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Wednesday, April 14, 2010

Come abbiamo perso l'anima

Che senso ha scandalizzarsi di fronte all'ennesima prova video dei crimini di guerra degli agenti dello stato, si chiede giustamente Butler Shaffer, quando abbiamo accettato in primo luogo la logica disumanizzante delle istituzioni, quella logica per cui il nostro essere e le nostre aspirazioni devono necessariamente passare in secondo piano rispetto agli “alti scopi” della mistica istituzionale?

Gli allegri massacratori di Bagdad (e di My Lai, Kabul, e di mille altri luoghi) non sono che la conseguenza ultima di un meccanismo che noi stessi mettiamo in moto con la nostra sottomissione ed adesione. Non sono altro da noi, sono parte di noi, dal momento che abbiamo accettato di non essere noi stessi ma semplicemente una parte di quella macchina chiamata stato.
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Di Butler Shaffer



“L'attaccamento è il grande fabbricatore d'illusioni; chi vuole il reale dev'essere distaccato.”
~ Simone Weil

Se qualcuno non ha visto il video dell'attacco dell'elicottero americano del 12 luglio 2007 che ha provocato la morte di civili iracheni disarmati e di due reporter della Reuters, può guardarlo su YouTube. Dopo mesi di richieste della Reuters per questo video – seguite dai rifiuti dell'esercito – WikiLeaks ha ricevuto una copia da una fonte sconosciuta. La rivelazione di questa atrocità ha subito suscitato critiche non solo della pratica, ma della mentalità di soldati in grado di eseguire con tanto ardore e allegria un tale massacro di innocenti. Anche lo sparare a dei bambini non ha prodotto alcun apparente effetto negativo sui soldati. Una delle migliori analisi di questo atto diabolico è stata offerta da Karen Kwiatkowski.

In che modo tale depravazione morale non solo si verifica, ma diventa così pervasiva nel nostro mondo? Le occasionali registrazioni di un tale comportamento sfiorano soltanto la superficie della depravazione istituzionalizzata. Rodney King è stata la prima persona brutalizzata dagli agenti di polizia? I civili erano al sicuro dall'omicidio stile esecuzione prima del massacro di My Lai? Le rivelazioni su Abu Ghraib riguardavano i primi atti di tortura esercitati da soldati americani su prigionieri civili? In ciascuno di questi eventi – senza dubbio un precedente che sarà seguito per l'attuale mitragliamento criminale di iracheni – furono scelti per la punizione uno o più capri espiatori, in modo da distanziare la brutalità delle loro azioni dalla più pervasiva disumanità inerente nelle istituzioni per le quali agirono.

Il tema centrale dei miei scritti è stato di dimostrare che permettere agli scopi istituzionali di rimpiazzare i nostri è stato distruttivo per la vita, la libertà, la pace e, infine, per la civiltà. A lungo abbiamo camminato su un filo fra la nostra esigenza di organizzazione sociale – come metodo per soddisfare vari reciproci bisogni – ed il diventare così attratti dai sistemi che servono i nostri interessi da volerli rendere permanenti. Ci muoviamo impercettibile da associazioni che controlliamo nell'inseguire i nostri fini, verso organizzazioni che si trasformano in fini in sé, e che ci controllano per promuovere i loro interessi. Quando questo accade, l'organizzazione informale si è trasformata in un'istituzione. Ho analizzato questo processo più compiutamente nel mio libro Calculated Chaos.

Un'istituzione non è più un conveniente strumento per il nostro reciproco beneficio, ma un fine in sé; la sua propria raison d'être. Vive di vita propria, una vita che differisce da, e usurpa, i nostri scopi. Poiché possono funzionare e sopravvivere soltanto attraverso l'uso delle persone, le istituzioni richiedono agli esseri umani di identificarsi con esse. A questo scopo sono state stabilite le scuole del governo, il cui scopo primario è sempre stato di condizionare le giovani menti alla necessità e l'opportunità dello schema istituzionale delle cose. Con le parole di Ivan Illich, “[l]a scuola è quell'agenzia di pubblicità che vi fa credere di aver bisogno della società così com'è.” Le scuole inoltre ci aiutano ad imparare a cercare carriere significative e ben pagate all'interno delle gerarchie istituzionali.

Quando ci identifichiamo con, e ci attacchiamo a queste entità istituzionali, assorbiamo i loro valori; i loro scopi; il loro modus operandi. Tale pratica di attaccamento può essere paragonata ad un cancro che metastatizza la nostra essenza. Nel processo veniamo disumanizzati, dato che le istituzioni non hanno anima; né emozioni; né senso spirituale, morale, o intuitivo. Né esse piangono, sanguinano, amano, o provano esaltazione. Sono macchine e, come tutte le macchine, funzionano solamente in base alla meccanica, ai processi lineari ed ai fini materiali. Quando siamo istituzionalizzati, diventiamo poco più che robot – servomeccanismi – che funzionano in risposta come siamo stati programmati a fare.

Le dimensioni emozionale e spirituale che fanno di noi degli uomini non hanno alcun valore per le istituzioni che, in tempi di trasgressione politica, ci invitano a sopprimere tali sentimenti. Qualsiasi cosa non materiale è immateriale per i membri dell'ordine istituzionale. Al posto di profondi principi filosofici, le istituzioni hanno politiche; il loro senso di “significato” consiste soltanto nel perpetuarsi aumentando il proprio potere e ricchezza materiale. Per tali entità, gli esseri umani hanno valore soltanto come risorse fungibili da sfruttare in nome dei fini istituzionali.

Sarebbe facile condannare i soldati che hanno eseguito tale massacro come esseri “malvagi” o “depravati” o “pazzi.” Questo è il modo in cui a lungo ci siamo abituati a sopprimere ogni consapevolezza del “lato oscuro” del nostro incoscio. In modo simile abbiamo isolato noi stessi dagli Hitler, Stalin, Mao Tse-Tung, Pol Pot e da altri tiranni, lasciandoci con la confortante sensazione di non avere niente in comune con loro. Ma la storia ci informa – se soltanto volessimo guardare – che, una volta che ci siamo identificati con qualsiasi scopo oltre noi stessi, diventiamo capaci delle peggiori forme di trasgressione. Come sarebbe possibile se no che degli uomini altrimenti rispettabili partecipino ad un linciaggio?

Lo stato – un'istituzione che è definita come un ente che gode del monopolio sull'uso della violenza – è particolarmente attraente per gli uomini e le donne il cui “lato oscuro” è più vicino alla superficie di quello di persone più tolleranti e più pacifiche. Quando lo stato eccita questo “lato oscuro” – cosa che fa specialmente in tempo di guerra, la qualità che condusse Randolph Bourne ad identificare la guerra come “la salute dello stato” – uomini e donne altrimenti rispettabili possono trasformarsi in agenti di una selvaggia brutalità. Quando le loro azioni omicide sono eseguite in nome dello stato – con cui la maggior parte delle persone si identifica – le loro azioni acquistano un alone di legittimità che non avrebbero ottenuto in altre circostanze; una distinzione che impedirebbe loro di diventare dei serial killer mentre tornano a casa.

L'identificazione con lo stato, in altre parole, ha la capacità di trasformarci in sociopatici. Non è che lo stato faccia questo a noi, ma è la nostra volontà di attaccarci a delle entità esterne – ed ai valori su cui si basano – a separarci dalla nostra essenza interiore. Questo si applica non solo ai piloti degli elicotteri da guerra sopra Bagdad, ma anche alle più visibili figure politiche come Madeleine Albright – che difese le sue politiche dell'era Clinton che provocarono la morte di 500.000 bambini iracheni – e Janet Reno, che difese il suo massacro di uomini, donne e bambini davidiani a Waco. L'applicazione più recente di questa dinamica si trova nell'entusiasmo mostrato da George W. Bush nel dare inizio a guerre preventive contro il resto del mondo e dell'apparente volontà di Barack Obama di utilizzare le armi nucleari nei futuri attacchi preventivi, così come di assassinare dei cittadini americani.

Le persone disposte ad abbracciare – o persino a tollerare – un tale comportamento asociale, hanno perso ogni contatto con ciò che significa essere umani; hanno perso la loro anima. Nessun prestito federale; nessun aumento del Dow Jones, o diminuzione del livello di disoccupazione, annullerà questa perdita. Né potrebbe essere – promulgato un “pacchetto di stimolo” – con o senza sostegno bipartisan – per ristabilire l'integrità personale da lungo tempo perduta.

Ci fu un tempo, molti decenni fa, quando la forza bruta – specialmente quando usata dalla polizia e dagli agenti militari dello stato – se non condannata, faceva almeno aggrottare le sopracciglia agli uomini ed alle donne rispettabili. Il livello di soglia per tali pratiche continua ad abbassarsi progressivamente. Un contributo importante alla sconfitta di Barry Goldwater nella campagna presidenziale del 1964, fu l'infondato timore che avrebbe potuto essere disposto a utilizzare le armi nucleari nella guerra del Vietnam. Oggi, la volontà di Bush ed Obama di iniziare una guerra nucleare non ha suscitato proteste di qualche rilievo nella maggior parte degli americani, che sembrano preferire la “speranza” (ovvero, il pio desiderio) sopra la “comprensione” intelligente come modo per rendere il mondo libero, pacifico e produttivo.

Quando John McCain, candidato presidenziale conservatore nel 2008, può raccogliere quasi 60.000.000 di voti con la sua danza sociopatica “bomb, bomb, bomb Iran,” dovremmo essere scioccati dal comportamento da macellai di alcuni piloti d'elicottero americano?

Sunday, April 11, 2010

Una grande avventura

Semplicemente la storia di un soldato, di tutti i soldati, dall'inimitabile Fred Reed.
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Di Fred Reed


Era cresciuto tra i boschi e i fiumi della contea, pescando e nuotando e cacciando sotto immensi cieli azzurri e guidando come un pazzo la sua auto sgangherata e rotolandosi sul muschio con la sua ragazza e guardando i rami in alto abbracciare il cielo e meravigliandosi come fanno i giovani della stranezza della vita, e la guerra scoppiò in un lontano paese. Non importa quale paese. Semplicemente un paese.

Suo padre, un uomo rabbioso che emetteva il puzzo ripugnante del patriottismo, disse che il suo dovere era di diventare un soldato e di uccidere chi stava nel lontano paese, dovunque fosse. Suo padre non lo sapeva né se ne curava granché. Non importava. Qualcuno lo sapeva. Un uomo deve fare quel che deve fare. Sarebbe stata una grande avventura, gli disse uno zio.

