Tuesday, November 11, 2008

Egalitarismo, rivolta contro la natura #2

Di Murray N. Rothbard

P
rocediamo, quindi, ad una critica dell'ideale egalitario in sé – è giusto che all'uguaglianza venga assegnato il suo attuale status di ideale etico indiscusso? In primo luogo, dobbiamo confrontarci con l'idea stessa di una separazione radicale fra qualcosa che sia “vera in teoria” ma “non valida in pratica.” Se una teoria è corretta, allora in pratica funziona; se non funziona in pratica, allora è una teoria sbagliata. La separazione comune fra la teoria e la pratica è artificiale e fallace. Ma questo è vero nell'etica così come in qualsiasi altra cosa. Se un ideale etico è inerentemente “non pratico,” cioè se non può funzionare nella pratica, allora è un mediocre ideale e dovrebbe essere scartato immediatamente. Per dirlo più precisamente, se un obiettivo etico viola la natura dell'uomo e/o dell'universo e, pertanto, non può funzionare nella pratica, allora è un ideale sbagliato e dovrebbe essere scartato come obiettivo. Se l'obiettivo in sé viola la natura dell'uomo, allora è anche un'idea sbagliata lavorare in direzione di quell'obiettivo.

Supponiamo, per esempio, che venga adottato come obiettivo etico universale che tutti gli uomini possano volare sbattendo le braccia. Ammettiamo che ai “pro-volo” siano state generalmente concesse la bellezza e la qualità del loro obiettivo, ma siano stati criticati come “non pratici.” Ma il risultato è un'infinita miseria sociale poiché la società prova continuamente a muoversi verso il volo a braccia, ed i predicatori dello sbattimento di braccia rovinano la vita di tutti accusandoli di essere troppo negligenti o peccatori per raggiungere l'ideale comune. La critica adeguata qui è di sfidare l'obiettivo “ideale” in sé; precisare che l'obiettivo in sé è impossibile in considerazione della natura fisica dell'uomo e dell'universo; e, pertanto, liberare l'umanità dal suo asservimento ad un obiettivo inerentemente impossibile e conseguentemente malvagio.

Ma questa liberazione potrebbe non accadere mai finché gli anti-volo a braccia continueranno a stare solamente nel regno del “pratico” e a concedere l'etica e l'“idealismo” agli alti sacerdoti del volo a braccia. La sfida deve aver luogo al centro – nella presunta superiorità etica di un obiettivo assurdo. Lo stesso, sostengo, è vero per l'ideale egalitario, salvo che le sue conseguenze sociali sono molto più perniciose di una ricerca infinita per il volo umano senza aiuto. Perché la condizione dell'uguaglianza potrebbe danneggiare molto di più l'umanità.

Che cos'è, infatti, l'“uguaglianza”? Il termine è stato molto invocato ma poco analizzato. A e B sono “uguali” se sono identici tra loro rispetto a un dato attributo. Quindi, se Smith e Jones sono alti entrambi esattamente un metro e sessanta, allora si può dire che sono di altezza “uguale.” Se due bastoni sono identici in lunghezza, allora le loro lunghezze sono “uguali,” ecc. C'è un modo e uno soltanto, quindi, in cui due persone qualsiasi possono davvero essere “uguali” nel senso più completo: devono essere identiche in tutti i loro attributi. Questo significa, naturalmente, che l'uguaglianza di tutti gli uomini – l'ideale egalitario – può essere realizzato soltanto se tutti gli uomini sono precisamente uniformi, precisamente identici riguardo a tutti i loro attributi. Il mondo egalitario sarebbe necessariamente un mondo da film dell'orrore – un mondo di creature anonime ed identiche, privo di qualsiasi individualità, varietà, o creatività particolare.

Effettivamente, è precisamente nella fiction dell'orrore che le implicazioni logiche di un mondo egalitario sono state compiutamente descritte. Il professor Schoeck ha riesumato per noi il dipinto di un simile mondo nel racconto distopico britannico Facial Justice di L.P. Hartley, in cui l'invidia è istituzionalizzata dallo Stato assicurando che i volti di tutte le ragazze siano ugualmente graziosi, eseguendo operazioni chirurgiche sia sulle ragazze belle che su quelle brutte per livellare le loro fattezze verso l'alto o verso il basso al comune denominatore generale. [5]

Un racconto di Kurt Vonnegut fornisce una descrizione ancor più completa di una società completamente egalitaria. Così, Vonnegut comincia la sua storia, “Harrison Bergeron”:
L'anno era il 2081 ed tutti erano infine uguali. Non erano uguali soltanto davanti a dio ed alla legge. Erano uguali in ogni senso. Nessuno era più intelligente degli altri. Nessuno era più bello degli altri. Nessuno era più forte o più veloce degli altri. Tutta questa uguaglianza era dovuta agli Emendamenti alla Costituzione 211, 212 e 213 ed alla vigilanza incessante degli agenti dell'Handicappatore Generale degli Stati Uniti.
L'“handicappatura" funzionava in parte come segue:
Hazel aveva un'intelligenza perfettamente media, il che significa che non poteva pensare a qualcosa tranne in brevi lampi. E George, dato che la sua intelligenza era parecchio sopra la norma, aveva una piccola radio per handicap mentale nel suo orecchio. Era tenuto per legge a portarla sempre. Era sintonizzata ad un trasmettitore del governo. Ogni circa venti secondi, il trasmettitore trasmetteva un qualche rumore acuto per impedire alle persone come George di trarre ingiusto vantaggio dal loro cervello. [6]
L'orrore che tutti proviamo istintivamente con queste storie è il riconoscimento intuitivo che gli uomini non sono uniformi, che la specie, l'umanità, è unicamente caratterizzata da un alto livello di varietà, diversità, differenziazione: in breve, diseguaglianza. Una società egalitaria può soltanto sperare di realizzare i suoi obiettivi con metodi totalitari di coercizione; e, persino qui, tutti crediamo e speriamo che lo spirito umano dell'individuo si solleverebbe e contrasterebbe qualsiasi tentativo di realizzare un mondo formicaio. In breve, la rappresentazione di una società egalitaria è fiction dell'orrore perché, quando le implicazioni di un mondo simile sono espresse completamente, riconosciamo che un tale mondo e tali tentativi sono profondamente antiumani; essendo antiumani nel senso più profondo, l'obiettivo egalitario è, quindi, malvagio ed ogni tentativo nella direzione di un simile obiettivo devono essere considerati anch'essi malvagi.
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Note

[5] Helmut Schoeck, Envy (New York: Harcourt, Brace, and World, 1970), pp. 149–55.
[6] Kurt Vonnegut, Jr., “Harrison Bergeron,” in Welcome to the Monkey House (New York: Dell, 1970), p. 7.
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