Saturday, May 31, 2008

Corti Sconci detti Arcani

Vi devo avvertire: i recenti sconvolgimenti geofisici degli ultimi tempi hanno intrappolato l'isola di Laputa in una zona dell'atmosfera particolarmente carica elettromagneticamente, infatti il dispaccio telepatico di questa settimana pare provenga dal limite delle cose umane. Non oso immaginare dove possa trovarsi in questo momento il Pesce volante con la sua capsula temporale! Spero che non si spinga troppo lontano dal Centro di Igiene Mentale di Laputa.

Una lettura interessante e soprattutto, elettrizzante. Pare quasi di respirare l'aria rarefatta ed energizzata della ionosfera terrestre.

Da parte mia il consueto augurio di un buon fine settimana per tutti, e un brindisi con un antico cocktail, il rakì me meli. Ovvero, un’acquavite aromatizzata all'anice, e miele.
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Di Giovanni Pesce

Eravamo fermi, l’altra settimana, al momento della scrittura dei Dieci Comandamenti, un piccolo passo per Mosè ma un grande passo per l’Umanità, ed ora ripartiamo e affrontiamo l’annoso problema delle due Arche dell’Antico Testamento.,

La prima, l’arca di Noè, era in pratica un grosso barcone dove vennero radunate molte coppie di animali che, per loro massima sfiga, alla fine dell’operazione “Save & Kill” vennero uccisi in sacrificio in onore del Padreterno.

L’altra arca, detta dell’Alleanza, era invece conosciuta come il deposito ufficiale delle Tavole della Legge; nei circoli cospirazionisti si è messo in evidenza come quest’arca somigliasse in realtà ad un grosso condensatore elettrico, infatti aveva due punte (le ali di due cherubini) molto vicine tra di loro e queste punte non si toccavano esattamente come l’anodo ed il catodo di una batteria di condensatori. Come altra caratteristica elettrica l’arca produceva dei fulmini e delle saette; come una bottiglia di Leida.

Aveva un esterno in legno di acacia, molto isolante dal punto di vista elettrico.

Aveva un’anima interna in oro, ottimo conduttore elettrico.

Aveva due manici di legno e non doveva mai essere poggiata a terra, per evitare di scaricare a terra il proprio potenziale elettrico.

Ma come era possibile immagazzinare energia elettrica nei tempi remoti quando ancora non era stata fondata l’ENEL SpA? Un’ipotesi che è stata presentata nella riunione mensile del dopolavoro “ Elettrici di Laputa” si basa sull’uso di obelischi.

Alcuni proponevano l’uso di obelischi come antenne per catturare la differenza di potenziale elettrico tra la terra e la punta, l’altra teoria presentata, molto più semplicemente, prevedeva l’uso di obelischi come acchiappa-fulmini.

I fulmini, infatti, per cortocircuitare “Tra Cielo e Terra”, prediligono le punte e vengono attirati dagli obelischi come se fossero dei parafulmini; con qualche accorgimento tecnico è ipotizzabile che un po’ di energia elettrica restasse intrappolata in un eventuale condensatore posizionato alla base dell’obelisco stesso.

A conforto di questa ipotesi di studio sono state presentate delle diapositive con tutti gli obelischi egizi e tutti quelli etiopici di Axum. L’Arca dell’Alleanza sarebbe stata trasferita ad Axum in Etiopia, sull’altopiano alla fonte del Nilo Azzurro, zona soggetta a fenomeni temporaleschi, e possiamo osservare come ad Axum siano stati eretti moltissimi obelischi, dei quali uno (la stele di Axum) ha fatto parte per anni del paesaggio romano.

Anche i romani ricordano come spesso la stele di Axum sia stata oggetto di colpi di fulmine; se, nei secoli passati, anni un buon elettricista romano fosse stato in grado di immagazzinare l’energia elettrica, si sarebbe fatta una buona posizione economica, rivendendo l’energia elettrica un poco a poco imbonendo il pubblico con spettacoli di illusionismo.

In quegli anni, fu, comunque, coniato l’anatema “Che Dio ti Fulmini!”, che fu lo slogan principale dei seguaci della Strategia della Tensione.

Era un Venerdi 13 della 380 a.c. dell’era Trifasica.

Le cause economiche della guerra

Questa è la maggior parte di una lezione tenuta da Ludwig von Mises nella Contea di Orange, in California, nell'ottobre 1944, e pubblicata dalla Fondazione per l'Educazione Economica nel 2004.

La capacità di analisi di Mises applicata ad un argomento sempre attualissimo: la guerra.

[Ripubblicato in un unico post per comodità]

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Di Ludwig von Mises


La guerra è un'istituzione umana primitiva. Da tempo immemorabile, gli uomini desiderano combattersi, uccidersi e derubarsi l'un l'altro. Tuttavia, il riconoscimento di questo fatto non porta alla conclusione che la guerra sia una forma indispensabile di rapporti interpersonali e che gli sforzi per abolirla siano contro natura e quindi condannati al fallimento.

Possiamo, a vantaggio della discussione, accettare la tesi militarista per cui l'uomo è dotato di un innato istinto per combattere e distruggere. Tuttavia, non sono questi istinti e impulsi primitivi a costituire le caratteristiche dell'uomo. L'eminenza dell'uomo si trova nella sua ragione e nel potere di pensare, che lo distingue da tutte le altre creature viventi. E la ragione dell'uomo gli insegna che la cooperazione e la collaborazione pacifiche nell'ambito della divisione del lavoro è un modo più vantaggioso per vivere del conflitto violento.

Non voglio indugiare sulla storia della guerra. È sufficiente accennare che nel XVIII secolo,alla vigilia del capitalismo moderno, la natura della guerra era molto diversa da com'era stata nell'era della barbarie. I popoli non si combattevano più allo scopo di sterminare o di asservire gli sconfitti. Le guerre erano uno strumento dei capi politici e venivano combattute con eserciti comparativamente piccoli di militari di carriera, in gran parte composti da mercenari. L'obiettivo della guerra era determinare quale dinastia avrebbe governato un paese o una provincia. Le maggiori guerre europee del XVIII secolo furono guerre di successione reale, per esempio le guerre degli spagnoli, dei polacchi, degli austriaci ed infine per le successioni bavaresi. La gente ordinaria era più o meno indifferente ai risultati di questi conflitti. Non era granché interessata alla questione se il loro principe reggente fosse un Asburgo o un Borbone.

Nondimeno, queste continue lotte caricarono una pesante zavorra sull'umanità. Furono un serio ostacolo ai tentativi di raggiungere una maggiore prosperità. Di conseguenza, i filosofi e gli economisti del tempo rivolsero la loro attenzione allo studio delle cause della guerra. Il risultato della loro ricerca era il seguente:

in un sistema di proprietà privata dei mezzi di produzione e di libera impresa, con l'unica funzione del governo di proteggere gli individui dagli attacchi violenti o fraudolenti alla loro vita, salute, o proprietà, dove siano tracciate le frontiere di una qualsiasi nazione è irrilevante per i suoi cittadini. È di nessuna preoccupazione per chiunque se il suo paese è grande o piccolo e se conquista una provincia oppure no. I singoli cittadini non ottengono alcun profitto dalla conquista di un territorio.

È diverso per i principi o le aristocrazie di governo. Essi possono aumentare il loro potere ed i loro redditi di imposta ampliando le dimensioni dei loro regni. Possono trarre profitto dalla conquista. Sono bellicosi, mentre la cittadinanza è pacifica.

Quindi, concludevano i vecchi liberali, con un sistema di laissez-faire economico e di governo popolare non ci sarebbero più guerre. Le guerre diventerebbero obsolete perché le cause della guerra scomparirebbero. Fin dai secoli diciottesimo e diciannovesimo i liberali classici sono stati del tutto convinti che niente avrebbe potuto arrestare il movimento verso la libertà economica e la democrazia politica, erano certi che l'umanità si trovasse alla vigilia di un'epoca di pace imperturbata.

Ciò di cui c'era necessità per rendere il mondo sicuro per la pace, dicevano, era di implementare la libertà economica, il libero scambio e la benevolenza fra le nazioni, e un governo popolare. Voglio sottolineare l'importanza di entrambi questi requisiti: libero scambio nel paese e nei rapporti internazionali, e democrazia. L'errore fatidico della nostra epoca è consistito nel fatto che ha abbandonato il primo di questi requisiti, vale a dire il libero scambio, ed ha enfatizzato solo il secondo, la democrazia politica. In tal modo, la gente ha ignorato il fatto che la democrazia non può essere mantenuta permanentemente quando la libera impresa, il libero scambio e la libertà economica non esistono.

Il presidente Woodrow Wilson era assolutamente convinto che per rendere sicuro il mondo per la pace fosse necessario renderlo sicuro per la democrazia. Durante la prima guerra mondiale si credeva che, se soltanto si fosse potuto rimuovere dal potere la casa reale tedesca degli Hohenzollern e la privilegiata aristocrazia terriera tedesca, i Junkers, sarebbe stato possibile realizzare una pace duratura. Ciò che il presidente Wilson non vide era che all'interno di un mondo in cui l'onnipotenza del governo era in aumento questo non sarebbe stato sufficiente. In un tal mondo di crescente potere di governo, esistono delle cause economiche per la guerra.


Il cittadino trae profitto dalla conquista?


L'eminente pacifista britannico, sir Norman Angell, ripete di continuo che il singolo cittadino non può trarre alcun profitto dalla conquista di una provincia da parte della propria nazione. Nessun cittadino tedesco, dice sir Norman, ha ottenuto profitto dall'annessione dell'Alsazia-Lorena ad opera della sua nazione come conseguenza della guerra Franco-Prussiana del 1870-1871. Questo è abbastanza corretto. Ma questo aveva luogo nei giorni del liberalismo classico e della libera impresa. È un'altra cosa in questi tempi di interferenza del governo nel commercio.

Facciamo un esempio. I governi dei paesi produttori di gomma hanno formato un cartello per monopolizzare il mercato della gomma naturale. Hanno obbligato i piantatori a limitare la produzione per aumentare il prezzo della gomma molto oltre il livello che avrebbe raggiunto in un mercato libero. Questo non è un caso eccezionale. Molte derrate alimentari vitali ed essenziali e materie prime sono state soggette a simili politiche implementate dai governi in tutto il mondo. Hanno imposto la cartellizzazione obbligatoria a numerose industrie, come conseguenza di cui il loro controllo è stato spostato dalle mani degli imprenditori privati a quelle del governo. Alcuni di questi piani, è vero, sono falliti. Ma i governi coinvolti non hanno abbandonato i loro programmi. Bramano di migliorare i metodi applicati e sono sicuri che avranno più successo dopo l'attuale Seconda Guerra Mondiale.

Si fa un gran parlare al giorno d'oggi sulla necessità della pianificazione internazionale. Tuttavia, nessuna pianificazione, che sia nazionale o internazionale, è richiesta per far sì che i piantatori coltivino la gomma, il caffè e qualunque altro prodotto. Intraprendono la produzione di questi prodotti perché è il modo più conveniente per guadagnarsi la vita. La pianificazione a questo proposito si traduce sempre in azioni governative per la limitazione della produzione e l'istituzione di prezzi di monopolio.

In tali circostanze non è più vero che una nazione possa apparire non ottenere tangibile profitto da una guerra vittoriosa. Se le nazioni dipendenti dall'importazione di gomma, caffè, latta, cacao e di altri prodotti potessero obbligare i governi dei paesi produttori ad abbandonare le loro pratiche monopolistiche, migliorerebbero il benessere economico dei loro cittadini.

Menzionare questa situazione non implica una giustificazione per l'aggressione e la conquista. Dimostra soltanto quanto assolutamente in errore siano i pacifisti come sir Norman Angell, che basano i loro argomenti per la pace sul presupposto non specificato che tutte le nazioni ancora si ispirino ai principi della libera impresa.

Sir Norman Angell è un membro del Partito Laburista Britannico. Questo partito sostiene la socializzazione senza riserve del commercio. Ma i membri del partito laburista sono troppo ottusi per realizzare quali sarebbero le conseguenze economiche e politiche della socializzazione del commercio.


Il caso della Germania


Voglio spiegare queste conseguenze facendo riferimento, prima di tutto, alla situazione in Germania.

Come tutte le altre nazioni europee, la Germania è povera di risorse naturali. Non può nutrire né coprire la sua popolazione con le proprie risorse nazionali disponibili. I tedeschi devono importare enormi quantità di materie prime e di derrate alimentari e devono pagare queste importazioni di cui hanno un gran bisogno esportando prodotti finiti, la maggior parte dei quali realizzati con le materie prime importate. Sotto la libera impresa, la Germania si è adeguata brillantemente a questa circostanza. Sessanta o settant'anni fa, nei 1870 e nei 1880, la Germania era una delle nazioni più prospere. I suoi imprenditori sono riusciti estremamente bene nella costruzione di fabbriche molto efficienti. L'industria della Germania era la prima nel continente europeo. I suoi prodotti solcavano trionfalmente il mercato mondiale. I tedeschi – tutte le classi della popolazione tedesca – diventavano più prosperi di anno in anno. Non c'era motivo di alterare la struttura del commercio tedesco.

Ma alla maggior parte degli ideologhi tedeschi e degli autori politici, dei professori nominati dal governo e dei capi del Partito Socialista, come pure dei burocrati governativi, il sistema del libero mercato non piaceva affatto. Lo denigravano come capitalista, plutocratico, borghese e come occidentale ed ebreo. Deploravano il fatto che il sistema della libera impresa aveva incorporato la Germania nella divisione del lavoro internazionale.

Tutti questi gruppi e partiti politici volevano sostituire la libera impresa con l'amministrazione di governo del commercio. Volevano eliminare l'incentivo del profitto. Volevano nazionalizzare il commercio e sottometterlo agli ordini del governo. Questa è una cosa comparativamente facile in un paese che in genere può vivere nell'autosufficienza economica. La Russia, occupando la sesta parte delle terre emerse, può fare a meno di quasi tutte le importazioni dall'estero. Ma è diverso per la Germania. La Germania non può evitare le importazioni e conseguentemente deve esportare prodotti finiti. Questo è precisamente ciò che una burocrazia di governo non potrà mai realizzare. I burocrati possono fiorire soltanto in mercati interni protetti. Non sono fatti per competere sui mercati esteri.

