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Thursday, March 4, 2010

Le colpe della guerra in Medio Oriente

La storia è scritta dai vincitori, si dice. E se per storia intendiamo la narrativa che ci viene propinata nei centri d'indottrinamento statali e ripetuta ad nauseam dai media asserviti, questo è certamente vero. Fortunatamente però, di tanto in tanto, la storia viene scritta anche da persone eccezionali, che sfuggono all'omologazione vigente affidandosi esclusivamente alla ragione e alla loro umanità. Allora il ritratto che se ne ricava è spesso molto meno lusinghiero per gli acclamati vincitori.

Rothbard è stato un uomo di questo tipo, indifferente al clamore della folla ed ai diktat dei potenti. Quella che segue è una delle innumerevoli dimostrazioni del suo amore per la giustizia e la verità, un pezzo scritto per Left and Right nel 1967, all'indomani della guerra dei sei giorni in Medio Oriente.
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DI Murray Rothbard


Il problema con i settari, che siano libertari, marxisti, o sostenitori del governo mondiale, è che tendono ad accontentarsi della causa alla radice di ogni problema ed a non preoccuparsi mai delle cause più dettagliate o più prossime. Il migliore, e quasi ridicolo, esempio di settarismo cieco e non intelligente è il Partito Laburista Socialista, un partito venerabile senza effetto alcuno sulla vita americana. A qualsiasi problema che la condizione del mondo potrebbe porre – la disoccupazione, l'automazione, il Vietnam, i test nucleari, o qualsiasi altra cosa – il PLS ripete semplicemente, a pappagallo: “adottare il socialismo.” Poiché il capitalismo si presume essere la causa originaria di tutti questi ed altri problemi, solo il socialismo li spazzerà via, punto. In questo modo il settario, anche se la sua identificazione della causa originaria fosse corretta, si isola da tutti i problemi del mondo reale e, per ulteriore ironia, evita a sé stesso di avere un qualche effetto verso lo scopo finale che serba in cuore.

Alla domanda sulle colpe di una guerra, di qualunque guerra, il settarismo alza la sua brutta e disinformata testa molto al di là della palude in cui affonda il Partito Laburista Socialista. Libertari, marxisti, sostenitori del governo mondiale, ciascuno dalla propria diversa prospettiva, hanno l'insita tendenza di evitare di tediarsi con i pro e i contro dettagliati di ogni dato conflitto. Ciascuno di essi sa che la causa alla radice della guerra è il sistema della nazione-stato; data l'esistenza di questo sistema, le guerre ci saranno sempre e tutti gli stati se ne divideranno la colpa. Il libertario, in particolare, sa che gli stati, senza eccezione, aggrediscono i loro cittadini e sa inoltre che in tutte le guerre ogni stato aggredisce i civili innocenti “appartenenti” all'altro stato.

Ora questo tipo di visione della causa originaria della guerra e dell'aggressione, e della natura dello stato in sé, è cosa buona e giusta ed estremamente necessaria per comprendere lo stato del mondo. Ma il problema è che il libertario tende a fermarsi lì, ed eludendo la responsabilità di conoscere che cosa sta accadendo in ciascuna specifica guerra o conflitto internazionale, tende a saltare ingiustificabilmente alla conclusione che, in qualunque guerra, tutti gli stati sono ugualmente colpevoli, e quindi a continuare a farsi gli affari suoi senza pensarci due volte. In breve, il libertario (e il marxista e il partigiano del governo mondiale) tende a trincerarsi nella comoda posizione di un “Terzo Accampamento,” assegnando uguali colpe a tutte le parti in ogni conflitto, e lasciando perdere. Questa è una posizione comoda da prendere perché in realtà non aliena i partigiani dell'uno o dell'altro lato. Entrambi gli schieramenti in una guerra scarteranno quest'uomo come “idealista” senza speranza e settario, un uomo anche piuttosto amabile perché ripete meccanicamente la sua posizione “pura” senza informarsi o prendere posizione su qualsiasi guerra stia infuriando nel mondo. In breve, entrambi gli schieramenti tollereranno il settario precisamente perché irrilevante, e perché la sua irrilevanza garantisce che non avrà effetto sul corso degli eventi o sull'opinione pubblica su questi eventi.

No: libertari devono arrivare a capire che ripetere meccanicamente i principi ultimi non è abbastanza per affrontare il mondo reale. Solo perché tutte le parti condividono la colpa ultima degli stati non significa che tutte le parti sono ugualmente colpevoli. Al contrario, virtualmente in ogni guerra, una parte è molto più colpevole dell'altra e a quella parte dev'essere assegnata la responsabilità di base per l'aggressione, la conquista, ecc. Ma per per scoprire quale parte in una guerra è la più colpevole, dobbiamo informarci approfonditamente sulla storia di quel conflitto e questo richiede tempo e riflessione – ed è inoltre necessaria la volontà ultima di diventare rilevanti prendendo posizione e assegnando un maggior grado di colpevolezza su un lato o sull'altro.

Diventiamo quindi rilevanti; e, con questo in mente, esaminiamo le cause storiche alla radice dell'attuale cronica e acuta crisi in Medio Oriente; e facciamolo con lo scopo di scoprire e giudicare il colpevole.

La crisi cronica del Medio Oriente risale – come molte altre crisi – alla Prima Guerra Mondiale. I britannici, in cambio della mobilitazione dei popoli arabi contro i loro oppressori della Turchia imperiale, promisero agli arabi la loro indipendenza alla fine della guerra. Ma, allo stesso tempo, il governo britannico, con un caratteristico gioco su due tavoli, prometteva la Palestina araba come “casa nazionale” per il sionismo organizzato. Queste promesse non erano sullo stesso piano morale: per ché nel primo caso, agli arabi veniva promessa la propria terra liberata dalla dominazione turca; e nel secondo, si prometteva al sionismo mondiale una terra enfaticamente non sua. Quando la guerra mondiale finì, i britannici senza alcuna esitazione scelsero di mantenere la promessa sbagliata, quella al sionismo mondiale. La loro scelta non fu difficile; se avesse mantenuto la propria promessa agli arabi, la Gran Bretagna avrebbe dovuto andarsene gentilmente dal Medio Oriente e consegnare quella terra ai suoi abitanti; ma, per adempiere alla sua promessa ai sionisti, la Gran-Bretagna doveva rimanere come potenza imperiale che governasse la Palestina araba. Che abbia scelto il corso imperiale non sorprende affatto.

Dobbiamo, quindi, tornare ancora più indietro nella storia: a cosa serviva il sionismo mondiale? Prima della Rivoluzione Francese, gli ebrei europei in gran parte erano stati relegati in ghetti, e dalla vita del ghetto era emersa una distinta identità culturale ed etnica (così come religiosa) ebraica, con lo Yiddish come linguaggio comune (essendo l'ebraico soltanto l'antica lingua dei riti religiosi). Dopo la Rivoluzione Francese, gli ebrei dell'Europa occidentale si emanciparono dalla vita del ghetto ed affrontarono la scelta di dove dirigersi. Un gruppo, gli eredi dell'Illuminismo, scelse e sostenne la scelta di uscire dalla cultura ristretta e parrocchiale del ghetto per assimilarsi nella cultura e nell'ambiente del mondo occidentale. Ma se l'assimilazionismo era chiaramente il corso razionale in America ed Europa occidentale, questo percorso non avrebbe potuto esser seguito facilmente in Europa Orientale, dove le mura dei ghetti ancora tenevano. In Europa Orientale, quindi, gli ebrei si rivolsero ai vari movimenti per la conservazione dell'identità etnica e culturale ebraica. Quello prevalente era il Bundismo, la visione del Bund ebraico, che sosteneva l'autodeterminazione nazionale ebraica, fino ad includere uno stato ebraico nelle regioni a predominanza ebrea dell'Europa Orientale (così, secondo il Bundismo, la città di Vilna, in Europa Orientale, con una popolazione a maggioranza ebrea, avrebbe fatto parte di uno stato ebraico di nuova formazione). Un altro gruppo di ebrei, meno potente, il movimento territorialista, disperando per il futuro degli ebrei in Europa Orientale, sosteneva la conservazione dell'identità ebraica Yiddish con la formazione di colonie e comunità ebree (non stati) in varie zone non popolate e vergini del mondo.

Date le condizioni dell'ebraismo europeo alla fine del XIX ed all'inizio del XX secolo, tutti questi movimenti avevano una base razionale. L'unico movimento ebraico privo di senso era il sionismo, un movimento che ebbe inizio all'interno del territorialismo ebraico. Ma mentre i territorialisti volevano semplicemente conservare l'identità ebrea-Yiddish in una terra propria di nuova formazione, il sionismo cominciò ad insistere per una terra ebraica unicamente in Palestina. Il fatto che la Palestina non fosse una terra vergine, ma fosse già occupata da popolazioni di contadini arabi, non significava niente per gli ideologhi del sionismo. Ancora, i sionisti, lungi dallo sperare di conservare la cultura Yiddish del ghetto, voleva seppellirla e sostituirla con una nuova cultura ed una nuova lingua basate su un'artificiale espansione secolare dell'antico ebraico religioso.

Nel 1903, i britannici offrirono un territorio per la colonizzazione ebraica in Uganda ed il rifiuto di questa offerta da parte dei sionisti polarizzò i movimenti territorialista e sionista, che in precedenza erano fusi insieme. Da quel momento in poi, i sionisti si dedicheranno alla mistica terra-e-sangue in Palestina e solo in Palestina, mentre i territorialisti avrebbero cercato una terra vergine in un'altra parte del mondo.

A causa degli arabi residenti in Palestina, il sionismo dovette trasformarsi in pratica in un'ideologia di conquista. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Gran Bretagna prese il controllo della Palestina ed usò il suo potere sovrano di promuovere, incoraggiare e favorire l'espropriazione delle terre arabe per l'uso e per l'immigrazione sionista. I vecchi titoli di proprietà terriera turchi venivano spesso raccolti e comprati a poco prezzo, espropriando così i contadini arabi in nome dell'immigrazione sionista europea. Nel cuore del mondo arabo agricolo e nomade del Medio Oriente arrivava così, sulle spalle e sulle baionette dell'imperialismo britannico, un popolo di colonizzatori in gran parte europeo.

Anche se il sionismo era ora impegnato per una Palestina come casa nazionale ebraica, non lo era ancora nell'allargamento di uno stato ebraico indipendente in Palestina. Effettivamente, soltanto una minoranza dei sionisti favoriva uno stato ebraico e molti di questi avevano rotto con il sionismo ufficiale, sotto l'influenza di Vladimir Jabotinsky, e avevano formato il movimento sionista-revisionista per mobilitarsi perché uno stato ebraico governasse l'antica Palestina storica su entrambe le rive del fiume Giordano. Non è sorprendente che Jabotinsky abbia espresso grande ammirazione per il militarismo e la filosofia sociale del fascismo di Mussolini.

