È al momento ancora molto difficile mettere insieme i pezzi della carneficina di Mumbai, eppure, anche se la “pista Al-Qaeda,” evocata immediatamente da tutti i media mainstream, pare in realtà non convincere tutti gli “esperti,” gli occhi di tutti si sono puntati sul Pakistan.
Certo, i rapporti tra i due vicini non sono dei più amichevoli, ma ci si potrebbe anche chiedere cosa avrebbe potuto mai pensare di ottenere il Pakistan organizzando questi attacchi: un risultato sempre più probabile, ad esempio, sembra essere un possibile intervento americano, che il neo presidente Obama aveva abbastanza esplicitamente già promesso in campagna elettorale.
In effetti, al momento chi sembra ottenere qualcosa dal massacro, almeno politicamente, è proprio il presidente nero: aveva localizzato nel Pakistan – oltre che nell'Afghanistan – il vero nemico, ed ecco che a stretto giro di posta arriva una sanguinosa conferma.
Al di là di questo, mi preme però sottolineare alcuni fatti, che in questi giorni non hanno ricevuto la dovuta attenzione. Una delle prime vittime delle stragi, uccisa in un vero e proprio agguato, è stato il capo dell'antiterrorismo indiano Hemant Karkare, come leggiamo sull'Indian Express:
Secondo, bisognerebbe chiedersi se questa non sia in realtà una questione interna all'India, e non un “problema globale” come tutti i governi si sono già affrettati (appunto...) ad affermare, per la gioia di “Barrack” Obama che sembra molto ansioso di dimostrare la sua statura di statista. Del resto, della presunta “caccia all'occidentale” di cui s'è fatto un gran parlare, alla resa dei conti non pare esserci traccia: la maggior parte delle vittime sono indiane, e i resoconti dei sopravvissuti parlano di killer che sparavano nel mucchio (e in alcuni casi anche di terroristi “biondi”).
Infine, una considerazione: la strategia globale chiamata “guerra al terrore,” messa in atto dall'amministrazione Bush, abbracciata entusiasticamente da quasi tutti i governi del mondo, e confermata dal neo eletto Obama, si è dimostrata una volta di più assolutamente inutile, quando non dannosa, se lo scopo era di evitare al terrore di irrompere periodicamente nelle nostre vite. Guerre e bombardamenti non hanno reso il mondo più sicuro.
Certo, i rapporti tra i due vicini non sono dei più amichevoli, ma ci si potrebbe anche chiedere cosa avrebbe potuto mai pensare di ottenere il Pakistan organizzando questi attacchi: un risultato sempre più probabile, ad esempio, sembra essere un possibile intervento americano, che il neo presidente Obama aveva abbastanza esplicitamente già promesso in campagna elettorale.
In effetti, al momento chi sembra ottenere qualcosa dal massacro, almeno politicamente, è proprio il presidente nero: aveva localizzato nel Pakistan – oltre che nell'Afghanistan – il vero nemico, ed ecco che a stretto giro di posta arriva una sanguinosa conferma.
Al di là di questo, mi preme però sottolineare alcuni fatti, che in questi giorni non hanno ricevuto la dovuta attenzione. Una delle prime vittime delle stragi, uccisa in un vero e proprio agguato, è stato il capo dell'antiterrorismo indiano Hemant Karkare, come leggiamo sull'Indian Express:
Karkare, lo specialista Vijay Salaskar ed il commissario supplementare di polizia Ashok Kamte, che viaggiavano tutti nello stesso veicolo, sono stati uccisi insieme a tre agenti dai terroristi.Karkare, considerato un eroe nazionale, aveva di recente guidato l'antiterrorismo alla scoperta di una cellula terrorista di matrice indù, che sarebbe stata responsabile di diversi attentati in origine attribuiti ad estremisti musulmani. Leggiamo:
Gli alti ufficiali erano sulla strada per l'ospedale Cama, a soli 10 minuti dalla stazione del CST, per visitare un altro agente ferito, Sadanand Date.