Si arruolò. Nel calore umido e doloroso di uno stato caldo prese l'equipaggiamento e del dentifricio e dei vestiti verdi dal magazzino ed imparò a marciare in quadrato mentre un sergente diceva sinìs-des-sinìs-des. Sentiva quel senso di potere e di invincibilità ispirato dal cameratismo ritmico con il passo cadenzato degli stivali. Imparò a usare granate e lanciafiamme ed il giusto posizionamento della baionetta in un rene. Imparò l'obbedienza e varie forme di probabile suicidio, ma era per il suo paese, dulce et decorum est e cantava marciando feroci ritornelli. Se muoio sul fronte russo, seppellitemi con una fica russa, sinìs-des-sinìs-des. Era una grande avventura, che faceva appello alla volontà disperata di un giovane maschio di sfidare l'esistenza, attraversare le montagne, vedere il drago, vincere. I colonnelli al campo di addestramento l'avevano calcolato bene.

Sentiva il romanticismo e la varietà e l'assurdità che gli uomini amano nell'esercito in tempo di pace, ed ascoltava le storie che i soldati raccontano nei bar. Vedi, eravamo a Tijuana al Blue Fox e Murphy si stava godendo una lap dance di quella senorita con due fottutissimi meloni, voglio dire quelle tettone non volevano saperne di stare ferme e questo gufo vola dentro, cioè un qualche fottuto uccello, e lei strilla e cade su Murphy e… Sentiva la libertà di essere lontano dalla contea, in bar selvaggi di cui nessuno laggiù a casa aveva mai sentito parlare. Era la vita.

Poi fu a tarda notte sull'asfalto dell'aeroporto, in partenza per il lontano paese di cui non sapeva nulla. Il vento fischiava e la turbolenza sapeva di cherosene e lui era in forma e notava appena il peso del suo zaino. I trasporti pesanti rombavano avanti e indietro, caricando le truppe. Assaporò una nuova frase, FMF WesPac. La Flotta della Forza dei Marines del Pacifico Occidentale, vibrante degli appelli ormonali di eserciti in marcia, di legioni straniere e di Marcus Aurelius sulla linea del Reno-Danubio, benché non ne avesse sentito mai parlare, ma faceva parte degli enormi eventi che accadono nella notte.

Il primo giorno in quel paese andò alla sua postazione in una terra sperduta, in un convoglio di blindati aperti. Il calore e la gente strana lungo la strada lo rallegravano ed era davvero, assolutamente lontano dalla contea e assorbiva tutto con gli occhi spalancati e la mina esplose sotto il primo camion e l'autista atterrò sulla strada gridando, le sue gambe andate. Le mine lo fanno. I marines corsero da lui e dicevano Gesù, oh Gesù. Cazzo. Cazzo, Cazzo, Cazzo. Chiamate un medico. Oh merda. Oh Gesù. Le grida finirono, essendo quella la natura delle arterie femorali.

Tre mesi passarono. Ora odiava la gente del lontano paese, benché ancora non ne sapesse nulla. I soldati odiano. Aveva ucciso dei soldati nemici ed alcuni che avrebbero potuto essere dei soldati nemici e poi altri che sapeva non esserlo ma che erano nel posto sbagliato dopo che il suo plotone aveva perso degli uomini per mano di un cecchino. Non lo interessava, non per quanto ne sapeva. I morti era solo morti, e allora? Odiava quegli odiosi scarafaggi in ogni caso. Bruciali. Bruciali tutti. Fagli sputare l'anima. Non aveva mai sentito parlare degli Albigesi, ma i soldati sono tutti uguali.

Un giorno il plotone si avvicinò ad una città e un cecchino fece fuoco contro di loro. “Brucialo” disse il tenente, che odiava gli indigeni. Dieci minuti più tardi trentasette abitanti erano morti ed il reporter che era lì aveva fotografato tutto. Le immagini fecero il giro del mondo. Il plotone non sapeva perché erano stati scelti. Se gli abitanti non vogliono essere colpiti, non dovrebbero lasciar entrare dei ribelli armati nel loro villaggio. Nei quartieri di mille legioni, i membri dissero che la guerra è guerra, la gente si fa male. Te lo devi aspettare. I giornalisti sono vigliacchi, rossi, idealisti non realistici. Dobbiamo liberare le truppe, lasciarle vincere.

Gli ufficiali, sapendo che i reporter erano il più pericoloso dei loro nemici, dissero che non era successo, che in realtà era stato il nemico, che era un evento isolato e che ci sarebbe stata un'inchiesta. Il generale in comando di ciò che in modo interessante veniva chiamato “il teatro” aveva aspirazioni presidenziali e così sacrificò il tenente, che alla fine ricevette tre mesi di arresti domiciliari.

Il soldato della contea ce l'aveva quasi fatta. Si stava avvicinando al congedo, determinato dal tempo di gestazione della gonorrea, quando il suo camion colpì la mina. Niente di nuovo. Uomini agonizzanti, ossa esposte, polmoni schiacciati e i morenti che invocavano gridando la trinità dei feriti gravi, moglie madre e acqua. Questa volta il soldato della contea era mezzo sventrato.

Era una grande avventura, comunque.

Nell'ospedale da campo in cui gli rimossero un tratto dell'intestino, vide molte cose. Vide il soldato con la mascella fracassata alimentato attraverso un tubo nel naso. Vide una ragazza del Tennessee di diciassette anni che guardava il suo fidanzato, completamente cieco, la sua faccia una poltiglia spaventosa che avrebbe disgustato una larva.

Johnny… Johnny… oh Johnny.

Lasciò l'ospedale con il sacchetto della colostomia e le istruzioni di non mangiare mai niente di ciò che gli piaceva. Alle donne non piacciono i sacchetti della colostomia, così aveva molto tempo a sua disposizione. Leggeva. Pensava. Arrivò ad odiare, odiare con un'intensità rabbrividente che innervosiva i suoi amici, che impararono a non parlare della guerra. Come tutti i soldati da prima che il tempo esistesse, imparò che la guerra non è tutte quelle cose nobili che si suppone essere, dio e patria e democrazia, ma soldi, potere, appalti e gli ego degli uomini che, per il principio per cui la merda galleggia, rimangono sempre in alto. Per il resto della sua vita avrebbe voluto davvero, assolutamente uccidere.

Aveva fatto una lunga strada dalla contea. Era stata una grande avventura.

Monday, April 5, 2010

Dimmi quando...

Quando persino i generali si stancano di fare i macellai...

Generale McChrystal: “Voglio dire qualcosa che tutti capiscano. Noi chiediamo realmente a molti nostri giovani di servizio ai checkpoint, perché c'è un pericolo, chiediamo loro di prendere decisioni molto veloci in situazioni spesso molto poco chiare. Tuttavia, per quanto ne so, in nove e più i mesi in cui sono stato qui, non in un singolo caso nel quale siamo stati coinvolti in una escalation di forza e abbiamo colpito qualcuno è risultato che il veicolo avesse una bomba o armi a bordo e, in molti casi, portava delle famiglie. Con questo non voglio criticare gli esecutori. Sto solo mettendo le cose in prospettiva. Abbiamo sparato ad un numero stupefacente di persone ed ucciso molte di esse e, per quanto io sappia, nessuna è risultata essere una vera minaccia alle nostre forze."


... quando persino i fantocci protestano...

Kabul, Afghanistan - Dopo aver inizialmente negato il coinvolgimento o qualsiasi insabbiamento nella morte di tre donne afgane durante l'attacco delle forze speciali americane maldestramente fallito in febbraio, il comando militare a guida americana di Kabul ha ammesso domenica sera che le proprie forze avevano in effetti ucciso le donne durante l'incursione notturna.

L'ammissione ha immediatamente sollevato questioni su cosa è realmente accaduto durante l'operazione del 12 febbraio – e sulle falsità che sono seguite – compreso un nuovo rapporto secondo cui le forze speciali avrebbero estratto le pallottole dai corpi delle donne per nascondere la natura della loro morte.

Un funzionario della NATO ha inoltre detto domenica che una squadra di ricercatori afgani aveva trovato segni di occultamento di prove sulla scena del delitto, compresa la rimozione delle pallottole dalle pareti vicino a dove le donne sono state uccise. Il lunedì, tuttavia, un alto funzionario della NATO ha negato che tale alterazione fosse avvenuta.

La rivelazione non avrebbe potuto arrivare in un momento peggiore per i militari americani: i funzionari della NATO stanno lottando per contenere le conseguenze di una serie di filippiche contro la presenza militare straniera del presidente afgano Hamid Karzai, che ha anche manifestato contro l'uccisione di civili da parte delle forze occidentali.


... forse è l'ora di tornarsene a casa (mai troppo presto).

Wednesday, March 31, 2010

Buona guerra, gente!

“The charismatic personality is a political and social anarchist … he is not an ethical conformist who just subjects himself to an external authority, which over powers and enslaves him.”
(Rabbi Soloveitchik, Emergence of Ethical Man)

Ogni tanto, almeno ogni tanto, sarebbe bene ricordarsi che siamo in guerra, anche se nelle nostre città non risuonano le sirene degli attacchi aerei né il fragore delle bombe a frammentazione. La guerra, invero, è stata bandita dalla discussione pubblica, per essere rivenduta sterilizzata e corretta con etichette quali “missione di pace” o “nation building,” i capolavori meglio riusciti della neolingua del regime: pensate, chiamare “pace” la strage di innocenti e “costruzione” la distruzione delle loro proprietà, nella generale indifferenza di chi paga il conto!

Ce lo ricorda allora John Pilger, uno dei pochi giornalisti salvatisi dall'estinzione e dalla mutazione genetica che ha trasformato la sua specie in compiaciute fotocopiatrici di veline di regime, forse che la vicinanza della Pasqua non possa suscitare in noi qualche piccolo sussulto della coscienza, un rigurgito di volontà di giustizia e verità. Perché è inutile scegliere tra Gesù e Barabba, quando il potere ha già deciso di ucciderli entrambi.
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Di John Pilger


Ecco le notizie dalla Terza Guerra Mondiale. Gli Stati Uniti hanno invaso l'Africa. Truppe degli Stati Uniti sono entrate in Somalia estendendo la loro guerra da Afganistan e Pakistan fino allo Yemen ed ora al Corno d'Africa. In preparazione all'attacco all'Iran missili americani sono stati piazzati in quattro stati del Golfo Persico e si dice che bombe “spacca-bunker” stiano per arrivare alla base americana sull'isola britannica di Diego Garcia nell'Oceano Indiano.

A Gaza la popolazione malata ed abbandonata, perlopiù bambini, è sepolta dietro mura segretamente fornite dagli americani per mettere in atto un assedio criminale. Nell'America Latina l'amministrazione Obama si è assicurata sette basi militari in Colombia, dalle quali portare una guerra di attrito contro le democrazie popolari in Venezuela, Bolivia, Ecuador e Paraguay. Nel frattempo il segretario della “Difesa” Robert Gates si lamenta che “il grande pubblico [europeo] e la classe politica” sono cosi' contrari alla guerra da costituire un “impedimento” alla pace. Ricordate che questo è il mese del Coniglietto Pasquale.