All'altra ala del sionismo stavano i sionisti culturali, che si opponevano all'idea di stato politico ebraico. In particolare, il movimento del Ihud (Unità), raccolto intorno a Martin Buber e ad un gruppo di distinti intellettuali ebrei dell'università ebraica di Gerusalemme, sosteneva, quando i britannici se ne fossero andati, uno stato ebreo-arabo bi-nazionale in Palestina, in cui né l'uno né l'altro gruppo religioso dominasse l'altro, ma che lavorassero in pace ed armonia per costruire la terra della Palestina.

Ma la logica interna del sionismo non l'avrebbe tollerato. Nella tumultuoso congresso del Sionismo Mondiale all'Hotel Biltmore di New York nel 1942, il sionismo, per la prima volta, adottò l'obiettivo di uno stato ebraico in Palestina, e niente di meno. Gli estremisti avevano vinto. Da quel momento in poi, ci sarebbe stata una crisi permanente in Medio Oriente.

Pressati da lati opposti dai sionisti ansiosi di ottenere uno stato ebraico e dagli arabi che volevano una Palestina indipendente, i britannici decisero infine di andarsene dopo la Seconda Guerra Mondiale e di passare il problema alle Nazioni Unite. Con l'intensificarsi delle spinte per uno stato ebraico condizione, il riverito dott. Judah Magnes, presidente dell'Università Ebraica di Gerusalemme e capo del movimento del Ihud, denunciò amaramente il “totalitarismo sionista,” che, accusava, sta cercando di portare “l'intero popolo ebreo sotto la propria influenza con la forza e la violenza. Ancora non ho visto chiamare i terroristi sionisti con il loro giusto nome: assassini – che hanno brutalizzato uomini e donne. … Tutti gli ebrei in America condividono tale colpa, persino quelli che non sono d'accordo con le attività di questa nuova leadership pagana, ma che rimangono comodamente seduti con le mani incrociate….” Poco tempo dopo, il dott. Magnes ritenne necessario l'esilio dalla Palestina ed emigrò negli Stati Uniti.

Sotto la pressione incredibilmente intensa dagli Stati Uniti, nel novembre del 1947 l'ONU – compresi gli entusiasti Stati Uniti e l'URSS – approvò riluttante un programma di partizione della Palestina, un programma che costituì la base dell'uscita britannica e della dichiarazione dell'esistenza di Israele il 15 maggio dell'anno seguente. Il programma di partizione garantì agli ebrei, che possedevano una frazione trascurabile della terra palestinese, quasi metà dell'area territoriale del paese. Il sionismo era riuscito a ritagliare uno stato ebraico europeo in territorio arabo nel Medio Oriente. Ma non era affatto finita qui. L'accordo dell'ONU aveva permesso (a) che Gerusalemme venisse internazionalizzata secondo la regola dell'ONU e (b) che ci fosse un'unione economica fra i nuovi stati ebraico e arabo della Palestina. Queste erano le condizioni di base con cui l'ONU approvò la partizione. Entrambe vennero subito e bruscamente disattese da Israele – che cominciarono così una crescente serie di aggressioni contro gli arabi in Medio Oriente.

Mentre i Britannici erano ancora in Palestina, le forze paramilitari sioniste iniziarono a schiacciare le forze armate arabe palestinesi in una serie di scontri di guerra civile. Ma, cosa più fatidica, il 9 aprile 1948, i fanatici terroristi sionisti-revisionisti raggruppati nell'organizzazione Irgun Zvai Leumi massacrarono cento donne e bambini nel villaggio arabo di Deir Yassin. Dall'avvento dell'indipendenza di Israele il 15 maggio gli arabi palestinesi, demoralizzati, fuggivano in preda al panico dalle loro case e dalla minaccia del massacro. I vicini stati arabi mandarono allora le loro truppe. Gli storici sono soliti descrivere la guerra che seguì come invasione di Israele da parte degli stati arabi, eroicamente respinta da Israele, ma poiché tutti i combattimenti ebbero luogo su territorio arabo, questa interpretazione è chiaramente errata. Ciò che accadde, infatti, è che Israele riuscì ad occupare grossi pezzi dei territori assegnati agli arabi palestinesi dall'accordo di partizione, comprese le zone arabe della Galilea occidentale, della Palestina araba centro-occidentale come “corridoio” per Gerusalemme e delle città arabe di Jaffa e di Beersheba. Anche il grosso di Gerusalemme – la città nuova – fu occupata da Israele ed il programma di internazionalizzazione dell'ONU venne scartato. Gli eserciti arabi furono ostacolati dalla loro stessa inefficienza e disunità e da una serie di tregue imposte dall'ONU rotte solo per il tempo bastante a Israele per occupare più territorio arabo.

Prima dell'accordo di armistizio permanente del 24 febbraio 1949, allora, 600.000 ebrei avevano creato uno stato che in origine aveva alloggiato 850.000 arabi (da una popolazione araba palestinese totale di 1,2 milioni). Di questi arabi, tre quarti di milione erano stati cacciati dalle loro terre e case ed il resto sottoposto ad una dura regola militare che, dopo due decadi, è ancora in vigore. Le case, le terre ed i conti bancari dei rifugiati arabi fuggiti furono subito confiscati da Israele e consegnati agli immigranti ebrei. Israele a lungo ha sostenuto che i tre quarti di milione di arabi non furono cacciati con la forza ma piuttosto dal loro stesso ingiustificato panico indotto dai leader arabi – ma il punto chiave è che tutti conoscono il risoluto rifiuto di Israele a lasciare che questi rifugiati tornino e reclamino le proprietà a loro sottratte. Da quel giorno a oggi, per due decadi, questi sfortunati rifugiati arabi, le loro fila ora gonfiate per aumento naturale a 1,3 milioni, hanno continuato a vivere in assoluta indigenza nei campi profughi intorno ai confini israeliani, a mala pena mantenuti in vita dagli scarni fondi dell'ONU e dai pacchi CARE, vivendo soltanto per il giorno in cui potranno tornare alle loro legittime case.

Nelle regioni della Palestina originariamente assegnate agli arabi, non è rimasto nessun governo arabo palestinese. Il capo riconosciuto degli arabi palestinesi, il loro Grand Mufti Haj Amin el-Husseini, fu deposto sommariamente dallo strumento britannico di vecchia data, il re Abdullah della Trans-Giordania, che confiscò semplicemente le regioni arabe della Palestina centro-orientale, così come la città vecchia di Gerusalemme (la Legione Araba del re Abdullah era stata costruita, armata, provvista di uomini e perfino guidata da ufficiali colonialisti britannici come Glubb Pasha).

Per quanto riguarda i rifugiati arabi, Israele si aspetta che i contribuenti del mondo (ovvero, in gran parte i contribuenti degli Stati Uniti) si inseriscano e finanzino un ampio programma per risistemarli in qualche luogo in Medio Oriente – cioè, in qualche luogo lontano da Israele. I rifugiati, tuttavia, non hanno naturalmente interesse nella risistemazione; rivogliono le loro case e proprietà, punto.

L'accordo di armistizio del 1949 si presumeva fosse sorvegliato da una serie di Commissioni Miste di Armistizio, composta da Israele e dai suoi vicini arabi. Molto presto, tuttavia, Israele sciolse le Commissioni Miste di Armistizio e cominciò ad invadere sempre più territori arabi. Quindi, la zona ufficialmente demilitarizzata di El Auja venne sommariamente occupata da Israele.

Da quando il Medio Oriente era ancora tecnicamente in uno stato di guerra (c'era un armistizio ma nessun trattato di pace), l'Egitto, dal 1949 in poi, aveva continuato a bloccare lo stretto di Tiran – l'entrata al golfo di Aqaba – a tutti i trasporti israeliani e a tutto il commercio con Israele. In considerazione dell'importanza del blocco del golfo di Aqaba nella guerra del 1967, è importante ricordare che nessuno protestò per questa azione egiziana: nessuno disse che l'Egitto stava violando il diritto internazionale chiudendo questo “pacifico canale internazionale” (rendere qualsiasi canale aperto a tutte le nazioni, secondo il diritto internazionale, richiede due condizioni: (a) consenso delle potenze che si affacciano sul canale e (b) che non esista stato di guerra fra qualsiasi delle potenze che si affacciano sul canale. Nessuna di queste condizioni valevano per il golfo di Aqaba: l'Egitto non acconsentì mai ad un tale accordo e Israele era in uno stato di guerra con l'Egitto dal 1949, di modo che l'Egitto poté bloccare il golfo ai trasporti israeliani senza contestazioni dal 1949 in poi).

La storia della continua aggressione israeliana era appena cominciata. Sette anni più tardi, nel 1956, Israele, alleato agli eserciti imperialisti britannici e francesi, invase l'Egitto. E – oh, con quale fierezza Israele imitò coscientemente le tattiche naziste del blitzkrieg e dell'attacco a sorpresa! E – oh, che ironia che proprio lo stesso establishment americano che per anni aveva denunciato i blitzkrieg e gli attacchi a sorpresa nazisti fosse improvvisamente pieno d'ammirazione per esattamente le stesse tattiche impiegate da Israele! Ma in questo caso, gli Stati Uniti, abbandonando momentaneamente la loro devozione intensa e continua alla causa israeliana, si unirono alla Russia nell'obbligare gli aggressori a lasciare il territorio egiziano. Ma Israele non ha acconsentì a ritirare le proprie forze dalla penisola del Sinai finché l'Egitto non avesse acconsentito a permettere che una Forza Speciale d'Emergenza dell'ONU avesse amministrato la fortezza di Sharm-El Sheikh che controlla lo stretto di Tiran. Tipicamente, Israele rifiutò sdegnoso all'UNEF il permesso di pattugliare il proprio lato del confine. Soltanto l'Egitto acconsentì a permettere l'accesso alle forze dell'ONU, e fu a causa di questo che il golfo di Aqaba è rimasto aperto ai trasporti israeliani dal 1956 in poi.

La crisi del 1967 nacque dal fatto che, nel corso degli ultimi anni, i rifugiati arabi palestinesi avevano cominciato ad abbandonare la loro precedente disperazione triste e passiva ed a formare movimenti guerriglieri che si sono infiltrati nei confini israeliani per portare la loro lotta nella regione delle loro case perdute. Dall'anno scorso, la Siria è stata sotto il controllo del più militante governo anti-imperialista che il Medio Oriente abbia visto da anni. L'incoraggiamento siriano ai guerriglieri palestinesi ha spinto i forsennati capi di Israele a minacciare la Siria con la guerra e la conquista di Damasco – minacce punteggiate da severe incursioni di rappresaglia contro i villaggi siriani e giordani. A questo punto il primo ministro egiziano, Gamal Abdel Nasser, che era stato uno sbruffone anti-israeliano per anni, ma che si era concentrato preferibilmente su misure demagogiche e stataliste che rovinarono l'economia interna dell'Egitto, fu sfidato dai siriani a fare qualcosa di concreto per aiutare: in particolare, a metter fine al controllo dell'UNEF – e quindi al continuo passaggio israeliano – nel golfo di Aqaba. Da qui, la richiesta di Nasser perché l'UNEF se ne andasse. Le proteste pro-israeliane alla rapida acquiescenza di U Thant sono grottesche, quando consideriamo che le forze dell'ONU erano là soltanto su richiesta egiziana e che Israele ha sempre rifiutato risolutamente di avere le forze dell'ONU sul proprio lato del confine. Fu a quel punto, con la chiusura dello stretto di Tiran, che Israele ha cominciato evidentemente a prepararsi per il proprio prossimo blitzkrieg.

