, though they are hardly alone. The recent presidential puppet GW Bush and his cronies in their eight years certainly reinforced for all of us that this criticism rings equally true for all of the government. Nothing changes unless there is a body count (unless it is in the interest of the wealthy sows at the government trough).

In a government full of hypocrites from top to bottom, life is as cheap as their lies and their self-serving laws. I know I’m hardly the first one to decide I have had all I can stand. It has always been a myth that people have stopped dying for their freedom in this country, and it isn’t limited to the blacks, and poor immigrants. I know there have been countless before me and there are sure to be as many after. But I also know that by not adding my body to the count, I insure nothing will change. I choose to not keep looking over my shoulder at “big brother” while he strips my carcass, I choose not to ignore what is going on all around me, I choose not to pretend that business as usual won’t continue; I have just had enough.

I can only hope that the numbers quickly get too big to be white washed and ignored that the American zombies wake up and revolt; it will take nothing less.

I would only hope that by striking a nerve that stimulates the inevitable double standard, knee-jerk government reaction that results in more stupid draconian restrictions people wake up and begin to see the pompous political thugs and their mindless minions for what they are. Sadly, though I spent my entire life trying to believe it wasn’t so, but violence not only is the answer, it is the only answer.

The cruel joke is that the really big chunks of shit at the top have known this all along and have been laughing, at and using this awareness against, fools like me all along. I saw it written once that the definition of insanity is repeating the same process over and over and expecting the outcome to suddenly be different. I am finally ready to stop this insanity.

Well, Mr. Big Brother IRS man, let’s try something different; take my pound of flesh and sleep well.

The communist creed: From each according to his ability, to each according to his need.

The capitalist creed: From each according to his gullibility, to each according to his greed.

Joe Stack (1956-2010) 02/18/2010

Thursday, February 18, 2010

Il bavaglio ai complottisti

Cos'è un complottista? Semplicemente un uomo che non si accontenta delle spiegazioni del governo, un ente criminale per il quale la menzogna è pratica quotidiana, e cerca, con i mezzi a sua disposizione, una più plausibile e più realistica descrizione degli eventi.

Questo, è chiaro, non può essere accettabile per un governo, ecco quindi che enormi energie e risorse vengono spese per impedire e ostacolare questo processo di indagine individuale, per riportare tutte le pecorelle all'ovile e imporre loro lo stampo conformista e l'accettazione del dominio statale financo nelle idee.
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Di Jeff Riggenbach


Se passate molto tempo su Internet, probabilmente conoscete già chi è Cass Sunstein: un ex professore di diritto e scienza politica all'Università di Chicago, dove, negli anni 90, incontrò e divenne molto amico di un altro membro della facoltà di legge, tale Barack Obama. Attualmente, Sunstein è un professore di diritto ad Harvard, ma sta per prendere un permesso da quella posizione così da poter “servire” da coordinatore dell'Ufficio per l'Informazione e le Regole della Casa Bianca e nell'amministrazione Obama. L'Ufficio per l'Informazione e le Regole della Casa Bianca, secondo Wikipedia, “sviluppa e controlla l'attuazione di tutte le politiche governative nell'area della tecnologia dell'informazione, delle politiche sull'informazione, della segretezza e della politica statistica.”

Se passate molto tempo su Internet, probabilmente sapete anche perché Sunstein, ultimamente, sta ricevendo molta attenzione nella blogosfera: è a causa di una ricerca di cui è autore insieme al professore di diritto Adrian Vermeule di Harvard pubblicata nel gennaio 2008. La ricerca tratta delle “teorie della cospirazione.” “Una teoria della cospirazione,” secondo Sunstein e Vermeule, è “uno sforzo per spiegare un certo evento o pratica con riferimento alle macchinazioni di persone potenti, che sono inoltre riuscite a celare il loro ruolo.”

Ne forniscono alcuni esempi:
l'opinione che la CIA sia stata responsabile dell'assassinio del presidente John F. Kennedy; che dei dottori abbiano deliberatamente fabbricato il virus dell'AIDS; che l'incidente nel 1996 del volo 800 della TWA sia stato causato da un missile dell'esercito degli Stati Uniti; che la teoria del riscaldamento globale sia una frode intenzionale; che la Commissione Trilaterale sia responsabile di importanti movimenti dell'economia internazionale; che Martin Luther King, Jr., sia stato ucciso dagli agenti federali; che l'incidente aereo che ha ucciso il democratico Paul Wellstone sia stato pianificato da politici repubblicani; che l'atterraggio sulla luna sia stato una messinscena e non sia mai realmente avvenuto.

