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Sunday, August 10, 2008

Come stuprare una bambina e vivere felici

Vi piacciono le minorenni, magari quelle ancora in età prescolare? Se avete di questi gusti, bene, potete gioire, non c'è alcun bisogno di recarsi nelle esotiche località patria del turismo sessuale, potete soddisfare le vostre voglie direttamente in Italia, con la ragionevole certezza di passarla liscia (al massimo ti fai una fama di pedofilo, come un padre trentino che volesse farsi un video di suo figlio in piscina, insomma).

Non ci credete? Leggete allora questo articolo, pubblicato sul sito del Movimento Arancione, e aprite gli occhi su quali sono le conseguenze dell'aver concesso allo stato il monopolio della giustizia. E buon divertimento...
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Di Francesco Lorenzetti


Sulla giustizia penale esistono vari luoghi comuni. Il primo in ordine di importanza e diffusione è senz’altro che in Italia “le leggi ci sono, basterebbe farle rispettare”. Si sente questa frase ovunque, dai bar alle fermate dell’autobus, e di volta in volta essa acquisisce sempre maggiore credito presso la popolazione, la quale è portata a credere che la legge, come avrebbero voluto le speranze illuministe, possegga ancora una certa validità, e che i disservizi e i problemi di ogni genere che si riscontrano nella prassi siano quasi esclusivamente da attribuire alle manchevolezze degli operatori del settore.

A chi la pensa in questo modo è dedicato il seguente articolo, nel quale mi divertirò in un gioco che già il magistrato Bruno Tinti aveva tentato con successo, quello cioè di indignare i lettori con un esempio teorico di applicazione pedissequa delle prescrizioni del codice penale ad un reato di particolare gravità, così da metterne in evidenza le aberranti conseguenze sul piano sanzionatorio e dimostrare una volta per tutte che non basta “applicare le leggi” e che urge anzi un vigoroso ripensamento riguardo all’intera impostazione codicistica.

Bruno Tinti, nel suo libro “Toghe rotte”, porta l’esempio dell’omicidio. Io vorrei invece usare quello di un reato solitamente percepito come meno grave, ma che secondo la mia opinione è in realtà, per chi lo commette, il segnale di una pericolosità sociale e di una tendenza a delinquere del tutto simili a quelle proprie di un assassino. Sto parlando, ovviamente, della violenza sessuale.

Ne parla la parte speciale del codice agli articoli 609 bis e seguenti, dove si prendono in considerazione varie ipotesi riconducibili alla figura criminosa in esame. Per il nostro esempio prenderemo il caso di una violenza aggravata dalla giovane età della vittima, ricadendo così nella previsione dell’art. 609 ter (minori di anni 14), e per sovrappiù mettiamoci anche l’aggravante delle sevizie, immaginando che il reo abbia anche picchiato o torturato la vittima.

Partiamo dal primo dato: l’articolo citato prescrive che per chi stupra una bambina la pena edittale sia la reclusione “dai 6 ai 12 anni”. All’interno di questo spazio il giudice ha la facoltà, secondo il disposto dell’art. 133 c.p., di commisurare la pena “in relazione alla sua gravità”. La prima cosa da tenere presente, però, è che la giurisprudenza pressoché costante tende a commisurare la pena nel minimo edittale perciò la base di partenza in questo caso è sempre, nella prassi, 6 anni. Le motivazioni di questo atteggiamento giurisprudenziale sono complesse, e andrebbero analizzate in separata sede. Ci basti sapere che la valutazione sulla “gravità del fatto” è tendenzialmente demandata al giudizio di bilanciamento aggravanti/attenuanti legislativamente tipizzate ex art 69 piuttosto che al generico e atipico apprezzamento del giudice ex art 133, il quale pone gravi problemi interpretativi a causa dell’ampiezza della sua portata.

Ora, se contro il reo esistono prove schiaccianti, e questo non è completamente scemo, sceglierà di essere giudicato attraverso il cosiddetto “rito abbreviato”, per il semplice motivo che tale procedimento, oltre ad essere più veloce e meno costoso, garantisce automaticamente all’eventuale condannato uno sconto di pena di 1/3. In questo modo arriviamo ad un massimo di 4 anni.

