Tuesday, November 4, 2008

In morte dell'istruzione

Continua ad “infuriare” la protesta stagionale di studenti ed insegnanti, e continuo a non aver nemmeno la voglia, se pur trovassi la forza, di commentare tali eventi. Sono probabilmente solo gli ultimi spasmi prima del prossimo, definitivo decesso della d/istruzione pubblica, una situazione penosa che sarebbe giusto terminare in fretta con il classico e pietoso colpo di grazia. Preferisco quindi offrire un contributo più costruttivo rispetto alla mera cronaca morbosa di questa lenta agonia, con questo piccolo ma significativo brano del romanzo La macchia umana di Philip Roth, uno dei migliori scrittori contemporanei.

Perché, anche se pare ormai che tutti se ne siano dimenticati, la cultura, le idee, i pensieri, stanno nei libri, e per educarsi, in assenza di altre strutture adeguate, rimane comunque un sistema vecchio ma efficace: aprirli, e leggerli.
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Di Philip Roth


Delphine Roux aveva frainteso le sue occhiate pensando, un po' melodrammaticamente (un peso morto per la sua sagacia, questo impulso, non soltanto di saltare alla melodrammatica conclusione, ma di cedere eroticamente al fascino del melodramma), che volesse solo legarle le mani dietro la schiena: quello che Coleman voleva, per ogni possibile motivo, era non averla tra i piedi. E così lui l'assunse. E così cominciarono subito a non andare affatto d'accordo.

E ora era lei che lo aveva convocato nel suo ufficio per interrogarlo. nel 1995, l'anno in cui aveva lasciato la sua carica per tornare all'insegnamento, a Coleman era parso che il fascino dell'avvolgente sciccheria della piccola e graziosa Delphine, con le sue monellesche allusioni a una sotterranea sensualità,insieme alle lusinghe della sua raffinatezza da normalienne (quella che Coleman descriveva come “la sua continua opera di autopompaggio”), avesse conquistato quasi tutti i più stupidi professori corteggiabili; e Delphine, che non aveva ancora trent'anni (ma che forse mirava alla carica che era stata di Coleman), aveva ottenuto la direzione del piccolo dipartimento che una dozzina di anni prima aveva assorbito, insieme agli altri dipartimenti di lingua, il vecchio dipartimento di lettere classiche dove Coleman aveva iniziato la propria carriera di docente. Nel nuovo dipartimento di lingue e letteratura c'erano undici professori, uno di russo, uno di italiano, uno di spagnolo, uno di tedesco, c'erano Delphine per il francese e Coleman Silk per i classici, e c'erano cinque aggiunti oberati di lavoro,assistenti alle prime armi come pure qualche straniero del posto, che tenevano i corsi elementari.

– Il fraintendimento di queste due tragedie da parte della signorina Mitnick, – stava dicendole Coleman, – si basa su preoccupazioni ideologiche così anguste e limitate che non si presta ad alcuna correzione.
– Lei dunque non smentisce ciò che dice la ragazza: che non ha cercato di aiutarla.
– Una studentessa che mi dice che io le rivolgo la parola in una lingua “sessista” ha scarsissime probabilità di poter essere aiutata da me.
– Allora, – disse con dolcezza Delphine, – c'è un problema, no?
Coleman rise, spontaneamente e con intenzione. – Sì? L'inglese che parlo io manca forse delle sottigliezze indispensabili per uno spirito raffinato come quello della signorina Mitnick?
– Coleman, lei è stato assente dall'aula per moltissimo tempo.
– E lei non ne è mai uscita. Mia cara, –disse lui volutamente, e con un sorriso volutamente irritante, – io ho letto e ho meditato su queste tragedie per tutta la vita.
– Mai, però, dalla prospettiva femminista di Elena.
– E mai dalla prospettiva ebraica di Mosè. Mai, neppure, dalla prospettiva, oggi molto in voga, nietzscheana sulla prospettiva.
– Coleman Silk, unico sul pianeta, non ha altra prospettiva che la prospettiva letteraria totalmente disinteressata.
– Quasi senza eccezione, mia cara, – (ancora? Perché no?) – i nostri studenti sono di un'ignoranza abissale. Sono stati educati incredibilmente male. La loro vita è un deserto intellettuale. Vengono qui senza sapere nulla e se ne vanno, per la maggior parte, senza sapere nulla. Meno di tutto sanno, quando mettono il naso nell'aula dove tengo lezione, come leggere la tragedia classica. Insegnare ad Athena, specie negli anni novanta, insegnare a quella che è di gran lunga la generazione più ottusa nella storia americana, è lo stesso che venire su per Broadway, a Manhattan, parlando da soli, con la differenza che le diciotto persone che ti sentono parlare da solo per la strada sono tutte lì, nell'aula. Non sanno, cioè, voglio dire... niente. Dopo essermi occupato per quasi quarant'anni di studenti come questi – e la signorina Mitnick è un caso tipico – posso dirle che la prospettiva femminista su Euripide è l'ultima cosa di cui hanno bisogno. Fornire alle più ingenue delle lettrici una prospettiva femminista su Euripide è uno dei modi migliori che si potrebbero ideare per farle smettere di pensare prima che abbiano avuto anche solo un'occasione di cominciare a demolire uno solo dei loro stupidi “come dire.” Stento a credere che una donna istruita come lei, con una preparazione accademica francese come la sua, creda che esista una prospettiva femminista su Euripide che non sia una semplice idiozia. Lei è stata veramente edificata in così breve tempo, o questo è solo antiquato carrierismo che oggi affonda le sue radici nella paura delle sue colleghe femministe? Perché se si tratta di semplice carrierismo, per me va benissimo. È umano e lo capisco. Ma se si tratta di un impegno intellettuale nei riguardi di questa idiozia, allora devo dire che sono perplesso, perché lei non è un'idiota. Perché lei la sa lunga. Perché in Francia, di sicuro, nessun professore uscito dall'Ècole Normale si sognerebbe di prendere sul serio queste cose. O no? Leggere due tragedie come Ippolito e Alcesti, seguire una settimana di discussioni in aula per ciascuna, e non avere niente da dire su nessuna delle due all'infuori del fatto che sono “degradanti per le donne” non è una “prospettiva,” per l'amor di Dio... è sciacquarsi la bocca con le parole. È l'ultimo colluttorio lanciato sul mercato.

3 comments:

Giorgio Mattiuzzo said...

Straordinario Roth, uno dei pochi rimasti.

Grazie Paxtibi.

L'agliuto said...

In effetti, Pax, a parte il tutto sommato recente degrado del corpo docente, il cancro è proprio
l'istruzione obbligatoria.
Per imparare a leggere, scrivere e far di conto, bastano pochi mesi (e poi, chi vuole, va avanti con le sue
gambe; in fondo, anche Leopardi era un bricoleur). Per indottrinare un popolo intero occorrono
parecchi anni. In quest'ottica, la morte dell'istruzione è la rinascita dell'intelligenza.
Il mio timore, semmai, è che oggi il potere può fare a meno dell'indottrinamento scolastico perché
quello mediatico (televisivo, giornalistico e - si può dire così? - internettiano) basta e avanza. Che ne
pensi?

Paxtibi said...

Penso che sono complementari, l'opera che si prefiggono di realizzare è imponente, e necessita di entrambi. Ma è vero che, probabilmente, il compito della scuola è ormai compiuto: le nuove generazioni nascono da genitori già perfettamente indottrinati.

Occhio al prossimo post.

Grazie Paxtibi.

Prego. :-)