Tre giorni fa, il 13 febbraio, ricorreva l'anniversario del bombardamento di Dresda, uno dei crimini di guerra più orribili di tutti i tempi. Quasi in contemporanea le armate di Obama hanno sferrato l'ennesima offensiva “finale” in Afghanistan, con il consueto corollario di morti innocenti, mentre all'orizzonte si profilano altri possibili e più infausti conflitti, utili a ridurre il tasso di disoccupazione occidentale nell'unico modo che i governi conoscano: gettare la forza lavoro eccedente nel tritacarne bellico.Tra le poche voci che si levano per cercare di impedire l'inevitabile, spicca da quindici anni quella del sito antiwar.com, che con questo articolo di Justin Raimondo descrive la poco lucida follia degli strateghi agli ordini del premio Nobel per la Guerra Barracks Obama, e chiede l'aiuto e il supporto di tutti per continuare il suo lavoro in favore della pace. Chi può, si frughi.___________________________
Perché persistiamoDi
Justin RaimondoI nostri motivi sono spesso stati messi in dubbio, ma non è davvero un mistero il perché noi anti-interventisti continuiamo a sostenere le nostre idee sotto il presidente Obama come abbiamo fatto durante gli anni di Bush. Come
libertari, ci opponiamo all'espansione ed all'espressione del potere dello Stato in tutte le sue manifestazioni, ma
in special modo quando si tratta della
guerra. Questa è l'estrema espressione dello statalismo – ovvero, il culto dello Stato - e il modo di porsi di fronte ad essa è cruciale. La domanda non è solo “sei a favore della guerra, o contro?” Poiché quello che realmente si sta chiedendo è: da che parte stai – dalla parte della gente, o con la gente al potere?
In tempo di guerra, lo Stato si
eleva in tutta la sua ostile magnificenza, come un grande drago sputafuoco, e
coloro che – istintivamente – si prostrano e l'adorano sono i servitori naturali del potere, che
eccitati dalla sua visibile esibizione
godono indirettamente di ogni morte nemica
come se l'avessero inflitta con le loro mani.
Dal
grande drago in tempo di guerra spunta ogni specie di tentacoli supplementari, che si
avvolgono come una specie di
anaconda istituzionale intorno al settore privato e – se gli viene concesso tempo a sufficienza – lo soffoca a morte. E non intendo solo l'impresa privata, anche se quella è la sua funzione economica, ma anche le varianti di ciò che chiamiamo “la società civile,” le organizzazioni non governative che compongono il tessuto della civiltà umana, dai
pulpiti alla Società di Giardinaggio per Signore e tutto ciò che sta tra queste.
In tempo di guerra, lo
spirito militarista pervade la società come una nebbia tossica, che erode i legami che normalmente legano gli esseri umani uno all'altro e sostituendoli con dei nuovi: il volontarismo
lascia il posto all'
autoritarismo e la
scelta alle
catene in
ogni aspetto della vita.
In
tempo di guerra, le motivazioni per l'espansione del potere del governo di tassare, regolare ed imporre misure “d'emergenza” che normalmente sarebbero considerate intollerabili passano in gran parte senza discussioni. Quanti membri del congresso hanno votato contro il cosiddetto
Patriot Act? E se, durante il tempo di guerra, un singolo membro della Società di Giardinaggio per Signore disapprova quando il club decide di mettere in palio dei Titoli di Guerra, non osa alzare la sua voce.
Uno stordente conformismo
intellettuale e
politico è una necessità, perché l'intera nazione essenzialmente si trasforma in in un'appendice delle forze armate, ovvero, si organizza seguendo
linee militari e questo è il vero obiettivo della
propaganda di guerra:
ammorbidire la popolazione quanto basta perché l'accetti.
Resoconti dissidenti sul perché stiamo combattendo, e su chi ne trae vantaggi, sono
malvisti durante il tempo di guerra e spesso sono
vietati. Gli spazi “democratici” permessi dal regime
si restringono e le occasioni di protesta sono
severamente limitate se non completamente vietate. L'albero della libertà appassisce inevitabilmente quando le nubi di guerra ostruiscono il sole ed il
lungo conflitto che ora stiamo combattendo lo ucciderà definitivamente – a meno di
sottrarre la nostra politica estera al
Partito della Guerra.
Ecco perché persistiamo, attraverso le amministrazioni democratiche e repubblicane, con lo stesso messaggio e lo stesso avvertimento contro quel tipo di arroganza che tenta tutti coloro che hanno in mano un grande potere, e li attira nel peccato dell'
hybris.
Leggendo il
resoconto del
New York Times della grande armada americana mentre discende nella provincia di Helmand, in Afghanistan, l'ultimo “surge” della potenza militare americana nell'Asia centrale, sono colpito dalla ripetitività dell'intera operazione: ricorda tutti i grandi disastri militari del passato, dall'
Armada spagnola all'
invasione napoleonica della Russia, alla
strategia della controinsurrezione che provammo in Vietnam, fino alla
presunta invasione finale dell'Iraq, il supposto successo di cui l'amministrazione Obama sta ora bizzarramente prendendosi i “
meriti.” Sento la stessa grandiosità, espressa con la stessa lugubre fiducia: “Abbiamo un governo in scatola, pronto ad entrare in funzione,” annuncia il generale Stanley McChrystal, comandante statunitense in Afghanistan e architetto della nuova strategia della controinsurrezione, che è “
ripulire, mantenere e costruire.”