Mentre apparentemente approvava le trattative di pace, il governo israeliano alla fine cedeva alle pressioni dei “falchi” all'interno del paese e la nomina di un noto guerrafondaio, il generale Moshe Dayan, a ministro della difesa era ovviamente il segnale per il blitz israeliano avvenuto dopo pochi giorni. Le incredibilmente rapide vittorie israeliane; la glorificazione della stampa delle tattiche e della strategia israeliane; la chiara impreparazione delle forze arabe a dispetto della gran fanfara; tutto ciò dimostra a tutti tranne ai più ingenui il fatto che Israele lanciò la guerra del 1967 – un fatto che l'Israele a malapena si preoccupa di negare.
Uno degli aspetti più repellenti del macello del 1967 è l'aperta ammirazione per la conquista israeliana da parte di quasi tutti gli americani, ebrei e non ebrei. Sembra esserci una malattia nel profondo dell'animo americano che causa la sua identificazione con l'aggressione e l'omicidio di massa – più rapido e più brutale è, meglio è. Nell'ondata di ammirazione per la marcia israeliana, quanti si addolorarono per le migliaia di civili arabi innocenti assassinati con l'uso israeliano del napalm? E per quanto riguarda lo sciovinismo ebraico fra il cosiddetto popolo “pacifista” della sinistra, non c'è dimostrazione più nauseabonda di una totale mancanza di umanità che quella mostrata da Margot Hentoff nel liberal Village Voice:
“C'è qualche guerra che ti piace? In caso affermativo, sei ebreo? Fortunato te. Che gran momento per essere ebreo. Avete mai conosciuto dei pacifisti ebrei? Ne avete conosciuto qualcuno la settimana scorsa? … Del resto, questa era una guerra differente – un vecchio genere di guerra, un genere di guerra in cui la morte era portatrice di vita e le morti arabe non contavano. Che piacere essere, ancora una volta, a favore di una guerra. Che bella sensazione, sana e pulita, acclamare quelle jeep che attraversavano lo schermo televisivo piene di soldati EBREI duri, magri, risoluti, armati.

“‘Guarda come vanno! WOW! ZAP! Niente li fermerà adesso!’ ha detto un vecchio pacifista radicale. ‘Questo è un esercito di ebrei!’

“Un altro (il cui contributo principale al giudaismo finora è stato di scrivere articoli che ripudiano Israele e che annunciano che il giudaismo ha fallito e se lo merita) ha passato la settimana a dissimulare la sua nazionalità. ‘Come stiamo?’ Continuava a chiedere. ‘Dove arriveremo adesso?’”
Che “bella sensazione pulita” davvero, quando “le morti arabe non contano!” C'è qualche differenza fra questo tipo di atteggiamento e quello dei nazisti persecutori di ebrei che la nostra stampa attacca, giorno dopo giorno, da ben più di vent'anni?

Quando ebbe inizio questa guerra, i capi israeliani affermarono che non erano interessati nemmeno in un “pollice” di territorio; la loro lotta era puramente difensiva. Ma ora che Israele siede sulle sue conquiste, dopo ripetute violazioni dei cessate il fuoco dell'ONU, spira un'aria molto diversa. Le sue forze occupano ancora tutta la penisola del Sinai; tutto il Giordano palestinese è stato occupato, spingendo altri quasi 200.000 sfortunati profughi arabi ad unirsi a centinaia di migliaia di loro compagni dimenticati; ha strappato un bel pezzo di Siria; e Israele afferma arrogante che non restituirà mai, mai, la città vecchia di Gerusalemme e non la internazionalizzerà; l'occupazione israeliana dell'intera Gerusalemme è semplicemente “non negoziabile.”

Se Israele è stato l'aggressore in Medio Oriente, il ruolo degli Stati Uniti in tutto questo è stato ancor più sgradevole. L'ipocrisia della posizione degli Stati Uniti è quasi incredibile – o lo sarebbe se non sapessimo qual è stata la politica estera degli Stati Uniti per decenni. Quando la guerra è cominciata, e per un momento è apparso come se Israele fosse in pericolo, gli Stati Uniti sono accorsi velocemente per dichiarare la propria dedizione “all'integrità nazionale del Medio Oriente” – come se i confini del 1949-67 fossero in qualche modo imbalsamati per sacro decreto e debbano essere conservati a tutti i costi. Ma – non appena è stato chiaro che Israele aveva vinto e conquistato ancora una volta, l'America si è rapidamente liberata dei propri presunti cari “principi.” Ora non si parla più “dell'integrità nazionale del Medio Oriente”; ora tutto è “realismo” e l'assurdità di tornare agli obsoleti confini dello status quo ed alla necessità che gli arabi accettino un accordo generale in Medio Oriente, ecc. Di quante altre prove abbiamo bisogno per sapere che gli Stati Uniti hanno approvato dall'inizio, pronti ad accorrere in soccorso di Israele se necessario? Di quante altre prove abbiamo bisogno per sapere che Israele è ora l'alleato ed il satellite degli Stati Uniti, che in Medio Oriente come in tante altre zone del mondo hanno indossato il mantello portato un tempo dall'imperialismo britannico?

La cosa più importante che gli americani non devono essere spinti a credere è che Israele sia un “piccolo” “derelitto” contro i suoi potenti vicini arabi. Israele è una nazione europea con uno standard tecnologico europeo che combatte un nemico primitivo e non sviluppato; ancora, Israele ha dietro di sé la forza concentrata di innumerevoli americani e europei occidentali che lo alimentano e lo finanziano, così come i governi leviatanici degli Stati Uniti e dei suoi numerosi alleati e stati clientelari. Israele non è un “prode derelitto” a causa dell'inferiorità numerica più di quanto lo fosse l'imperialismo britannico quando conquistava terre molto più popolate in India, in Africa ed in Asia.

E così, Israele ora si siede, occupando il proprio aumentato territorio, polverizzando case e villaggi che contengono cecchini, mettendo al bando gli arabi, uccidendo giovani arabi in nome del controllo del terrorismo. Ma questa stessa occupazione, questa stessa elefantiasi di Israele, fornisce agli arabi una potente occasione a lungo raggio. In primo luogo, come i regimi anti-imperialisti militanti di Siria e Algeria ora vedono, gli arabi possono spostare la loro enfasi strategica dalla disperata guerra convenzionale con un nemico molto meglio armato ad una prolungata e totale guerriglia popolare. Armato con armi leggere, il popolo arabo potrebbe mettere in atto un altro “Vietnam,” un'altra “Algeria” – un'altra guerriglia popolare contro un esercito d'occupazione pesantemente armato. Naturalmente, questa è una minaccia soltanto a lungo termine, perché per eseguirla gli arabi dovrebbero rovesciare tutte le loro stagnanti e reazionarie monarchie e formare una nazione unita pan-araba – perché le spaccature in nazioni-stato nel mondo arabo sono la conseguenza delle artificiose macchinazioni e delle depredazioni dell'imperialismo britannico e francese. Ma nel lungo termine, la minaccia è molto reale.

Israele, quindi, affronta un dilemma di lungo termine che un giorno dovrà affrontare. O continuare nel suo attuale percorso e, dopo anni di reciproche ostilità e di conflitto venir rovesciato dalla guerriglia popolare araba. O cambiare drasticamente direzione, liberarsi completamente dai legami imperiali occidentali e trasformarsi in semplici cittadini ebrei del Medio Oriente. Se lo facesse, allora la pace e l'armonia e la giustizia regnerebbero infine in questa regione tormentata. Ci sono molti precedenti per questa coesistenza pacifica. Per secoli prima dell'imperialismo occidentale del XIX e XX secolo, ebrei e arabi avevano sempre vissuto insieme pacificamente in Medio Oriente. Non ci sono inimicizia o conflitti inerenti fra arabi ed ebrei. Nei grandi secoli della civiltà araba nell'Africa del Nord ed in Spagna, gli ebrei avevano un ruolo felice e prominente – contrariamente alla loro continua persecuzione da parte dei fanatici dell'occidente cristiano. Ripulita dall'influenza e dall'imperialismo occidentale, quell'armonia può tornare a regnare di nuovo.

Wednesday, February 10, 2010

AP soffia sul fuoco

Rieccomi qui. Dopo un periodo di intenso lavoro che mi ha costretto a ridurre il Gongoro ad una vetrina per le strisce di Collective Hope, torno ad aggiornarlo con articoli e notizie. Mi ci vorrà un po' di tempo per riprendere al ritmo consueto, mi sento un po' arrugginito, ma confesso che provo un certo piacere rimettendo in moto le sue rotative virtuali.

Tra i temi che vorrei trattare ho scelto il caso dell'Iran, poiché l'attuale situazione ricorda molto il periodo pre-invasione dell'Iraq e potrebbe quindi degenerare rapidamente consentendo al presidente nero di firmare la sua prima guerra d'aggressione. L'articolo che ho deciso di tradurre illustra alla perfezione in che modo i media – ormai strumento quasi esclusivo di propaganda bellica oltre che di indottrinamento statalista – contribuiscono a creare quel clima di paura e tensione che prepara il terreno al conflitto, ma allo stesso tempo dimostra come con dedizione e passione per la verità si possano anche ottenere piccole ma significative vittorie contro il cosiddetto partito della guerra.

Infatti, a seguito delle puntuali critiche presentate da Jason Ditz nel suo articolo, la Associated Press non ha potuto far altro che ritirare l'articolo originale di George Jahn – ripreso con grande fanfara dal mainstream mondiale – e sostituirlo con un altro meno bellicoso dal titolo “Iran to stop enrichment if given nuclear fuel” di Nasser Karimi (2/9/2010). Non basterà a fermare la macchina della morte, ma non me la sentivo di ripartire con qualcosa di totalmente negativo.
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Di Jason Ditz


In un articolo molto diffuso che ha ulteriormente alimentato l'isteria occidentale per la prospettiva di un'imminente guerra con l'Iran, Associated Press ha sostenuto oggi che l'ultima mossa del programma di arricchimento dell'uranio iraniano, un tentativo per produrre gli isotopi per uso medico che si stanno velocemente esaurendo nella nazione, era un piano segreto costruire le armi nucleari.