Secondo Sunstein e Vermeule, alcune teorie della cospirazione sono inoffensive. Scrivono, per esempio, che noi dovrebbero “considerare la falsa teoria della cospirazione, creduta da molti dei più giovani membri della nostra società, che un gruppo segreto di elfi, lavorando in una remota località sotto la direzione del misterioso “Babbo Natale,” fabbrichi e distribuisca i regali nella notte di Natale.” Essi suggeriscono che dovremmo “prendere in considerazione anche il Coniglietto Pasquale e la Fata dei Denti.” Il punto è, precisa, che “se i bambini credono a Babbo Natale o al Coniglietto Pasquale, non è un problema del governo; e [neanche] credere che il governo abbia tenuto nascosto l'atterraggio degli alieni a Roswell non sembra causare un danno visibile, con la possibile eccezione di qualche brutto programma televisivo.”

Ma non tutte le teorie della cospirazione sono inoffensive, dicono Sunstein e Vermeule. Alcune teorie della cospirazione arrecano grandi danni. Creano “un problema che il governo deve risolvere.” Per esempio, una teoria della cospirazione che dipinge il governo federale degli Stati Uniti come “un'organizzazione moralmente repellente” potrebbe avere “effetti perniciosi” come “l'indurre un diffuso e ingiustificabile scetticismo pubblico verso le asserzioni del governo, o… smorzare la mobilitazione o la partecipazione del pubblico agli impegni del governo, o entrambe.”

Secondo Sunstein e Vermeule, ci sono teorie della cospirazione che non solo “insidiano il dibattito democratico; in casi estremi, generano o alimentano la violenza.” Riassumendo, “alcune teorie della cospirazione creano rischi seri…. Se il governo può dissipare tali teorie, dovrebbe farlo.”

Cosa dovrebbe fare specificamente il governo secondo Sunstein e Vermeule? Dovrebbe cominciare, dicono, a riconoscere che “coloro che credono alle teorie della cospirazione lo fanno a causa di ciò che leggono e sentono.” E leggono e sentono parlare delle teorie della cospirazione perché c'è della gente che promuove tali teorie. Sunstein e Vermeule scrivono che molte teorie della cospirazione “sono create e diffuse, intenzionalmente, da imprenditori della cospirazione che traggono profitto direttamente o indirettamente dalla propagazione delle loro teorie.”

I motivi specifici di questi “imprenditori della cospirazione” variano abbastanza, secondo Sunstein e Vermeule. “Alcuni imprenditori della cospirazione sono assolutamente sinceri,” scrivono. “Altri sono interessati ai soldi o al potere, o al raggiungimento di un certo obiettivo sociale generale.” Comunque, sostengono, sono questi “imprenditori della cospirazione” che è necessario prendere di mira, indebolire e, in caso, mettere a tacere.

Da una prospettiva libertaria qui c'è già più di un problema. Ma ce n'è uno, a questo punto, che mi ha particolarmente colpito nelle argomentazioni di Vermeule e di Sunstein. Non sono almeno alcune delle cosiddette “teorie della cospirazione” semplice verità storica?

Sunstein e Vermeule lo riconoscono. Scrivono che “alcune teorie della cospirazione, sotto la nostra definizione, si sono dimostrate vere.” Ma, affermano rassicuranti, “la nostra attenzione è sulle false teorie della cospirazione, non su quelle vere. Il nostro scopo finale è di esplorare in che modo i funzionari possano smontare tali teorie e, come regola generale, i resoconti veritieri non dovrebbero essere smontati.”

“Come regola generale, i resoconti veritieri non dovrebbero essere smontati.” Ma solo come regola generale.

Ci sono probabilmente alcuni casi in cui i resoconti veritieri dovrebbero essere smontati. Ad esempio, forse quando cominciano “ad indurre… un diffuso e ingiustificabile scetticismo pubblico verso le asserzioni del governo, o… a smorzare la mobilitazione o la partecipazione del pubblico agli impegni del governo, o entrambe.” Ogni volta che cominciano a causare problemi per i poteri costituiti. Anche se facciamo come Sunstein e Vermeule dicono di fare e “accettiamo che un governo benintenzionato miri ad eliminare le teorie della cospirazione, o estrae il loro veleno, se e soltanto se il benessere sociale viene migliorato dall'agire in tal modo,” questo è un pensiero preoccupante.