“Quando siano stati informati che Sadanand Date era stato ferito nella sparatoria all'ospedale Cama, Karkare, Kamte, Salaskar e quattro agenti hanno lasciato il CST per recarsi lì.
“Cinque minuti più tardi, due persone che portavano fucili AK-47 sono emerse da dietro un albero ed hanno iniziato a sparare sul veicolo,” ha detto Jadhav, che è stato colpito da due pallottole al braccio destro e sta ricuperando nell'ospedale Bombay.
Almeno 10 persone sono state arrestate in relazione a diversi attentati esplosivi avvenuti in settembre nella città a maggioranza musulmana di Malegaon, nello stato occidentale di Maharashtra, che hanno provocato sei morti. Ma i rapporti suggeriscono che la polizia sia convinta che la cellula possa anche aver effettuato un certo numero di attacchi precedenti, compreso il noto attentato dell'anno scorso ad un treno di frontiera in viaggio verso il Pakistan, che ha ucciso 68 persone. Fra i presunti membri della cellula vi sono un ufficiale dell'esercito in servizio e un monaco indù.A questo punto, proprio questa storia dovrebbe ispirare qualche riflessione. In primo luogo, dovrebbe suggerire una certa prudenza prima di puntare il dito sul presunto mandante, perché nella iungla dei depistaggi la fretta è una cattiva consigliera.
Gli attacchi con bombe non sono rari in India – ce ne sono stati una quantità negli ultimi mesi – ma la polizia li attribuisce solitamente sugli estremisti musulmani, spesso considerati in collegamento con i gruppi militanti basati in Pakistan o in Bangladesh. Di conseguenza, la recente scoperta della presunta cellula indù ha obbligato l'India ad affrontare alcune difficili questioni. Un paese che si vanta di una pretesa tolleranza religiosa e culturale – un'ambizione che in realtà è spesso tradita – è stato portato a chiedersi come questa cellula possa aver operato per tanto tempo. I militari indiani, che si vantano della propria professionalità, sono stati costretti ad ordinare un'inchiesta imbarazzante.
Lo stillicidio quasi quotidiano delle rivelazioni della polizia ha inoltre fatto arrossire la principale opposizione politica dell'India, il partito nazionalista indù Bharatiya Janata (BJP), in vista del voto nazionale e delle elezioni generali previste per l'inizio dell'anno prossimo. Il BJP ed il suo candidato a primo ministro, Lal Krishna Advani, hanno a lungo accusato il governo guidato dal Partito del Congresso di essere morbido sul terrorismo di matrice musulmana. Tuttavia, il BJP ha rifiutato di richiedere una misura repressiva per i gruppi indù e la settimana scorsa il sig. Advani ha persino criticato la polizia per il modo con cui ha interrogato uno dei presunti membri della cellula, una donna chiamata Sadhvi Pragya Singh Thakur.
Secondo, bisognerebbe chiedersi se questa non sia in realtà una questione interna all'India, e non un “problema globale” come tutti i governi si sono già affrettati (appunto...) ad affermare, per la gioia di “Barrack” Obama che sembra molto ansioso di dimostrare la sua statura di statista. Del resto, della presunta “caccia all'occidentale” di cui s'è fatto un gran parlare, alla resa dei conti non pare esserci traccia: la maggior parte delle vittime sono indiane, e i resoconti dei sopravvissuti parlano di killer che sparavano nel mucchio (e in alcuni casi anche di terroristi “biondi”).
Infine, una considerazione: la strategia globale chiamata “guerra al terrore,” messa in atto dall'amministrazione Bush, abbracciata entusiasticamente da quasi tutti i governi del mondo, e confermata dal neo eletto Obama, si è dimostrata una volta di più assolutamente inutile, quando non dannosa, se lo scopo era di evitare al terrore di irrompere periodicamente nelle nostre vite. Guerre e bombardamenti non hanno reso il mondo più sicuro.
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