Nell'articolo, intitolato “Iran moves closer to nuke warhead capacity,” si sostiene che l'Iran ha informato la IAEA che “aumenterà la propria capacità di costruire testate nucleari,” un'allegazione non solo non corroborata dai fatti, ma che va persino oltre le molto bellicose dichiarazioni occidentali citate nel pezzo.

In realtà la stessa conferma dello IAEA della dichiarazione iraniana dice che l'Iran sta progettando di dare il via agli sforzi per “la produzione di uranio arricchito a meno del 20 per cento,” che per l'articolo di AP sarebbe “appena sotto la soglia dell'uranio altamente arricchito” mentre in realtà è molto lontano da oltre il 90 per cento necessario per l'uso bellico.

L'Iran ha indicato chiaramente che l'uranio arricchito a circa il 20 per cento sarà utilizzato per produrre barre di combustibile per il suo reattore di Tehran di costruzione statunitense, necessarie nella creazione degli isotopi medici. Tale azione è stata intrapresa allorché i tentativi di accordi con terze parti, che avrebbero permesso all'Iran di ottenere le barre di combustibile dall'estero, sono stati bloccati dalle proteste internazionali.

Ma il pezzo di AP mistifica l'accettazione della settimana scorsa da parte dell'Iran dell'accordo con terze parti sull'arricchimento, una mossa che, esso sostiene, “è stato accolto favorevolmente dalla comunità internazionale,” ma che in realtà è stato condannato energicamente dai funzionari occidentali, i quali hanno affermato che accettare le loro stesse richieste era un tentativo di “bloccare” le trattative.

In realtà questa è stata la chiave che ha portato alla mossa iraniana, dal momento che i funzionari tedeschi hanno insistito che l'accettazione dell'Iran era inaccettabile e che avrebbe dovuto partire un nuovo ciclo di trattative, una cosa che i funzionari occidentali hanno rifiutato ripetutamente. Di fronte alla prospettiva di un accordo con terze parti per l'arricchimento nel migliore dei casi ipotetico, l'Iran è rimasto con la scelta di abbandonare le cure con medicina nucleare per migliaia di pazienti o tentare di diventare autosufficiente.

E mentre i funzionari britannici ripetevano, ed AP precisava subito, che dubitano della capacità dell'Iran di produrre davvero le barre di combustibile, altri esperti hanno detto che sarebbero probabilmente stati in grado di farlo, all'Iran non è rimasta altra opzione che tentare.

Alla fine della giornata, comunque, il problema più grande nell'articolo era il riferimento alle “testate nucleari,” una tecnologia che l'Iran non è neppure accusato di portare avanti. Se l'Iran non è neanche capace di fabbricare delle barre di combustibile per i reattori medici dall'uranio arricchito al 20 per cento che spera di produrre, è del tutto assurdo ed irresponsabile affermare che l'Iran si sta avvicinando alla capacità di produrre testate nucleari, che richiederebbero non solo l'uranio per uso bellico che non stanno producendo, ma anche di sistemi di lancio avanzati.

Con le installazioni per l'arricchimento dell'Iran sotto la continua sorveglianza della IAEA, questa potrà confermare che né l'uranio attualmente disponibile al 3,5 per cento, né quello ipotetico al 20 per cento possono essere usati per scopi diversi da quelli civili. Tale sorveglianza, inoltre, potrebbe confermare immediatamente se l'Iran comincerà ad arricchire l'uranio oltre il 20 per cento, il che significa che la minaccia di un Iran che ottiene improvvisamente un'arma nucleare è completamente illusoria. I funzionari occidentali ed alcuni autori di Associated Press, tuttavia, considerano giusto guardare al di là dell'assenza di minacce concrete e contano sul timore pubblico dell'ignoto per giustificare la crescente tensione contro ogni ragione, e portare l'occidente sempre più vicino ad un'inutile guerra con l'Iran.

Monday, May 18, 2009

Guerra alla ragione

Una delle prime pagine dei brief compilati da Rumsfeld per Bush pubblicate da GQ.



(Curiosamente, le citazioni bibliche che accompagnano le gloriose immagini belliche sono tutte tratte dal Vecchio Testamento. Il Nuovo, forse, non soddisfaceva l'estro di Rummy...)

Saturday, May 16, 2009

Uno strano twist of fate

Mentre il papa si recava “a parlare di pace” in Palestina, a Laputa si è tenuta una conferenza sugli esplosivi, che manco a dirlo, secondo quanto leggiamo nel dispaccio telepatico che il nostro inviato ci ha trasmesso, ha portato a discutere proprio delle radici piuttosto turbolente dello stato d'Israele. Eh sì, perché fin dai suoi inizi questa storia, così contorta, è una storia di armi e di esplosivi, e dobbiamo sperare che, alla fine, non si concluda come è cominciata: con dei gran botti.

E non si può non provare un pizzico di invidia per gli abitanti dell'isola volante, che tali complicate situazioni le possono osservare a distanza di sicurezza, con quell'etereo distacco che a noi terrestri non è concesso.

Ci rimane la ricerca della serenità di un fine settimana, che auguro a tutti possa aver successo, per affrontare in forze le prossime dure prove di questa nostra vita da terrestri.

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Di Giovanni Pesce


Nella Reale Società delle scienze di Laputa si è tenuta una conferenza sull’uso degli esplosivi.

Sin dai tempi dei cinesi la polvere nera ha svolto il suo ruolo di componente base di fuochi d’artificio e di esplosivo propellente per proiettili; nel XIX secolo è intervenuta la chimica a proporre nuove tecnologie e Vieille, un tecnico francese creò la polvere bianca con collodio e nitrocellulosa.

Con l’acido nitrico e la cellulosa, invece, venne creato il fulmicotone, grande protagonista della guerra civile nordamericana.

Con l’acido nitrico e la glicerina fu creata la balistite, con il brevetto di Alfred, uno dei fratelli Nobel.

Con nitroglicerina, nitrocellulosa ed oli minerali, venne prodotta la cordite, esplosivo per uso militare, ideato da due tecnici inglesi Abel e Dewar; quest’ultimo è passato alla storia anche per l’invenzione del pacifico “Thermos,” grande protagonista di molti picnic.

Alfred Nobel si incazzò moltissimo per quest’ultima scoperta, in quanto pensava che i suoi diritti fossero estensibili pure a questa sostanza non molto dissimile dai suoi prodotti.

Alfred si trasferì nel 1880 in Italia dove collaborò alla modernizzazione delle armi in dotazione al Regio Esercito, creando uno stabilimento di produzione di balistite.

In quegli anni il R.E. abbandonò il fucile M1870 a polvere da sparo per passare al fucile Vetterli 1890 a balistite ed organizzò il concorso per un nuovo fucile il “Modello 1891” meglio conosciuto come Mod. 91.

I migliori cospirazionisti già saranno in piedi con le orecchie dritte ed il cervello posizionato a Dealey Square di Dallas dove un Carcano Mod 91/38, in mano a Lee Oswald, avrebbe colpito il presidente Kennedy.

Ma l’incazzatura di Nobel non trovo soddisfazione perché Alfred perse la vertenza civile, e si ritirò a San Remo per passare i suoi ultimi anni.

Nel frattempo i tempi correvano e WWI era alle porte.

Il sottosegretario alla Royal Navy, tale Winston Churchill, desiderava avere grandi quantità di esplosivo e insisteva sui suoi tecnici Abel e Dewar per aumentare la produzione di cordite, così chiamata perché poteva essere prodotta in “corde”.

Purtroppo per produrre grandi quantità di cordite sarebbe stata necessaria una grandissima quantità di legno, impossibile ad essere reperita in Gran Bretagna in quel particolare momento.

Un allievo di Dewar, tale Cheim Weizmann, aveva scoperto un bacillo che organicamente avrebbe prodotto un solvente, l’acetone, utile per incrementare la produzione della cordite, senza l’utilizzo della cellulosa.

L’accordo tra Weizmann e Churchill fu immediato, Winston promise a Chaim una distilleria di whisky e gin, per aiutarlo nello sviluppo della produzione di esplosivi. L’accordo fu perfezionato con la creazione della fabbrica di cordite di Holton Heath, vicino Bornemouth.

Si racconta che un’ulteriore conseguenza dell’accordo fu la concessione della dichiarazione Balfour, che gettò le basi dell’occupazione delle terre palestinesi da parte di emigrati russi come Weizmann.

Alla fine di WWII, venne creato con l’uso di esplosivi un nuovo stato, quello d’Israele e come primo presidente venne scelto proprio Cheim Weizmann, l’esperto di cordite.

Un nipote di Cheim, Ezer Weizmann, giovane pilota, invece fondò sul finire degli anni ’40, l’Aviazione Israeliana utilizzando residuati bellici, come vecchi Spitfire. Anche Ezer Weizmann diventò presidente d’Israele nel 1993-2000.

Con presidenti di tale portate, può Israele essere un paese pacifico?

Wednesday, February 4, 2009

«La frittata è fatta»



(Segnalato da Mirumir.)

Monday, February 2, 2009

Premio Caligola - Gennaio '09: Calderoli!

Gioite: il primo Premio Caligola - Il potere gli ha dato alla testa del 2009 è tricolore! Grazie alla bella performance del campione padano Calderoli, votata dal 45% dei lettori del Gongoro, la penisola può cominciare l'anno con ottimismo ed entusiasmo, fregiandosi del nostro prestigioso trofeo.

Sicuramente il fatto che la sua eliminazione dell'unica legge a protezione del cittadino nei confronti del braccio armato della legge tocchi da vicino il corpo elettorale ha giocato a suo favore, ma anche in assoluto direi che la prestazione merita un plauso. È del resto tanto perfidamente ironico quanto ineluttabilmente logico che il ministro della semplificazione, appunto, semplifichi. Il traguardo è infatti semplicissimo: noi comandiamo, voi subite, punto.

Non disprezzabili comunque i risultati degli altri due contendenti. Il capo del partito israeliano Yisrael Beitenu Avigdor Lieberman si è classificato secondo con un buon 28%, grazie alla sua proposta di nuclearizzare Gaza, che se venisse mai messa in pratica gli garantirebbe un PC a vita. Attendiamo fiduciosi.

E a poca distanza (25%) si è piazzato il governo sudcoreano, che forse meritava di più, se non altro per aver infranto una buona quantità di diritti individuali in un colpo solo, arrestando un blogger per aver diffuso informazioni e suggerimenti economici – corretti! – via internet. Non sono stati pochi i voti ricevuti, ma sono altresì convinto che, con simili credenziali, i nostri amici orientali avranno occasioni di ottenere ancora di più nel prossimo futuro.

