In un tempo in cui i fantasmi del passato sembrano passeggiare ghignanti tra di noi, tragiche vittime di miserie passate riportate in vita dai maghi dell'intervento governativo, è buona cosa ricordare l'unica esauriente teoria del ciclo economico, completa della spiegazione della depressione e di come venirne fuori con il minimo danno possibile: la teoria di Mises. Purtroppo, i governi sembrano ben decisi, sostenuti dalla solita corte dei miracoli di “esperti” economisti ed accademici, a fare tutto il contrario di ciò che Mises suggeriva con fermezza, cosicché possiamo considerare il nostro futuro segnato ed è bene perlomeno che ce ne rendiamo conto il prima possibile.
Questo saggio di Rothbard, pubblicato in origine come mini-libro, è forse il più sintetico e, insieme, completo, riassunto della teoria del ciclo misesiana.
L'ho diviso in tre parti.
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Depressioni economiche: la causa e la cura
Di Murray N. Rothbard
Viviamo in un mondo di eufemismi. I becchini sono diventati “impresari di pompe funebri,” gli agenti di stampa sono ora “consiglieri di pubbliche relazioni” ed i portieri sono stati tutti trasformati in “soprintendenti.” In ogni settore, i semplici fatti sono stati avvolti in nebulosi travestimenti.
Non di meno è stato così per l'economia. Ai vecchi tempi, eravamo abituati a soffrire crisi economiche quasi periodiche, l'inizio improvviso delle quali era chiamato “panico,” ed il prolungato periodo depresso dopo il panico era chiamato “depressione.”
La depressione più famosa nei tempi moderni, naturalmente, è stata quella che cominciò con un tipico panico finanziario nel 1929 e durò fino all'avvento della Seconda Guerra Mondiale. Dopo il disastro del 1929, gli economisti ed i politici decisero che questo non doveva accadere mai più. Il modo più facile per riuscire in questa risoluzione era, semplicemente, di eliminare le “depressioni” dall'esistenza. Da quel punto in avanti, l'America non avrebbe sofferto ulteriori depressioni. Perché quando la prossima dura depressione arrivò, nel 1937-38, gli economisti si rifiutarono semplicemente di usare il terribile nome, e fornirono una nuova, molto più morbida parola: “recessione.” Da lì in poi, siamo passati per parecchie recessioni, ma non una sola depressione.
Ma abbastanza presto la parola “recessione” è anch'essa diventata troppo dura per la fragile sensibilità del pubblico americano. Ora sembra che abbiamo avuto nostra ultima recessione nel 1957-58. Perché da allora, abbiamo avuto soltanto “cali,” o, ancora meglio, “rallentamenti,” o “spostamenti laterali.” Così siate sereni; d'ora in poi, le depressioni e perfino le recessioni sono state proscritte dalla volontà semantica degli economisti; d'ora in poi, il peggio che ci possa mai capitare sono dei “rallentamenti.” Tali sono le meraviglie della “Nuova Economia.”
Per 30 anni, gli economisti della nostra nazione hanno adottato la visione del ciclo economico tenuta dal tardo economista britannico, John Maynard Keynes, che creò l'Economia Keynesiana, o “Nuova Economia,” nel suo libro, la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, pubblicato nel 1936. Sotto i loro diagrammi, la matematica e il gergo disordinato, l'atteggiamento dei keynesiani verso l'espansione e la correzione è di pura semplicità, persino di naivete. Se c'è inflazione, allora la causa si suppone sia la “spesa eccessiva” da parte del pubblico; la cura presunta è che il governo, l'autonominato stabilizzatore e regolatore dell'economia della nazione, imponga alla gente di spendere di meno, “assorbendo il loro eccesso di potere d'acquisto” con l'aumento delle tasse. Se c'è una recessione, d'altro canto, questa è stato causata da insufficienti spese private e la cura adesso è che il governo aumenti la propria spesa, preferibilmente con i deficit, aggiungendola quindi al flusso aggregato di spesa della nazione.
L'idea che l'aumento della spesa pubblica o i soldi facili sia un “bene per gli affari” e che i tagli di bilancio o i soldi più difficili siano un “male” pervade persino i giornali e le riviste più conservatori. Queste pubblicazioni inoltre prenderanno per certo che sia un sacro dovere del governo federale dirigere il sistema economico sulla stretta strada fra gli abissi della depressione da un lato e dell'inflazione dall'altro, dato che l'economia di mercato si presume che tenda sempre a soccombere ad uno di questi mali.
Tutte le attuali scuole di economia hanno la stessa attitudine. Notate, per esempio, il punto di vista del dott. Paul W. McCracken, il prossimo presidente del Consiglio dei Consulenti Economici del presidente Nixon. In un'intervista al New York Times subito dopo aver assunto la carica [il 24 gennaio 1969], il dott. McCracken ha asserito che uno dei principali problemi economici che la nuova amministrazione deve affrontare è “come raffreddare questa economia inflazionistica senza allo stesso tempo provocare inaccettabili livelli di disoccupazione. In altre parole, se l'unica cosa che vogliamo fare è raffreddare l'inflazione, questo potrebbe essere fatto. Ma le nostre tolleranze sociali sulla disoccupazione sono ristrette.” E ancora: “Penso che qui noi dobbiamo trovare la nostra strada. Noi non abbiamo realmente molta esperienza nel provare a raffreddare un'economia in modo ordinato. Abbiamo pestato sui freni nel 1957, ma, naturalmente, abbiamo ottenuto un allentamento sostanziale nell'economia.”