Vedete, noi non sappiamo a priori quali teorie della cospirazione sono veritiere e quali non lo sono. In molti casi, non lo possiamo sapere; semplicemente, non abbiamo informazioni sufficienti.

Di solito scopriamo che una particolare teoria della cospirazione è veritiera perché gli storici – sia gli storici frettolosi che solitamente chiamiamo giornalisti o gli storici più scrupolosi che scrivono libri ed insegnano nei licei e nelle università – si sono dati da fare scavando tra i documenti, considerando le testimonianze di tutti i testimoni che hanno potuto trovare ed hanno raggiunto conclusioni rilevanti. Se una teoria della cospirazione è veritiera è solitamente una questione che la storia risolverà.

I funzionari di governo, generalmente, non sono soddisfatti di questa situazione, perché la storia è il nemico naturale dello stato. La continua riflessione a posteriori su cosa abbia fatto di preciso lo stato, e perché, ha inevitabilmente la tendenza a minare la fiducia che si potrebbe avere nelle sue buone intenzioni e nella sua volontà di promuovere il “benessere sociale.” Tende, inevitabilmente, “ad indurre… un diffuso e ingiustificabile scetticismo pubblico verso le asserzioni del governo, o… a smorzare la mobilitazione o la partecipazione del pubblico agli impegni del governo, o entrambe.”

Lo stato trae giovamento dalla scarsità di informazioni che la velocità degli eventi impone alla gente. Non può evitare del tutto la storia, naturalmente – la gente leggerà e scriverà su queste cose, qualunque cosa lo stato dica o faccia – ma lo stato può fare di tutto perché ciò che la storia finisce per scrivere racconti la storia che lo stato vuole che sia raccontata.

Albert Jay Nock sosteneva che studiare i classici da studente era di gran lunga il miglior programma educativo che un giovane potrebbe adottare, perché
la letteratura greca e romana contengono il resoconto continuo più lungo e più completo a nostra disposizione, su ciò di cui la mente umana si è occupata in praticamente ogni campo d'attività spirituale e sociale; ogni campo, penso, tranne uno: la musica. Questo resoconto copre venticinque secoli consecutivi delle operazioni della mente umana in poesia, dramma, legge, agricoltura, filosofia, architettura, storia naturale, filologia, retorica, astronomia, politica, medicina, teologia, geografia, tutto. Quindi la mente che ha attentamente studiato tale resoconto non è solo una mente disciplinata ma una mente con esperienza; una mente che istintivamente osserva ogni fenomeno contemporaneo dal vantaggioso punto di vista di una prospettiva immensamente lunga ottenuta con questa profonda ed autorevole esperienza nelle azioni dello spirito umano.
Qualcosa di simile si può dire dello studio dei classici della tradizione libertaria, anche se la stragrande maggioranza delle opere di questa tradizione non è più antica che di pochi secoli. Ciò nonostante, la mente che ha studiato attentamente la storia delle opere libertarie e della scrittura protolibertaria durante quei pochi secoli sarà dotata dell'esperienza necessaria per osservare ogni fenomeno contemporaneo dalla vantaggiosa posizione di una prospettiva lunga e profonda. La mente familiare con i classici della tradizione libertaria è una mente meglio preparata a comprendere ogni sviluppo politico contemporaneo.

Pensando al caso di Sunstein, per esempio, faremmo bene a riflettere su ciò che Murray Rothbard ci disse in uno dei grandi classici libertari usciti dalla sua penna: il suo grande saggio “L'anatomia dello Stato,” pubblicato per la prima volta nel 1965 nel Rampart Journal di Robert LeFevre. (pdf)