Bene, per il momento è tutto, la targa ricordo e il kit
Do it yourself: Suicide! verranno consegnate a Calderoli, con il consiglio di utilizzare, possibilmente, la tecnica più semplice e veloce.

Sunday, February 1, 2009

“Una terra senza un popolo”

Slideshow della Palestina tra il 1900 e il 1940, già postato da Santaruina sul suo blog. Strano: pare proprio che un popolo ci fosse, da quelle parti.

Saturday, January 24, 2009

Premio Caligola - Gennaio '09

Ancora un'appassionante sfida per il Premio Caligola - Il potere gli ha dato alla testa di gennaio, il primo del 2009. Chi ben comincia è già a metà dell'opera, si usa dire, e invero quegli esseri così simili a noi, comuni mortali, ma ormai irrimediabilmente trasfigurati dal terrificante virus del potere, han cominciato a darsi un gran daffare fin dai primi giorni dell'anno, rendendo improbo il lavoro di preselezione della giuria. Ma, alla fine, i tre candidati prescelti per contendersi il prestigioso trofeo sono più che degni della sua augusta tradizione, combinando la tendenza aggressiva e sprezzante di ogni buon detentore di autorità con una demenzialità che non si può non definire artistica.

Come per esempio nel caso del primo concorrente, rappresentante dell'Italia – anzi, no: della Padania – il rubicondo Roberto Calderoli. Il ministro della semplificazione (pensate a che livello siamo!), a furia di semplificare, è riuscito nell'intento di dividere i cittadini in due classi: i pubblici ufficiali, e le bestie. Tale infatti la giusta definizione del semplice cittadino una volta eliminato l'articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale n. 288 (d'oh!), sconosciuto ai più, ma che consentiva alle vittime di abusi polizieschi di difendersi senza essere accusati di oltraggio a pubblico ufficiale. Un piccolo ma decisivo passo verso lo stato di polizia, eseguito quasi senza parere.

Non da meno, comunque, il secondo concorrente, il governo di Seul, che non ha trovato di meglio da fare che accusare della crisi economica un blogger, Park Dae-sung detto Minerva, che è stato arrestato per aver predetto, semplicemente informandosi sulla rete, le sorti della Lehman Brothers e altre cosette, per la serie “non potevamo sapere, non potevamo prevedere.” Da quel che ci risulta, gli analisti economici delle maggiori testate sudcoreane sono invece ancora a piede libero: non avevano previsto nulla di tutto ciò, sono quindi innocenti.

Per chiudere, una piccola chicca arrivata da Israele, mentre la battaglia infuriava sulla Striscia, il capo del partito di estrema destra israeliana Yisrael Beitenu, il parlamentare Avigdor Lieberman, ha proposto una brillante soluzione al problema di Gaza, anzi, la soluzione: una bella atomica come quella di Hiroshima. E qui davvero la demenzialità tracima nel genio, perché in tal modo ci si sbarazzerebbe dei palestinesi subito, e degli israeliani – Lieberman compreso – un po' più lentamente, seguendo il ritmo del fall-out. Chissà, forse ci si dovrebbe fare un pensierino...

Ma a questo punto la parola spetta a voi, a voi il privilegio di scegliere quale tra questi campioni della politica merita il nostro riconoscimento. Un diritto-dovere... fatica-riposo... lavoro-svago... ehm, insomma, ci siamo capiti. Votate!
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Errore nei tagli, diventa reato difendersi dagli abusi degli agenti


MILANO — Lavorare di lima, suggerirebbe il buon senso quando si interviene sul cristallo degli assetti normativo. E invece, a forza di mulinare allegramente l'accetta per disboscare la giungla di leggi stratificatesi nei decenni, e nella foga di troppo vantare la semplificazione normativa, il governo del ministro «semplificatore» Roberto Calderoli ha semplificato troppo. Così tanto da calare per sbaglio la mannaia, con il decreto legge che ha appena «tagliato» 29mila leggi del 1861-1947, anche su un testo del 1944 senza accorgersi che così priva il cittadino di una garanzia di sistema nell'ordinamento democratico contro gli eccessi arbitrari dei funzionari pubblici: e cioè la norma che esime il cittadino dalle ricadute penali di talune sue reazioni ad atti arbitrari o illegali dell'Autorità pubblica, insomma all'uso scorretto del potere discrezionale dei rappresentanti lo Stato.

Senza più questa manciata di righe, e salvo modifiche entro il 20 febbraio nella conversione del decreto legge n. 200 approvato il 22 dicembre scorso, ciascun cittadino — quello che subisca un fermo per motivi infondati, quello che allo stadio si ritrovi vittima di azioni immotivate delle forze dell'ordine, quello che in piazza veda equivocato il proprio ruolo nel parapiglia di una manifestazione politica, quello che in udienza abbia un acceso confronto con un giudice prepotente — si ritrova più indifeso rispetto a potenziali soprusi di Stato. Nel codice penale, infatti, alcuni articoli puniscono la resistenza o minaccia a pubblico ufficiale (fino a 5 anni); la violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (fino a 7 anni); l'oltraggio a pubblico ufficiale (fino a 2 anni), a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (fino a 3 anni), a un magistrato in udienza (fino a 4 anni). Però, grazie all'articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale n. 288 del 14 settembre 1944, i cittadini sono esenti da sanzioni «quando il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio o pubblico impiegato» abbia causato la reazione dei cittadini «eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni».

Norma tutt'altro che desueta, né considerabile (condizione per finire nel trita-leggi varato il 22 dicembre) «estranea ai principi dell'ordinamento giuridico attuale»: non solo è spesso applicata, ma ad esempio la Cassazione l'ha utilizzata nel 2005 per ritenere arbitrario il fermo per accertamenti e l'ammanettamento di una persona infondatamente sospettata d'essersi sottratta alla sorveglianza speciale, poi l'ha di nuovo applicata nel 2006, quindi l'ha trattata nel 2008, senza contare che anche la Consulta l'ha esaminata ancora nel 2007 nell'ordinanza numero 36. Il problema è che il decreto del 22 dicembre, salutato dal ministro Calderoli come una «pulizia legislativa di leggi superate o svuotate di significato dalla legislazione sopravvenuta», ha «ripulito» sbrigativamente anche il testo del 1944, e aperto quindi per sbaglio una falla che nell'ordinamento non trova copertura in qualche altro testo, come invece per fortuna può accadere per l'abrogazione del decreto luogotenenziale n.288 del 1944, che nel codice sostituiva la pena di morte con l'ergastolo, e introduceva le attenuanti generiche. Qui non c'è pericolo, neanche per esercizio di sfizio dialettico, che si considerino la pena di morte ripristinata o le attenuanti scomparse: in un caso la salvezza viene, oltre che dalla Costituzione, dall'abolizione della pena di morte all'art.1 del protocollo addizionale n.6 alla «Convenzione europea dei diritti dell'uomo» (Cedu) ratificato dalla legge n.8 del 2 gennaio 1989; nell'altro caso, soccorrono una legge del 1975 e l'ex Cirielli del 2005.

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Seul, in carcere l'aruspice della finanza


Quando le forze dell'ordine hanno fatto irruzione nel suo appartamento lo hanno sorpreso mentre ordinava online un saggio in materia di finanza. Aveva creato intorno a sé un alone di autorevolezza dispensando vaticini riguardo alle sorti dell'economia sudcoreana, si era nascosto per mesi dietro allo pseudonimo di Minerva. La polizia lo ha arrestato, accusandolo di aver diffuso online informazioni false che hanno agito sul quadro economico del paese.

Minerva si era espresso centinaia di volte sulle pagine dedicate ai dibattiti del popolare portale Daum, i suoi post raccoglievano centinaia di migliaia di visite: aveva previsto le sorti di Lehman Brothers, aveva anticipato il crollo del valore della valuta sudcoreana, aveva tracciato con sufficiente precisione lo scenario che si sarebbe configurato per il suo paese nel momento in cui fosse stato investito dall'impatto della recessione. Non tutti i vaticini di Minerva si sono trasformati in realtà, non tutte le qualifiche che vantava erano realmente in suo possesso. La stampa locale riprendeva pedissequamente le sue predizioni, assecondava timori e alimentava paure. Il mondo della finanza incassava e prestava ascolto all'oracolo. Ed è scivolato in una spirale creata ad arte da un cittadino della rete che non esitava a diffondere notizie che le autorità hanno definito infondate.

Il governo di Seul ha reagito alla congiuntura economica e ha previsto un piano per rialzarsi. Ha inoltre ordinato l'arresto di Minerva, responsabile, a parere del giudice che ha disposto il provvedimento, di “aver influito sul mercato monetario globale e sulla credibilità nazionale” con due post. Avrebbe distorto la realtà e turbato l'andamento dell'economia, avrebbe deliberatamente seminato il panico diffondendo informazioni false, fra cui la notizia di una raccomandazione che il governo avrebbe inviato alle banche per ammonirle a non comprare dollari per consolidare la valuta locale.

Le forze dell'ordine hanno identificato Minerva in Park Dae-sung, 31enne che non ha conseguito alcun titolo di studio negli Stati Uniti né ha mai lavorato per Wall Street. Hanno fatto irruzione nel suo appartamento, lo hanno tratto in arresto. Minerva non si è dichiarato colpevole, né si dimostra disposto a patteggiare: nella maggior parte dei casi si limitava a racimolare informazioni online e ad analizzare la situazione in articoli aggressivi. "Scrivevo articoli per aiutare le persone esasperate dal governo - si è spiegato Park - piccoli commercianti, persone ordinarie su cui si è abbattuta la crisi economica". Qualora venga giudicato colpevole rischia di scontare 5 anni di carcere e una multa che può raggiungere i 50 milioni di won, poco meno di 30mila euro.

Se ci sono membri del governo pronti a giurare che Park non abbia mai mentito, non mancano coloro che si schierano a favore dell'arresto di Park, mentre i dibattiti riguardo all'anonimato online affollano la rete coreana. Sono numerosi i netizen, coreani e non, che denunciano come la Corea del Sud, uno dei paesi più connessi del mondo, abbia iniziato a disporre sequestri e a condannare netizen. Una regolamentazione della rete che ingabbia il diritto ad esprimersi e che riduce al silenzio il dissenso.
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Avigdor Lieberman: 'Hamas va annichilita come gli Usa fecero con i giapponesi'


“Dovremmo comportarci con Hamas così come gli Usa fecero con giapponesi, dovremmo svilire la loro volontà di combattere.” A pronunciare queste parole è Avigdor Lieberman, presidente del partito politico Yisrael Beiteinu, che segue la linea più dura e intransigente nelle questione palestinese. Durante il suo discorso tenuto all'Università di Bar-Illan, Lieberman ha detto che Hamas merita lo stesso trattamento ricevuto dai giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale, “a quel punto - sostiene - non sarebbe più necessaria neanche l'occupazione militare.” Nel 1945 il Giappone si arrese incondizionatamente agli Stati Uniti in seguito al lancio delle due bombe atomiche si Hiroshima e Nagasaki. Sebbene gli statunitensi avessero programmato ancheun'invasione di terra, questa non sirese necessaria a seguito della capitolazione nipponica. Yisrael Beitenu è al momento la quinta forza politica del paese, ma i sondaggi lo danno in crescita per le prossime elezioni di febbraio.