Oggi, nella Germania nazista, la maggior parte della gente vuole che il governo controlli il commercio. Ma il fatto è che controllo statale del commercio e commercio estero sono incompatibili. Un commonwealth socialista deve puntare sull'autarchia. È qui che il nazionalismo aggressivo – chiamato un tempo pan-germanesimo, e oggi nazional-socialismo – fa la sua comparsa. Siamo una nazione potente, dicono i nazional-socialisti; siamo abbastanza forti per schiacciare tutte le altre nazioni. Dobbiamo conquistare tutti quei paesi le cui risorse sono essenziali per il nostro benessere economico. Abbiamo bisogno dell'autarchia e quindi dobbiamo combattere. Abbiamo bisogno di Lebensraum (spazio vitale) e di Nahrungs freiheit (libertà dalla scarsità di cibo).

Entrambi i termini significano la stessa cosa, la conquista di un territorio così grande e ricco di risorse naturali che i tedeschi potrebbero vivere senza alcun commercio estero ad un tenore di vita non più basso di quello di qualunque altra nazione. Il termine Lebensraum è abbastanza conosciuto all'estero. Ma il termine Nahrungs freiheit non lo è. Freiheit significa libertà; Nahrungs freiheit significa libertà da una situazione in cui la Germania è costretta ad importare derrate alimentari. È l'unica “libertà” che conta secondo i nazisti.

Sia i comunisti che i nazisti credono che l'essenza di ciò che essi intendono per democrazia, libertà e governo popolare si trova nell'instaurazione di un totale controllo di stato del commercio. Che si chiami questo sistema socialismo o comunismo o pianificazione è irrilevante. A prescindere da come lo si chiama, questo sistema richiede autosufficienza economica. Ma mentre la Russia può, generalmente, vivere nell'autosufficienza economica, la Germania non lo può fare. Di conseguenza una Germania socialista s'impegnerà in una politica di Lebensraum o di Nahrungs freiheit , in altre parole, una politica di aggressione.

Il perseguimento di un programma di controllo statale del commercio finirà per provocare un rifiuto della divisione del lavoro internazionale. Dal punto di vista della filosofia nazista, l'unico modo adeguato di condurre i rapporti internazionali è la guerra. I loro uomini più eminenti si inorgogliscono riportando una citazione di Tacito. Questo storico romano, quasi duemila anni fa, disse che i tedeschi consideravano una vergogna l'acquistare per mezzo del duro lavoro ciò che si potrebbe acquistare con un massacro. Non fu per caso se il kaiser Guglielmo II, nel 1900, elevò gli unni a modello per i suoi soldati. Era il rivestimento di una politica cosciente.


Dipendere dalle importazioni

La Germania non è l'unico paese europeo che dipende dalle importazioni straniere. L'Europa – a parte la Russia – ha una popolazione di circa 400 milioni di persone, più di tre volte la popolazione degli Stati Uniti continentali. Ma l'Europa non produce cotone, gomma, copra, caffè, tè, iuta e molti metalli essenziali. Ed ha una produzione sostanzialmente insufficiente di lana, foraggio, bestiame, carne, pellami e di molti cereali.

Nel 1937, l'Europa ha prodotto soltanto cinquantasei milioni di barili di petrolio, rispetto alla produzione degli Stati Uniti di 1.279 milioni di barili. Inoltre, quasi tutta la produzione europea di petrolio è situata in Romania ed in Polonia orientale. Ma come conseguenza della presente guerra, queste zone rientreranno sotto il controllo della Russia. La fabbricazione e l'esportazione di prodotti finiti sono gli elementi essenziali della vita economica europea. Tuttavia, esportare prodotti finiti è quasi impossibile sotto il controllo statale del commercio.

Tale è la dura realtà che nessuna retorica socialista può scongiurarla. Se gli europei vogliono vivere devono aderire agli sperimentati metodi della libera impresa. L'alternativa è guerra e conquista. I tedeschi l'hanno provata due volte ed hanno fallito in entrambi i casi.

Tuttavia, i gruppi politicamente più influenti in Europa sono lontano dal comprendere l'indispensabilità della libertà economica. In Gran Bretagna ed in Francia, in Italia ed in alcuni paesi più piccoli c'è un potente movimento per il completo controllo statale del commercio. L'argomento per la libertà economica è quasi una causa disperata con i governi di questi paesi. Il Partito Laburista Britannico e quei politici britannici che scorrettamente ancora lo chiamano Partito Liberale, vedono questa guerra non solo come lotta per l'indipendenza della loro nazione, ma anche come niente di meno che una rivoluzione per l'instaurazione del controllo statale del commercio. Il terzo partito britannico, il Partito Conservatore, generalmente simpatizza per questi tentativi. I britannici vogliono sconfiggere Hitler, ma vogliono adottare i suoi metodi economici nel loro paese. Non sospettano che il socialismo di stato in Gran Bretagna vuol dire rovina delle masse britanniche. La Gran Bretagna deve esportare prodotti finiti per comprare materie prime e derrate alimentari dall'estero. Ogni calo nelle esportazioni britanniche abbassa il tenore di vita delle masse britanniche.

Le condizioni in Francia e Italia e nella maggior parte degli altri paesi europei sono simili a quelle in Gran Bretagna.

Nel fornire al consumatore domestico vari beni necessari un governo socialista è sovrano. Il cittadino deve prendere quello che il governo gli dà. Ma la cosa è diversa con una qualsiasi esportazione. I consumatori stranieri comprano solo se sia la qualità che il prezzo del prodotto offerto sono interessanti per lui. In questa arena internazionale dei servizi per i consumatori stranieri, il capitalismo ha mostrato la sua superiore efficienza ed adattabilità. L'alto livello del benessere economico e civilizzazione nell'Europa prebellica non era il risultato delle attività degli uffici e delle agenzie di governo. Era il successo della libera impresa. Quelle macchine fotografiche e quei prodotti chimici tedeschi, quei tessuti britannici, quei vestiti, i cappelli e i profumi di Parigi, quegli orologi svizzeri, e quei lussuosi prodotti in pelle di Vienna non erano il prodotto di fabbriche controllate dal governo. Erano il prodotto dell'infaticabile impegno degli imprenditori per il miglioramento della qualità e l'abbassamento dei prezzi delle loro mercanzie. Nessuno è così spavaldo da supporre che un ente governativo potrebbe sostituire con successo gli imprenditori privati in questa funzione.

Il commercio estero privatamente condotto è un affare privato fra aziende private di diversi paesi. Se ne risulta qualche disaccordo, è un conflitto fra aziende private. Non provocano conflitti nei rapporti politici fra le nazioni. Interessano un sig. Meier e un sig. Smith. Ma se il commercio estero è una questione governativa, tali conflitti si trasformano in problemi politici.

Supponete che il governo olandese preferisca comprare il carbone dalla Gran Bretagna piuttosto che dalla Ruhr tedesca. Allora i nazionalisti tedeschi potrebbero pensare, perché tollerare un simile comportamento da parte di una piccola nazione? Al Terzo Reich sono bastati precisamente quattro giorni per frantumare le forze armate dei Paesi Bassi nel 1940. Riproviamoci! Dopo godremo di tutti i prodotti dei Paesi Bassi, ma senza doverglieli pagare.


“Equa” distribuzione delle risorse

Analizziamo la richiesta frequentemente espressa dagli aggressori nazisti e fascisti per una nuova ed equa distribuzione delle risorse naturali in tutto il globo. In un mondo di libera impresa, un uomo che desideri bere del caffè, e non è egli stesso un coltivatore di caffè, lo dovrà pagare. Che sia un tedesco o un italiano o un cittadino della Repubblica della Colombia,
dovrà rendere qualche servizio al suo prossimo, guadagnarsi un reddito e spenderne una parte per il caffè che desidera. Nel caso di un paese che non produca caffè all'interno dei suoi confini, questo significa esportare merci o risorse per pagare il caffè importato. Ma i signori Hitler e Mussolini non pensano ad una tale soluzione per il problema. Quello che vorrebbero è annettersi un paese produttore di caffè. Ma visto che i cittadini della Colombia o del Brasile non sono entusiasti di diventare schiavi dei nazisti tedeschi o dei fascisti italiani, questo significa guerra.

Un altro esempio notevole è fornito dal caso dell'industria del cotone. Per più di cento anni, una delle principali industrie di tutti i paesi europei era la filatura del cotone e la fabbricazione di merci in cotone. L'Europa non coltiva alcun cotone. Il suo clima è sfavorevole. Ma la fornitura è sempre stata sufficiente, con l'unica eccezione degli anni durante la guerra civile americana nei 1860, quando il conflitto interruppe il rifornimento di cotone dagli stati meridionali. I paesi industriali europei acquistavano abbastanza cotone non solo per le esigenze del loro consumo domestico, ma anche per una considerevole esportazione di prodotti in cotone.

Ma negli anni appena precedenti l'inizio della Seconda Guerra Mondiale, le circostanze sono cambiate. C'era ancora un ampio rifornimento di cotone grezzo sul mercato mondiale. Ma il sistema dei controlli del cambio estero adottato dalla maggior parte dei paesi europei ha impedito agli uomini d'affari privati di comprare tutto il cotone di cui avevano bisogno per i loro processi di produzione. Il contributo di Hitler al declino dell'industria tedesca del cotone è consistito nella limitazione della produzione che ha provocato il licenziamento di gran parte della manodopera. Hitler non si è preoccupato molto per il destino di questi operai scaricati. Li ha mandati a lavorare, invece, nelle fabbriche di munizioni.

Come ho già precisato, non ci sono cause economiche per l'aggressione armata all'interno di un mondo di libero scambio e di libera impresa. In un mondo simile, nessun singolo cittadino può trarre alcun vantaggio dalla conquista di una provincia o di una colonia. Ma in un mondo di stati totalitari, molti cittadini possono giungere a credere in un miglioramento del loro benessere materiale dall'annessione di un territorio ricco di risorse. Le guerre del ventesimo secolo sono state, si può esserne certi, guerre economiche. Ma non sono state causate dal capitalismo, come i socialisti ci vorrebbero far credere. Sono guerre causate da governi che puntano alla totale onnipotenza politica ed economica e sono state sostenute dalle masse fuorviate di questi paesi.

Le tre principali nazioni aggredenti in questa guerra – la Germania nazista, l'Italia fascista e il Giappone imperiale – non raggiungeranno i loro scopi. Sono state sconfitte e lo sanno già. Ma possono riprovarci in data futura, perché la loro falsa filosofia – la loro dottrina totalitaria – non conosce alcun altro metodo per provare a migliorare le condizioni materiali del popolo tranne la guerra. Per il totalitario, la conquista è l'unico mezzo politico possibile di raggiungere i suoi scopi economici.


Mentalità economica

Non dico che tutte le guerre di tutte le nazioni ed in tutte le età sono state motivate da considerazioni economiche, cioè dal desiderio di arricchire gli aggressori a scapito degli sconfitti. Non abbiamo bisogno di studiare le cause originarie delle crociate o delle guerre religiose dei secoli XI e XVII. Quello che voglio dire è che, nella nostra epoca, le grandi guerre sono state il risultato di una mentalità economica specifica.

La Seconda Guerra Mondiale non è certamente una guerra fra i bianchi e le razze di colore. Nessuna differenza razziale separa i britannici, gli olandesi ed i norvegesi dai tedeschi, o i francesi dagli italiani, o i cinesi dai giapponesi. Non è una guerra fra cattolici e protestanti. Dopo tutto, ci sono cattolici e protestanti in entrambi gli schieramenti belligeranti. Non è una guerra fra la democrazia e la dittatura. Il diritto di alcune delle Nazioni Unite (la Russia Sovietica in particolare) alla definizione “democratica” è piuttosto discutibile. Dall'altro lato, la Finlandia (che è alleata con la Germania nazista) è un paese con un governo democraticamente eletto.

La mia affermazione che le guerre recenti sono state motivate da considerazioni economiche non intende essere una giustificazione delle politiche dell'aggressore. Visto come mezzo per il raggiungimento di determinati benefici economici, la politica di aggressione e conquista è controproducente. Anche se tecnicamente riuscita a breve termine, nel lungo periodo non raggiungerebbe mai gli scopi a cui gli aggressori mirano. Nelle condizioni dell'industrialismo moderno, non ci può essere questione su un sistema sociale quale i nazisti progettano con lo pseudonimo di “Nuovo Ordine.” La schiavitù non è un metodo per le società industriali. Se i nazisti avessero conquistato i loro avversari, avrebbero distrutto la civilizzazione e riportato la barbarie. Certamente non avrebbero eretto un Nuovo Ordine millenario, come Hitler aveva promesso.

Quindi, il problema principale è come evitare nuove guerre. La risposta non può trovarsi nell'instaurazione di una migliore Lega delle Nazioni; né è una questione di istituzione di un migliore Tribunale Mondiale, e nemmeno nell'implementazione di una Forza di Polizia Mondiale. La questione reale è di rendere tutte le nazioni – o almeno le nazioni più popolate del mondo – pacifiste. Questo può essere realizzato solo tornando alla libera impresa.

Se vogliamo abolire la guerra, dobbiamo rimuovere le cause della guerra.

Il grande idolo del nostro tempo è lo Stato. Lo Stato è un'istituzione sociale necessaria, ma non dovrebbe essere divinizzata. Non è un dio; è uno strumento di uomini mortali. Se lo rendiamo un idolo, dovremo sacrificargli il fiore della nostra gioventù nelle guerre che verranno.

Ciò che è necessario per realizzare una pace duratura è molto di più di nuovi uffici e di una nuova corte per la Lega delle Nazioni a Ginevra, o persino di una nuova forza di polizia internazionale. Ciò che è necessario è un cambiamento nelle ideologie politiche e il ritorno ad un sano sistema economico di mercato libero.