Secondo un generale americano, l'invasione e occupazione dell'Afganistan non e' tanto una guerra vera quando “una guerra di percezione.” Dunque la recente “liberazione della città di Marja” era pura Hollywood. Marja non è una città e non vi era alcun comando e stato maggiore dei Talebani.

Gli eroici liberatori hanno ucciso i soliti civili, i più poveri dei poveri. Per il resto era tutto falso. Una guerra di percezione significa provvedere false notizie per la gente rimasta a casa per far sembrare degna e patriottica un'avventura coloniale fallita come se il film The Hurt Locker fosse reale e la parata di bare avvolte nella bandiera attraverso la cittadina di Wooten Basset nel Wiltshire [ndt. In Inghilterra] non fosse un cinico esercizio di propaganda.

“La guerra è divertimento” scrivevano sugli elmetti in Vietnam con la piu' scoraggiante ironia, volendo dire che se una guerra si è rivelata non aver altro scopo che quello di giustificare il potere vorace per la causa di un fanatismo lucrativo quale quello dell'industria bellica il pericolo della verità è lì a segnalarlo. Questo pericolo puo' essere illustrato da come era percepito dai liberal Tony Blair nel 1997, qualcuno che “vuole creare un mondo [dove] l'ideologia ha ceduto interamente il passo ai valori” (Hugo Young, dal giornale The Guardian) comparata con la considerazione che oggi ha di lui il pubblico, un mentitore e un criminale di guerra.

Stati occidentali in guerra perenne come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non sono minacciati dai Talebani o da nessun altro oscuro membro tribale in luoghi lotani ma piuttosto dall'istintiva repulsione per la guerra dei loro stessi cittadini. Considerate le sentenze draconiane amministrate a Londra a schiere di giovani che protestavano contro l'assalto di Israele su Gaza nel gennaio dell'anno scorso. A seguito di dimostrazioni nelle quali una polizia paramilitare ha “circoscritto” (radunato come bestiame) migliaia di manifestanti, chi è stato ritenuto colpevole senza precedenti penali ha ricevuto sentenze di due anni e mezzo in prigione per reati minori che normalmente non avrebbero portato ad una sentenza custodiale. Su entrambe le sponde dell'Atlantico il serio dissenso rivelatore di guerre illegali è diventato un grave crimine.

Il silenzio che proviene dalle alte autorità consente questo abominio morale. Artisti, letterati, giornalisti, uomini di legge e circoli liberal, pur essendosi allontanati prontamente dai detriti di Blair ed ora da quelli di Obama, continuano a gingillarsi dietro la loro indifferenza verso la barbarie e gli scopi criminali degli stati occidentali occupandosi retrospettivamente dei torti dei loro demoni di comodo come Saddam Hussein.

Dopo la scomparsa di Harold Pinter [ndt: commediografo, sceneggiatore, attore, regista teatrale, poeta e attivista politico inglese] provate a compilare una lista di scrittori, artisti e attivisti famosi i cui principi non siano stati usurati dal “mercato” o evirati dalla loro stessa celebrita'. Chi tra di loro ha alzato la propria voce contro l'olocausto in Iraq durante quasi vent'anni di letale embargo ed il susseguente attacco?

E tutto questo e' stato compiuto deliberatamente.

Il 22 gennaio 1991 lo spionaggio militare statunitense predisse con dettagli sorprendentemente accurati come un embargo avrebbe sistematicamente distrutto le riserve idriche dell'Iraq e condotto ad un “aumento di malattie, se non epidemie”. Così gli Stati Uniti prepararono l'eliminazione dell'acqua potabile per la popolazione dell'Iraq, una delle cause, annotava l'Unicef, della morte di mezzo milione di bambini iracheni sotto i cinque anni. Ma questo tipo di estremismo non sembra avere un nome.

Norman Mailer [ndt. famoso scrittore, saggista, giornalista e regista americano fondatore di The Village Voice e autore di Il Nudo e Il Morto] disse una volta di credere che gli Stati Uniti, nella loro perenne fame di guerra e dominazione, erano entrati in “un'era pre-fascista”. Mailer sembrava andare a tentoni, come se stesse cercanto di allertarci circa qualcosa che non riusciva a definire meglio. Il termine “fascismo” non è esatto perché invoca pigramente precedenti storici, collaborando ancora una volta all'iconografia della repressione tedesca ed italiana. D'altra parte l'autoritarismo americano, come ha fatto notare recentemente il critico culturale Henry Giroux [ndt. professore universitario americano] è “più sottile, meno teatrale, più astuto, meno preoccupato di controllare tramite modelli repressivi che con metodi che portino un consenso estorto con l'inganno.”

Questo e' americanismo, l'unica ideologia predatoria che neghi di essere un'ideologia. La crescita di multinazionali tentacolari che sono in effetti esse stesse dittature e quella di un apparato militare che è ora uno Stato nello Stato nascosti dietro alla facciata della miglior democrazia che 35.000 lobbisti di Washington possano comprare e dietro una cultura popolare programmata per divertire e instupidire, è senza precedenti. Piu' sottile, forse, ma i risultati sono familiari e non lasciano spazio ad ambiguità. Denis Halliday e Hans von Sponeck, gli alti ufficiali delle Nazioni Unite in Irak durante l'embargo anglo-americano, non hanno dubbi sul fatto di avere assistito ad un genocidio. Non hanno visto camere a gas. Insidiosa, non dicharata, addirittura culturalmente illuminata e presentata con spirito nella sua marcia, la Terza Guerra Mondiale con i suoi genocidi va avanti, essere umano dopo essere umano.

Nelle campagna elettorale che sta iniziando in Gran Bretagna i candidati menzioneranno questa guerra solo per tessere le lodi dei “nostri ragazzi.” I candidati sono mummie politiche avvolte nella bandiera britannica ed in quella a stelle e stricie pressapoco identiche fra di loro. Come Blair dimostrò con persino un po' troppo entusiasmo, l'élite britannica ama l'America perché l'America consente loro di maltrattare e bombardare gli indigeni e di definire se stessi “soci”. E noi dovremmo interrompere il loro divertimento.


(Traduzione di Gianni Elvezia)

Thursday, March 4, 2010

Le colpe della guerra in Medio Oriente

La storia è scritta dai vincitori, si dice. E se per storia intendiamo la narrativa che ci viene propinata nei centri d'indottrinamento statali e ripetuta ad nauseam dai media asserviti, questo è certamente vero. Fortunatamente però, di tanto in tanto, la storia viene scritta anche da persone eccezionali, che sfuggono all'omologazione vigente affidandosi esclusivamente alla ragione e alla loro umanità. Allora il ritratto che se ne ricava è spesso molto meno lusinghiero per gli acclamati vincitori.

Rothbard è stato un uomo di questo tipo, indifferente al clamore della folla ed ai diktat dei potenti. Quella che segue è una delle innumerevoli dimostrazioni del suo amore per la giustizia e la verità, un pezzo scritto per Left and Right nel 1967, all'indomani della guerra dei sei giorni in Medio Oriente.
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DI Murray Rothbard


Il problema con i settari, che siano libertari, marxisti, o sostenitori del governo mondiale, è che tendono ad accontentarsi della causa alla radice di ogni problema ed a non preoccuparsi mai delle cause più dettagliate o più prossime. Il migliore, e quasi ridicolo, esempio di settarismo cieco e non intelligente è il Partito Laburista Socialista, un partito venerabile senza effetto alcuno sulla vita americana. A qualsiasi problema che la condizione del mondo potrebbe porre – la disoccupazione, l'automazione, il Vietnam, i test nucleari, o qualsiasi altra cosa – il PLS ripete semplicemente, a pappagallo: “adottare il socialismo.” Poiché il capitalismo si presume essere la causa originaria di tutti questi ed altri problemi, solo il socialismo li spazzerà via, punto. In questo modo il settario, anche se la sua identificazione della causa originaria fosse corretta, si isola da tutti i problemi del mondo reale e, per ulteriore ironia, evita a sé stesso di avere un qualche effetto verso lo scopo finale che serba in cuore.

Alla domanda sulle colpe di una guerra, di qualunque guerra, il settarismo alza la sua brutta e disinformata testa molto al di là della palude in cui affonda il Partito Laburista Socialista. Libertari, marxisti, sostenitori del governo mondiale, ciascuno dalla propria diversa prospettiva, hanno l'insita tendenza di evitare di tediarsi con i pro e i contro dettagliati di ogni dato conflitto. Ciascuno di essi sa che la causa alla radice della guerra è il sistema della nazione-stato; data l'esistenza di questo sistema, le guerre ci saranno sempre e tutti gli stati se ne divideranno la colpa. Il libertario, in particolare, sa che gli stati, senza eccezione, aggrediscono i loro cittadini e sa inoltre che in tutte le guerre ogni stato aggredisce i civili innocenti “appartenenti” all'altro stato.

Ora questo tipo di visione della causa originaria della guerra e dell'aggressione, e della natura dello stato in sé, è cosa buona e giusta ed estremamente necessaria per comprendere lo stato del mondo. Ma il problema è che il libertario tende a fermarsi lì, ed eludendo la responsabilità di conoscere che cosa sta accadendo in ciascuna specifica guerra o conflitto internazionale, tende a saltare ingiustificabilmente alla conclusione che, in qualunque guerra, tutti gli stati sono ugualmente colpevoli, e quindi a continuare a farsi gli affari suoi senza pensarci due volte. In breve, il libertario (e il marxista e il partigiano del governo mondiale) tende a trincerarsi nella comoda posizione di un “Terzo Accampamento,” assegnando uguali colpe a tutte le parti in ogni conflitto, e lasciando perdere. Questa è una posizione comoda da prendere perché in realtà non aliena i partigiani dell'uno o dell'altro lato. Entrambi gli schieramenti in una guerra scarteranno quest'uomo come “idealista” senza speranza e settario, un uomo anche piuttosto amabile perché ripete meccanicamente la sua posizione “pura” senza informarsi o prendere posizione su qualsiasi guerra stia infuriando nel mondo. In breve, entrambi gli schieramenti tollereranno il settario precisamente perché irrilevante, e perché la sua irrilevanza garantisce che non avrà effetto sul corso degli eventi o sull'opinione pubblica su questi eventi.

No: libertari devono arrivare a capire che ripetere meccanicamente i principi ultimi non è abbastanza per affrontare il mondo reale. Solo perché tutte le parti condividono la colpa ultima degli stati non significa che tutte le parti sono ugualmente colpevoli. Al contrario, virtualmente in ogni guerra, una parte è molto più colpevole dell'altra e a quella parte dev'essere assegnata la responsabilità di base per l'aggressione, la conquista, ecc. Ma per per scoprire quale parte in una guerra è la più colpevole, dobbiamo informarci approfonditamente sulla storia di quel conflitto e questo richiede tempo e riflessione – ed è inoltre necessaria la volontà ultima di diventare rilevanti prendendo posizione e assegnando un maggior grado di colpevolezza su un lato o sull'altro.