Saturday, January 17, 2009

«Sono dei pazzi»

“The Jewish bandits are despicable cowards who hide behind women and children.”
(SS-Gruppenführer Jürgen Stroop on the resistance in the Warsaw Ghetto, 1943)



“Israele è nato dal terrorismo ebraico; il padre di Tzipi Livni era un terrorista.” Queste alcune delle stupefacenti affermazioni nella House of Parliament di Sir Gerald Kaufman, veterano rappresentante del Labour, che ha paragonato le azioni delle truppe israeliane a Gaza ai nazisti che costrinsero la sua famiglia a fuggire dalla Polonia.

Durante il dibattito dei Commons sui combattimenti a Gaza, ha invitato il governo ad imporre un embargo delle armi su Israele.

Sir Gerald, che è stato cresciuto come ebreo ortodosso e sionista, ha detto: “mia nonna era a letto malata quando i nazisti entrarono nella sua città natale e un soldato tedesco la uccise nel suo letto.”

“Mia nonna non è morta per fornire una copertura ai soldati israeliani che assassinano le nonne palestinesi a Gaza. L'attuale governo israeliano sfrutta crudelmente e cinicamente il continuo senso di colpa dei gentili per il massacro degli ebrei nell'olocausto come giustificazione per i loro omicidi di palestinesi.”

Ha detto poi che l'affermazione che molte delle vittime palestinesi fossero dei militanti “era la risposta dei nazisti” ed ha aggiunto: “suppongo che gli ebrei che combattevano per le loro vite nel ghetto di Varsavia avrebbero potuto essere definiti come militanti.”

Ha accusato il governo israeliano di cercare la “conquista” ed ha aggiunto:

“Non sono semplicemente dei criminali di guerra, sono dei pazzi.”

Friday, January 16, 2009

Si vis pacem para pacem

“You cannot say you want peace and conduct killing fields.”
(Saeb Erekat, veteran negotiator)

Con le ultime notizie da Gaza che parlano di più di mille vittime, almeno la metà civili tra i quali circa 300 bambini, di un ospedale colpito, di un deposito dell'ONU bombardato, pare con fosforo bianco, con la distruzione di 1000 tonnellate di preziosi aiuti alimentari, e insieme alle residue speranze dei palestinesi di Gaza di un futuro “normale,” svaniscono anche le ultime illusioni sulla presunta “superiorità morale” delle truppe israeliane rispetto ai miliziani di Hamas: nulla infatti permette di credere ancora al presunto rispetto della vita umana di cui i dirigenti israeliani amano fregiarsi nelle conferenze stampa.

La tempesta di distruzione che continua a devastare la minuscola Striscia di Gaza e a falciare i suoi disperati abitanti, ormai è chiaro, non ha nulla a che vedere con la protezione dei cittadini di Sderot, tra cui i 500 dell'associazione “Kol Acher” (L'Altra Voce) che prima dell'escalation di violenza chiedevano al governo di continuare sulla strada del dialogo. Scrivevano nella loro petizione:
Dall'altro lato del confine vivono un milione e mezzo di Palestinesi in condizioni insopportabili e la maggior parte di loro vogliono, come noi, calma e l'occasione di un futuro per loro stessi e per le loro famiglie.

Viviamo nella sensazione che abbiate sprecato quel periodo di calma, invece di usarlo per migliorare la comprensione e cominciare le trattative, così come per la fortificazione delle case dei residenti come promesso.

Ci rivolgiamo al Primo Ministro ed al ministro della Difesa perché non ascoltino le voci che incitano e perché facciano tutto quel che possono per evitare un altro giro di escalation, assicurare la continuazione della calma e lavorare… verso le trattative dirette o indirette con la direzione palestinese a Gaza per raggiungere comprensione a lungo termine.

Preferiamo una guerra fredda senza un singolo razzo ad una guerra calda con dozzine di vittime e di morti innocenti da entrambi i lati.

Vi chiediamo di offrirci la possibilità dell'accordo politico e della speranza e non un infinito ciclo di sangue.
Sapevano, loro che più di ogni altro sono esposti ai rischi di un conflitto, che la loro sicurezza – e quella dei loro simili dall'altra parte del muro – non avrebbe mai potuto essere assicurata dalla guerra e dalla violenza, ma solo da una vera volontà di pace, dal reciproco beneficio del dialogo e dello scambio tra uomini liberi, dalla capacità di vedere nell'altro non il nemico ma una risorsa preziosa, un'occasione di migliorare quella piccola e così martoriata fetta di terra.

Non vuole la pace chi si dedica alla guerra, non si interessa del benessere dei propri cittadini chi infiamma una regione già di per sé ben poco tranquilla, non può avere alcun ruolo la difesa di vite umane nei fini di chi, alla vita umana, dimostra di dare un valore subordinato agli obiettivi politici. Anthony H. Cordesman, analista del CSIS (Centro per gli Studi Strategici e Internazionali), si domanda:
Qual è lo scopo strategico dietro l'attuale conflitto? … Israele non si sarà in qualche modo impegolato in una guerra sempre più intensa senza un chiaro obiettivo strategico o almeno uno che possa realisticamente realizzare? Finirà Israele per rinforzare in termini politici un nemico che ha sconfitto in termini tattici? Le azioni di Israele danneggeranno seriamente nel processo la posizione degli Stati Uniti nella regione, ogni speranza di pace, così come i regimi e le voci arabe moderate?
La risposta è ovviamente sì, e come osserva il professore di studi mediorientali Steve Niva dell'Evergreen State College di Olympia, l'impressione che questi siano stati gli obiettivi perseguiti – irresponsabilmente – dal governo israeliano da ben prima dei lanci di Qassam di novembre e dicembre, in ritorsione per la violazione della tregua da parte dell'IDF. Il governo israeliano, che ormai lucidava i suoi cannoni, ha poi rifiutato l'offerta di una nuova tregua il 14 dicembre, come ci ricorda lo storico Gareth Porter. Cordesman continua così:
Se Israele ha un credibile piano di cessate il fuoco che possa davvero mettere Gaza in sicurezza, non è visibile. Se Israele ha un piano che possa credibilmente distruggere e sostituire Hamas, non è visibile. Se Israele ha un qualunque piano per aiutare gli abitanti di Gaza e per riportarli alla pace, non è visibile. Se Israele ha un qualunque piano per usare produttivamente gli Stati Uniti o altre influenze amichevoli, questo non è visibile.

Come abbiamo capito fin troppo chiaramente da tutti dagli errori degli Stati Uniti, ogni leader può prendere una posizione dura e sostenere che i vantaggi tattici siano una vittoria espressiva. Se questo è tutto ciò che Olmert, Livni e Barak hanno come risposta, allora sono caduti in disgrazia ed hanno danneggiato il loro paese ed i loro amici. Se c'è di più, è tempo di rendere pubblici tali obiettivi e di dimostrare come possano essere realizzati. La domanda non è se le truppe dell'IDF hanno imparato la lezione tattica dei combattimenti del 2006. È se la direzione politica di Israele ha la pur minima competenza per guidarle.
La triste verità è che, come affermò Randolph Bourne, la guerra è la salute dello stato, e nulla può dissuadere dall'intraprenderla il politico che abbia fiutato l'occasione di dipingere di sé un'immagine da conquistatore, e di attingere a piene mani dalla fonte dei finanziamenti che ogni emergenza bellica permette di far zampillare, anche in pieno deserto.

Sunday, January 11, 2009

Hamas, figlio d'Israele

Nell'articolo di Grigg sul conflitto israelo-palestinese l'autore accennava al fatto che Israele ha finanziato Hamas per anni, per creare un'opposizione al movimento secolare di Arafat. Dal momento che si tratta di un classico caso in cui un governo si crea un nemico, così da avere a disposizione una comoda fonte di “crisi” che giustifichi l'attività principale e più lucrosa per lo stato, la guerra, riporto anche questo articolo di Raimondo, scritto all'indomani della vittoria elettorale di Hamas in Palestina.

Chi semina vento raccoglie tempesta, si usa dire. La cattiva notizia è che, nella tempesta, il Leviatano prospera.
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Di Justin Raimondo


Tra tutte le urla di dolore e digrignar di denti per il trionfo di Hamas nelle elezioni palestinesi, un fatto rimane relativamente oscuro, anche se molto rilevante: Israele ha fatto molto per lanciare Hamas come effettiva forza nei territori occupati. Se mai c'è stato un chiaro caso di “contraccolpo,” allora è questo. Come Richard Sale ha notato in un pezzo per UPI:
“Israele e Hamas possono attualmente essere bloccati in un combattimento mortale, ma, secondo alcuni attuali ed ex funzionari dell'intelligence degli Stati Uniti, a cominciare dalla fine degli anni 70, Tel Aviv ha prestato aiuto economico diretto ed indiretto ad Hamas per diversi anni. Israele ‘ha aiutato direttamente Hamas – gli israeliani volevano usarlo come un contrappeso all'OLP (Organizzazione per la Liberazione Palestinese),’ ha detto Tony Cordesman, analista per il Medio Oriente del Centro per gli Studi Strategici [ed Internazionali]. Il contributo di Israele a Hamas ‘era un tentativo diretto per dividere e diluire il supporto ad una forte e secolare OLP usando un'alternativa religiosa in concorrenza,’ ha detto un ex funzionario CIA.”
L'analista del Medio Oriente Ray Hanania concorda:
“Oltre alla speranza di allontanare le masse palestinesi da Arafat e dall'OLP, la direzione del Likud ha creduto di poter realizzare un'alleanza coltivabile con delle forze islamiche e anti-Arafat che avrebbe inoltre esteso il controllo di Israele sui territori occupati.”
In uno sforzo cosciente per indebolire l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e la direzione di Yasser Arafat, nel 1978 il governo dell'allora Primo Ministro Menachem Begin approvò la richiesta dello sceicco Ahmad Yassin di dare vita ad un'organizzazione “umanitaria” conosciuta come l'Associazione Islamica, o Mujama. Le radici di questo gruppo islamico erano nella fondamentalista Fratellanza Musulmana e questo era il seme che alla fine si trasformò in Hamas – ma non prima di essere ampiamente fertilizzato e coltivato con finanziamenti e supporto politico israeliani.