Ma neanche per idea li diamo al nostro stupratore. Infatti, bisogna tenere conto, come ci insegna il nostro sistema buonista e cattocomunista, che un criminale non ha mai tutta la colpa per quello che fa. La colpa è sempre della società, del papà che lo picchiava, dell’ambiente degradato in cui è vissuto, del fatto che da piccolo non gli hanno regalato il trenino ecc. Tutte cose che, a norma dell’art. 62 bis, vanno a costituire le cosiddette “attenuanti generiche”, ultimo ritrovato in fatto di civiltà giuridica, le quali garantiscono un ulteriore sconto di pena fino ad 1/3. E tenete presente che, nella prassi applicativa, non esiste caso in cui queste attenuanti non siano concesse, tanto che qualcuno ha scritto che esse sono diventate “come un bicchier d’acqua che non si nega a nessuno”.

Ma voi mi farete notare che prima ho parlato anche di aggravanti dovute alle sevizie, sicché come tutte le persone sensate vi immaginate che le aggravanti e le attenuanti si sommino in un calcolo “a partita doppia”, per così dire. Purtroppo però le cose non funzionano affatto così, e il buon senso anche in questo caso non ci serve a molto. Quello che deve effettuare il giudice in caso di compresenza di attenuanti e aggravanti è piuttosto un “giudizio di prevalenza” delle prime o delle seconde: se prevarranno le prime, si applicheranno solo quelle, e viceversa nel caso contrario. Dispone infatti l’articolo 69 c.p. “Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti su quelle aggravanti, non si tiene conto degli aumenti di pena stabiliti per queste ultime”. Sconcertante, vero?

E non serve aggiungere che, naturalmente, non si registrano nella prassi applicativa casi di prevalenza delle aggravanti sulle attenuanti. Prevalgono sempre le attenuanti, anche perché la loro applicazione è molto più facile e flessibile (si pensi all’esistenza delle suddette attenuanti “generiche”, o dell’attenuante automatica in caso di risarcimento del danno). Inoltre, le attenuanti possibili - contrariamente alle aggravanti - sono parecchie e anche molto fantasiose (vedi art. 62): “L’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale” (no comment); “L’avere agito per suggestione della folla in tumulto” (sigh!); “L’avere agito in stato d’ira” (infatti tutti sanno che è più grave se uno esegue un delitto con calma e tranquillità) ecc.

Torniamo così al nostro caso di scuola: con l’applicazione di una sola attenuante (poniamo generica) siamo a 2,6 periodico anni di reclusione. E qui vi lascio con due possibili finali, nessuno dei due molto rassicurante: nel caso il reo risarcisca il danno alla vittima, ottiene un ulteriore sconto di 1/3 che lo porta al di sotto dei 2 anni, limite massimo per l’applicazione della cosiddetta “sospensione condizionale della pena”, che è una sorta di perdono giudiziale senza alcuna conseguenza penale.

Nel caso, invece, il reo non riesca o non voglia risarcire il danno, non andrà comunque in galera perché al di sotto dei 3 anni (eravamo a 2,6) c’è il cosiddetto “affidamento in prova ai servizi sociali”, che lascia libero il condannato sotto la guida di un assistente che gli farà periodicamente visita per aiutarlo a reinserirsi in società.

A questo punto, di solito c’è chi obietta che, almeno, la sentenza può essere utile come “ammonizione” al reo, data la disciplina della recidiva che solitamente si vede nei film. Tutti, infatti, siamo convinti che, come accade nei polizieschi americani, chi ha già commesso un reato rischi un trattamento sanzionatorio di particolare gravità nel caso ricada nel comportamento criminoso. Sicché a conclusione del mio esempio si potrebbe dire che, almeno, il reo difficilmente tornerà a delinquere, e che se lo farà le conseguenze saranno, finalmente, proporzionate alla sua pericolosità sociale. Anche questa convinzione è molto diffusa, ma purtroppo errata, almeno nel nostro paese. In Italia, la recidiva è considerata soltanto un’aggravante, perciò per i motivi sopra spiegati finisce sempre per essere accantonata assieme alle altre aggravanti nel “giudizio di prevalenza” di cui all’art.69 c.p. Di essa, di fatto, si tiene conto soltanto ai fini di alcuni effetti penali secondari che è inutile elencare.