Diventiamo quindi rilevanti; e, con questo in mente, esaminiamo le cause storiche alla radice dell'attuale cronica e acuta crisi in Medio Oriente; e facciamolo con lo scopo di scoprire e giudicare il colpevole.

La crisi cronica del Medio Oriente risale – come molte altre crisi – alla Prima Guerra Mondiale. I britannici, in cambio della mobilitazione dei popoli arabi contro i loro oppressori della Turchia imperiale, promisero agli arabi la loro indipendenza alla fine della guerra. Ma, allo stesso tempo, il governo britannico, con un caratteristico gioco su due tavoli, prometteva la Palestina araba come “casa nazionale” per il sionismo organizzato. Queste promesse non erano sullo stesso piano morale: per ché nel primo caso, agli arabi veniva promessa la propria terra liberata dalla dominazione turca; e nel secondo, si prometteva al sionismo mondiale una terra enfaticamente non sua. Quando la guerra mondiale finì, i britannici senza alcuna esitazione scelsero di mantenere la promessa sbagliata, quella al sionismo mondiale. La loro scelta non fu difficile; se avesse mantenuto la propria promessa agli arabi, la Gran Bretagna avrebbe dovuto andarsene gentilmente dal Medio Oriente e consegnare quella terra ai suoi abitanti; ma, per adempiere alla sua promessa ai sionisti, la Gran-Bretagna doveva rimanere come potenza imperiale che governasse la Palestina araba. Che abbia scelto il corso imperiale non sorprende affatto.

Dobbiamo, quindi, tornare ancora più indietro nella storia: a cosa serviva il sionismo mondiale? Prima della Rivoluzione Francese, gli ebrei europei in gran parte erano stati relegati in ghetti, e dalla vita del ghetto era emersa una distinta identità culturale ed etnica (così come religiosa) ebraica, con lo Yiddish come linguaggio comune (essendo l'ebraico soltanto l'antica lingua dei riti religiosi). Dopo la Rivoluzione Francese, gli ebrei dell'Europa occidentale si emanciparono dalla vita del ghetto ed affrontarono la scelta di dove dirigersi. Un gruppo, gli eredi dell'Illuminismo, scelse e sostenne la scelta di uscire dalla cultura ristretta e parrocchiale del ghetto per assimilarsi nella cultura e nell'ambiente del mondo occidentale. Ma se l'assimilazionismo era chiaramente il corso razionale in America ed Europa occidentale, questo percorso non avrebbe potuto esser seguito facilmente in Europa Orientale, dove le mura dei ghetti ancora tenevano. In Europa Orientale, quindi, gli ebrei si rivolsero ai vari movimenti per la conservazione dell'identità etnica e culturale ebraica. Quello prevalente era il Bundismo, la visione del Bund ebraico, che sosteneva l'autodeterminazione nazionale ebraica, fino ad includere uno stato ebraico nelle regioni a predominanza ebrea dell'Europa Orientale (così, secondo il Bundismo, la città di Vilna, in Europa Orientale, con una popolazione a maggioranza ebrea, avrebbe fatto parte di uno stato ebraico di nuova formazione). Un altro gruppo di ebrei, meno potente, il movimento territorialista, disperando per il futuro degli ebrei in Europa Orientale, sosteneva la conservazione dell'identità ebraica Yiddish con la formazione di colonie e comunità ebree (non stati) in varie zone non popolate e vergini del mondo.

Date le condizioni dell'ebraismo europeo alla fine del XIX ed all'inizio del XX secolo, tutti questi movimenti avevano una base razionale. L'unico movimento ebraico privo di senso era il sionismo, un movimento che ebbe inizio all'interno del territorialismo ebraico. Ma mentre i territorialisti volevano semplicemente conservare l'identità ebrea-Yiddish in una terra propria di nuova formazione, il sionismo cominciò ad insistere per una terra ebraica unicamente in Palestina. Il fatto che la Palestina non fosse una terra vergine, ma fosse già occupata da popolazioni di contadini arabi, non significava niente per gli ideologhi del sionismo. Ancora, i sionisti, lungi dallo sperare di conservare la cultura Yiddish del ghetto, voleva seppellirla e sostituirla con una nuova cultura ed una nuova lingua basate su un'artificiale espansione secolare dell'antico ebraico religioso.

Nel 1903, i britannici offrirono un territorio per la colonizzazione ebraica in Uganda ed il rifiuto di questa offerta da parte dei sionisti polarizzò i movimenti territorialista e sionista, che in precedenza erano fusi insieme. Da quel momento in poi, i sionisti si dedicheranno alla mistica terra-e-sangue in Palestina e solo in Palestina, mentre i territorialisti avrebbero cercato una terra vergine in un'altra parte del mondo.

A causa degli arabi residenti in Palestina, il sionismo dovette trasformarsi in pratica in un'ideologia di conquista. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Gran Bretagna prese il controllo della Palestina ed usò il suo potere sovrano di promuovere, incoraggiare e favorire l'espropriazione delle terre arabe per l'uso e per l'immigrazione sionista. I vecchi titoli di proprietà terriera turchi venivano spesso raccolti e comprati a poco prezzo, espropriando così i contadini arabi in nome dell'immigrazione sionista europea. Nel cuore del mondo arabo agricolo e nomade del Medio Oriente arrivava così, sulle spalle e sulle baionette dell'imperialismo britannico, un popolo di colonizzatori in gran parte europeo.

Anche se il sionismo era ora impegnato per una Palestina come casa nazionale ebraica, non lo era ancora nell'allargamento di uno stato ebraico indipendente in Palestina. Effettivamente, soltanto una minoranza dei sionisti favoriva uno stato ebraico e molti di questi avevano rotto con il sionismo ufficiale, sotto l'influenza di Vladimir Jabotinsky, e avevano formato il movimento sionista-revisionista per mobilitarsi perché uno stato ebraico governasse l'antica Palestina storica su entrambe le rive del fiume Giordano. Non è sorprendente che Jabotinsky abbia espresso grande ammirazione per il militarismo e la filosofia sociale del fascismo di Mussolini.

All'altra ala del sionismo stavano i sionisti culturali, che si opponevano all'idea di stato politico ebraico. In particolare, il movimento del Ihud (Unità), raccolto intorno a Martin Buber e ad un gruppo di distinti intellettuali ebrei dell'università ebraica di Gerusalemme, sosteneva, quando i britannici se ne fossero andati, uno stato ebreo-arabo bi-nazionale in Palestina, in cui né l'uno né l'altro gruppo religioso dominasse l'altro, ma che lavorassero in pace ed armonia per costruire la terra della Palestina.

Ma la logica interna del sionismo non l'avrebbe tollerato. Nella tumultuoso congresso del Sionismo Mondiale all'Hotel Biltmore di New York nel 1942, il sionismo, per la prima volta, adottò l'obiettivo di uno stato ebraico in Palestina, e niente di meno. Gli estremisti avevano vinto. Da quel momento in poi, ci sarebbe stata una crisi permanente in Medio Oriente.

Pressati da lati opposti dai sionisti ansiosi di ottenere uno stato ebraico e dagli arabi che volevano una Palestina indipendente, i britannici decisero infine di andarsene dopo la Seconda Guerra Mondiale e di passare il problema alle Nazioni Unite. Con l'intensificarsi delle spinte per uno stato ebraico condizione, il riverito dott. Judah Magnes, presidente dell'Università Ebraica di Gerusalemme e capo del movimento del Ihud, denunciò amaramente il “totalitarismo sionista,” che, accusava, sta cercando di portare “l'intero popolo ebreo sotto la propria influenza con la forza e la violenza. Ancora non ho visto chiamare i terroristi sionisti con il loro giusto nome: assassini – che hanno brutalizzato uomini e donne. … Tutti gli ebrei in America condividono tale colpa, persino quelli che non sono d'accordo con le attività di questa nuova leadership pagana, ma che rimangono comodamente seduti con le mani incrociate….” Poco tempo dopo, il dott. Magnes ritenne necessario l'esilio dalla Palestina ed emigrò negli Stati Uniti.

Sotto la pressione incredibilmente intensa dagli Stati Uniti, nel novembre del 1947 l'ONU – compresi gli entusiasti Stati Uniti e l'URSS – approvò riluttante un programma di partizione della Palestina, un programma che costituì la base dell'uscita britannica e della dichiarazione dell'esistenza di Israele il 15 maggio dell'anno seguente. Il programma di partizione garantì agli ebrei, che possedevano una frazione trascurabile della terra palestinese, quasi metà dell'area territoriale del paese. Il sionismo era riuscito a ritagliare uno stato ebraico europeo in territorio arabo nel Medio Oriente. Ma non era affatto finita qui. L'accordo dell'ONU aveva permesso (a) che Gerusalemme venisse internazionalizzata secondo la regola dell'ONU e (b) che ci fosse un'unione economica fra i nuovi stati ebraico e arabo della Palestina. Queste erano le condizioni di base con cui l'ONU approvò la partizione. Entrambe vennero subito e bruscamente disattese da Israele – che cominciarono così una crescente serie di aggressioni contro gli arabi in Medio Oriente.

Mentre i Britannici erano ancora in Palestina, le forze paramilitari sioniste iniziarono a schiacciare le forze armate arabe palestinesi in una serie di scontri di guerra civile. Ma, cosa più fatidica, il 9 aprile 1948, i fanatici terroristi sionisti-revisionisti raggruppati nell'organizzazione Irgun Zvai Leumi massacrarono cento donne e bambini nel villaggio arabo di Deir Yassin. Dall'avvento dell'indipendenza di Israele il 15 maggio gli arabi palestinesi, demoralizzati, fuggivano in preda al panico dalle loro case e dalla minaccia del massacro. I vicini stati arabi mandarono allora le loro truppe. Gli storici sono soliti descrivere la guerra che seguì come invasione di Israele da parte degli stati arabi, eroicamente respinta da Israele, ma poiché tutti i combattimenti ebbero luogo su territorio arabo, questa interpretazione è chiaramente errata. Ciò che accadde, infatti, è che Israele riuscì ad occupare grossi pezzi dei territori assegnati agli arabi palestinesi dall'accordo di partizione, comprese le zone arabe della Galilea occidentale, della Palestina araba centro-occidentale come “corridoio” per Gerusalemme e delle città arabe di Jaffa e di Beersheba. Anche il grosso di Gerusalemme – la città nuova – fu occupata da Israele ed il programma di internazionalizzazione dell'ONU venne scartato. Gli eserciti arabi furono ostacolati dalla loro stessa inefficienza e disunità e da una serie di tregue imposte dall'ONU rotte solo per il tempo bastante a Israele per occupare più territorio arabo.