Begin ed il suo successore, Yitzhak Shamir, lanciarono un tentativo per colpire dal basso l'OLP, generando le cosiddette Leghe di Villaggio, composte di consigli locali di palestinesi selezionati disposti a collaborare con Israele – e che, in cambio, vennero messi sul libro paga israeliano. Lo sceicco Yassin ed i suoi seguaci presto si trasformarono in una forza all'interno delle Leghe di Villaggio. Questa alleanza tattica fra Yassin e gli israeliani era basata su un'antipatia comune verso l'OLP di sinistra e secolare militante: gli israeliani permisero al gruppo di Yassin di pubblicare un giornale ed installare una vasta rete di organizzazioni caritatevoli, che raccoglievano fondi non solo dagli israeliani ma anche dagli stati arabi opposti ad Arafat.

Ami Isseroff, scrivendo su MideastWeb, mostra come gli israeliani promossero deliberatamente gli islamisti della futura Hamas aiutandoli a trasformare l'Università Islamica di Gaza in una base dove il gruppo reclutava attivisti – e gli attentatori suicidi di domani. Come unica struttura di istruzione superiore nella striscia di Gaza, e unica tale istituzione aperta ai palestinesi da quando Anwar Sadat chiuse loro le porte degli istituti universitari egiziani, UIG conteneva al suo interno i semi del futuro stato palestinese. Quando nacque un conflitto su questioni religiose, tuttavia, le autorità israeliane parteggiarono per gli islamisti contro i laicisti della corrente principale Fatah-OLP. Come riferisce Isseroff, gli islamisti
“Incoraggiarono le autorità israeliane a destituire i loro avversari nel comitato nel febbraio del 1981, con la conseguente islamizzazione della politica e del personale della UIG (compreso l'obbligo per le donne di portare il hijab e il thobe e le entrate separate per gli uomini e le donne), fatta rispettare con la violenza e l'ostracismo verso i dissidenti. La tacita complicità sia dell'università che delle autorità israeliane ha permesso a Mujama di mantenere un nascondiglio di armi da usare contro i laicisti. Entro la metà degli anni 80, era la più grande università nei territori occupati con 4.500 studenti, e le elezioni studentesche venivano vinte facilmente da Mujama.”
Di nuovo, il motivo era di controbilanciare l'influenza di Arafat e dividere i palestinesi. A breve termine, questo può aver in parte funzionato; a lungo termine, tuttavia, ha fallito malamente – come dimostrato dai risultati delle recenti elezioni palestinesi.

L'infrastruttura di Hamas di moschee, cliniche, asili ed altri istituti scolastici è fiorita non solo perché generosamente finanziati, ma anche perché gestita efficientemente. Lo sceicco Yassin ed i futuri capi di Hamas acquistarono una reputazione di governo “pulito” e buone pratiche amministrative, che li avrebbero aiutati notevolmente – in particolar modo rispetto all'OLP, che era ampiamente percepita come corrotta. Effettivamente, è stato il “governo pulito” – e non la necessità della lotta armata – il tema principale della loro riuscita campagna elettorale.

La reazione di Israele e degli Stati Uniti è stata di shock e orrore – accompagnati da un rifiuto dichiarato di trattare con qualsiasi governo dominato da Hamas. I leader del Congresso degli Stati Uniti – che hanno passato inutilmente una risoluzione prima dello scrutinio palestinese chiedendo che Hamas venisse esclusa dalla contesa – stanno ora mettendo in dubbio l'intero “processo di pace.” Tuttavia nessuno riconosce che la vittoria del Partito dei Terroristi Suicidi ha dimostrato, in pratica, un antico principio espresso, credo, nientemeno che dalla Bibbia (Galati 6: 7):
“Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio; perché quello che l'uomo avrà seminato, quello pure mieterà.”
Questo principio del “contraccolpo” si applica a Hamas non solo per il coinvolgimento di Israele nel suo finanziamento e nell'incoraggiamento di Mujama, ma anche, dopo il consolidamento di Hamas come gruppo armato, per la politica militare israeliana. Il molto-pubblicizzato “ritiro,” che consiste nella consegna di Gaza da parte di Israele rinforzando al contempo la propria stretta altrove nei territori occupati, è stato grano per il mulino islamico radicale, così come il Muro di Separazione ed il tentativo di revocare il voto a Gerusalemme Est. L'offensiva implacabile di Israele contro i suoi nemici percepiti – prima Fatah, ora Hamas e la Jihad Islamica – ha generato un circolo vizioso e un solido contributo alle fazioni estremiste fondamentaliste nella comunità palestinese.

In modo analogo, la vittoria di Hamas incoraggerà gli ultra-sionisti israeliani, che mescolano similmente una teologia fanatica con la fede in una “soluzione” militare al “problema” palestinese. La vittoria elettorale di Hamas si era verificata solo da alcune ore quando Benjamin “Bibi” Netanyahu è andato in televisione a spiegare perché tutte le concessioni ai palestinesi – compreso il ritiro da Gaza – sono servite soltanto ad incoraggiare gli elementi più radicali, come Hamas.

Il malato Ariel Sharon si trova nel suo letto di ospedale, incosciente – mentre il suo piano unilaterale “terra per la pace” si trova in una condizione molto simile. Il partito di Sharon Kadima di recente formazione è il grande perdente potenziale in tutto questo, con il Likud di Netanyahu che prevede di guadagnare alla grande. L'ironia è che, come ministro della difesa, fu Sharon che contribuì a concepire e soprintendere i progetti delle Leghe di Villaggio che hanno fatto così tanto per impiantare ed rinforzare Hamas. Come una versione mediorientale del dott. Frankenstein, finirà per essere abbattuto dalla sua stessa mostruosa creatura.

C'è una lezione qui, da qualche parte, benché non una che gli israeliani o i loro sponsor americani sembrino ancora in grado di apprendere.

L'idea che votare sia un certo tipo di panacea che pulirà il Medio Oriente da un radicalismo controproducente è un'illusione che è morta di una morte dolorosa con la vittoria elettorale di Hamas. Precedentemente aveva sofferto convulsioni quasi mortali con l'ascesa al potere in Iraq di una coalizione fondamentalista sciita legata molto strettamente all'Iran. La dea-puttana della Democrazia con la D maiuscola è una divinità volubile e spesso perversamente crudele, i cui adoratori sono stati colpiti con un uno-due mentre cercavano di trasformare un'intera regione secondo i canoni del loro dogma particolare.

Saturday, January 10, 2009

Friday, January 9, 2009

La bolla del Medio Oriente

Mi preparavo a scrivere un pezzo sull'apparentemente insensato conflitto israelo-palestinese, che cercasse di esplicarne i motivi e le possibili soluzioni a partire da un'analisi degli incentivi politici ed economici che lo alimentano.

Poi ho letto quello scritto da William Grigg – che sta davvero mettendo in fila una serie di articoli uno migliore dell'altro – che ha fatto esattamente questo, con rigore logico, equilibrio e dovizia di fonti e particolari, dimostrando come, spesso, la verità è molto più semplice e in vista di quanto si creda. Io mi sono limitato a tradurlo.
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Di William Norman Grigg


Come succede ogni volta che Israele conduce un'importante campagna militare, l'assalto continuo dell'IDF su Gaza – che ha annientato centinaia di non combattenti, bambini compresi – ha fatto spuntare i fanatici come funghi.

Un esemplare particolarmente rinomato ha confezionato il messaggio trasmesso dall'attacco israeliano contro Hamas in termini che potrebbero risuonare fra gli anti-semiti più estremi: “Do not f**k with the Jews.”

Quel parere non è stato tirato fuori da un neonazi o da qualcun'altro contagiato da simili ossessioni. Era Martin Peretz, il redattore capo di The New Republic, l'auto-investitasi autorità in materia di etichetta etnica, e pigmalione accademico di Al Gore ai tempi di Harvard, che ha benedetto la blogosfera con tale saggezza così elegantemente espressa.

Ciò che Peretz ha scritto avrebbe potuto abbastanza facilmente uscire dalle labbra o fluire dalle dita di David Duke o di qualcun'altro con le sue convinzioni. Se così fosse successo, Peretz – dalla cui attenta sorveglianza nessuna figura pubblica è esente, neppure sua preziosa maestà il principe Alberto – avrebbe probabilmente accusato l'autore di trafficare in spiacevoli stereotipi riguardanti il “potere ebreo.” Ma Peretz stesso è ossessionato da quell'argomento, almeno per quanto concerne il potere esercitato dal governo israeliano – che apparentemente considera l'incarnazione dell'identità collettiva ebraica.

Peretz è fissato sulla conservazione del potere dello Stato israeliano. E come il giornalista di sinistra Eric Alterman ha osservato in un profilo critico, le opzioni politiche preferite da Peretz “quasi sempre [significano] più guerra” – non solo fra Israele ed i palestinesi, o Israele e un vicino non sufficientemente docile, ma anche tra Washington e qualsiasi nemico di Israele che sia visto come un po' troppo grande perché il governo israeliano possa occuparsene da solo. E come molti altri commentatori che condividono le sue priorità, Peretz è stato attento a limitare la sua partecipazione alle guerre di ogni genere al ruolo dello spettatore.

Rush Limbaugh dichiarò notoriamente che il femminismo è stato inventato “per concedere a donne non attraenti l'accesso al cuore della società.” Similmente sembra a volte come se il sionismo fosse degenerato in poco più di una celebrazione vicaria del militarismo israeliano, offrendo così a dei meschini pallidi e mosci come Martin Peretz, Bill Kristol e Michael Medved il modo per indulgere nella loro fantasia di essere dei duri.

La gente di questo genere non vive in Israele né serve nell'esercito di alcuna nazione, così da non doversi occupare direttamente della sanguinosa faccenda delle guerre che istigano e applaudono. Dalla confortevole distanza di svariate migliaia di miglia e di due continenti macinano fuori della retorica da pseudo-duri dalle tastiere del computer, o piantano i loro ben nutriti culi sulle comode sedie degli studi televisivi o radiofonici ed eruttano compiaciute omelie circa la virtù di spedire i figli altrui ad uccidere e morire a nome di uno Stato lontano e assolutamente malfamato.

Un paio d'anni fa, avventurandomi con una certa riluttanza in un soggetto che non avrei trattato non vi fossi stato costretto, presentai una prospettiva da outsider sul sionismo, così come su due tipi di giudaismo:

Il giudaismo religioso, come la vedo io, è concentrato nel culto di Dio. Il testo che lo definisce è stato consegnato sul Sinai.

Il giudaismo culturale, al contrario, è basato sul culto di un popolo. Ha molto meno a che fare con il Sinai che con Seinfeld.

Il sionismo, che deriva da entrambe le cose, è il culto di uno Stato politico.

Il sionismo, che ebbe inizio come un movimento secolare collettivista del diciannovesimo secolo, è venuto a definire non solo la visione ebraica della politica e della religione, ma è la prospettiva dominante all'interno di gran parte della Cristianità Evangelica. Ha impiantato gli assiomi che governano qualsiasi discussione sugli affari del Medio-Oriente nelle cerchie politiche sia religiose che secolari.