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Thursday, May 29, 2008

Le cause economiche della guerra #3

Di Ludwig von Mises



“Equa” distribuzione delle risorse

Analizziamo la richiesta frequentemente espressa dagli aggressori nazisti e fascisti per una nuova ed equa distribuzione delle risorse naturali in tutto il globo. In un mondo di libera impresa, un uomo che desideri bere del caffè, e non è egli stesso un coltivatore di caffè, lo dovrà pagare. Che sia un tedesco o un italiano o un cittadino della Repubblica della Colombia,
dovrà rendere qualche servizio al suo prossimo, guadagnarsi un reddito e spenderne una parte per il caffè che desidera. Nel caso di un paese che non produca caffè all'interno dei suoi confini, questo significa esportare merci o risorse per pagare il caffè importato. Ma i signori Hitler e Mussolini non pensano ad una tale soluzione per il problema. Quello che vorrebbero è annettersi un paese produttore di caffè. Ma visto che i cittadini della Colombia o del Brasile non sono entusiasti di diventare schiavi dei nazisti tedeschi o dei fascisti italiani, questo significa guerra.

Un altro esempio notevole è fornito dal caso dell'industria del cotone. Per più di cento anni, una delle principali industrie di tutti i paesi europei era la filatura del cotone e la fabbricazione di merci in cotone. L'Europa non coltiva alcun cotone. Il suo clima è sfavorevole. Ma la fornitura è sempre stata sufficiente, con l'unica eccezione degli anni durante la guerra civile americana nei 1860, quando il conflitto interruppe il rifornimento di cotone dagli stati meridionali. I paesi industriali europei acquistavano abbastanza cotone non solo per le esigenze del loro consumo domestico, ma anche per una considerevole esportazione di prodotti in cotone.

Ma negli anni appena precedenti l'inizio della Seconda Guerra Mondiale, le circostanze sono cambiate. C'era ancora un ampio rifornimento di cotone grezzo sul mercato mondiale. Ma il sistema dei controlli del cambio estero adottato dalla maggior parte dei paesi europei ha impedito agli uomini d'affari privati di comprare tutto il cotone di cui avevano bisogno per i loro processi di produzione. Il contributo di Hitler al declino dell'industria tedesca del cotone è consistito nella limitazione della produzione che ha provocato il licenziamento di gran parte della manodopera. Hitler non si è preoccupato molto per il destino di questi operai scaricati. Li ha mandati a lavorare, invece, nelle fabbriche di munizioni.

Come ho già precisato, non ci sono cause economiche per l'aggressione armata all'interno di un mondo di libero scambio e di libera impresa. In un mondo simile, nessun singolo cittadino può trarre alcun vantaggio dalla conquista di una provincia o di una colonia. Ma in un mondo di stati totalitari, molti cittadini possono giungere a credere in un miglioramento del loro benessere materiale dall'annessione di un territorio ricco di risorse. Le guerre del ventesimo secolo sono state, si può esserne certi, guerre economiche. Ma non sono state causate dal capitalismo, come i socialisti ci vorrebbero far credere. Sono guerre causate da governi che puntano alla totale onnipotenza politica ed economica e sono state sostenute dalle masse fuorviate di questi paesi.

Le tre principali nazioni aggredenti in questa guerra – la Germania nazista, l'Italia fascista e il Giappone imperiale – non raggiungeranno i loro scopi. Sono state sconfitte e lo sanno già. Ma possono riprovarci in data futura, perché la loro falsa filosofia – la loro dottrina totalitaria – non conosce alcun altro metodo per provare a migliorare le condizioni materiali del popolo tranne la guerra. Per il totalitario, la conquista è l'unico mezzo politico possibile di raggiungere i suoi scopi economici.


Mentalità economica

Non dico che tutte le guerre di tutte le nazioni ed in tutte le età sono state motivate da considerazioni economiche, cioè dal desiderio di arricchire gli aggressori a scapito degli sconfitti. Non abbiamo bisogno di studiare le cause originarie delle crociate o delle guerre religiose dei secoli XI e XVII. Quello che voglio dire è che, nella nostra epoca, le grandi guerre sono state il risultato di una mentalità economica specifica.

La Seconda Guerra Mondiale non è certamente una guerra fra i bianchi e le razze di colore. Nessuna differenza razziale separa i britannici, gli olandesi ed i norvegesi dai tedeschi, o i francesi dagli italiani, o i cinesi dai giapponesi. Non è una guerra fra cattolici e protestanti. Dopo tutto, ci sono cattolici e protestanti in entrambi gli schieramenti belligeranti. Non è una guerra fra la democrazia e la dittatura. Il diritto di alcune delle Nazioni Unite (la Russia Sovietica in particolare) alla definizione “democratica” è piuttosto discutibile. Dall'altro lato, la Finlandia (che è alleata con la Germania nazista) è un paese con un governo democraticamente eletto.

La mia affermazione che le guerre recenti sono state motivate da considerazioni economiche non intende essere una giustificazione delle politiche dell'aggressore. Visto come mezzo per il raggiungimento di determinati benefici economici, la politica di aggressione e conquista è controproducente. Anche se tecnicamente riuscita a breve termine, nel lungo periodo non raggiungerebbe mai gli scopi a cui gli aggressori mirano. Nelle condizioni dell'industrialismo moderno, non ci può essere questione su un sistema sociale quale i nazisti progettano con lo pseudonimo di “Nuovo Ordine.” La schiavitù non è un metodo per le società industriali. Se i nazisti avessero conquistato i loro avversari, avrebbero distrutto la civilizzazione e riportato la barbarie. Certamente non avrebbero eretto un Nuovo Ordine millenario, come Hitler aveva promesso.

Quindi, il problema principale è come evitare nuove guerre. La risposta non può trovarsi nell'instaurazione di una migliore Lega delle Nazioni; né è una questione di istituzione di un migliore Tribunale Mondiale, e nemmeno nell'implementazione di una Forza di Polizia Mondiale. La questione reale è di rendere tutte le nazioni – o almeno le nazioni più popolate del mondo – pacifiste. Questo può essere realizzato solo tornando alla libera impresa.

Se vogliamo abolire la guerra, dobbiamo rimuovere le cause della guerra.

Il grande idolo del nostro tempo è lo Stato. Lo Stato è un'istituzione sociale necessaria, ma non dovrebbe essere divinizzata. Non è un dio; è uno strumento di uomini mortali. Se lo rendiamo un idolo, dovremo sacrificargli il fiore della nostra gioventù nelle guerre che verranno.

Ciò che è necessario per realizzare una pace duratura è molto di più di nuovi uffici e di una nuova corte per la Lega delle Nazioni a Ginevra, o persino di una nuova forza di polizia internazionale. Ciò che è necessario è un cambiamento nelle ideologie politiche e il ritorno ad un sano sistema economico di mercato libero.
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Prima parte.
Seconda parte.

Link all'articolo originale.

Wednesday, May 28, 2008

Le cause economiche della guerra #2

Di Ludwig von Mises


Il caso della Germania


Voglio spiegare queste conseguenze facendo riferimento, prima di tutto, alla situazione in Germania.

Come tutte le altre nazioni europee, la Germania è povera di risorse naturali. Non può nutrire né coprire la sua popolazione con le proprie risorse nazionali disponibili. I tedeschi devono importare enormi quantità di materie prime e di derrate alimentari e devono pagare queste importazioni di cui hanno un gran bisogno esportando prodotti finiti, la maggior parte dei quali realizzati con le materie prime importate. Sotto la libera impresa, la Germania si è adeguata brillantemente a questa circostanza. Sessanta o settant'anni fa, nei 1870 e nei 1880, la Germania era una delle nazioni più prospere. I suoi imprenditori sono riusciti estremamente bene nella costruzione di fabbriche molto efficienti. L'industria della Germania era la prima nel continente europeo. I suoi prodotti solcavano trionfalmente il mercato mondiale. I tedeschi – tutte le classi della popolazione tedesca – diventavano più prosperi di anno in anno. Non c'era motivo di alterare la struttura del commercio tedesco.

Ma alla maggior parte degli ideologhi tedeschi e degli autori politici, dei professori nominati dal governo e dei capi del Partito Socialista, come pure dei burocrati governativi, il sistema del libero mercato non piaceva affatto. Lo denigravano come capitalista, plutocratico, borghese e come occidentale ed ebreo. Deploravano il fatto che il sistema della libera impresa aveva incorporato la Germania nella divisione del lavoro internazionale.

Tutti questi gruppi e partiti politici volevano sostituire la libera impresa con l'amministrazione di governo del commercio. Volevano eliminare l'incentivo del profitto. Volevano nazionalizzare il commercio e sottometterlo agli ordini del governo. Questa è una cosa comparativamente facile in un paese che in genere può vivere nell'autosufficienza economica. La Russia, occupando la sesta parte delle terre emerse, può fare a meno di quasi tutte le importazioni dall'estero. Ma è diverso per la Germania. La Germania non può evitare le importazioni e conseguentemente deve esportare prodotti finiti. Questo è precisamente ciò che una burocrazia di governo non potrà mai realizzare. I burocrati possono fiorire soltanto in mercati interni protetti. Non sono fatti per competere sui mercati esteri.

Oggi, nella Germania nazista, la maggior parte della gente vuole che il governo controlli il commercio. Ma il fatto è che controllo statale del commercio e commercio estero sono incompatibili. Un commonwealth socialista deve puntare sull'autarchia. È qui che il nazionalismo aggressivo – chiamato un tempo pan-germanesimo, e oggi nazional-socialismo – fa la sua comparsa. Siamo una nazione potente, dicono i nazional-socialisti; siamo abbastanza forti per schiacciare tutte le altre nazioni. Dobbiamo conquistare tutti quei paesi le cui risorse sono essenziali per il nostro benessere economico. Abbiamo bisogno dell'autarchia e quindi dobbiamo combattere. Abbiamo bisogno di Lebensraum (spazio vitale) e di Nahrungs freiheit (libertà dalla scarsità di cibo).

Entrambi i termini significano la stessa cosa, la conquista di un territorio così grande e ricco di risorse naturali che i tedeschi potrebbero vivere senza alcun commercio estero ad un tenore di vita non più basso di quello di qualunque altra nazione. Il termine Lebensraum è abbastanza conosciuto all'estero. Ma il termine Nahrungs freiheit non lo è. Freiheit significa libertà; Nahrungs freiheit significa libertà da una situazione in cui la Germania è costretta ad importare derrate alimentari. È l'unica “libertà” che conta secondo i nazisti.

Sia i comunisti che i nazisti credono che l'essenza di ciò che essi intendono per democrazia, libertà e governo popolare si trova nell'instaurazione di un totale controllo di stato del commercio. Che si chiami questo sistema socialismo o comunismo o pianificazione è irrilevante. A prescindere da come lo si chiama, questo sistema richiede autosufficienza economica. Ma mentre la Russia può, generalmente, vivere nell'autosufficienza economica, la Germania non lo può fare. Di conseguenza una Germania socialista s'impegnerà in una politica di Lebensraum o di Nahrungs freiheit , in altre parole, una politica di aggressione.

Il perseguimento di un programma di controllo statale del commercio finirà per provocare un rifiuto della divisione del lavoro internazionale. Dal punto di vista della filosofia nazista, l'unico modo adeguato di condurre i rapporti internazionali è la guerra. I loro uomini più eminenti si inorgogliscono riportando una citazione di Tacito. Questo storico romano, quasi duemila anni fa, disse che i tedeschi consideravano una vergogna l'acquistare per mezzo del duro lavoro ciò che si potrebbe acquistare con un massacro. Non fu per caso se il kaiser Guglielmo II, nel 1900, elevò gli unni a modello per i suoi soldati. Era il rivestimento di una politica cosciente.


Dipendere dalle importazioni

La Germania non è l'unico paese europeo che dipende dalle importazioni straniere. L'Europa – a parte la Russia – ha una popolazione di circa 400 milioni di persone, più di tre volte la popolazione degli Stati Uniti continentali. Ma l'Europa non produce cotone, gomma, copra, caffè, tè, iuta e molti metalli essenziali. Ed ha una produzione sostanzialmente insufficiente di lana, foraggio, bestiame, carne, pellami e di molti cereali.

Nel 1937, l'Europa ha prodotto soltanto cinquantasei milioni di barili di petrolio, rispetto alla produzione degli Stati Uniti di 1.279 milioni di barili. Inoltre, quasi tutta la produzione europea di petrolio è situata in Romania ed in Polonia orientale. Ma come conseguenza della presente guerra, queste zone rientreranno sotto il controllo della Russia. La fabbricazione e l'esportazione di prodotti finiti sono gli elementi essenziali della vita economica europea. Tuttavia, esportare prodotti finiti è quasi impossibile sotto il controllo statale del commercio.

Tale è la dura realtà che nessuna retorica socialista può scongiurarla. Se gli europei vogliono vivere devono aderire agli sperimentati metodi della libera impresa. L'alternativa è guerra e conquista. I tedeschi l'hanno provata due volte ed hanno fallito in entrambi i casi.

Tuttavia, i gruppi politicamente più influenti in Europa sono lontano dal comprendere l'indispensabilità della libertà economica. In Gran Bretagna ed in Francia, in Italia ed in alcuni paesi più piccoli c'è un potente movimento per il completo controllo statale del commercio. L'argomento per la libertà economica è quasi una causa disperata con i governi di questi paesi. Il Partito Laburista Britannico e quei politici britannici che scorrettamente ancora lo chiamano Partito Liberale, vedono questa guerra non solo come lotta per l'indipendenza della loro nazione, ma anche come niente di meno che una rivoluzione per l'instaurazione del controllo statale del commercio. Il terzo partito britannico, il Partito Conservatore, generalmente simpatizza per questi tentativi. I britannici vogliono sconfiggere Hitler, ma vogliono adottare i suoi metodi economici nel loro paese. Non sospettano che il socialismo di stato in Gran Bretagna vuol dire rovina delle masse britanniche. La Gran Bretagna deve esportare prodotti finiti per comprare materie prime e derrate alimentari dall'estero. Ogni calo nelle esportazioni britanniche abbassa il tenore di vita delle masse britanniche.

Le condizioni in Francia e Italia e nella maggior parte degli altri paesi europei sono simili a quelle in Gran Bretagna.

Nel fornire al consumatore domestico vari beni necessari un governo socialista è sovrano. Il cittadino deve prendere quello che il governo gli dà. Ma la cosa è diversa con una qualsiasi esportazione. I consumatori stranieri comprano solo se sia la qualità che il prezzo del prodotto offerto sono interessanti per lui. In questa arena internazionale dei servizi per i consumatori stranieri, il capitalismo ha mostrato la sua superiore efficienza ed adattabilità. L'alto livello del benessere economico e civilizzazione nell'Europa prebellica non era il risultato delle attività degli uffici e delle agenzie di governo. Era il successo della libera impresa. Quelle macchine fotografiche e quei prodotti chimici tedeschi, quei tessuti britannici, quei vestiti, i cappelli e i profumi di Parigi, quegli orologi svizzeri, e quei lussuosi prodotti in pelle di Vienna non erano il prodotto di fabbriche controllate dal governo. Erano il prodotto dell'infaticabile impegno degli imprenditori per il miglioramento della qualità e l'abbassamento dei prezzi delle loro mercanzie. Nessuno è così spavaldo da supporre che un ente governativo potrebbe sostituire con successo gli imprenditori privati in questa funzione.