Prima dell'accordo di armistizio permanente del 24 febbraio 1949, allora, 600.000 ebrei avevano creato uno stato che in origine aveva alloggiato 850.000 arabi (da una popolazione araba palestinese totale di 1,2 milioni). Di questi arabi, tre quarti di milione erano stati cacciati dalle loro terre e case ed il resto sottoposto ad una dura regola militare che, dopo due decadi, è ancora in vigore. Le case, le terre ed i conti bancari dei rifugiati arabi fuggiti furono subito confiscati da Israele e consegnati agli immigranti ebrei. Israele a lungo ha sostenuto che i tre quarti di milione di arabi non furono cacciati con la forza ma piuttosto dal loro stesso ingiustificato panico indotto dai leader arabi – ma il punto chiave è che tutti conoscono il risoluto rifiuto di Israele a lasciare che questi rifugiati tornino e reclamino le proprietà a loro sottratte. Da quel giorno a oggi, per due decadi, questi sfortunati rifugiati arabi, le loro fila ora gonfiate per aumento naturale a 1,3 milioni, hanno continuato a vivere in assoluta indigenza nei campi profughi intorno ai confini israeliani, a mala pena mantenuti in vita dagli scarni fondi dell'ONU e dai pacchi CARE, vivendo soltanto per il giorno in cui potranno tornare alle loro legittime case.

Nelle regioni della Palestina originariamente assegnate agli arabi, non è rimasto nessun governo arabo palestinese. Il capo riconosciuto degli arabi palestinesi, il loro Grand Mufti Haj Amin el-Husseini, fu deposto sommariamente dallo strumento britannico di vecchia data, il re Abdullah della Trans-Giordania, che confiscò semplicemente le regioni arabe della Palestina centro-orientale, così come la città vecchia di Gerusalemme (la Legione Araba del re Abdullah era stata costruita, armata, provvista di uomini e perfino guidata da ufficiali colonialisti britannici come Glubb Pasha).

Per quanto riguarda i rifugiati arabi, Israele si aspetta che i contribuenti del mondo (ovvero, in gran parte i contribuenti degli Stati Uniti) si inseriscano e finanzino un ampio programma per risistemarli in qualche luogo in Medio Oriente – cioè, in qualche luogo lontano da Israele. I rifugiati, tuttavia, non hanno naturalmente interesse nella risistemazione; rivogliono le loro case e proprietà, punto.

L'accordo di armistizio del 1949 si presumeva fosse sorvegliato da una serie di Commissioni Miste di Armistizio, composta da Israele e dai suoi vicini arabi. Molto presto, tuttavia, Israele sciolse le Commissioni Miste di Armistizio e cominciò ad invadere sempre più territori arabi. Quindi, la zona ufficialmente demilitarizzata di El Auja venne sommariamente occupata da Israele.

Da quando il Medio Oriente era ancora tecnicamente in uno stato di guerra (c'era un armistizio ma nessun trattato di pace), l'Egitto, dal 1949 in poi, aveva continuato a bloccare lo stretto di Tiran – l'entrata al golfo di Aqaba – a tutti i trasporti israeliani e a tutto il commercio con Israele. In considerazione dell'importanza del blocco del golfo di Aqaba nella guerra del 1967, è importante ricordare che nessuno protestò per questa azione egiziana: nessuno disse che l'Egitto stava violando il diritto internazionale chiudendo questo “pacifico canale internazionale” (rendere qualsiasi canale aperto a tutte le nazioni, secondo il diritto internazionale, richiede due condizioni: (a) consenso delle potenze che si affacciano sul canale e (b) che non esista stato di guerra fra qualsiasi delle potenze che si affacciano sul canale. Nessuna di queste condizioni valevano per il golfo di Aqaba: l'Egitto non acconsentì mai ad un tale accordo e Israele era in uno stato di guerra con l'Egitto dal 1949, di modo che l'Egitto poté bloccare il golfo ai trasporti israeliani senza contestazioni dal 1949 in poi).

La storia della continua aggressione israeliana era appena cominciata. Sette anni più tardi, nel 1956, Israele, alleato agli eserciti imperialisti britannici e francesi, invase l'Egitto. E – oh, con quale fierezza Israele imitò coscientemente le tattiche naziste del blitzkrieg e dell'attacco a sorpresa! E – oh, che ironia che proprio lo stesso establishment americano che per anni aveva denunciato i blitzkrieg e gli attacchi a sorpresa nazisti fosse improvvisamente pieno d'ammirazione per esattamente le stesse tattiche impiegate da Israele! Ma in questo caso, gli Stati Uniti, abbandonando momentaneamente la loro devozione intensa e continua alla causa israeliana, si unirono alla Russia nell'obbligare gli aggressori a lasciare il territorio egiziano. Ma Israele non ha acconsentì a ritirare le proprie forze dalla penisola del Sinai finché l'Egitto non avesse acconsentito a permettere che una Forza Speciale d'Emergenza dell'ONU avesse amministrato la fortezza di Sharm-El Sheikh che controlla lo stretto di Tiran. Tipicamente, Israele rifiutò sdegnoso all'UNEF il permesso di pattugliare il proprio lato del confine. Soltanto l'Egitto acconsentì a permettere l'accesso alle forze dell'ONU, e fu a causa di questo che il golfo di Aqaba è rimasto aperto ai trasporti israeliani dal 1956 in poi.

La crisi del 1967 nacque dal fatto che, nel corso degli ultimi anni, i rifugiati arabi palestinesi avevano cominciato ad abbandonare la loro precedente disperazione triste e passiva ed a formare movimenti guerriglieri che si sono infiltrati nei confini israeliani per portare la loro lotta nella regione delle loro case perdute. Dall'anno scorso, la Siria è stata sotto il controllo del più militante governo anti-imperialista che il Medio Oriente abbia visto da anni. L'incoraggiamento siriano ai guerriglieri palestinesi ha spinto i forsennati capi di Israele a minacciare la Siria con la guerra e la conquista di Damasco – minacce punteggiate da severe incursioni di rappresaglia contro i villaggi siriani e giordani. A questo punto il primo ministro egiziano, Gamal Abdel Nasser, che era stato uno sbruffone anti-israeliano per anni, ma che si era concentrato preferibilmente su misure demagogiche e stataliste che rovinarono l'economia interna dell'Egitto, fu sfidato dai siriani a fare qualcosa di concreto per aiutare: in particolare, a metter fine al controllo dell'UNEF – e quindi al continuo passaggio israeliano – nel golfo di Aqaba. Da qui, la richiesta di Nasser perché l'UNEF se ne andasse. Le proteste pro-israeliane alla rapida acquiescenza di U Thant sono grottesche, quando consideriamo che le forze dell'ONU erano là soltanto su richiesta egiziana e che Israele ha sempre rifiutato risolutamente di avere le forze dell'ONU sul proprio lato del confine. Fu a quel punto, con la chiusura dello stretto di Tiran, che Israele ha cominciato evidentemente a prepararsi per il proprio prossimo blitzkrieg.

Mentre apparentemente approvava le trattative di pace, il governo israeliano alla fine cedeva alle pressioni dei “falchi” all'interno del paese e la nomina di un noto guerrafondaio, il generale Moshe Dayan, a ministro della difesa era ovviamente il segnale per il blitz israeliano avvenuto dopo pochi giorni. Le incredibilmente rapide vittorie israeliane; la glorificazione della stampa delle tattiche e della strategia israeliane; la chiara impreparazione delle forze arabe a dispetto della gran fanfara; tutto ciò dimostra a tutti tranne ai più ingenui il fatto che Israele lanciò la guerra del 1967 – un fatto che l'Israele a malapena si preoccupa di negare.
Uno degli aspetti più repellenti del macello del 1967 è l'aperta ammirazione per la conquista israeliana da parte di quasi tutti gli americani, ebrei e non ebrei. Sembra esserci una malattia nel profondo dell'animo americano che causa la sua identificazione con l'aggressione e l'omicidio di massa – più rapido e più brutale è, meglio è. Nell'ondata di ammirazione per la marcia israeliana, quanti si addolorarono per le migliaia di civili arabi innocenti assassinati con l'uso israeliano del napalm? E per quanto riguarda lo sciovinismo ebraico fra il cosiddetto popolo “pacifista” della sinistra, non c'è dimostrazione più nauseabonda di una totale mancanza di umanità che quella mostrata da Margot Hentoff nel liberal Village Voice:
“C'è qualche guerra che ti piace? In caso affermativo, sei ebreo? Fortunato te. Che gran momento per essere ebreo. Avete mai conosciuto dei pacifisti ebrei? Ne avete conosciuto qualcuno la settimana scorsa? … Del resto, questa era una guerra differente – un vecchio genere di guerra, un genere di guerra in cui la morte era portatrice di vita e le morti arabe non contavano. Che piacere essere, ancora una volta, a favore di una guerra. Che bella sensazione, sana e pulita, acclamare quelle jeep che attraversavano lo schermo televisivo piene di soldati EBREI duri, magri, risoluti, armati.

“‘Guarda come vanno! WOW! ZAP! Niente li fermerà adesso!’ ha detto un vecchio pacifista radicale. ‘Questo è un esercito di ebrei!’

“Un altro (il cui contributo principale al giudaismo finora è stato di scrivere articoli che ripudiano Israele e che annunciano che il giudaismo ha fallito e se lo merita) ha passato la settimana a dissimulare la sua nazionalità. ‘Come stiamo?’ Continuava a chiedere. ‘Dove arriveremo adesso?’”
Che “bella sensazione pulita” davvero, quando “le morti arabe non contano!” C'è qualche differenza fra questo tipo di atteggiamento e quello dei nazisti persecutori di ebrei che la nostra stampa attacca, giorno dopo giorno, da ben più di vent'anni?

Quando ebbe inizio questa guerra, i capi israeliani affermarono che non erano interessati nemmeno in un “pollice” di territorio; la loro lotta era puramente difensiva. Ma ora che Israele siede sulle sue conquiste, dopo ripetute violazioni dei cessate il fuoco dell'ONU, spira un'aria molto diversa. Le sue forze occupano ancora tutta la penisola del Sinai; tutto il Giordano palestinese è stato occupato, spingendo altri quasi 200.000 sfortunati profughi arabi ad unirsi a centinaia di migliaia di loro compagni dimenticati; ha strappato un bel pezzo di Siria; e Israele afferma arrogante che non restituirà mai, mai, la città vecchia di Gerusalemme e non la internazionalizzerà; l'occupazione israeliana dell'intera Gerusalemme è semplicemente “non negoziabile.”