“Una volta che uno Stato è stato stabilito,” Rothbard scrisse,
Una volta stabilitosi lo Stato, il problema del gruppo o “casta” dominante è come mantenere il dominio. Mentre la forza è il modus operandi, il problema fondamentale e di lungo periodo è ideologico. Giacché allo scopo di restare in carica, ogni governo (non semplicemente un governo “democratico”) deve avere il sostegno della maggioranza dei suoi sudditi. Questo sostegno, va notato, non ha bisogno di essere attivo entusiasmo; può ben essere passiva rassegnazione come ad una legge di natura inevitabile. Ma sostegno nel senso di accettazione di qualche sorta deve essere; altrimenti la minoranza dei governanti dello Stato sarebbe alla fine vinta dalla resistenza attiva della maggioranza del pubblico. Dal momento che la spoliazione deve essere sostenuta dal surplus di produzione, è necessariamente vero che la classe che costituisce lo Stato – la burocrazia a tempo pieno (e la nobiltà) – deve essere una minoranza piuttosto piccola nel paese, benché possa, naturalmente, acquistare alleati tra importanti gruppi della popolazione. Di conseguenza, il compito principale dei governanti è sempre di assicurarsi l’accettazione attiva o rassegnata della maggioranza dei cittadini.
Rothbard continua, “naturalmente, un metodo per assicurarsi del sostegno è attraverso la creazione di interessi economici acquisiti.” Tuttavia,
questo... assicura solo una minoranza di zelanti sostenitori, e anche l’essenziale acquisto di sostegno con sussidi e altre concessioni di privilegi non fa ottenere ancora il consenso della maggioranza. Per questa essenziale accettazione, la maggioranza deve essere persuasa dall’ideologia che il suo governo è buono, saggio e per lo meno inevitabile, e certamente meglio di altre alternative concepibili. Promuovere questa ideologia tra il popolo è il vitale compito sociale degli “intellettuali”. Poiché la gran parte degli uomini non creano le proprie idee, né in realtà pensano a fondo queste idee in modo indipendente, essi seguono passivamente le idee adottate e disseminate dal corpo degli intellettuali. Gli intellettuali sono, quindi, i “modellatori dell’opinione” della società. E dal momento che è precisamente di un modellamento dell’opinione che lo Stato ha soprattutto disperato bisogno, la base per la secolare alleanza tra lo Stato e gli intellettuali diventa chiara.
Un esempio particolarmente “venerabile” di questa alleanza fra lo stato e gli intellettuali è l'esistenza di quello che Rothbard chiama “storico[i] ufficiale o ‘di corte’, dedicato a fornire ai governanti l'opinione sulle azioni loro e dei loro predecessori.”

È importante, ci ricorda Rothbard,
inculcare nei suoi sudditi un’avversione per ogni “teoria cospirativa della storia”, perché una ricerca di “cospirazioni” significa una ricerca di motivi e una attribuzione di responsabilità per misfatti storici. Se, tuttavia, qualunque tirannia, o venalità, o guerra aggressiva imposta dallo Stato, fosse causata non dai dominatori dello Stato ma da misteriose e arcane “forze sociali”, o dalle imperfette condizioni del mondo, o, se in qualche modo, ciascuno fosse responsabile (“Siamo tutti degli assassini”, proclama uno slogan), allora non ci sarebbe alcun interesse per il popolo ad indignarsi o sollevarsi contro tali misfatti. Inoltre, un attacco alle “teorie cospirative” significa che i sudditi diventeranno più ingenui nel credere alle ragioni di “benessere generale” che sono sempre addotte dallo Stato per il suo impegno in ognuna delle sue azioni dispotiche. Una “teoria cospirativa” può sconvolgere il sistema facendo dubitare il pubblico della propaganda ideologica dello Stato.
Di tanto in tanto, naturalmente, un stato non riesce a prendere le adeguate precauzioni, non riesce a pianificare con sufficiente anticipo – non riesce a cospirare abbastanza efficacemente. È accaduto negli Stati Uniti dopo la Prima Guerra Mondiale. Lo stato americano aveva i suoi storici di corte. Li aveva già da parecchi anni, ma non è riuscito a prevedere un movimento revisionista che ha preso forza negli anni 20 fra alcuni degli storici americani più distinti e informati, in particolare Harry Elmer Barnes e Charles Beard.

Come Barnes disse più tardi, all'inizio degli anni cinquanta, ricordando gli eventi di quegli anni trenta, “il riadattamento dei testi storici ai fatti storici relativi al background ed alle cause della Prima Guerra Mondiale – nota popolarmente nel mestiere dello storico come “revisionismo” – fu lo sviluppo più importante nella storiografia durante il decennio degli anni 20.” In effetti, scriveva Barnes, “la controversia revisionista fu l'eccezionale avventura intellettuale nel campo storico del ventesimo secolo fino a Pearl Harbor.”