Il commercio estero privatamente condotto è un affare privato fra aziende private di diversi paesi. Se ne risulta qualche disaccordo, è un conflitto fra aziende private. Non provocano conflitti nei rapporti politici fra le nazioni. Interessano un sig. Meier e un sig. Smith. Ma se il commercio estero è una questione governativa, tali conflitti si trasformano in problemi politici.

Supponete che il governo olandese preferisca comprare il carbone dalla Gran Bretagna piuttosto che dalla Ruhr tedesca. Allora i nazionalisti tedeschi potrebbero pensare, perché tollerare un simile comportamento da parte di una piccola nazione? Al Terzo Reich sono bastati precisamente quattro giorni per frantumare le forze armate dei Paesi Bassi nel 1940. Riproviamoci! Dopo godremo di tutti i prodotti dei Paesi Bassi, ma senza doverglieli pagare.
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Prima parte.
Terza parte.

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Tuesday, May 27, 2008

Le cause economiche della guerra #1

Questa è la maggior parte di una lezione tenuta da Ludwig von Mises nella Contea di Orange, in California, nell'ottobre 1944, e pubblicata dalla Fondazione per l'Educazione Economica nel 2004.

La capacità di analisi di Mises applicata ad un argomento sempre attualissimo: la guerra.

L'ho divisa in tre parti, questa è la prima.
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Di Ludwig von Mises


La guerra è un'istituzione umana primitiva. Da tempo immemorabile, gli uomini desiderano combattersi, uccidersi e derubarsi l'un l'altro. Tuttavia, il riconoscimento di questo fatto non porta alla conclusione che la guerra sia una forma indispensabile di rapporti interpersonali e che gli sforzi per abolirla siano contro natura e quindi condannati al fallimento.

Possiamo, a vantaggio della discussione, accettare la tesi militarista per cui l'uomo è dotato di un innato istinto per combattere e distruggere. Tuttavia, non sono questi istinti e impulsi primitivi a costituire le caratteristiche dell'uomo. L'eminenza dell'uomo si trova nella sua ragione e nel potere di pensare, che lo distingue da tutte le altre creature viventi. E la ragione dell'uomo gli insegna che la cooperazione e la collaborazione pacifiche nell'ambito della divisione del lavoro è un modo più vantaggioso per vivere del conflitto violento.

Non voglio indugiare sulla storia della guerra. È sufficiente accennare che nel XVIII secolo,alla vigilia del capitalismo moderno, la natura della guerra era molto diversa da com'era stata nell'era della barbarie. I popoli non si combattevano più allo scopo di sterminare o di asservire gli sconfitti. Le guerre erano uno strumento dei capi politici e venivano combattute con eserciti comparativamente piccoli di militari di carriera, in gran parte composti da mercenari. L'obiettivo della guerra era determinare quale dinastia avrebbe governato un paese o una provincia. Le maggiori guerre europee del XVIII secolo furono guerre di successione reale, per esempio le guerre degli spagnoli, dei polacchi, degli austriaci ed infine per le successioni bavaresi. La gente ordinaria era più o meno indifferente ai risultati di questi conflitti. Non era granché interessata alla questione se il loro principe reggente fosse un Asburgo o un Borbone.

Nondimeno, queste continue lotte caricarono una pesante zavorra sull'umanità. Furono un serio ostacolo ai tentativi di raggiungere una maggiore prosperità. Di conseguenza, i filosofi e gli economisti del tempo rivolsero la loro attenzione allo studio delle cause della guerra. Il risultato della loro ricerca era il seguente:

in un sistema di proprietà privata dei mezzi di produzione e di libera impresa, con l'unica funzione del governo di proteggere gli individui dagli attacchi violenti o fraudolenti alla loro vita, salute, o proprietà, dove siano tracciate le frontiere di una qualsiasi nazione è irrilevante per i suoi cittadini. È di nessuna preoccupazione per chiunque se il suo paese è grande o piccolo e se conquista una provincia oppure no. I singoli cittadini non ottengono alcun profitto dalla conquista di un territorio.

È diverso per i principi o le aristocrazie di governo. Essi possono aumentare il loro potere ed i loro redditi di imposta ampliando le dimensioni dei loro regni. Possono trarre profitto dalla conquista. Sono bellicosi, mentre la cittadinanza è pacifica.

Quindi, concludevano i vecchi liberali, con un sistema di laissez-faire economico e di governo popolare non ci sarebbero più guerre. Le guerre diventerebbero obsolete perché le cause della guerra scomparirebbero. Fin dai secoli diciottesimo e diciannovesimo i liberali classici sono stati del tutto convinti che niente avrebbe potuto arrestare il movimento verso la libertà economica e la democrazia politica, erano certi che l'umanità si trovasse alla vigilia di un'epoca di pace imperturbata.

Ciò di cui c'era necessità per rendere il mondo sicuro per la pace, dicevano, era di implementare la libertà economica, il libero scambio e la benevolenza fra le nazioni, e un governo popolare. Voglio sottolineare l'importanza di entrambi questi requisiti: libero scambio nel paese e nei rapporti internazionali, e democrazia. L'errore fatidico della nostra epoca è consistito nel fatto che ha abbandonato il primo di questi requisiti, vale a dire il libero scambio, ed ha enfatizzato solo il secondo, la democrazia politica. In tal modo, la gente ha ignorato il fatto che la democrazia non può essere mantenuta permanentemente quando la libera impresa, il libero scambio e la libertà economica non esistono.

Il presidente Woodrow Wilson era assolutamente convinto che per rendere sicuro il mondo per la pace fosse necessario renderlo sicuro per la democrazia. Durante la prima guerra mondiale si credeva che, se soltanto si fosse potuto rimuovere dal potere la casa reale tedesca degli Hohenzollern e la privilegiata aristocrazia terriera tedesca, i Junkers, sarebbe stato possibile realizzare una pace duratura. Ciò che il presidente Wilson non vide era che all'interno di un mondo in cui l'onnipotenza del governo era in aumento questo non sarebbe stato sufficiente. In un tal mondo di crescente potere di governo, esistono delle cause economiche per la guerra.


Il cittadino trae profitto dalla conquista?


L'eminente pacifista britannico, sir Norman Angell, ripete di continuo che il singolo cittadino non può trarre alcun profitto dalla conquista di una provincia da parte della propria nazione. Nessun cittadino tedesco, dice sir Norman, ha ottenuto profitto dall'annessione dell'Alsazia-Lorena ad opera della sua nazione come conseguenza della guerra Franco-Prussiana del 1870-1871. Questo è abbastanza corretto. Ma questo aveva luogo nei giorni del liberalismo classico e della libera impresa. È un'altra cosa in questi tempi di interferenza del governo nel commercio.

Facciamo un esempio. I governi dei paesi produttori di gomma hanno formato un cartello per monopolizzare il mercato della gomma naturale. Hanno obbligato i piantatori a limitare la produzione per aumentare il prezzo della gomma molto oltre il livello che avrebbe raggiunto in un mercato libero. Questo non è un caso eccezionale. Molte derrate alimentari vitali ed essenziali e materie prime sono state soggette a simili politiche implementate dai governi in tutto il mondo. Hanno imposto la cartellizzazione obbligatoria a numerose industrie, come conseguenza di cui il loro controllo è stato spostato dalle mani degli imprenditori privati a quelle del governo. Alcuni di questi piani, è vero, sono falliti. Ma i governi coinvolti non hanno abbandonato i loro programmi. Bramano di migliorare i metodi applicati e sono sicuri che avranno più successo dopo l'attuale Seconda Guerra Mondiale.

Si fa un gran parlare al giorno d'oggi sulla necessità della pianificazione internazionale. Tuttavia, nessuna pianificazione, che sia nazionale o internazionale, è richiesta per far sì che i piantatori coltivino la gomma, il caffè e qualunque altro prodotto. Intraprendono la produzione di questi prodotti perché è il modo più conveniente per guadagnarsi la vita. La pianificazione a questo proposito si traduce sempre in azioni governative per la limitazione della produzione e l'istituzione di prezzi di monopolio.

In tali circostanze non è più vero che una nazione possa apparire non ottenere tangibile profitto da una guerra vittoriosa. Se le nazioni dipendenti dall'importazione di gomma, caffè, latta, cacao e di altri prodotti potessero obbligare i governi dei paesi produttori ad abbandonare le loro pratiche monopolistiche, migliorerebbero il benessere economico dei loro cittadini.

Menzionare questa situazione non implica una giustificazione per l'aggressione e la conquista. Dimostra soltanto quanto assolutamente in errore siano i pacifisti come sir Norman Angell, che basano i loro argomenti per la pace sul presupposto non specificato che tutte le nazioni ancora si ispirino ai principi della libera impresa.

Sir Norman Angell è un membro del Partito Laburista Britannico. Questo partito sostiene la socializzazione senza riserve del commercio. Ma i membri del partito laburista sono troppo ottusi per realizzare quali sarebbero le conseguenze economiche e politiche della socializzazione del commercio.
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Seconda parte.
Terza parte.

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Monday, May 26, 2008

Riso alla giapponese

Un recente articolo di Business Week racconta di come il Giappone abbia aiutato ad ammorbidire la crisi globale del riso: è una lettura oltremodo interessante ed educativa, perfetta per illustrare quella cattiva allocazione di beni e risorse tipica dei mercati regolamentati da stati e organismi internazionali che è un punto centrale della critica austriaca all'intervento statale in economia.

La semplice realtà descritta in questo articolo dimostra una volta di più come i tentativi di “governare l'economia globale” non facciano altro che provocare un grave spreco di risorse nel tentativo di raggiungere i suoi obiettivi.

Dopo aver subito il solito coro da tragedia greca su “fine delle risorse” e fallimento dei mercati, possiamo tranquillizzarci: il riso c'è ancora, a tonnellate.
Solo, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Con i prezzi che ora scendono, la crisi globale del riso sembra alleviarsi. Questo in parte grazie ad un annuncio politico di un burocrate giapponese. Il 19 maggio, il ministro delegato all'agricoltura del Giappone, Toshiro Shirasu, ha detto che Tokyo consegnerà parte della sua voluminosa riserva di riso alle Filippine, vendendo “il prima possibile” 50.000 tonnellate e consegnandone altre 200.000 come aiuti alimentari. La prima spedizione potrebbe raggiungere le Filippine entro la fine dell'estate. Shirasu inoltre ha lasciato aperta la possibilità di usare ancora le sue riserve per aiutare altri paesi nel bisogno.

Per capire il ruolo del Giappone nella deflazione del mercato del riso, aiuta visitare i magazzini che circondano la baia di Tokyo. È qui, in costruzioni a temperatura controllata, che il Giappone conserva milioni di sacchi in vinile da 30 chilogrammi di riso che importa ogni anno. Tokyo non ha bisogno del riso dal mondo esterno: i molto sovvenzionati coltivatori del paese producono più che a sufficienza per alimentare i 127 milioni di abitanti del paese. Tuttavia ogni anno dal 1995, Tokyo ha comprato centinaia di migliaia di tonnellate metriche di riso dagli Stati Uniti, dalla Tailandia, dal Vietnam, dalla Cina e dall'Australia.

Uno squilibrio nel riso

Perché il Giappone compra riso di cui non ha bisogno o che non desidera? Per per seguire le regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, che risalgono al 1995 e sono mirate ad aprire il mercato nazionale del riso. Gli Stati Uniti hanno combattuto per anni per debellare il protezionismo giapponese sul riso e convincere Tokyo ad acconsentire ad importarlo dagli Stati Uniti e da altrove è stato per lungo tempo un obiettivo della politica commerciale americana. Ma mentre i giapponesi stanno comprando riso da aziende agricole in Cina e California da più di un decennio, quasi nessuna importazione finisce mai sulle tavole giapponesi. Al contrario il riso importato è spedito come aiuto alimentare nella Corea del Nord, aggiunto alla birra e ai dolci di riso, o mischiato con altri cereali per nutrire maiali e polli. O semplicemente rimane in magazzino per anni. Fino all'ottobre scorso, i magazzini del Giappone contenevano 2,6 milioni di tonnellate di riso eccedente, comprese 1,5 milioni di tonnellate di riso importato, di cui 900.000 tonnellate di riso americano a grana media.

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Per sfruttare le sue riserve di importazione, Tokyo ha dovuto ottenere l'imprimatur di Washington. Non ci sarebbe riuscito se non per Tom Slayton, un ex funzionario dell'agricoltura degli Stati Uniti e Peter Timmer, un professore aggiunto dell'Università di Stanford, che hanno attirato l'attenzione sulle riserve del Giappone in un rapporto sul sito del Centro per lo Sviluppo Globale (CGD) all'inizio di maggio. Liberando il riso, hanno scritto, “porterebbe i prezzi a scendere immediatamente, evitando la fame, la malnutrizione e l'aumento della mortalità fra la gente povera in Asia.”

Nondimeno, dare al Giappone il benestare non era una decisione facile per Washington. Gli alti prezzi del riso avevano procurato ai coltivatori americani un guadagno inatteso. Soprattutto, gli Stati Uniti avevano una questione più urgente a cui dedicarsi, il preventivo per l'agricoltura da 300 miliardi di dollari che sta facendo il suo percorso attraverso il Congresso. Ma il documento del CGD è circolato a Washington. Due comitati congressuali e un editoriale del Washington Post hanno fatto riferimento al documento ed i funzionari commerciali degli Stati Uniti hanno presto contattato i giapponesi.

Irreality tv

Spin è un documentario del 1995 dell'artista Brian Springer, che rivela, in un'ora circa di footage sulla campagna presidenziale del '92 non spurgato dai network satellitari, come i canali televisivi costruiscano la realtà a cui i telespettatori dovranno credere. Consiglio la visione a chi non lo conoscesse, è un ottimo sistema per smettere definitivamente di pensare che dagli schermi televisivi possa venire un qualche barlume di verità.