Se Israele è stato l'aggressore in Medio Oriente, il ruolo degli Stati Uniti in tutto questo è stato ancor più sgradevole. L'ipocrisia della posizione degli Stati Uniti è quasi incredibile – o lo sarebbe se non sapessimo qual è stata la politica estera degli Stati Uniti per decenni. Quando la guerra è cominciata, e per un momento è apparso come se Israele fosse in pericolo, gli Stati Uniti sono accorsi velocemente per dichiarare la propria dedizione “all'integrità nazionale del Medio Oriente” – come se i confini del 1949-67 fossero in qualche modo imbalsamati per sacro decreto e debbano essere conservati a tutti i costi. Ma – non appena è stato chiaro che Israele aveva vinto e conquistato ancora una volta, l'America si è rapidamente liberata dei propri presunti cari “principi.” Ora non si parla più “dell'integrità nazionale del Medio Oriente”; ora tutto è “realismo” e l'assurdità di tornare agli obsoleti confini dello status quo ed alla necessità che gli arabi accettino un accordo generale in Medio Oriente, ecc. Di quante altre prove abbiamo bisogno per sapere che gli Stati Uniti hanno approvato dall'inizio, pronti ad accorrere in soccorso di Israele se necessario? Di quante altre prove abbiamo bisogno per sapere che Israele è ora l'alleato ed il satellite degli Stati Uniti, che in Medio Oriente come in tante altre zone del mondo hanno indossato il mantello portato un tempo dall'imperialismo britannico?

La cosa più importante che gli americani non devono essere spinti a credere è che Israele sia un “piccolo” “derelitto” contro i suoi potenti vicini arabi. Israele è una nazione europea con uno standard tecnologico europeo che combatte un nemico primitivo e non sviluppato; ancora, Israele ha dietro di sé la forza concentrata di innumerevoli americani e europei occidentali che lo alimentano e lo finanziano, così come i governi leviatanici degli Stati Uniti e dei suoi numerosi alleati e stati clientelari. Israele non è un “prode derelitto” a causa dell'inferiorità numerica più di quanto lo fosse l'imperialismo britannico quando conquistava terre molto più popolate in India, in Africa ed in Asia.

E così, Israele ora si siede, occupando il proprio aumentato territorio, polverizzando case e villaggi che contengono cecchini, mettendo al bando gli arabi, uccidendo giovani arabi in nome del controllo del terrorismo. Ma questa stessa occupazione, questa stessa elefantiasi di Israele, fornisce agli arabi una potente occasione a lungo raggio. In primo luogo, come i regimi anti-imperialisti militanti di Siria e Algeria ora vedono, gli arabi possono spostare la loro enfasi strategica dalla disperata guerra convenzionale con un nemico molto meglio armato ad una prolungata e totale guerriglia popolare. Armato con armi leggere, il popolo arabo potrebbe mettere in atto un altro “Vietnam,” un'altra “Algeria” – un'altra guerriglia popolare contro un esercito d'occupazione pesantemente armato. Naturalmente, questa è una minaccia soltanto a lungo termine, perché per eseguirla gli arabi dovrebbero rovesciare tutte le loro stagnanti e reazionarie monarchie e formare una nazione unita pan-araba – perché le spaccature in nazioni-stato nel mondo arabo sono la conseguenza delle artificiose macchinazioni e delle depredazioni dell'imperialismo britannico e francese. Ma nel lungo termine, la minaccia è molto reale.

Israele, quindi, affronta un dilemma di lungo termine che un giorno dovrà affrontare. O continuare nel suo attuale percorso e, dopo anni di reciproche ostilità e di conflitto venir rovesciato dalla guerriglia popolare araba. O cambiare drasticamente direzione, liberarsi completamente dai legami imperiali occidentali e trasformarsi in semplici cittadini ebrei del Medio Oriente. Se lo facesse, allora la pace e l'armonia e la giustizia regnerebbero infine in questa regione tormentata. Ci sono molti precedenti per questa coesistenza pacifica. Per secoli prima dell'imperialismo occidentale del XIX e XX secolo, ebrei e arabi avevano sempre vissuto insieme pacificamente in Medio Oriente. Non ci sono inimicizia o conflitti inerenti fra arabi ed ebrei. Nei grandi secoli della civiltà araba nell'Africa del Nord ed in Spagna, gli ebrei avevano un ruolo felice e prominente – contrariamente alla loro continua persecuzione da parte dei fanatici dell'occidente cristiano. Ripulita dall'influenza e dall'imperialismo occidentale, quell'armonia può tornare a regnare di nuovo.

Tuesday, February 23, 2010

Riflessioni su un'intervista del generale Stanley McChrystal

In Afghanistan, la democrazia continua a piovere allegramente dal cielo sulle teste delle reticenti popolazioni autoctone, mentre sulle nostre grandina impietosa la retorica guerriera e imperialista della giusta guerra, passpartout di ogni potere costituito che sulla morte e sulla disperazione costruisce le sue fortune programmando al contempo la propria fine.

A noi non resta che assistere stupefatti al suicidio della civiltà, ringraziando il cielo per la penna di Fred Reed.
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Di Fred Reed


Ossignore. Ossignore. Non posso farcela. Qualcuno mi porti un drink.

Recentemente ho visto un'intervista con il generale McChrystal, capo macellaio della Forza d'Impianto della Democrazia in Afghanistan del Pentagono. Il generale spiegava i progressi della nostra vittoria. Sì, della vittoria. Stiamo facendo progressi. È solo una questione di tempo. Egli vede la luce in fondo al tunnel. Non ha però spiegato cosa stiamo facendo in un tunnel in primo luogo. Immagino che se ne sia dimenticato.

L'uomo era un superbo esegeta. Intelligente, magro e in forma, abbronzato – gotico americano in mimetica. Irradiava Serietà a ondate, insieme a Fermezza, Soldatesca Determinazione e, sospetto, assoluta incomprensione di quel che stava facendo. Trent'anni nei militari trasformano il più brillante ufficiale in un sempliciotto. La maggior parte ci arriva nel momento in cui diventa tenente.

Il tipo è grezzo, ho pensato. Lo hanno dissotterrato e lo hanno animato in digitale. Aveva le stesse statistiche, ha tracciato gli stessi confortanti grafici che mostrano gli stessi progressi nella pacificazione, lo stesso declino delle cose brutte e l'aumento delle cose buone. Sì, pensava, dovremmo davvero finirla di ammazzare tanti civili, e la finiremo. Aiuteremo gli afgani, non appena avremo finito di ammazzare la gran parte di essi (non ha citato la parte a proposito l'ammazzamento della gran parte di essi ma pare che ci stia lavorando). Vinceremo i loro cuori e le loro menti con salubri e caritatevoli bombardamenti (ok, non ha detto neanche questo. Ma pare che sia quel che pensa).

Buon Dio, ho pensato non troppo caritatevolmente, se questo tizio dovesse mai ammalarsi, avrà bisogno di un proctologo equino.

Così ora stiamo invadendo Marjah, una città, per costruire scuole e ospedali. Le scuole e gli ospedali si costruiscono tipicamente con l'artiglieria pesante. Non appena avremo distrutto quel posto, ci ameranno e vedranno le virtù del Metodo Americano (la prima cosa che abbiamo fatto è stata far esplodere una casa, ammazzare dodici civili incluso la quota obbligatoria di bambini. Se questa non è un'azione del tipo hearts-and-minds, non so immaginare cosa potrebbe essere. Questo resoconto l'ho letto su Antiwar.com, e lo suggerisco a tutti).

Questa strategia ha perfettamente senso, davvero. Voglio dire, se gli afgani ammazzassero il vostro pargolo, non vi farebbe venir voglia di adottare la loro forma di governo e lasciare che migliorino la vostra vita? A me sì.

Tutto ciò è così minacciosamente familiare. Westmoreland, il Fantasma del McChrystal Passato, fu anch'egli un pacificatore di villaggi. Uccidi i loro bambini, e da' loro cinquecento dollari e un lecca-lecca come compensazione. Spiega il voto. Che piano perfetto.

Datemi retta, agli ufficiali non dovrebbe essere permesso di pensare. Un emendamento costituzionale sarebbe la cosa migliore. Passano decenni immersi come bustine di tè verde in una cultura marziale priva della minima concezione di come funzioni la gente. Se volete combattere l'Armata Rossa a Fulda Gap (io non lo desidero in particolar modo) mandateci McChrystal. Senza dubbio conosce le corazze, gli elichoppers, i grossi cannoni che fanno boom. Ma per quanto riguarda il popolo, ha meno senno di quello che Dio ha dato ad un melograno. E questa è una guerra di popolo.

Dovete capire: i soldati non sono normali. Vivono in un mondo in una bolla, sigillato in basi semi-isolate con menti profondamente isolate. Le caratteristiche tipiche del comportamento umano, come il pensiero individuale e l'indipendenza mentale, qui non si applicano. Credono in Dio e nella Patria (almeno, coloro che ci rimangono dentro abbastanza a lungo da farne una politica). Sono lindi e puliti, si sentono parte di una collettivo che lavora insieme, rispettano l'autorità e credono che gli altri, come gli afgani, sarebbero più felici se solo facessero quel che viene loro detto e seguissero il programma. La nozione militare di Buono e Cattivo è rigida e molto, molto semplice. Noi siamo i buoni e i negri che non ci vogliono nel loro paese sono cattivi.

Qualcosa in tutto ciò non è così sciocco come appare, finché rimanete nelle basi. Queste ultime sono tipicamente piacevoli e ordinate, autoritarie ma non tiranniche, con piscine pubbliche e palestre e cliniche e per molti versi il genere di welfare-più-responsabilità a cui anelano i liberal. I soldati vogliono che gli afgani vivano alla stessa maniera. Non funzionerà.

Lo stile protestante da “Selezione dal Reader’s Digest” non si può trasferire a Kandahar. “Siamo qui per aiutarvi” nella maggior parte del mondo si traduce “scappa a gambe levate.” Il senso del giusto fra gli ufficiali di campo è forte. Stanno facendo il lavoro di Dio. Non passa per la loro testa – non può passare per la loro testa – che i musulmani devoti non vogliono affatto alcun cristiano nel loro paese, ancor meno dei cristiani che scardinano le loro porte e umiliano le loro donne. I colonnelli pensano che stanno cercando di estirpare il male, e che sei robotici soldati stranieri che ammanettano un uomo davanti alla sua famiglia è un piccolo prezzo da pagare per la democrazia.

Naturalmente i bulli che si occupano di scardinare odiano i locali, che si vestono in modo buffo e mangiano della strana merda e gli sparano addosso.

Ciò che McMoreland non afferra è che alla gente, semplicemente, non piace essere invasa. Sì, sì, è per il loro stesso bene. Naturalmente, siamo noi a decidere qual è il loro bene.