Ciò che costruiscono è un nuovo stato afgano, e ce l'hanno in scatola, come dice il generale, e sono pronti a metterlo in opera. Proprio come voi montereste un giocattolo per bambini e lo mettereste sotto l'albero di Natale.
In che mondo vive questa gente? Il reporter di
Times ci dà qualche
indizio:
“La scommessa è che una volta che gli afgani vedranno prendere forma la parvenza di uno stato a Marja, i combattenti talebani cominceranno a prendere più seriamente le offerte che Karzai e gli occidentali offrono per comprarli. Attratti dall'offerta di un qualche ruolo politico nella società afgana – e di uno stipendio regolare – ci penseranno due volte prima di provare a riprendere la città. ‘Pensiamo che molti dei soldati di fanteria combattano per soldi, non per l'ideologia,’ ha detto recentemente un funzionario britannico. ‘Dobbiamo verificare l'idea che è meno costoso arricchirli un poco che combatterli ogni primavera ed estate.’”
Il mondo in cui questa gente vive è lo stesso in cui viviamo noi: l'occidente del ventunesimo secolo, dove la promessa di uno stipendio regolare è
sufficiente per convincere chiunque di qualsiasi cosa. Ideologia? Cos'è? Tutto può essere comprato: è solo una questione di prezzo.
Questo è un caso dove la corruzione morale è il suo stesso nemico peggiore: presupponendo che siano tutti amorali e privi di idealismo come noi, gli strateghi americani stanno forse per ricevere uno shock. “Arretrato” com'è l'Afghanistan, il popolo afgano
potrebbe esserlo abbastanza da rifiutare un appello per vendersi con il disprezzo che merita.
Più probabilmente prenderanno i soldi e rifiuteranno il “governo” afgano comunque. Karzai continuerà a sostenere – piuttosto ragionevolmente – di non potersi reggere sulle proprie gambe e di aver bisogno della presenza delle truppe degli Stati Uniti, e resteremo in Afghanistan per i prossimi
dieci o vent'anni, o finché il popolo americano non sceglierà un presidente che finalmente li districhi da questa crociata assolutamente inutile.
La grande armada di Helmand sarà senza dubbio dichiarata vittoriosa e le legioni di Obama saranno acclamate come i
portatori di luce nelle tenebre afgane: presto sentiremo racconti ispirati su come i nostri soldati stiano costruendo
scuole,
strade e
dighe, come pure uno stato afgano
nuovo di pacca – non è meraviglioso?!
La chiara risposta è: no. Non è meraviglioso: è orribile. Stiamo rovesciando milioni di dollari e migliaia di vite giù in un pozzo senza fondo, un pozzo che non si riempirà mai e che invece ci svuoterà fino a che non ci fermeremo. Il “governo” afgano non avrà mai niente di lontanamente simile alla legittimità agli occhi del suo popolo, non importa con quanti soldi cercherete di corromperlo.
Prenderanno i vostri soldi e rideranno di voi.
Poi, vi spareranno.
Immaginate se un paese straniero invadesse e conquistasse gli Stati Uniti. Le forze di occupazione installano un “governo” guidato dall'equivalente americano di
Hamid Karzai – diciamo,
Rod Blagojevich. E i generali ed i politici del paese d'occupazione si riuniscono per un incontro strategico e decidono che il migliore modo per pacificare quei chiassosi americani è di comprarli. “Appena date loro uno stipendio regolare,” dice un generale, “ci penseranno due volte prima di resistere.”
Sarebbe un'idea ragionevole da parte sua? Ne dubito. Ma so che è molto lontano dall'essere ragionevole quando si parla degli afgani, come uno
breve sguardo alla loro storia potrà dirvi.
Anche i sovietici avevano un “
governo in scatola,” o pensavano di averlo. Ma quando arrivò la resa dei conti, i loro burattini non furono di grande aiuto sul campo di battaglia, o fuori da esso: c'erano tante di quelle lotte intestine fra i comunisti afgani, che, se avessero ucciso i mujahideen con l'efficienza e l'energia che usarono per uccidersi a vicenda, la loro sconfitta avrebbe potuto non essere tanto rapida e spietata. Così vennero spazzati via entro pochi mesi dal ritiro sovietico, proprio come Karzai, o chiunque altro decidessimo di installare a Kabul come “presidente,” non sopravviverebbe mai senza una sostanziosa presenza militare degli Stati Uniti.
Questa guerra non è che l'inizio di una serie di guerre cominciata in Iraq e che ora sta continuando attraverso il fronte dell'Asia centrale, dirigendosi verso il
Pakistan, e l'
Iran. Il Partito della Guerra non ha ancora finito con noi – nemmeno per sogno.