Sunday, May 25, 2008

Premio Caligola - Maggio '08

Due candidati dagli USA e uno dall'Inghilterra per il Premio Caligola - Il potere gli ha dato alla testa di maggio: gli anglosassoni la fanno da padroni, con un trittico di notizie che rendono bene l'idea di come lo stato si ponga di fronte al cittadino.

Nella prima delle tre, scopriamo intanto che le cure per cui i sudditi hanno pagato non sono affatto garantite nei casi in cui più probabilmente ne avrebbero bisogno: ce lo rivela un inquietante rapporto “sul razionamento della sanità” redatto da una task force composta da medici e da membri dell'esercito e delle agenzie governative USA. A loro spetta il compito di decidere chi può sopravvivere e chi può morire in caso di disastro sanitario. I contributi versati per anni? Serviranno alla sopravvivenza dei più adatti, fatevene una ragione.

Sempre dagli USA ancora una notizia che riguarda lo strano concetto di comunicazione verso il cittadino che hanno i burocrati di stato. “Ho deciso che sei una minaccia,” scrive in una lettera un funzionario dell'amministrazione della sicurezza del governo USA in risposta a degli studenti. Delirio d'onnipotenza o scarsa dimestichezza con il linguaggio? Chissà, quel ch'è certo è l'effetto piuttosto “sovietico” della lettera in questione.

Infine, il candidato della Perfida Albione, con una notizia che arriva da Nottingham degna del suo famoso Sceriffo, anch'essa relativa all'inesauribile filone del terrorismo e non priva di una certa ironia perversa. Sì, perché pare che in Inghilterra scaricare materiale pubblicato da un sito del governo americano può costare una settimana in guardina, come è successo ad uno studente ventiduenne che faceva ricerche su Al-Qaeda. Del resto ormai s'è capito, di questo argomento meno se ne sa più tranquilli si vive: perché andare in cerca di problemi?

A voi la scelta, quindi, per questa edizione di una primavera da passare gioiosi e spensierati: non c'è nulla di cui preoccuparsi, c'è chi si occupa di noi. Non vi resta che votare.

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Chi dovrebbe esser lasciato morire in una pandemia?

Chi dovrebbero lasciar morire i medici in una pandemia di aviaria? Forse la nonna, suggerisce un rapporto sul razionamento della sanità

I medici sanno che alcuni pazienti necessitanti cure salvavita non le otterranno in una pandemia di influenza o altro disastro. Lo straziante dilemma sarà decidere chi va lasciato morire.

Ora un gruppo influente di medici ha preparato una lista trucemente specifica delle raccomandazioni per le quali i pazienti non sarebbero curati. Includono i molto anziani, i gravemente feriti, i pazienti severamente ustionati e quelli con grave demenza.

La lista suggerita è stata compilata da un gruppo di esperti di cui i membri vengono da università prestigiose, da gruppi medici, dall'esercito ed agenzie governative. Includono il dipartimento di Homeland Security, i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie ed il dipartimento della Salute e dei Servizi Umani.

La guida di riferimento proposta è destinata ad essere un modello per gli ospedali “in modo che ciascuno pensi nella stessa maniera” quando la pandemia di influenza o un altro disastro sanitario diffuso colpiranno, ha detto il dott. Asha Devereaux. È una importante specialista della sanità a San Diego e principale autrice del rapporto del gruppo di esperti.

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L'esperto di leggi di sanità pubblica Lawrence Gostin dell'università di Georgetown ha definito il rapporto un'iniziativa importante ma anche “un campo minato politico e legale.”

Le raccomandazioni probabilmente violerebbero le leggi federali contro la distinzione di età e di inabilità, ha detto Gostin, che non era nel gruppo di esperti.

Se seguite in modo ferreo, tali regole potrebbero escludere la cura per i più poveri, la maggior parte dei cittadini svantaggiati che soffrono sproporzionatamente dalla malattia e dall'inabilità croniche, lui hanno detto. Anche se il razionamento della sanità sarà necessario in un disastro totale, “ci sono alcune preoccupazioni etiche reali.”
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Lettere del governo USA definiscono gli studenti minacce alla sicurezza


Un dottorando tedesco in oceanografia al M.I.T. si è rivolto all'amministrazione della Sicurezza nei Trasporti per una nuova carta di identità che gli permettesse di lavorare vicino alle navi e alle banchine.

Ciò che lo studente, Wilken-Jon von Appen, ha ricevuto in risposta, è stata una lettera che non solo gliela negava, ma che aggiungeva anche un avvertimento minaccioso di John M. Busch, un funzionario dell'amministrazione della sicurezza: “Ho determinato che costituite una minaccia alla sicurezza.”

Lettere simili sono andate a 5.000 candidati in tutto il paese a cui almeno inizialmente sono state negate le credenziali di lavoratore dei trasporti, una carta di identificazione destinata alla difesa dalle azioni terroristiche, hanno detto lunedì i funzionari dell'agenzia.

I funzionari hanno inoltre detto di essere spiacenti per il linguaggio, che potrà cambiare in futuro, ma di non avere intenzione di ritirare le lettere già spedite.

“È una sfortunata scelta delle parole in una lettera burocratica,” ha detto Ellen Howe, un portavoce dell'agenzia di sicurezza.

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Studente incarcerato per sei giorni per ricerca sulle tattiche di Al-Qaeda


Uno studente universitario che faceva ricerca sulle tattiche terroristiche per un master ed è stato arrestato e trattenuto per sei giorni dopo che la polizia era stata informata dall'università di materiale relativo ad Al-Qaeda da lui scaricato ha parlato della “tortura psicologica” che ha dovuto sopportare in custodia.

Malgrado i soprintendenti della sua università di Nottingham abbiano confermato che i materiali erano direttamente relativi alla sua ricerca, Rizwaan Sabir, 22 anni, è stato tenuto in custodia per quasi una settimana come permesso dal Terrorism Act, accusato di scaricare il materiale per uso illegale. Lo studente aveva ottenuto una copia del manuale d'addestramento di Al-Qaeda da un sito del governo degli Stati Uniti per la sua ricerca sulle tattiche terroristiche.

Il caso evidenzia quello che i professori sostengono essere un assalto diretto alla libertà di insegnamento guidato dal governo che, nel suo tentativo di stabilire “un'agenda di prevenzione” contro le attività terroristiche, fa pressione sui accademici perché diventino informatori della polizia.

Sabir è stato arrestato il 14 maggio dopo che il documento è stato trovato da un membro del personale dell'università sul computer di un amministratore. All'amministratore, Hisham Yezza, un conoscente di Sabir, era stato chiesto dallo studente di stampare il documento di 1.500 pagine perché Sabir non poteva permettersi il costo della stampa. I due sono stati arrestati sotto il Terrorism Act, il domicilio privato di Sabir è stato perquisito ed i loro computer e telefoni mobili sequestrati. Sono stati liberati sei giorni dopo senza accuse ma Yezza, che è algerino, è stato immediatamente riarrestato per accuse non relative al fatto riguardanti l'immigrazione ed ora rischia la deportazione.


Un nuovo clima

Grande spazio nei telegiornali dedicato alla finale di Coppa Italia ed ai commenti positivi del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – ripetuti e amplificati dai cronisti – a sottolineare il bel “clima” che avrebbe caratterizzato l'evento:
Il presidente ha mostrato di essere favorevolmente impressionato dal clima dello stadio. “E' un bel segnale per tutto il calcio italiano”. ...

Intorno allo stadio è stato predisposto un ingente schieramento di forze dell'ordine: "Si usano queste definizioni, si parla di città blindata... - ha detto Napolitano - la polizia prende le misure che ritiene necessarie per garantire i cittadini, anche quelli che vengono allo stadio. L'importante è il comportamento del pubblico, che questa sera è molto composto.”
Notare come per Napolitano una città presidiata dalle forze dell'ordine sia sinonimo di “bel clima” e da interpretare come un bel segnale: del resto per lui, si sa, “i carri armati sovietici portavano la pace” in Ungheria. Ma il bello arriva con una notizia ANSA, a testimonianza del “bel clima” e della “compostezza” che si respirava a Roma:
E' di due accoltellati lievi il bilancio del dopo partita Roma-Inter che si e' disputata ieri sera nella capitale. E' accaduto attorno a mezzanotte e mezza alla stazione della metro di Lepanto, in zona Prati. Prima dell'incontro, all'esterno dello stadio Olimpico, c'era stata un'aggressione da parte di un gruppo di tifosi giallorossi ai danni di interisti, subito interrotta dalla polizia. Sei i fermati. Tre i contusi lievi, un tifoso e 2 uomini delle forze dell'ordine.
Proprio un bel clima si respira a Roma, un'arietta fresca niente male...

I Dieci Comandamenti

Arriva questa settimana il dispaccio telepatico dall'isola volante, dedicato per una volta ad un argomento prettamente religioso, adeguato per la lettura domenicale. Molto curiose le dicerie, riportate dal nostro affezionato inviato, che circolano in quel di Laputa a proposito delle antiche regole che Dio avrebbe dettato a Mosè.

Da parte mia posso soltanto notare che se nemmeno su dieci leggi l'umanità è riuscita a mettersi d'accordo, la prossima volta sarà meglio limitarsi all'essenziale.


Per accompagnare la lettura consiglio, ovviamente, un bicchierino di vinsanto, da assaporare lentamente e con gratitudine. Una buona – e santa – domenica a tutti.
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Di Giovanni Pesce


Non avrei mai pensato che anche sui Dieci Comandamenti fosse stata organizzata dal grande mainstream un’opera di disinformazione e di adattamento alle contingenze.

La gran parte della popolazione mondiale pensa che i Dieci Comandamenti siano stati scritti da Cecil B. DeMille direttamente ad Hollywood, mentre i ricercatori “standard” delle verità nascoste hanno individuato nei libri sacri la fonte di tali “suggerimenti”.

Ormai sappiamo che alcuni tra i più noti ricercatori si sono fermati alle prime osterie contentandosi delle spiegazioni del catechismo; altri invece hanno persino letto i testamenti, l’Antico ed il Nuovo con risultati sconvolgenti.
All’apice dei ricercatori troviamo alcuni studiosi che hanno cercato la verità sui Comandamenti su Wikipedia, un antico testo in uso nei paesi che ancora usano Internet per comunicare.

Ebbene all’ultimo congresso di Decalogia Applicata si è discusso animatamente sul “taroccamento” storico del Decalogo.

Infatti, già nell’Antico Testamento, ne esistono più versioni e quella che viene fatta imparare ai bimbi è solo una versione alterata delle versioni precedenti.
Il punto che genera i maggiori sospetti è il divieto di adorare immagini presente nelle versioni antiche, divieto che,con il passar del tempo, “misteriosamente” scompare nelle versioni moderne che hanno fatto dell’arte sacra un punto di forza del loro credo religioso.

Da il libro dell’Esodo 20.
1. Io sono il Signore, tuo Dio,

2. Non avrai altri dio all'infuori di me.

3. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra.

4. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano,

5. ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

6. Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano.

7. Ricordati del giorno di sabato per santificarlo:

8. sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro;

9. ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te.

10. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.

11. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio.

12. Non uccidere.

13. Non commettere adulterio.

14. Non rubare.

15. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.

16. Non desiderare la casa del tuo prossimo.

17. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo
Qui a Laputa si propende per la classica versione “NO Commandaments” che propone una serie di semplici regole di vita condensate nella frase” Pregate, il Padreterno o Laputiani, affinché il vostro governatore non sia troppo dipendente anche dalle banche d’affari, per il resto fate quello che vi pare senza troppo casino”.

Il problema potrebbe sorgere nel caso in cui il governatore venga scelto dal NWO tra i dipendenti di certi istituti bancari internazionali; in una tale contingenza le teorie economiche verranno riscritte dai nuovi padroni con buona pace di tutti.

E che Dio ve la mandi buona.

Thursday, May 22, 2008

Intervallo

Gli impegni di lavoro mi impediscono di bloggare con continuità. Posto allora questa bellissima animazione di Blu per chi si trovasse a passare di qua. A presto.


MUTO a wall-painted animation by BLU from blu on Vimeo.

Monday, May 19, 2008

Più secondini per tutti!

Non ho purtroppo molto tempo libero in questi giorni, l'inviato da Laputa, a quanto pare, dev'essere ancora alle prese con il suo trasmettitore telepatico che fa le bizze, ma per fortuna di persone che scrivono cose interessanti ce n'è sempre qualcuna. Approfitto quindi per segnalare questo articolo – di cui pubblico un breve stralcio – di Giorgio Mattiuzzo sul vero ruolo della polizia nei nostri stati “moderni:” sarebbe davvero l'ora di cominciare a guardare in faccia la realtà, e dire le cose come stanno, e chiamare le cose col loro nome. Anche se è difficile farlo, anche se è doloroso farlo, anche se è senza speranza.

Non siamo liberi, non lo siamo mai stati.

Con ogni probabilità non lo saremo mai.
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Di Giorgio Mattiuzzo


Anni e anni di educazione civica e televisione hanno istruito il cittadino a negare qualsiasi dato sperimentale che non si adatti alla teoria della “guardia che insegue il ladro”. E' questo un concetto talmente radicato nella mente del cittadino che nessuna realtà lo scuote.


E' inutile tacciare di xenofobia chi, invece, è semplicemente vittima del processo di rimozione inculcato dall'educazione. Perché quando il “razzista” si incazza e grida perché la polizia se la prende con i cittadini onesti e lascia stare i delinquenti, ha ragione. Solo che il “razzista” non ne trae la conclusione che volontariamente la polizia, cioè lo Stato, persegue gli onesti e lascia in pace i delinquenti, ma – forzato da anni di educazione a carico dello Stato – chiede che ci sia più polizia, cioè più Stato. Bisogna invece prendere atto, tutti quanti, che le guardie non inseguono i ladri. Le guardie se ne fottono dei ladri. Le guardie sono lì per controllare noi, non i ladri.

Bisogna ritornare ai tempi in cui i cittadini erano contadini ignoranti e analfabeti, e sapevano che la guardia era lì per loro.