Tale è l'ingratitudine di questa gente e la loro mancanza di rispetto per i confini, che ci troviamo costretti a ampliare la guerra in Cambog – volevo dire, Pakistan. Il Pakistan. E così i Predator volano, Predando, ammazzando le persone sbagliate perché di quelle ce n'è di più. Che questo potrebbe produrre dell'animosità è irrilevante per i soldati. La missione è sacra. Le nostre intenzioni sono buone.

Le conseguenze di non comprendere ciò che state facendo possono essere conseguenti (è geniale o no? Lo avete letto qui per la prima volta).

È così noioso. Stiamo sempre salvando il mondo da questo o da quel terrore, di solito senza che ce l'abbiano chiesto. Recentemente un amico mi ha letto un passaggio da Robert Bork, l'intellettuale molto brillante e molto conservatore che non riuscì ad arrivare alla Corte Suprema. Parlava di quanto fosse giusta e necessaria la guerra nel Vietnam, dicendo che era cruciale per lo sforzo di fermare la diffusione del comunismo. Coloro che si opposero alla guerra semplicemente non capivano il pericolo.

Abbiamo perso la guerra. Cosa accadde? L'Unione Sovietica uscì pacificamente di scena. Le sue “repubbliche” si sono unite alla NATO o vogliono farlo. La Cina “comunista” è un importante partner commerciale. Il Vietnam, ancora comunista, ospita un grande impianto della Intel. La Cambogia è quella che è sempre stata, un piccolo posto caldo e grigio di nessuna importanza. Anche il Laos è verde e caldo e pieno di gente che ricorda i loro padri uccisi dagli americani.

Per questo abbiamo macellato milioni, abbiamo portato Pol Pot al potere per ammazzarne degli altri ed abbiamo ucciso in proporzione pochi dei nostri concittadini. Ora, se l'America vuole uccidere i suoi stessi soldati, quello è un affare dell'America. È una questione di sovranità nazionale con cui nessun altro paese dovrebbe avere il diritto di interferire. McChrystal potrebbe forse condurre una sua guerra privata da qualche parte nei deserti sud-occidentali. Sapete, McCrystal contro David Petraeus, con due divisioni ciascuno, dodici colpi o ko, nessuna mossa vietata, ma devono comprarsi le armi da soli.

E che lascino fuori gli altri.

Tuesday, February 16, 2010

Contro la guerra

Tre giorni fa, il 13 febbraio, ricorreva l'anniversario del bombardamento di Dresda, uno dei crimini di guerra più orribili di tutti i tempi. Quasi in contemporanea le armate di Obama hanno sferrato l'ennesima offensiva “finale” in Afghanistan, con il consueto corollario di morti innocenti, mentre all'orizzonte si profilano altri possibili e più infausti conflitti, utili a ridurre il tasso di disoccupazione occidentale nell'unico modo che i governi conoscano: gettare la forza lavoro eccedente nel tritacarne bellico.

Tra le poche voci che si levano per cercare di impedire l'inevitabile, spicca da quindici anni quella del sito antiwar.com, che con questo articolo di Justin Raimondo descrive la poco lucida follia degli strateghi agli ordini del premio Nobel per la Guerra Barracks Obama, e chiede l'aiuto e il supporto di tutti per continuare il suo lavoro in favore della pace. Chi può, si frughi.
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Perché persistiamo

Di Justin Raimondo


I nostri motivi sono spesso stati messi in dubbio, ma non è davvero un mistero il perché noi anti-interventisti continuiamo a sostenere le nostre idee sotto il presidente Obama come abbiamo fatto durante gli anni di Bush. Come libertari, ci opponiamo all'espansione ed all'espressione del potere dello Stato in tutte le sue manifestazioni, ma in special modo quando si tratta della guerra. Questa è l'estrema espressione dello statalismo – ovvero, il culto dello Stato - e il modo di porsi di fronte ad essa è cruciale. La domanda non è solo “sei a favore della guerra, o contro?” Poiché quello che realmente si sta chiedendo è: da che parte stai – dalla parte della gente, o con la gente al potere?

In tempo di guerra, lo Stato si eleva in tutta la sua ostile magnificenza, come un grande drago sputafuoco, e coloro che – istintivamente – si prostrano e l'adorano sono i servitori naturali del potere, che eccitati dalla sua visibile esibizione godono indirettamente di ogni morte nemica come se l'avessero inflitta con le loro mani.

Dal grande drago in tempo di guerra spunta ogni specie di tentacoli supplementari, che si avvolgono come una specie di anaconda istituzionale intorno al settore privato e – se gli viene concesso tempo a sufficienza – lo soffoca a morte. E non intendo solo l'impresa privata, anche se quella è la sua funzione economica, ma anche le varianti di ciò che chiamiamo “la società civile,” le organizzazioni non governative che compongono il tessuto della civiltà umana, dai pulpiti alla Società di Giardinaggio per Signore e tutto ciò che sta tra queste.

In tempo di guerra, lo spirito militarista pervade la società come una nebbia tossica, che erode i legami che normalmente legano gli esseri umani uno all'altro e sostituendoli con dei nuovi: il volontarismo lascia il posto all'autoritarismo e la scelta alle catene in ogni aspetto della vita.

In tempo di guerra, le motivazioni per l'espansione del potere del governo di tassare, regolare ed imporre misure “d'emergenza” che normalmente sarebbero considerate intollerabili passano in gran parte senza discussioni. Quanti membri del congresso hanno votato contro il cosiddetto Patriot Act? E se, durante il tempo di guerra, un singolo membro della Società di Giardinaggio per Signore disapprova quando il club decide di mettere in palio dei Titoli di Guerra, non osa alzare la sua voce.

Uno stordente conformismo intellettuale e politico è una necessità, perché l'intera nazione essenzialmente si trasforma in in un'appendice delle forze armate, ovvero, si organizza seguendo linee militari e questo è il vero obiettivo della propaganda di guerra: ammorbidire la popolazione quanto basta perché l'accetti.

Resoconti dissidenti sul perché stiamo combattendo, e su chi ne trae vantaggi, sono malvisti durante il tempo di guerra e spesso sono vietati. Gli spazi “democratici” permessi dal regime si restringono e le occasioni di protesta sono severamente limitate se non completamente vietate. L'albero della libertà appassisce inevitabilmente quando le nubi di guerra ostruiscono il sole ed il lungo conflitto che ora stiamo combattendo lo ucciderà definitivamente – a meno di sottrarre la nostra politica estera al Partito della Guerra.

Ecco perché persistiamo, attraverso le amministrazioni democratiche e repubblicane, con lo stesso messaggio e lo stesso avvertimento contro quel tipo di arroganza che tenta tutti coloro che hanno in mano un grande potere, e li attira nel peccato dell'hybris.

Leggendo il resoconto del New York Times della grande armada americana mentre discende nella provincia di Helmand, in Afghanistan, l'ultimo “surge” della potenza militare americana nell'Asia centrale, sono colpito dalla ripetitività dell'intera operazione: ricorda tutti i grandi disastri militari del passato, dall'Armada spagnola all'invasione napoleonica della Russia, alla strategia della controinsurrezione che provammo in Vietnam, fino alla presunta invasione finale dell'Iraq, il supposto successo di cui l'amministrazione Obama sta ora bizzarramente prendendosi i “meriti.” Sento la stessa grandiosità, espressa con la stessa lugubre fiducia: “Abbiamo un governo in scatola, pronto ad entrare in funzione,” annuncia il generale Stanley McChrystal, comandante statunitense in Afghanistan e architetto della nuova strategia della controinsurrezione, che è “ripulire, mantenere e costruire.”

Ciò che costruiscono è un nuovo stato afgano, e ce l'hanno in scatola, come dice il generale, e sono pronti a metterlo in opera. Proprio come voi montereste un giocattolo per bambini e lo mettereste sotto l'albero di Natale.

In che mondo vive questa gente? Il reporter di Times ci dà qualche indizio:
“La scommessa è che una volta che gli afgani vedranno prendere forma la parvenza di uno stato a Marja, i combattenti talebani cominceranno a prendere più seriamente le offerte che Karzai e gli occidentali offrono per comprarli. Attratti dall'offerta di un qualche ruolo politico nella società afgana – e di uno stipendio regolare – ci penseranno due volte prima di provare a riprendere la città. ‘Pensiamo che molti dei soldati di fanteria combattano per soldi, non per l'ideologia,’ ha detto recentemente un funzionario britannico. ‘Dobbiamo verificare l'idea che è meno costoso arricchirli un poco che combatterli ogni primavera ed estate.’”
Il mondo in cui questa gente vive è lo stesso in cui viviamo noi: l'occidente del ventunesimo secolo, dove la promessa di uno stipendio regolare è sufficiente per convincere chiunque di qualsiasi cosa. Ideologia? Cos'è? Tutto può essere comprato: è solo una questione di prezzo.

Questo è un caso dove la corruzione morale è il suo stesso nemico peggiore: presupponendo che siano tutti amorali e privi di idealismo come noi, gli strateghi americani stanno forse per ricevere uno shock. “Arretrato” com'è l'Afghanistan, il popolo afgano potrebbe esserlo abbastanza da rifiutare un appello per vendersi con il disprezzo che merita.

Più probabilmente prenderanno i soldi e rifiuteranno il “governo” afgano comunque. Karzai continuerà a sostenere – piuttosto ragionevolmente – di non potersi reggere sulle proprie gambe e di aver bisogno della presenza delle truppe degli Stati Uniti, e resteremo in Afghanistan per i prossimi dieci o vent'anni, o finché il popolo americano non sceglierà un presidente che finalmente li districhi da questa crociata assolutamente inutile.

La grande armada di Helmand sarà senza dubbio dichiarata vittoriosa e le legioni di Obama saranno acclamate come i portatori di luce nelle tenebre afgane: presto sentiremo racconti ispirati su come i nostri soldati stiano costruendo scuole, strade e dighe, come pure uno stato afgano nuovo di pacca – non è meraviglioso?!

La chiara risposta è: no. Non è meraviglioso: è orribile. Stiamo rovesciando milioni di dollari e migliaia di vite giù in un pozzo senza fondo, un pozzo che non si riempirà mai e che invece ci svuoterà fino a che non ci fermeremo. Il “governo” afgano non avrà mai niente di lontanamente simile alla legittimità agli occhi del suo popolo, non importa con quanti soldi cercherete di corromperlo. Prenderanno i vostri soldi e rideranno di voi.

Poi, vi spareranno.

Immaginate se un paese straniero invadesse e conquistasse gli Stati Uniti. Le forze di occupazione installano un “governo” guidato dall'equivalente americano di Hamid Karzai – diciamo, Rod Blagojevich. E i generali ed i politici del paese d'occupazione si riuniscono per un incontro strategico e decidono che il migliore modo per pacificare quei chiassosi americani è di comprarli. “Appena date loro uno stipendio regolare,” dice un generale, “ci penseranno due volte prima di resistere.”