Dunque, riepilogando: un tizio prende una bambina, la picchia e la stupra, poi subisce un processo veloce detto “rito abbreviato”, viene condannato, ma se ne torna a casa come nulla fosse successo a seguito di una sentenza di sospensione condizionale o di affidamento ai servizi sociali. Addirittura, se volesse, sa che potrebbe anche ripetere l’esperienza delittuosa, e le conseguenze sarebbero le stesse. Il tutto, naturalmente, a norma di legge, per cui il delinquente alla fine del gioco potrebbe anche avere l’impressione che, in fondo, non ha commesso un atto tanto grave.

Wednesday, September 26, 2007

Naso, Pancia e Sederino

“Fallacies do not cease to be fallacies because they become fashions.”
(G. K. Chesterton)
Sono tutti convinti che lo stato combatta la pedofilia, anzi che questo sia uno dei motivi più importanti per cui valga la pena di tenerselo. In caso contrario i pedofili sarebbero liberi di fare quello che gli pare. La propaganda funziona fin troppo bene, tanto che chi sostiene simili tesi è convinto non solo della loro esattezza ma anche di esserci arrivato da solo.

Ed è incredibile, perché non sarebbe affatto complicato comprendere la fallacia di questo dogma: partendo dal principio di non aggressione (per questo si chiama principio, perché da lì si parte) arrivare per deduzione logica al giudizio sulla pedofilia la via è breve. Non c'è bisogno di un organismo superiore che dichiari illegale la pedofilia, in assenza del quale la libertà del pedofilo sarebbe assoluta: la sessualità nei bambini non è ancora sviluppata, di conseguenza ogni atto sessuale con essi non può per definizione essere consenziente. Un bambino non sa neanche a cosa dovrebbe acconsentire, né prova stimoli sessuali. Il pedofilo infatti impone la sua sessualità facendola passare per un gioco, ma tutti – noi adulti – sappiamo bene che non di gioco si tratta.

Quindi l'atto sessuale con un bambino si identifica con un'aggressione non provocata in piena regola, e come tale illegittima. È piuttosto con lo stato che si può sperare di modificare la legge e farla accettare. Questo lo sanno bene i pedofili, tant'è vero che sono passati al contrattacco. E, grazie anche alle ramificazioni della lobby nelle stanze del potere, hanno capito che lo stato stesso è lo strumento migliore per veicolare la loro propaganda. In particolare, in Germania, una sussidiaria del ministero per gli affari familiari (brivido!), il Centro Federale Tedesco per l'Educazione Sanitaria (Bundeszentrale für gesundheitliche Aufklärung - BZgA) ha pubblicato un doppio opuscolo, che trovate sul loro sito, indirizzato ai genitori di bambini da uno a sei anni: “L'amore, il corpo, e giocare al dottore” (Körper, Liebe, Doktorspiele).
I padri non dedicano abbastanza attenzione al clitoride ed alla vagina delle loro figlie. Le loro carezze interessano troppo raramente queste regioni, mentre questo è l'unico modo per le bambine di sviluppare un senso d'orgoglio del loro sesso.
E ancora:
il bambino tocca tutte le parti del corpo di suo padre, a volte eccitandolo. Il padre dovrebbe fare lo stesso.
Non è ovvio? Spingere i genitori a “risvegliare” la sessualità precocemente, ecco la soluzione. Se fosse possibile riuscire nell'intento, i bambini potrebbero essere considerati coscienti della loro – presunta – sessualità e, nel caso, consenzienti: vale la pena di tentare, data la possibilità di diffondere largamente queste pratiche, con la legittimazione dello stato.

E non c'è solo l'opuscolo, tra i prodotti del BZgA indirizzati ai bambini di quattro anni o poco più c'è un libro di canzoni che include parecchi testi che promuovono la masturbazione. Il libro, intitolato “Naso, Pancia e Sederino” (Nase, Bauch und Po) include una canzone con i seguenti versi:
Quando tocco il mio corpo, scopro che cos'ho. Ho una vagina, perché sono una bambina. La vagina non serve solo a far pipì. Quando la tocco, sento un piacevole formicolio.
Il formicolio è venuto anche a me, alle mani però...