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Monday, May 26, 2008

Riso alla giapponese

Un recente articolo di Business Week racconta di come il Giappone abbia aiutato ad ammorbidire la crisi globale del riso: è una lettura oltremodo interessante ed educativa, perfetta per illustrare quella cattiva allocazione di beni e risorse tipica dei mercati regolamentati da stati e organismi internazionali che è un punto centrale della critica austriaca all'intervento statale in economia.

La semplice realtà descritta in questo articolo dimostra una volta di più come i tentativi di “governare l'economia globale” non facciano altro che provocare un grave spreco di risorse nel tentativo di raggiungere i suoi obiettivi.

Dopo aver subito il solito coro da tragedia greca su “fine delle risorse” e fallimento dei mercati, possiamo tranquillizzarci: il riso c'è ancora, a tonnellate.
Solo, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Con i prezzi che ora scendono, la crisi globale del riso sembra alleviarsi. Questo in parte grazie ad un annuncio politico di un burocrate giapponese. Il 19 maggio, il ministro delegato all'agricoltura del Giappone, Toshiro Shirasu, ha detto che Tokyo consegnerà parte della sua voluminosa riserva di riso alle Filippine, vendendo “il prima possibile” 50.000 tonnellate e consegnandone altre 200.000 come aiuti alimentari. La prima spedizione potrebbe raggiungere le Filippine entro la fine dell'estate. Shirasu inoltre ha lasciato aperta la possibilità di usare ancora le sue riserve per aiutare altri paesi nel bisogno.

Per capire il ruolo del Giappone nella deflazione del mercato del riso, aiuta visitare i magazzini che circondano la baia di Tokyo. È qui, in costruzioni a temperatura controllata, che il Giappone conserva milioni di sacchi in vinile da 30 chilogrammi di riso che importa ogni anno. Tokyo non ha bisogno del riso dal mondo esterno: i molto sovvenzionati coltivatori del paese producono più che a sufficienza per alimentare i 127 milioni di abitanti del paese. Tuttavia ogni anno dal 1995, Tokyo ha comprato centinaia di migliaia di tonnellate metriche di riso dagli Stati Uniti, dalla Tailandia, dal Vietnam, dalla Cina e dall'Australia.

Uno squilibrio nel riso

Perché il Giappone compra riso di cui non ha bisogno o che non desidera? Per per seguire le regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, che risalgono al 1995 e sono mirate ad aprire il mercato nazionale del riso. Gli Stati Uniti hanno combattuto per anni per debellare il protezionismo giapponese sul riso e convincere Tokyo ad acconsentire ad importarlo dagli Stati Uniti e da altrove è stato per lungo tempo un obiettivo della politica commerciale americana. Ma mentre i giapponesi stanno comprando riso da aziende agricole in Cina e California da più di un decennio, quasi nessuna importazione finisce mai sulle tavole giapponesi. Al contrario il riso importato è spedito come aiuto alimentare nella Corea del Nord, aggiunto alla birra e ai dolci di riso, o mischiato con altri cereali per nutrire maiali e polli. O semplicemente rimane in magazzino per anni. Fino all'ottobre scorso, i magazzini del Giappone contenevano 2,6 milioni di tonnellate di riso eccedente, comprese 1,5 milioni di tonnellate di riso importato, di cui 900.000 tonnellate di riso americano a grana media.

...

Per sfruttare le sue riserve di importazione, Tokyo ha dovuto ottenere l'imprimatur di Washington. Non ci sarebbe riuscito se non per Tom Slayton, un ex funzionario dell'agricoltura degli Stati Uniti e Peter Timmer, un professore aggiunto dell'Università di Stanford, che hanno attirato l'attenzione sulle riserve del Giappone in un rapporto sul sito del Centro per lo Sviluppo Globale (CGD) all'inizio di maggio. Liberando il riso, hanno scritto, “porterebbe i prezzi a scendere immediatamente, evitando la fame, la malnutrizione e l'aumento della mortalità fra la gente povera in Asia.”

Nondimeno, dare al Giappone il benestare non era una decisione facile per Washington. Gli alti prezzi del riso avevano procurato ai coltivatori americani un guadagno inatteso. Soprattutto, gli Stati Uniti avevano una questione più urgente a cui dedicarsi, il preventivo per l'agricoltura da 300 miliardi di dollari che sta facendo il suo percorso attraverso il Congresso. Ma il documento del CGD è circolato a Washington. Due comitati congressuali e un editoriale del Washington Post hanno fatto riferimento al documento ed i funzionari commerciali degli Stati Uniti hanno presto contattato i giapponesi.

Tuesday, September 25, 2007

Doh...a!

Il ciclo di colloqui di Doha sul commercio mondiale organizzato dal WTO avrebbe dovuto essere la “soluzione finale” per le nazioni del mondo più povere, ma dopo quasi sei anni i progressi sono stati minimi. Ma... sorpresa! Il segretario generale del Commonwealth Don McKinnon ha svelato il mistero della povertà: sono le sovvenzioni agli agricoltori europei a mantenere milioni di persone intrappolate nella povertà nel terzo mondo. Ha aggiunto che Europa e Stati Uniti hanno molte responsabilità:
“Se un leader africano decidesse di produrre televisori a cinque volte il prezzo mondiale, tutto il pianeta riderebbe di lui, tuttavia i prodotti agricoli possono essere prodotti in Europa a cinque volte il prezzo mondiale e nessuno dice che è un problema reale.”
Ma come, ma cosa sta dicendo!? È la mano dello stato che regola il mercato e corregge gli errori, altrimenti sarebbe la jungla!
“Se eliminate le sovvenzioni agricole in Europa e negli Stati Uniti, libererete 160 milioni di persone da povertà, domani. Se la gente in Europa è davvero preoccupata per i rifugiati economici, bene, meglio che continui a preoccuparsi, perché finchè mantiene quei paesi nella povertà con le sue sovvenzioni, continuerà a ottenere rifugiati economici”
Sorvoliamo sul tono vagamente minaccioso di quest'ultima frase, e chiediamoci: ma erano davvero necessari sei anni per rendersene conto? Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, ma superato il primo momento di shock e d'entusiasmo una riflessione è d'obbligo: mettiamo il caso che l'Europa smetta di sovvenzionare la sua agricoltura (magari cominciando dal biofuel), salvando milioni di persone dalla povertà nei paesi in via di sviluppo e limitando così il problema dell'immigrazione; cosa ne sarà degli agricoltori europei privati delle sovvenzioni, senza neanche più le braccia a buon mercato degli emigranti, e con un costo della vita enormemente superiore?

Un bel casino: da una parte non si riesce più a nascondere qual è il vero problema dell'economia mondiale, dall'altra si vuole continuare a pianificare, a botte di miliardi di euro, nonostante il risultato sia sempre, regolarmente, la fame e la miseria per qualcuno. In altre parole, i pianificatori si riuniscono periodicamente e discutono per anni solo per giungere alla conclusione che il problema sono loro. Però il prezzo della loro follia lo pagano milioni di poveri diavoli, che muoiono di fame a turno.

Chissà, forse le nuove generazioni europee finiranno per fornire le loro braccia per il raccolto di banane da qualche parte vicino all'Equatore. Che mondo meraviglioso!