Dobbiamo re-imparare da principio la funzione della polizia. La polizia è il monopolio della violenza esercitato dallo Stato per perpetuare sé stesso. La polizia serve a reprimere ogni moto e tendenza che possa incrinare il potere. La criminalità non mette in discussione lo Stato ed il potere. Sono i cittadini a farlo. Sono i cittadini che, smettendo di offrire un consenso non informato al loro stesso sfruttamento, possono mettere in discussione lo Stato. Sono i lavoratori, gli operai, le cassiere, gli artigiani, gli imprenditori (quelli veri, non quelli che campano di sussidi statali) a poter mettere in discussione lo Stato. E sono loro a dover essere controllati attraverso la polizia, che svolge questo ruolo coerentemente. Lo Stato non perseguiterà mai il criminale, perché esso è troppo utile allo Stato stesso: grazie al criminale il cittadino invoca più polizia e più Stato, chiede di mettere le telecamere in città, chiede arresti facili, chiede poteri di polizia anche per i netturbini. Grazie al criminale, il cittadino scava da solo la fossa della propria libertà.

Saturday, May 17, 2008

«They're bombing my city!»

La tragedia balcanica trasformata in mito allegorico, attraverso la poetica surreale di Emir Kusturica che racconta la discesa all'inferno della Yugoslavia – dall'invasione tedesca alla guerra civile passando per gli anni di Tito e del comunismo – come un orgia inconsapevole di passioni, tradimenti, di fuoco e di sangue. Tratto da un soggetto di Dusan Kovacevic, importante autore serbo, Underground ('95) è un film contro la guerra e contro la propaganda politica, ma prima di questo è un inno all'umanità, e alla sua lotta perenne contro il suo lato oscuro.

Il pozzo senza fondo



D
al Telegraph (segnalato da Cryptogon):
Il prezzo del petrolio ha raggiunto un nuovo record, toccando quota 127 dollari al barile, mentre il presidente George W. Bush visita l'Arabia Saudita per la seconda volta in quattro mesi per supplicare il regno ricco di oro nero di aumentare la produzione.

Il presidente Bush, che sta incontrando il re Abdullah dell'Arabia Saudita in una veloce visita di un giorno, vuole che i sauditi aumentino la produzione petrolifera per aiutare la sofferente economia degli Stati Uniti, dove i consumatori e le aziende sono danneggiati in egual misura dal rincaro del greggio.
In altre parole, gli ha chiesto di mantenere il ritmo delle magiche stampanti, questo il piano Bush per alleviare le sofferenze dell'economia americana. Ovviamente i sauditi hanno risposto picche.
Un vero peccato che il greggio necessiti di trivellazione ed estrazione. Infatti
... il ministro saudita del petrolio Ali ai-Naimi ha detto più tardi che il 10 maggio il regno ha già aumentato di 300.000 barili la sua produzione di petrolio su richiesta “di circa 50 clienti nel mondo.”

L'aumento porterà la produzione saudita in giugno a 9,45 milioni di barili al giorno e non sembra essere arrivato in risposta diretta alla richiesta del presidente Bush. “In futuro, se affiora un bisogno, l'Arabia Saudita non ha obiezioni a produrre di più,” ha aggiunto il sig. Al-Naimi.

Tuttavia, è stato appurato che nel corso della sua riunione con il sig. Al-Naimi ed il re, il presidente Bush è stato avvertito che un aumento della produzione è improbabile che si rifletta in un calo del prezzo dell'energia negli Stati Uniti.
A lezione d'economia dai sauditi. A questo s'è ridotto.

Friday, May 16, 2008

Riflettore sull'economia keynesiana

Ho raccolto le quattro parti in un solo post, per renderlo più facilmente fruibile con un solo link dai “feticci.”
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Di Murray N. Rothbard

  1. Sua Rilevanza
  2. Il Modello Spiegato
  3. Il Modello Criticato
  4. “L'Economia Matura”

Sua Rilevanza

Cinquanta anni fa, l'allora esuberante popolo americano poco sapeva e poco si curava dell'economia. Comprendeva, tuttavia, le virtù della libertà economica e questa comprensione era condivisa dagli economisti, che integravano il buonsenso con i più acuti strumenti di analisi.

Attualmente, l'economia sembra essere il primo problema dell'America e del mondo. I giornali sono pieni di discussioni complesse sul preventivo di spesa, su prezzi e stipendi, su prestiti stranieri e produzione. Gli economisti attuali aumentano notevolmente la confusione del pubblico. L'eminente professor X dice che il suo programma è l'unica cura per i mali economici del mondo; l'ugualmente eminente professor Y sostiene che questa è assurdità: così gira la giostra.

Tuttavia, una scuola di pensiero – il keynesismo – è riuscita a catturare la gran maggioranza degli economisti. L'economia keynesiana – che orgogliosamente si auto-proclama come “moderna,” anche se profondamente radicata nel pensiero medievale e mercantilista – si è offerto al mondo come la panacea per le nostre difficoltà economiche. I keynesiani sostengono, con suprema baldanza, di aver “scoperto” cosa determina il livello di occupazione in ogni dato momento. Assericono che la disoccupazione può venir curata prontamente con la spesa governativa di deficit e che l'inflazione può essere controllata per mezzo di eccedenze di imposta del governo.

Con grande arroganza intellettuale, i keynesiani spazzano via ogni opposizione bollandola come “reazionaria,” “antiquata,” ecc. Sono estremamente vanagloriosi per aver guadagnato la devozione di tutti i giovani economisti – un'affermazione che ha, purtroppo, molto di vero. Il pensiero keynesiano è fiorito nel New Deal, nelle dichiarazione del presidente Truman, nel suo Consiglio dei Consulenti Economici, con Henry Wallace, nei sindacati dei lavoratori, nella maggior parte della stampa, in tutti i governi stranieri e nei comitati delle Nazioni Unite e, con qualche sorpresa, fra gli “uomini d'affari illuminati” del genere Comitato per lo Sviluppo Economico.

Contro questo furioso assalto, molti cittadini di idee sinceramente liberali di sono stati influenzati dai keynesiani – specialmente dall'argomento che un pesante intervento governativo secondo loro “risolverà il problema della disoccupazione.” L'aspetto più scoraggiante della situazione è che gli argomenti dei keynesiani non sono stati contrastati efficacemente dagli economisti liberali, che si sono generalmente ritrovati impotenti nell'onda di marea. Gli economisti liberali hanno limitato i loro attacchi al programma politico dei keynesiani – non si sono occupati adeguatamente della teoria economica su cui questo programma è basato. Di conseguenza, l'affermazione dei keynesiani che il loro programma assicurerà la piena occupazione è passato generalmente incontestato.

Il motivo di questa debolezza da parte degli economisti liberali è comprensibile. Sono cresciuti con l'“economia neoclassica,” che è fondata sull'attenta analisi delle realtà economiche ed è basata sulle azioni di unità individuali nel sistema economico. La teoria keynesiana si basa su un modello del sistema economico – un modello che semplifica in modo drastico la realtà ma è estremamente complesso a causa della sua natura astratta e matematica. Per questa ragione, gli economisti liberali si sono scoperti confusi e sconcertati da questa “nuova” economia. Poiché i keynesiani erano gli unici economisti preparati per discutere il loro sistema, potevano facilmente convincere gli economisti e gli allievi più giovani della sua superiorità.

Per lanciare con successo un contrattacco contro l'invasione keynesiana, quindi, richiede più della giusta indignazione per le proposte di intervento governativo nel programma keynesiano. Richiede una cittadinanza ben informata che capisca a fondo la teoria keynesiana stessa, con i suoi numerosi errori, i presupposti non realistici ed i concetti malfermi. Per questo motivo sarà necessario seguire un difficile percorso attraverso un complesso labirinto di gergo tecnico per esaminare il modello keynesiano nel dettaglio.

Un'altra difficoltà nell'impresa di esaminare il keynesismo è la netta divergenza di opinioni fra i vari rami del movimento. Tutte le sfumature di keynesiani, tuttavia, sono d'accordo nel condividere una tendenza comune verso la funzione dello Stato, e tutte accettano il modello keynesiano come base per analizzare la situazione economica.

Tutti i keynesiani immaginano lo Stato come grande serbatoio potenziale di benefici, pronto per essere sfruttato. La preoccupazione principale per il keynesiano è di decidere la politica economica: quali dovrebbero essere le finalità economiche dello Stato e quali mezzi dovrebbe adottare lo Stato per realizzarli? Lo Stato è, naturalmente, sempre sinonimo di “noi”: cosa dovremmo fare "noi" per assicurare la piena occupazione? è una delle domande preferite. (se “noi” è riferito al “popolo” o ai keynesiani stessi non viene mai veramente chiarito.)

Nei tempi medioevali e premoderni, anche gli antenati dei keynesiani che sostenevano politiche simili avevano affermato che lo Stato non poteva sbagliare. A quel tempo, il re ed i suoi nobili erano i governanti dello Stato. Ora abbiamo periodicamente il dubbio privilegio della scelta dei nostri governanti da due insiemi di aspiranti assetati di potere. Questo ci rende una democrazia." [1] Così, i governanti dello Stato, “democraticamente eletti” e quindi rappresentanti il “popolo,” sono autorizzati, secondo quanto si dice, a controllare il sistema economico e a costringere, persuadere, “influenzare,” e ridistribuire la ricchezza dei loro riluttanti sudditi.

Un'importante illustrazione recente del pensiero politico keynesiano è stato il messaggio di Truman che annunciava il veto sulla riduzione dell'imposta sul reddito. La ragione principale per il veto è stata che le imposte elevate sono necessarie per “controllare l'inflazione,” dal momento che un periodo di “boom” richiede un avanzo di bilancio per “drenare il potere di acquisto eccedente.”

Di primo acchito, questo argomento sembra convincente ed è sostenuto da quasi tutti gli economisti, compresi molti conservatori non-keynesiani. Sono tutti molto fieri di opporsi alla via "politicamente facile" della riduzione delle tasse nell'interesse della verità scientifica, del benessere nazionale e della “lotta contro inflazione.”

È necessario, tuttavia, analizzare il problema più attentamente. Qual è l'essenza dell'inflazione? Consiste nell'aumento dei prezzi, con alcuni prezzi che aumentano più velocemente di altri. [2] Che cos'è un prezzo? È una somma di denaro (potere di acquisto generale) pagata volontariamente da un individuo ad un altro in cambio di un determinato servizio reso dal secondo individuo al primo. Questo servizio può essere sotto forma d'un determinato prodotto o un beneficio intangibile.

D'altra parte, che cos'è una tassa? Una tassa è l'espropriazione coercitiva della proprietà di un individuo dai governanti dello Stato. I governanti usano questa proprietà per qualsiasi scopo desiderino: solitamente i governanti la distribuiranno in un tal modo che assicuri la continuazione della loro carica, ovvero sovvenzionando i gruppi favoriti. In più, i governanti decidono quali individui pagheranno le tasse – decisione che consiste nell'espropriare la proprietà dei gruppi non graditi dai governanti.

Un prezzo, quindi, è un atto libero di scambio volontario fra due individui, da cui entrambi traggono beneficio (altrimenti lo scambio non avrebbe luogo!). Una tassa è un atto obbligatorio di espropriazione, senza alcun beneficio per l'individuo (a meno che si trovi all'estremità ricevente della proprietà espropriata dallo Stato a qualcun altro).

Alla luce di questa distinzione, sostenere le imposte elevate per impedire i prezzi elevati ricorda un ladro di strada che assicura alla vittima che il suo furto controlla l'inflazione, dal momento che non intende spendere i soldi per un certo tempo o che potrebbe usarlo per rimborsare i suoi debiti. Quando si sveglierà il popolo americano e realizzerà che il furto avvantaggia soltanto il ladro e che il comandamento “non rubare” si applica ai governanti (ed ai keynesiani) così come a chiunque altro?


Il Modello Spiegato


La teoria (o modello) keynesiana ipersemplifica il mondo reale occupandosi di pochi grandi aggregati, ammassando l'attività di tutti gli individui in una nazione.

Il concetto basilare usato è reddito nazionale aggregato, che è definito come uguale al valore monetario della produzione nazionale di merci e servizi durante un dato periodo di tempo. È inoltre uguale all'insieme del reddito ricevuto dagli individui durante quel periodo (profitti corporativi non distribuiti compresi).

Ora, l'equazione fondamentale del sistema keynesiano è reddito aggregato = spesa aggregata. L'unica maniera in cui un individuo possa ricevere un reddito in denaro è che un certo altro individuo spenda una somma uguale. Per contro, ogni atto di spesa da parte di un individuo provoca un reddito in denaro equivalente per qualcun'altro. Ciò è ovviamente e sempre, vero. Il sig. Smith spende un dollaro nella drogheria del sig. Jones: questo atto risulta in un dollaro di reddito per il sig. Jones. Il sig. Smith riceve il suo reddito annuale come conseguenza di un atto di spesa della XYZ Company; la XYZ Company riceve il relativo reddito annuale come conseguenza delle spese fatte da tutti i suoi clienti, ecc. In ogni caso, i consumi e soltanto i consumi, possono generare un reddito in denaro.

Le spese aggregate sono classificate in due tipi base: (1) la spesa finale per le merci ed i servizi che sono stati prodotti durante il periodo è uguale al consumo e (2) la spesa sui mezzi di produzione di queste merci è uguale all'investimento. Quindi, il reddito in denaro è creato tramite decisioni di spesa, consistenti in decisioni di consumo e decisioni di investimento.

Ora, un individuo, ricevendo il suo reddito, lo divide fra consumo e risparmio. Risparmiare, nel sistema keynesiano, è definito semplicemente come non spendere nel consumo. Un principio keynesiano fondamentale è che, per qualsiasi livello particolare di reddito aggregato, c'è un determinato importo definito e prevedibile che verrà consumato e un importo definito che verrà risparmiato. Questo rapporto fra reddito e consumo aggregati è considerato come stabile, fissato dalle abitudini dei consumatori. Nel gergo matematico keynesiano, il consumo aggregato (e di conseguenza il risparmio aggregato) è una funzione stabile e passiva del reddito (la famosa funzione del consumo). Per esempio, useremo la funzione del consumo: consumo = 90 per cento del reddito. (Questa è una funzione altamente semplificata, ma serve ad illustrare i principi di base del modello keynesiano.) In questo caso, la funzione del risparmio sarebbe risparmio = 10 per cento del reddito.