Sarebbe un'idea ragionevole da parte sua? Ne dubito. Ma so che è molto lontano dall'essere ragionevole quando si parla degli afgani, come uno breve sguardo alla loro storia potrà dirvi.

Anche i sovietici avevano un “governo in scatola,” o pensavano di averlo. Ma quando arrivò la resa dei conti, i loro burattini non furono di grande aiuto sul campo di battaglia, o fuori da esso: c'erano tante di quelle lotte intestine fra i comunisti afgani, che, se avessero ucciso i mujahideen con l'efficienza e l'energia che usarono per uccidersi a vicenda, la loro sconfitta avrebbe potuto non essere tanto rapida e spietata. Così vennero spazzati via entro pochi mesi dal ritiro sovietico, proprio come Karzai, o chiunque altro decidessimo di installare a Kabul come “presidente,” non sopravviverebbe mai senza una sostanziosa presenza militare degli Stati Uniti.

Questa guerra non è che l'inizio di una serie di guerre cominciata in Iraq e che ora sta continuando attraverso il fronte dell'Asia centrale, dirigendosi verso il Pakistan, e l'Iran. Il Partito della Guerra non ha ancora finito con noi – nemmeno per sogno.

Wednesday, February 10, 2010

AP soffia sul fuoco

Rieccomi qui. Dopo un periodo di intenso lavoro che mi ha costretto a ridurre il Gongoro ad una vetrina per le strisce di Collective Hope, torno ad aggiornarlo con articoli e notizie. Mi ci vorrà un po' di tempo per riprendere al ritmo consueto, mi sento un po' arrugginito, ma confesso che provo un certo piacere rimettendo in moto le sue rotative virtuali.

Tra i temi che vorrei trattare ho scelto il caso dell'Iran, poiché l'attuale situazione ricorda molto il periodo pre-invasione dell'Iraq e potrebbe quindi degenerare rapidamente consentendo al presidente nero di firmare la sua prima guerra d'aggressione. L'articolo che ho deciso di tradurre illustra alla perfezione in che modo i media – ormai strumento quasi esclusivo di propaganda bellica oltre che di indottrinamento statalista – contribuiscono a creare quel clima di paura e tensione che prepara il terreno al conflitto, ma allo stesso tempo dimostra come con dedizione e passione per la verità si possano anche ottenere piccole ma significative vittorie contro il cosiddetto partito della guerra.

Infatti, a seguito delle puntuali critiche presentate da Jason Ditz nel suo articolo, la Associated Press non ha potuto far altro che ritirare l'articolo originale di George Jahn – ripreso con grande fanfara dal mainstream mondiale – e sostituirlo con un altro meno bellicoso dal titolo “Iran to stop enrichment if given nuclear fuel” di Nasser Karimi (2/9/2010). Non basterà a fermare la macchina della morte, ma non me la sentivo di ripartire con qualcosa di totalmente negativo.
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Di Jason Ditz


In un articolo molto diffuso che ha ulteriormente alimentato l'isteria occidentale per la prospettiva di un'imminente guerra con l'Iran, Associated Press ha sostenuto oggi che l'ultima mossa del programma di arricchimento dell'uranio iraniano, un tentativo per produrre gli isotopi per uso medico che si stanno velocemente esaurendo nella nazione, era un piano segreto costruire le armi nucleari.

Nell'articolo, intitolato “Iran moves closer to nuke warhead capacity,” si sostiene che l'Iran ha informato la IAEA che “aumenterà la propria capacità di costruire testate nucleari,” un'allegazione non solo non corroborata dai fatti, ma che va persino oltre le molto bellicose dichiarazioni occidentali citate nel pezzo.

In realtà la stessa conferma dello IAEA della dichiarazione iraniana dice che l'Iran sta progettando di dare il via agli sforzi per “la produzione di uranio arricchito a meno del 20 per cento,” che per l'articolo di AP sarebbe “appena sotto la soglia dell'uranio altamente arricchito” mentre in realtà è molto lontano da oltre il 90 per cento necessario per l'uso bellico.

L'Iran ha indicato chiaramente che l'uranio arricchito a circa il 20 per cento sarà utilizzato per produrre barre di combustibile per il suo reattore di Tehran di costruzione statunitense, necessarie nella creazione degli isotopi medici. Tale azione è stata intrapresa allorché i tentativi di accordi con terze parti, che avrebbero permesso all'Iran di ottenere le barre di combustibile dall'estero, sono stati bloccati dalle proteste internazionali.

Ma il pezzo di AP mistifica l'accettazione della settimana scorsa da parte dell'Iran dell'accordo con terze parti sull'arricchimento, una mossa che, esso sostiene, “è stato accolto favorevolmente dalla comunità internazionale,” ma che in realtà è stato condannato energicamente dai funzionari occidentali, i quali hanno affermato che accettare le loro stesse richieste era un tentativo di “bloccare” le trattative.

In realtà questa è stata la chiave che ha portato alla mossa iraniana, dal momento che i funzionari tedeschi hanno insistito che l'accettazione dell'Iran era inaccettabile e che avrebbe dovuto partire un nuovo ciclo di trattative, una cosa che i funzionari occidentali hanno rifiutato ripetutamente. Di fronte alla prospettiva di un accordo con terze parti per l'arricchimento nel migliore dei casi ipotetico, l'Iran è rimasto con la scelta di abbandonare le cure con medicina nucleare per migliaia di pazienti o tentare di diventare autosufficiente.

E mentre i funzionari britannici ripetevano, ed AP precisava subito, che dubitano della capacità dell'Iran di produrre davvero le barre di combustibile, altri esperti hanno detto che sarebbero probabilmente stati in grado di farlo, all'Iran non è rimasta altra opzione che tentare.

Alla fine della giornata, comunque, il problema più grande nell'articolo era il riferimento alle “testate nucleari,” una tecnologia che l'Iran non è neppure accusato di portare avanti. Se l'Iran non è neanche capace di fabbricare delle barre di combustibile per i reattori medici dall'uranio arricchito al 20 per cento che spera di produrre, è del tutto assurdo ed irresponsabile affermare che l'Iran si sta avvicinando alla capacità di produrre testate nucleari, che richiederebbero non solo l'uranio per uso bellico che non stanno producendo, ma anche di sistemi di lancio avanzati.

Con le installazioni per l'arricchimento dell'Iran sotto la continua sorveglianza della IAEA, questa potrà confermare che né l'uranio attualmente disponibile al 3,5 per cento, né quello ipotetico al 20 per cento possono essere usati per scopi diversi da quelli civili. Tale sorveglianza, inoltre, potrebbe confermare immediatamente se l'Iran comincerà ad arricchire l'uranio oltre il 20 per cento, il che significa che la minaccia di un Iran che ottiene improvvisamente un'arma nucleare è completamente illusoria. I funzionari occidentali ed alcuni autori di Associated Press, tuttavia, considerano giusto guardare al di là dell'assenza di minacce concrete e contano sul timore pubblico dell'ignoto per giustificare la crescente tensione contro ogni ragione, e portare l'occidente sempre più vicino ad un'inutile guerra con l'Iran.

Saturday, September 26, 2009

I Missili in giardino

Il problema di vivere ancorati a terra è che è spesso difficile rendersi conto dell'enormità di certi eventi, se non attraverso le lenti offuscate del quotidiano tran tran.

Ci è negata la visione d'insieme prerogativa di chi si libra a considerevole distanza dai travagli terreni, come gli dei o gli abitanti di Laputa.

Ma quando i dispacci telepatici del nostro corrispondente dall'isola volante ci offrono un assaggio di questo tipo di comprensione, diventa chiaro che la nebbia che avvolge certe vicende umane può essere talvolta una benedizione: come potremmo mai essere sereni, infatti, con dei missili in giardino?
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Di Giovanni Pesce


Nel corso degli anni ’50 anche l’Italia partecipò al conflitto nucleare “freddo” ospitando graziosamente nel territorio delle Murge una trentina di missili Jupiter dotati di testata atomica.

Pochi anni prima (1943-1945) la Puglia, in particolare Foggia, era stata scelta come avamposto per l’attacco sull’Europa Continentale; da vari campi d'aviazione dislocati intorno a quella città decollavano quotidianamente bombardieri Usa con obiettivi particolari: campi petroliferi di Ploesti in Romania, città italiane del Nord, insediamenti industriali della Germania del Sud.

Nel 1958 i governi di Usa e Italia decisero di posizionare 30 missili Jupiter con testata nucleare H nell’altopiano tra Bari e Taranto, con sede di comando a Gioia del Colle.

Il progetto, all’oscuro dell’opinione pubblica italiana, venne messo in opera e portato a termine in pochi mesi nella primavera 1961.
Contemporaneamente, in quegli stessi pochi mesi Hollywood produceva un filmetto che, con il titolo italiano I missili in giardino,” trattava da un punto di vista familiare questo tipo di installazioni militari.

La realtà comunque è ben altra cosa.
In quelle installazioni militari si segue il falso concetto della doppia chiave: ovvero il missile non parte se non ci sono le due autorizzazioni da parte dei due governi: Italia ed USA.

Però la chiave generale del sistema, la terza chiave, è nella sola disponibilità USA; come sono nella sola disponibilità USA le bombe “strategiche,” quelle sui missili balistici.
Queste pugliesi sono invece classificate come tattiche e pertanto possono essere usate solo con l’assenso del governo italiano e vanno utilizzate con parsimonia all’interno del metodo MAD (Mutual Assured Destruction).

Più o meno i progettisti della RAND Corporation avevano definito la guerra nucleare in queste fasi:
  1. First Strike (il primo colpo);
  2. la Ritorsione (il paese colpito può rispondere usando l’atomica con una risposta “flessibile”);
  3. la guerra “Fine di Mondo” messa in azione da un insieme di calcolatori collegati in rette.
Più o meno sono i concetti espressi nel film “Dr. Strangelove,” uscito nelle sale alla fine del 1963.

Nel 1962 alla conclusione del blocco navale Usa nei confronti di Cuba, Kennedy concordò con Kruscev un accordo semi-segreto: se Kruscev avesse ritirato i missili a Cuba Kennedy avrebbe ritirato i missili in Puglia ed in Turchia. Tra le condizioni dell’accordo c’era quella di non dare molta pubblicità alle concessioni americane e questa clausola venne rispettata.

Così, nell’aprile 1963 i trenta missili vennero ritirati e riportati oltreoceano.

Per amanti della statistica, a Gioia del Colle si totalizzavano allora per trenta testate termonucleari (H), ben 50 megatoni, (migliaia di volte più potenti dell’esplosione di Hiroshima).

In quei giorni i serviti segreti di Laputa registrarono la seguente telefonata: “Pronto, Gioia, ho il razzo pronto per l’esercitazione!”.
Che tipo di esercitazione volessero fare resta un mistero.