Secondo Barnes, “il revisionismo, applicato alla Prima Guerra Mondiale, mostrò che le cause ed i meriti reali di quel conflitto erano molto vicini all'opposto dell'immagine presentata dalla propaganda politica e dai testi storici del decennio della guerra.” Ed entro gli anni 30, “gli storici ricettivi ai fatti ammisero che il revisionismo aveva vinto decisamente il conflitto contro la dottrina precedentemente accettata del tempo di guerra.”

Infatti, secondo Barnes, “entro il 1928… quasi tutti tranne i duri e puri della professione storica erano giunti ad accettare il revisionismo e perfino il grande pubblico aveva cominciato a vederci chiaro.” In effetti, i revisionisti conquistarono un segmento così importante del grande pubblico al proprio punto di vista sulla guerra che l'amministrazione di Roosevelt dovette ricorrere a misure disperate per conquistare l'approvazione popolare per i propri piani per entrare nella Seconda Guerra Mondiale dalla parte degli alleati.

Ma quando quell'approvazione fu conquistata e la guerra combattuta e vinta, lo stato americano aveva imparato qualcosa dalle proprie avventure intellettuali degli anni 20 e 30. Barnes scrisse nel 1953, “il revisionismo… potrebbe produrre risultati simili riguardo alla Seconda Guerra Mondiale se gli fosse stato permesso di svilupparsi senza impedimenti. Ma si sta facendo uno sforzo risoluto per soffocare o fare tacere le rivelazioni che ristabilirebbero la verità riguardo alle cause ed alle questioni dell'ultimo conflitto mondiale.”

Questo “sforzo risoluto,” secondo Barnes, comprendeva la sistematica negazione di accedere ai documenti ufficiali sulla guerra. “C'è uno sforzo risoluto,” egli scrisse, “per impedire a coloro i quali sono sospettati di cercare la verità di avere accesso ai documenti ufficiali, a parte quelli che sono diventata di proprietà pubblica…. Molte di queste fonti importanti… sono completamente isolate da qualsiasi storico sospettato di volere accertare la completa ed imparziale verità riguardo alla politica estera americana a partire dal 1933.”

Tuttavia, Barnes ha discusso, “se i documenti ufficiali completi sostenessero i punti di vista correnti riguardo alle cause ed alle questioni della guerra, non sembrerebbe esserci obiezione ragionevole al permettere che qualunque stimabile storico abbia accesso libero e senza impedimenti a tali materiali.”

Per saperne di più sul revisionismo, vedi il mio libro Why American History Is Not What They Say: An Introduction to Revisionism, disponibile come download gratuito in formato pdf, o in vendita come libro.

Cass Sunstein ed Adrian Vermeule non sarebbero affatto d'accordo con Barnes, ne sono certo, sul mettere a disposizione degli storici revisionisti i documenti ufficiali. Dopo tutto, i resoconti revisionisti della guerra – teorie della cospirazione circa il ruolo degli Stati Uniti in guerra – potrebbero dipingere il governo federale degli Stati Uniti come “organizzazione moralmente repellente.” Tali teorie potrebbero avere “effetti perniciosi” come “indurre… un diffuso e ingiustificabile scetticismo pubblico verso le asserzioni del governo, o… smorzare la mobilitazione o la partecipazione del pubblico agli impegni del governo, o entrambe.”

Tali teorie potrebbero “minare il dibattito democratico; in casi estremi, [potrebbero] generare o alimentare la violenza.” Sunstein e Vermeule cosa vorrebbero che facesse il governo federale ? Bene, scrivono, “la risposta più diretta ad una pericolosa teoria della cospirazione è la censura…. Potremmo immaginare circostanze in cui una teoria della cospirazione è diventata così pervasiva e così pericolosa, che la censura sarebbe immaginabile. [Tuttavia,] censurare la parola è notoriamente difficile.”

È un bene che sia così difficile. Se non lo fosse, potrebbero farne più spesso ricorso uomini come Cass Sunstein, coordinatore dell'Ufficio della Casa Bianca per l'Informazione e le Regole – uomini che non paiono preoccuparsi di violare i diritti naturali dei loro simili quando sono in gioco questioni così importanti come lo scetticismo pubblico verso il governo.