La spesa per consumo, quindi, è determinata passivamente dal livello di reddito nazionale. La spesa per investimenti, tuttavia, secondo i keynesiani, è effettuata indipendentemente dal reddito nazionale. In questa fase, cosa determini l'investimento non è importante: il punto cruciale è che è determinato indipendentemente dal livello di reddito.

Abbiamo lasciato fuori due fattori che determinano anch'essi il livello di spesa. Se le esportazioni sono superiori alle importazioni, la quantità totale di spesa in un paese è aumentata, quindi il reddito nazionale aumenta. Inoltre, un deficit di bilancio pubblico aumenta la spesa ed il reddito aggregati (a condizione che altri tipi di spesa si possano considerare costanti). Mettendo da parte il problema del commercio estero, è evidente che i deficit o le eccedenze di governo sono, come gli investimenti, decisi indipendentemente dal livello di reddito nazionale.

Quindi, reddito = spese indipendenti (investimenti privati + deficit di governo) + spese passive di consumo. Usando la nostra funzione illustrativa del consumo, reddito = spese indipendenti + 90 per cento del reddito. Ora, con semplice aritmetica, il reddito è uguale a dieci volte le spese independenti. Per ogni aumento nelle spese independenti, ci sarà un aumento di dieci volte del reddito. Similmente, una diminuzione nelle spese indipendenti condurrà ad un calo di dieci volte del reddito. Questo effetto “moltiplicatore” sul reddito verrà realizzato da qualunque tipo di spesa indipendente – sia deficit di governo che investimenti privati. Quindi, nel modello keynesiano, i deficit di governo e gli investimenti privati hanno lo stesso effetto economico.

Ora esaminiamo dettagliatamente il processo con cui un reddito di equilibrio è determinato nel modello keynesiano. Il livello di equilibrio è il livello a cui il reddito nazionale tende a depositarsi.

Assumiamo che reddito aggregato = 100, consumo = 90, risparmio = 10 ed investimento = 10. Inoltre supponiamo che non ci sia deficit o eccedenza di governo. Per i keynesiani, questa situazione è una posizione di equilibrio: il reddito tende a rimanere a 100. Una posizione di equilibrio è raggiunta perché entrambi i gruppi principali nell'economia – le aziende e i consumatori – sono soddisfatti. Le aziende, nell'aggregato, sborsano 100. Di questi 100, 10 sono investiti nel capitale e 90 sono utilizzati per produrre beni di consumo. L'insieme delle aziende si aspetta che questi 90 vengano recuperate con la vendita dei beni di consumo. I consumatori soddisfanno le aspettative delle aziende dividendo il reddito di 100 in 90 per consumo e 10 nel risparmio. Quindi, le aziende aggregate sono soddisfatte della situazione ed i consumatori aggregati sono soddisfatti perché stanno consumando il 90 per cento del loro reddito e risparmiandone il 10 per cento.

Adesso lasciate che la spesa indipendente aumenti a 20, a causa di un aumento negli investimenti privati o a causa di un deficit di governo. Ora, i pagamenti di reddito ai consumatori è 90 + 20 = 110. I consumatori, ricevendo 110, vorranno consumarne il 90 per cento, o 99, e risparmiarne 11. Ora, le aziende, che avevano previsto un consumo di 90, sono sorprese piacevolmente nel vedere i consumatori spingere i prezzi e ridurre gli stock dei commercianti nello sforzo di consumare 99. Di conseguenza, le aziende espandono la loro produzione di beni di consumo a 99 e sborsano 99 + 20 = 119, prevedendo un ritorno di 99 dalle vendite. Ma di nuovo sono piacevolmente sorprese, poiché i consumatori vorranno spendere il 90 per cento di 119, o 107. Questo processo di espansione continua fino a che il reddito non sia nuovamente pari a dieci volte gli investimenti – quando il consumo è di nuovo pari al 90 per cento del reddito. Il punto sarà raggiunto quando reddito = 200, investimento = 20, consumo = 180 e risparmio = 20.

È importante notare che l'equilibrio è stato raggiunto in entrambi i casi quando investimento aggregato = risparmio aggregato. Il suddetto processo di equilibrio può essere descritto in termini di risparmio ed investimento: Quando l'investimento è maggiore del risparmio, l'economia si espande ed il reddito nazionale aumenta fino a che il risparmio aggregato non sia pari all'investimento aggregato. Similmente, l'economia si contrae se l'investimento è minore del risparmio, finché non ritornino ad essere uguali.

Si noti che due cose molto importanti devono rimanere costanti affinché l'equilibrio sia raggiunto. La funzione del consumo (e quindi la funzione del risparmio) è assunta come sempre costante mentre il livello di investimento è costante almeno finché l'equilibrio è raggiunto. Una domanda si pone ora: cosa c'è di così importante nel reddito in denaro aggregato da renderlo il centro d'attenzione permanente? Prima di rispondere a questa domanda, è necessario fare determinate premesse.

Supponete che le seguenti cose siano considerate come date (o costanti): lo stato attuale di tutte le tecniche, l'attuale efficienza, la quantità e la distribuzione di tutto il lavoro, la quantità e la qualità attuale di ogni macchinario, la distribuzione attuale del reddito nazionale, la struttura attuale dei prezzi relativi, i tassi salariali attuali nominali (!) e la struttura attuale dei gusti del consumatore, delle risorse naturali e delle istituzioni economiche e politiche.

Allora, dati questi presupposti, per ogni livello di reddito monetario nazionale, corrisponde un livello unico e definito di occupazione. Più alto il reddito nazionale, più alto sarà il livello di occupazione, fino a raggiungere uno stato di “piena occupazione.” (Possiamo definire semplicemente la piena occupazione come livello molto basso di disoccupazione.) Quando il livello di piena occupazione è raggiunto, un più alto reddito monetario rappresenterà soltanto un aumento dei prezzi, senza l'aumento nella produzione fisica (reddito reale) e nell'occupazione.

Riassumendo il suddetto modello, conosciuto come teoria keynesiana dell'equilibrio di sottoccupazione: ad ogni livello di reddito nazionale corrisponde un unico livello di occupazione. C'è, quindi, un determinato livello di reddito cui corrisponde uno stato di piena occupazione, senza un grande aumento dei prezzi. Un reddito inferiore a questo reddito di “piena occupazione” significherà disoccupazione su vasta scala; un reddito superiore significherà grande inflazione dei prezzi.

Il livello di reddito, in un sistema di impresa privata, è determinato dal livello delle spese indipendenti di investimento e delle spese di consumo che sono una funzione passiva del livello di reddito. Il livello di reddito risultante tenderà a depositarsi al punto in cui l'investimento aggregato è pari al risparmio aggregato.

Ora (e qui è il grande climax keynesiano), non c'è alcun motivo di assumere che questo livello di equilibrio del reddito determinato nel libero mercato coinciderà con il livello di reddito di “piena occupazione” – può essere superiore o inferiore.

Ciò è il modello dell'economia privata accettata da tutti i keynesiani. Lo Stato, affermano i keynesiani, ha la responsabilità di mantenere il sistema economico al livello di reddito di “piena occupazione,” perché “noi” non possiamo dipendere dall'economia privata per farlo.

Il modello keynesiano fornisce i mezzi con cui lo Stato può compiere questa operazione. Dal momento che i deficit di governo hanno gli stessi effetti sul reddito dell'investimento privato, tutto ciò che lo Stato deve fare è di valutare il previsto livello di reddito di equilibrio dell'economia privata. Se è inferiore al livello di “piena occupazione,” lo Stato può impegnarsi nella spesa di deficit fino a raggiungere il livello di reddito voluto. Allo stesso modo, se è superiore al livello voluto, lo Stato può ottenere eccedenze di bilancio con imposte elevate. Lo Stato, se lo desidera, può anche stimolare o scoraggiare gli investimenti o i consumi privati per mezzo di tasse e sovvenzioni, o imporre tariffe se vuole generare un'eccedenza di esportazioni. La prescrizione keynesiana favorita per stimolare i consumi è la tassazione progressiva del reddito, visto che i “ricchi” sono quelli che risparmiano di più. Il metodo favorito per “incoraggiare l'investimento privato” è di sovvenzionare gli industriali “ progressisti” e “illuminati” a scapito dei grandi affaristi Tory.”



Il Modello criticato


Ricordiamo che perché il modello keynesiano sia valido, i due fondamentali fattori determinanti il reddito, vale a dire, la funzione del consumo e l'investimento indipendente, devono rimanere costanti abbastanza a lungo per raggiungere e mantenere l'equilibrio del reddito. Come minimo, per queste due variabili deve essere possibile rimanere costanti, anche se, generalmente, non sono tali nella realtà. L'essenza dell'errore di base del sistema keynesiano è, tuttavia, che è impossible che queste variabili rimangano costanti per la durata richiesta.

Ricordiamo che quando reddito = 100, consumo = 90, risparmio = 10 ed investimento = 10, il sistema è supposto essere nell'equilibrio, perché le aspettative aggregate delle imprese e del pubblico sono soddisfatte. Nel complesso, entrambi i gruppi sono perfettamente soddisfatti con la situazione, tanto che non c'è presumibilmente tendenza ad una variazione del livello di reddito. Ma gli aggregati hanno un senso soltanto nel mondo dell'aritmetica, non nel mondo reale. Le imprese possono ricevere in aggregato proprio quanto avevano previsto; ma questo non significa che ogni singola azienda sia necessariamente in una posizione di equilibrio. Le imprese non fanno guadagni in aggregato. Alcune aziende possono fare degli utili eccezionali, mentre altre possono subire perdite inattese. Senza contare che, in aggregato, questi profitti e perdite possono annullarsi e che ogni azienda dovrà procedere agli aggiustamenti relativi alla propria esperienza particolare. Questo aggiustamento varierà ampiamente da azienda e azienda e da industria ad industria. In questa situazione, il livello dell'investimento non può rimanere a 10 e la funzione del consumo non rimarrà fissa, obbligando il livello del reddito a cambiare. Niente nel sistema keynesiano, tuttavia, può dirci quanto lontano o in quale direzione si muoverà una di queste variabili.

Analogamente, nella teoria keynesiana del processo di aggiustamento verso il livello di equilibrio, se l'investimento aggregato è maggiore del risparmio aggregato, si suppone che l'economia si espanderà verso il livello di reddito dove il risparmio aggregato è uguale all'investimento aggregato. Nel processo stesso di espansione, tuttavia, la funzione del consumo (e del risparmio) non può rimanere costante. Utili eccezionali saranno distribuiti irregolarmente (ed in un modo sconosciuto) fra le numerose aziende, conducendo così a diversi tipi di aggiustamento. Questi aggiustamenti possono condurre ad un aumento sconosciuto nel volume degli investimenti. Inoltre, sotto lo slancio dell'espansione, le nuove imprese entreranno nel sistema economico, cambiando così il livello di investimento.

In più, con l'espansione del reddito, la ripartizione del reddito fra gli individui nel sistema economico necessariamente cambia. È un fatto importante, di solito trascurato, che l'assunto keynesiano di una funzione rigida del consumo presuppone una data ripartizione del reddito. Di conseguenza, il cambiamento nella ripartizione del reddito causerà un cambiamento nella funzione del consumo di dimensioni e direzione ignote. Ancora, la certa emersione di guadagni in conto capitale cambierà la funzione del consumo.

Quindi, dato che i fondamentali fattori keynesiani di determinazione del reddito – la funzione del consumo ed il livello dell'investimento – non possono rimanere costanti, non possono determinare alcun livello di equilibrio del reddito, neppure approssimativamente. Non c'è alcun punto verso cui il reddito si dirigerà o dove tenderà a rimanere. Tutto quel che possiamo dire è che ci sarà un movimento complesso nelle variabili di direzione e grado sconosciuti.

Questo fallimento del modello keynesiano è il risultato diretto dei fuorviati concetti aggregativi. Il consumo non è solo una funzione del reddito; dipende, in un modo complesso, al livello del reddito passato, dal reddito futuro previsto, dalla fase del ciclo congiunturale, dalla lunghezza del periodo di tempo in discussione, dai prezzi dei prodotti, dai guadagni in conto capitale o dalle perdite e dai bilanci dei consumatori.

Ancora, la ripartizione del sistema economico in pochi aggregati suppone che questi aggregati siano indipendenti tra loro, che siano determinati e possano cambiare indipendentemente. Questo trascura la grande quantità di interdipendenza e di interazione fra gli aggregati. Quindi, il risparmio non è indipendente dall'investimento; la maggior parte, specialmente il risparmio di impresa, è fatta in previsione di investimenti futuri. Di conseguenza, un cambiamento nelle prospettive per investimenti vantaggiosi avrà una grande influenza sulla funzione del risparmio e quindi sulla funzione del consumo. Analogamente, l'investimento è influenzato dal livello di reddito, dagli sviluppi previsti del reddito futuro, dal consumo previsto e dal flusso del risparmio. Per esempio, un calo nel risparmio significherà un taglio nei fondi monetari disponibili per investimenti, che saranno così limitati.

Un'ulteriore dimostrazione della fallacia degli aggregati è l'assunto keynesiano che lo Stato può semplicemente aggiungere o sottrarre la sua spesa da quella dell'economia privata. Ciò suppone che le decisioni di investimento privato rimangano costanti, inalterate dai deficit di governo o dai surplus. Non c'è alcuna base per questo assunto. In più, la tassazione progressiva del reddito, che è progettata per spingere al consumo, si presume non abbia effetto sugli investimenti privati. Questo non può essere vero, poiché, come abbiamo già visto, una limitazione nel risparmio ridurrà gli investimenti.

Quindi, l'economia aggregativa è una rappresentazione drasticamente falsa della realtà. Gli aggregati sono soltanto un mantello aritmetico sul mondo reale, dove il gran numero di imprese e di individui reagiscono ed interagiscono in maniera altamente complessa. Gli stessi presunti “fattori determinanti fondamentali” del sistema keynesiano sono determinati dalle interazioni complesse in seno e tra questi aggregati.