Tuttavia c'è poca o nessuna comprensione per il letale paradosso che il sionismo rappresenta per i responsabili della sopravvivenza del popolo ebraico: il movimento ha dato vita ad uno Stato ebraico presumibilmente per fornire un rifugio per il popolo ebreo, tuttavia gli israeliani godono di una rischiosa esistenza come cittadini di ciò che è descritto di regola come un minuscolo paese del Medio Oriente perpetuamente in pericolo.

“Per 2.000 anni,” osserva Charles Krauthammer, “gli ebrei hanno trovato protezione nella dispersione – protezione non per le diverse comunità, che sono state regolarmente perseguitate e massacrate, ma protezione per il popolo ebraico nel suo complesso. Decimati qui, potevano sopravvivere là…. Hitler mise termine a quell'illusione. Dimostrò che l'antisemitismo moderno unito alla tecnologia moderna – ferrovie, burocrazie disciplinate, camere a gas che uccidono con efficienza industriale – poteva catturare un popolo disperso e ‘concentrarlo’ per l'annientamento.”

La “crudele ironia storica” dell'Israele moderno, continua Krauthammer, è che la creazione dello Stato ebraico “richiese la concentrazione – rimettere tutte le uova nello stesso cestino, un minuscolo territorio bagnato dal Mediterraneo, largo otto miglia. Un obiettivo tentatore per coloro che vorrebbero finire il lavoro di Hitler.”

La vulnerabilità demografica e geografica di Israele è invocata costantemente da coloro che credono che il governo degli Stati Uniti – e, pertanto, il popolo dal quale quell'entità saccheggia le necessarie risorse – debba, per una questione di dovere morale, assicurare la sopravvivenza dello Stato ebraico.

Il corollario non detto a quella richiesta – in effetti, non è altro che un delitto discutere tali corollari in pubblico, almeno qui nella presunta Land of the Free – è che gli ebrei sono in pericolo unicamente vivendo in Israele. Questo significa che Israele può essere in realtà una passività netta per il popolo ebraico, così come un peso evitabile per il pubblico americano in generale.

Sono agnostico per quanto riguarda l'affermazione che lo Stato d'Israele, come attualmente esiste, sia l'adempimento dei pii desideri degli antichi profeti e martiri. Ma sono convinto al punto della certezza morale che Israele non abbia alcun diritto legittimo sui soldi delle nostre tasse o sul nostro aiuto militare, e che le sovvenzioni di Washington ad Israele siano state un puro disastro sia per Israele che per la regione.

Il flusso continuo di aiuti finanziari e materiali in Israele ha generato una forma eccezionalmente dannosa di azzardo morale. L'importo del sussidio aumenta in proporzione alla minaccia percepita in Israele. Allo stesso tempo, Washington distribuisce con parsimonia sussidi “alla direzione palestinese,” generalmente favorendo i peggiori e più corrotti elementi tra quella popolazione. I dollari delle nostre tasse sono inoltre usati per spandere sussidi di governi come l'Egitto, la Giordania, il Pakistan e, naturalmente, l'Iraq “liberato.”

Elargizioni di questo genere sono giustificate come parte del “processo di pace,” ma in realtà creano un perverso incentivo per sostenere la violenza, o almeno la minaccia di essa: se la pace dovesse davvero realizzarsi, la logica per quei sussidi sparirebbe.

In un certo senso il sussidio di Washington ad Israele è analogo ad esempi da museo di stupidità governativa come il programma di assicurazione contro le inondazioni della FEMA, che incoraggia la gente a costruire case in pianure alluvionali, o il ruolo svolto dalle entità sponsorizzate dal governo quali Fannie Mae e Freddie Mac nella sottoscrizione ed assicurazione di mutui ipotecari difettosi. Tutti quei programmi sovvenzionano il comportamento rischioso e socializzano i costi quando quel comportamento conduce al disastro.

L'escursione militare punitiva di Israele a Gaza è uno splendido esempio dello stesso genere di stoltezza sovvenzionata, questa volta negli affari internazionali invece che domestici.

Gaza è il campo di prigionia più grande del mondo; un embargo israeliano impedisce agli abitanti di Gaza di ottenere la maggior parte delle necessità della vita. Governati un tempo dal partito Fatah di Yasser Arafat, gli abitanti di Gaza sono ora governati da Hamas, “un movimento di indipendenza” dominato da terroristi che è stato creato con l'aiuto dell'intelligence israeliana per fare da “contrappeso” al movimento di Arafat.

Intermittenti lanci di razzi in Israele dei membri di Hamas hanno fornito il pretesto per l'attuale guerra israeliana contro Gaza. Questi attacchi non sono “resistenza” al soffocante blocco di Gaza del governo israeliano; sono cinici e odiosi attacchi terroristici contro i cittadini israeliani – eseguiti, ironicamente, da elementi di un movimento creato e sostenuto dallo stesso governo israeliano.

Il governo israeliano e i suoi difensori descrivono gli attacchi di razzi di Hamas come violazione di un accordo di cessate il fuoco e, pertanto, di una prova che la popolazione di Gaza è incorreggibilmente votata alla violenza. Ma l'attuale campagna israeliana è stata progettata più di sei mesi fapersino prima che il cessate il fuoco entrasse in effetto. Se Hamas non fosse stata abbastanza stupida da lanciare una manciata di largamente inutili razzi in Israele, sarebbe stato organizzata qualche altra provocazione per giustificare l'invasione di Gaza.

I principi della guerra giusta non richiedono una risposta rigorosamente proporzionale ad un attacco. Tuttavia, c'è un punto in cui l'azione punitiva intrapresa come autodifesa si trasforma in aggressione e l'aggressione si trasforma in un massacro.

In questo caso, l'esercito israeliano sta intraprendendo una guerra chiaramente indiscriminata contro una popolazione civile impotente. E questo viene fatto come parte di una missione punitiva che non eliminerà, né ridurrà significativamente, la capacità di Hamas di eseguire lanci di razzi a malapena dannosi in Israele – un fatto che almeno alcuni sostenitori dell'azione israeliana considera come prova dell'insufficiente spietatezza dell'IDF.

Muovere guerra in questo modo è politicamente vantaggioso per gli elementi sia del governo israeliano che della direzione palestinese. Ciò riflette una simbiosi durevole e attentamente celata, descritta da Ben Cramer nel suo libro immensamente importante How Israel Lost.

Un'immagine di quella simbiosi menzionata da Cramer è la creazione da parte del Mossad di Hamas, che ha consolidato il culto degli attacchi suicidi ed ha ucciso centinaia di israeliani dal 1988. Anche se questo è stato fatto presumibilmente per fornire un “contrappeso” ad Arafat, l'establishment israeliano ha mantenuto legami intimi anche con lui – perfino mentre gli israeliani ed i palestinesi stavano morendo a centinaia in un presunto conflitto irreprimibile.

“I viscidi affari dell'Autorità Palestinese si intersecano con gli affari israeliani ai più alti livelli della vita politica israeliana,” ha scritto Cramer con palpabile disgusto. “Le cose non sono come sembrano.”

Cramer ha illustrato questa cinica “comprensione” evidenziando il rapporto fra la Dor Energy di proprietà israeliana ed il monopolio palestinese del carburante guidato dall'OLP. Il deposito di petrolio della Dor era un grande, ben visibile obiettivo sul confine con Gaza, rifornito ad intervalli regolari e prevedibili dalle grandi e lente autocisterne. In qualsiasi dei numerosi attacchi militari israeliani su Gaza, sia il deposito che i camion sarebbero obiettivi irresistibili. Tuttavia, a causa dell'accordo organizzato fra gli agenti del potere in ambo i lati del conflitto, né il deposito, né alcuna delle autocisterne sono stati mai colpiti.

Di gran lunga “l'accordo” più lucrativo, spiega Cramer, è il conflitto israelo-palestinese in sé, in cui gli scoppi di violenza sono cronometrati per servire gli interessi politici dei leader da ambo i lati.

Prima della sua morte nel novembre 2004, la popolarità di Arafat “nei sondaggi d'opinione [avrebbero spesso] oscillato vicino al nulla – all'invisibilità – fino al suo salvataggio con un'azione israeliana contro di lui,” nota Cramer. Lo stesso era vero per Ariel Sharon: “se i suoi sondaggi calavano, qualche cosa di terribile sarebbe accaduto: ebrei morti dappertutto in TV,” e le sue fortune politiche sarebbero aumentate.

Esattamente lo stesso cinico gioco è ora in corso nell'ultimo bagno di sangue a Gaza. Il conflitto attuale, ricordate, è stato progettato sei mesi fa, e viene giocato per dei vantaggi politici dall'incombente governo israeliano.

Una volta che si è compreso che il sanguinoso conflitto israelo-palestinese è, per alcuni versi, un esercitazione secondo copione analogo ad un “incontro” di wrestling professionista – anche se su una scala molto più grande, con ferite e morte reali – allora è facile capire perché la pace sia così incerta. Gli incaricati dello Stato israeliano e coloro che aspirano a guidare l'embrionale Stato palestinese, semplicemente trovano il conflitto politicamente e materialmente troppo vantaggioso per abbandonarlo, malgrado gli orrori che infligge sulle vittime del loro malgoverno.

“Perché non c'è la pace?” chiede Cramer. “Chi la vuole?”

È impossible immaginare come questa micidiale sciarada potrebbe continuare senza l'intervento finanziario e materiale di Washington. Se gli Stati Uniti facessero ciò che la nostra costituzione e i nostri principi fondanti richiedono – ritirare tutte le sovvenzioni e il sostegno a entrambi i lati del conflitto – i perversi incentivi che muovono gran parte di questo conflitto verrebbero rimossi.

Il ritiro degli Stati Uniti non minimizzerebbe le antiche rimostranze etno-religiose, o quelle più recenti radicate nell'espropriazione dei palestinesi. Ma obbligherebbe gli antagonisti a fare dei conti più realistici dei costi reali del conflitto, il che potrebbe spingerli a fare quel tipo di aperture materiali a denti stretti, zoppicanti, dolorosamente riluttanti, che alla fine conducono alla pace.

Naturalmente, il ritiro americano accadrà comunque quando la distruzione del dollaro sarà completata, un fatto che non dovrebbe sfuggire a chi è interessato alla sopravvivenza di Israele. La capacità di quella nazione di dominare militarmente i propri rivali è l'equivalente geostrategico di una bolla d'investimento particolarmente perniciosa, una bolla che ha distorto le priorità d'Israele e l'ha scoraggiata dal creare una struttura di sicurezza su presupposti che non coinvolgono il potere di leveraging degli Stati Uniti a suo favore.

La bolla del dominio USA-israeliano in Medio Oriente scoppierà non appena finirà l'egemonia globale del dollaro di carta.