La nostra analisi è confermata dal fatto che i keynesiani hanno fallito completamente nei loro tentativi di stabilire una funzione reale e stabile del consumo. Le statistiche rivelano il fatto che la funzione del consumo cambia considerevolmente con il mese dell'anno, la fase del ciclo congiunturale e nel lungo termine. Le abitudini dei consumatori sono certamente cambiate nel corso degli anni. A breve termine, un cambiamento nel reddito delle famiglie condurrà soltanto ad un cambiamento nei consumi dopo un ritardo di un certo periodo di tempo. In altri casi, i cambiamenti nel consumo possono essere indotti da previsti cambiamenti nel reddito (per esempio, con il credito al consumo). Questa instabilità della funzione del consumo elimina la possibilità di qualsiasi validità del modello keynesiano.

Ancora un altro errore fondamentale nel sistema keynesiano è il supposto rapporto unico fra reddito ed occupazione. Questo rapporto dipende, come abbiamo visto sopra, sull'assunto che le tecniche, la quantità e la qualità dei macchinari ed il tasso salariale e di efficienza del lavoro siano fissi. Questo assunto omette fattori di basilare importanza nella vita economica e può essere vero soltanto per un periodo estremamente breve. I keynesiani, tuttavia, tentano di usare questa relazione sui lunghi periodi come base per la predizione del livello di occupazione. Un risultato diretto fu il fiasco keynesiano della predizione di otto milioni di disoccupati dopo la fine della guerra.

Il dispositivo più importante che assicura la relazione unica fra reddito ed occupazione è l'assunto del tasso salariale monetario costante. Questo significa che, nel modello keynesiano, un aumento degli dispendii può aumentare l'occupazione soltanto se i tassi salariali monetari non aumentano. In altre parole, l'occupazione può aumentare solo se il tasso del salario reale scende (tasso salariale relativo ai prezzi ed ai profitti). Inoltre, non ci può essere un livello di equilibrio della disoccupazione su larga scala nel modello keynesiano a meno che i tassi salariali monetari non siano rigidi e non siano liberi di scendere.

Questo risultato è estremamente interessante, poiché gli economisti classici hanno sempre sostenuto che l'occupazione aumenterà soltanto se il tasso del salario reale scende e che la disoccupazione su larga scala può persistere soltanto se ai tassi salariali viene impedito di scendere con l'interferenza monopolistica nel mercato del lavoro. Sia i keynesiani che gli economisti liberali riconoscono che i tassi salariali monetari, specialmente dall'avvento del New Deal, non sono più liberi di scendere a causa del controllo monopolistico operato dal sindacato e dal governo sul mercato di lavoro.

I keynesiani rimedierebbero a questa situazione ingannando i sindacati nell'accettare tassi di salario reale più bassi, mentre i prezzi ed i profitti aumentano attraverso la spesa di deficit del governo. Propongono di realizzare questo compito contando sull'ignoranza del sindacato, accoppiata ai frequenti appelli “al senso di responsabilità dalla direzione dei lavoratori.” In questi giorni quando i sindacati emettono grida di rabbia e minacciano di colpire ad ogni segnale di prezzi più alti o di maggiori profitti, un tal atteggiamento è incredibilmente ingenuo. Lungi dall'avere un senso di responsabilità, lo scopo della maggior parte dei sindacati sembra essere tassi salariali in veloce e continuo aumento, prezzi più bassi e profitti inesistenti.

È evidente che la soluzione liberale di ricostruzione di un mercato del lavoro liberamente competitivo con l'eliminazione dei monopoli del sindacato e dell'interferenza governativa è un requisito essenziale per la rapida scomparsa della disoccupazione come questa si presenta nel sistema economico.

I keynesiani, in particolar modo i rabbiosi partigiani del “movimento liberal-labor,” tentano di confutare questa soluzione sostenendo che i tagli dei tassi salariali monetari non conducono ad una riduzione della disoccupazione. Sostengono che i redditi da stipendio verrebbero ridotti, quindi riducendo la domanda di beni di consumo ed abbassando i prezzi, lasciando i tassi del salario reale al loro livello precedente.

Questa discussione si basa su una confusione fra il tasso salariale ed il reddito da stipendio. Una riduzione dei tassi di salariali monetari, specialmente nelle industrie dove i tassi salariali sono stati più rigidi, condurrà immediatamente ad un aumento nelle ore di lavoro effettive e nel numero di uomini impiegati. (Naturalmente, la quantità dell'aumento varierà da industria a industria.) In questo modo, i pagamenti totali sono aumentati, così aumentando a loro volta i redditi da stipendio e la domanda di beni di consumo. Un calo nei tassi salariali monetari avrà un effetto particolarmente favorevole sull'occupazione nell'industria edilizia e dei beni capitale. Proprio quelle industrie che ora hanno i sindacati più forti.

Ancora, se i redditi da stipendio sono ridotti, allora i redditi degli imprenditori e di altri saranno aumentati e il “potere d'acquisto” totale nella comunità non declinerà.


“L'Economia Matura”

È importante ricordare che il keynesismo nacque e catturò il suo vasto seguito nell'impeto della Grande Depressione degli anni trenta, di una depressione unica per lunghezza e gravità e, in particolare, nella persistenza della disoccupazione su larga scala. Fu il suo tentativo di fornire una spiegazione per gli eventi degli anni trenta che guadagnarono al keynesismo il suo seguito popolare. Usando un modello con assunti che ne limitano l'applicazione ad un periodo di tempo molto breve, e completamente fallace nella sua dipendenza da semplici aggregati, tutti i keynesiani decretarono con sicurezza che la cura erano i deficit governativi.

Interpretando il significato della depressione, tuttavia, i keynesiani hanno compagnia. I “moderati” sostengono che si trattò semplicemente di una severa depressione nel familiare giro dei cicli congiunturali. I keynesiani “radicali”, guidati dal professor Hansen di Harvard, assericono che i trenta introdussero negli Stati Uniti un'era di “stagnazione secolare (di lunga durata).” Sostengono che l'economia americana è ora matura, che le occasioni per investimenti ed espansione sono in gran parte esaurite, tanto che si può prevedere che la spesa per investimenti rimarrà ad un livello permanente basso, ad un livello troppo basso per garantire la piena occupazione. La cura per questa situazione, secondo i keynes-hanseniti, è un programma permanente di governo di spesa di deficit su progetti a lungo termine e pesante tassazione del reddito progressiva per aumentare permanentemente il consumo e scoraggiare il risparmio.

Dove la tesi di ristagno di Hansen va oltre il modello di Keynes è nel suo tentativo di spiegare i fattori determinanti del livello di investimento. L'investimento si suppone sia determinato “dalla quantità di opportunità per gli investimenti” che, a loro volta, è determinata (1) dal miglioramento tecnologico, (2) dalla crescita della popolazione e (3) dalla disponibilità di nuovi territori. Gli hanseniti continuano a disegnare un'immagine tenebrosa delle opportunità per gli investimenti privati nel mondo moderno.

Il decennio dei trenta fu la prima nella storia americana con un declino nello sviluppo della popolazione e non ci sono nuovi territori da sviluppare – la “frontiera” è chiusa. Di conseguenza, possiamo contare soltanto sul progresso tecnologico per ottenere delle opportunità per gli investimenti, opportunità che devono essere molto più grandi di quanto lo fossero in passato per ammortizzare i cambiamenti sfavorevoli degli altri due fattori. Per quanto riguarda il progresso tecnologico, anch'esso sta rallentando. Dopo tutto, le ferrovie sono già state costruite e l'industria automobilistica ha raggiunto la maturità. Qualsiasi miglioramento secondario in essa con ogni probabilità potrebbe essere impedito dai “monopolisti reazionari,” ecc.

Esaminiamo ciascuno dei fattori determinanti l'investimento secondo Hansen. L'oscurità riguardo alla mancanza di nuove terre da sviluppare – la sparizione della “frontiera” – può essere dissipata rapidamente. La frontiera è sparita nel 1890 senza interessare sensibilmente il progresso e la veloce prosperità dell'America; ovviamente non può essere fonte di problemi adesso. Questo è confermato dal fatto che, dal 1890, l'investimento pro capite in America è stato maggiore nelle zone più antiche che nelle zone recenti della frontiera.

È difficile vedere come possa un declino nella crescita della popolazione influenzare avversamente gli investimenti. La crescita della popolazione non fornisce una fonte indipendente di opportunità per investimenti. Una calo del tasso di crescita della popolazione può influenzare avversamente l'investimento solo se
1. Tutti i desideri dei consumatori esistenti sono soddisfatti in modo completo. In quel caso, la crescita della popolazione sarebbe l'unica fonte supplementare di domanda di beni di consumo. Questa situazione chiaramente non esiste; c'è un numero infinito di desideri insoddisfatti.

2. Il declino conduce ad una ridotta domanda di beni di consumo. Non c'è ragione per la quale questo dovrebbe essere il caso. Le famiglie non useranno in modo diverso i soldi che avrebbero altrimenti speso per i loro bambini?
In particolare, Hansen sostiene che il calo catastrofico nell'edilizia negli anni trenta fu causato dal declino nella crescita della popolazione, che ridusse la domanda di nuovi alloggi. Il fattore rilevante a questo proposito, tuttavia, è il tasso di crescita nel numero di famiglie; che negli anni trenta non declinò. Ancora, Manhattan aveva avuto una popolazione totale declinante (non solo il tasso di crescita) dal 1911, tuttavia negli anni 20 a Manhattan si registrò il più grande boom edilizio residenziale della sua storia.

Per concludere, se il nostro male è la sottopopolazione, perchè nessuno ha suggerito la sovvenzione dell'immigrazione per curare la disoccupazione? Avrebbe lo stesso effetto dell'aumento nel tasso di crescita della popolazione. Il fatto che Hansen non abbia neppure suggerito questa soluzione è una dimostrazione conclusiva dell'assurdità dell'argomento della “crescita della popolazione”.

Il terzo fattore, il progresso tecnologico, è certamente importante; è una delle principali caratteristiche dinamiche di un'economia di libera impresa. Il progresso tecnologico, tuttavia, è un fattore decisamente favorevole. Ora sta continuando ad un tasso più veloce che mai, con le industrie che spendono somme senza precedenti sulla ricerca e sullo sviluppo di nuove tecniche. Nuove industrie già appaiono all'orizzonte. C'è certamente ogni motivo di essere euforici piuttosto che tetri sulle possibilità del progresso tecnologico.

Questo è quanto per la minaccia dell'economia matura. Abbiamo visto che dei tre presunti fattori determinanti l'investimento, uno solo è rilevante, e le sue prospettive sono molto favorevoli. La tesi dell'economia matura di Hansen è una spiegazione della realtà economica senza valore almeno quanto il resto dell'impianto keynesiano.

Così si conclude la nostra lunga analisi della bufala più riuscita e più perniciosa nella storia del pensiero economico: il keynesismo. Tutto il pensiero keynesiano è un intreccio di distorsioni, errori e di assunti drasticamente non realistici. Gli effetti politici viziosi del programma keynesiano sono stati considerati solo di sfuggita. Sono semplicemente fin troppo evidenti: legislatori di Stato impegnati nel furto diretto con la tassazione “progressiva”, che creano e spendono nuovi soldi in concorrenza con gli individui, dirigendo gli investimenti, “influenzando” il consumo – lo Stato onnipotente, l'individuo inerme e strozzato sotto il giogo. Tutto ciò in nome del “salvataggio della libera impresa.” (Raro è il Keynesian che ammette di essere un socialista.) Questo è il prezzo che ci viene richiesto di pagare per applicare una teoria completamente fallace!

Ma il problema della spiegazione della Grande Depressione ancora permane. È un problema che ha bisogno di una ricerca completa ed attenta; in questo contesto, possiamo indicare soltanto in breve quelle che sembrano essere promettenti linee d'indagine. Ecco alcuni dei fatti: durante il decennio dei trenta, i nuovi investimenti calarono rapidamente (specialmente nell'edilizia); la spesa dei consumatori aumentò; le tariffe erano al loro massimo livello; la disoccupazione rimase ad un livello anormalmente alto durante il decennio; i prezzi dei prodotti scesero; i tassi salariali aumentarono (in particolare nell'edilizia); le imposte sul reddito aumentarono notevolmente e diventarono molto più nettamente progressive; gli scioperi e gli associati ai sindacati crebbero notevolmente, in particolar modo nelle industrie delle merci capitale. Ci fu inoltre un enorme sviluppo della burocrazia federale, di una pesante “legislazione sociale,” e dell'atteggiamento anti-business estremamente ostile del governo del New Deal.

Questi fatti indicano che la depressione non fu il risultato di un'economia che era diventata improvvisamente “matura,” ma delle politiche del New Deal. Un'economia di libera impresa non può funzionare con successo sotto gli attacchi costanti di un potere di polizia coercitivo. L'investimento non viene deciso secondo una certa “mistica opportunità.” È determinato dalle prospettive per il profitto e dalle prospettive di mantenere quel profitto. Le prospettive per il profitto dipendono da costi più bassi rispetto ai prezzi previsti ed le prospettive per il mantenimento del profitto dipendono dal più basso livello possibile di tassazione.

L'effetto del New Deal fu di aumentare drasticamente i costi attraverso la costruzione di un movimento del sindacato monopolista, che causò direttamente l'aumento dei tassi salariali (anche quando i prezzi erano bassi e in caduta) ed all'abbassata efficienza per via di “picchetti,” rallentamenti, sciperi, privilegi di anzianità, ecc. La sicurezza della proprietà era compromessa dai continui assedi del governo del New Deal, in particolar modo tramite la tassazione confiscatoria che prosciugò il flusso necessario del risparmio e non lasciò alcun motivo per investire produttivamente il risparmio rimasto. Questo risparmio, invece, trovò la sua strada verso l'acquisto di titoli governativi per finanziare ogni tipo di progetti di nessuna utilità.

Il benessere economico, quindi, così come i principi di base della moralità e della giustizia, conduce allo stesso obiettivo politico necessario: il ristabilimento della sicurezza della proprietà privata da tutte le forme di coercizione, senza cui non ci può essere libertà individuale né prosperità economica durevole né progresso.

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Note

[1] Questo non implica che la democrazia sia diabolica. Significa che la democrazia dovrebbe essere considerata come tecnica desiderabile per la scelta dei governanti in modo competitivo, a condizione che il potere di questi governanti sia rigorosamente limitata.

[2] La causa dell'aumento dei prezzi è generalmente un'abbondanza di moneta fiat creata dai passati o presenti deficit di governo.
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Murray N. Rothbard (1926-1995) era un decano della scuola austriaca. Vedi il suo archivio. Commenta sul blog.