Notate l'attitudine fondamentale del Dott. McCracken verso l'economia: notevole solo in quanto condivisa da quasi tutti gli economisti di oggi. L'economia è trattata come un paziente potenzialmente guaribile, ma sempre problematico e recalcitrante, con una tendenza continua ad ricadere in maggiore inflazione o disoccupazione. La funzione del governo è di essere il vecchio, saggio manager e medico, sempre vigile, sempre al lavoro per mantenere il paziente economico in buone condizioni. Comunque, qui il paziente economico si suppone chiaramente essere l'oggetto, ed il governo come “medico” il padrone.
Era non molto tempo fa che questo genere di atteggiamento e di politica veniva chiamato “socialismo”; ma viviamo in un mondo di eufemismi, ed ora utilizziamo etichette di gran lunga meno dure, come “moderazione” o “libera impresa illuminata.” Viviamo ed impariamo.
Quali sono, dunque, le cause delle depressioni periodiche? Dobbiamo rimanere sempre agnostici circa le cause delle espansioni e delle contrazioni? È realmente vero che i cicli economici sono radicati in profondità all'interno dell'economia di mercato e che quindi una qualche forma di pianificazione di governo è necessaria se desideriamo mantenere l'economia all'interno di un certo genere di limiti stabili? Le espansioni e delle contrazioni semplicemente accadono, o una fase del ciclo scorre logicamente dall'altra?
L'atteggiamento che attualmente va di moda nei confronti dei del ciclo economico risale, in realtà, a Karl Marx. Marx vide che, prima della Rivoluzione Industriale di circa il tardo XVIII secolo, non c'erano state espansioni e contrazioni regolarmente ricorrenti. Ci sarebbe stata una crisi economica improvvisa ogni volta che un certo re avesse fatto una guerra o confiscato la proprietà dei suoi sudditi; ma non c'era segno dei peculiari fenomeni moderni delle oscillazioni generali e ragionevolmente regolari nelle fortune negli affari, delle espansioni e delle contrazioni. Poiché questi cicli sono inoltre comparsi sulla scena quasi nello stesso momento dell'industria moderna, Marx concluse che i cicli economici erano una caratteristica inerente dell'economia di mercato capitalista. Tutte le varie scuole correnti di pensiero economico, a prescindere dalle loro altre differenze ed alle differenti cause che attribuiscono al ciclo, concordano su questo punto vitale: che questi cicli economici nascono in qualche luogo in profondità all'interno dell'economia di mercato. La colpa è dell'economia di mercato. Karl Marx credeva che le depressioni periodiche sarebbero diventate sempre peggiori, fino a muovere le masse alla rivolta e alla distruzione del sistema, mentre gli economisti moderni credono che il governo possa stabilizzare con successo le depressioni ed il ciclo. Ma tutti le parti sono d'accordo che il difetto si trova in profondità all'interno dell'economia di mercato e che se c'è qualcosa che può salvare la situazione, dev'essere una qualche forma di massiccio intervento del governo.
Ci sono, tuttavia, alcuni problemi critici nell'assunto che l'economia di mercato sia la colpevole. Perché la “teoria economica generale” ci insegna che la domanda e l'offerta tendono sempre ad essere in equilibrio nel mercato e che quindi i prezzi dei prodotti così come i fattori che contribuiscono alla produzione tendono sempre verso un certo punto di equilibrio. Anche se delle variazioni dei dati, che avvengono continuamente, impediscono sempre che l'equilibrio venga raggiunto, non c'è niente nella teoria generale del sistema di mercato che giustifica delle fasi regolari e ricorrenti di espansione e contrazione del ciclo economico. Gli economisti moderni “risolvono” questo problema semplicemente mantenendo la loro teoria generale del mercato e dei prezzi e la loro teoria del ciclo economico in compartimenti separati e sigillati, con i due che non si riuniscono mai, ancor meno si integrano a vicenda. Gli economisti, purtroppo, hanno dimenticato che c'è soltanto un'economia e quindi soltanto una teoria economica integrata. Nè la vita economica nè la struttura della teoria può o dovrebbe essere in compartimenti stagni; la nostra conoscenza dell'economia o è un intero integrato o non è. Tuttavia la maggior parte degli economisti sono soddisfatti di applicare teorie per l'analisi generale dei prezzi e per i cicli economici completamente separate e, effettivamente, reciprocamente esclusive. Non possono essere veri scienziati economici finché che sono soddisfatti di continuare a lavorare in questo modo primitivo.
Ma ci sono problemi ancora più gravi con il metodo attualmente alla moda. Gli economisti inoltre non vedono un problema particolarmente critico perché non si preoccupano di quadrare le loro teorie del ciclo economico e dei prezzi generali: il fallimento peculiare della funzione imprenditoriale in tempi di crisi economica e depressione. Nell'economia di mercato, una delle funzioni più vitali dell'uomo d'affari è di essere un “imprenditore,” un uomo che investe nei metodi produttivi, che compra attrezzature e assume forza lavoro per produrre qualcosa che non è sicuro che gli procurerà un ritorno. In breve, la funzione imprenditoriale è la funzione di previsione del futuro incerto. Prima di intraprendere qualsiasi investimento o linea di produzione, l'imprenditore, o “impresario,” deve valutare i costi futuri e presenti e i redditi futuri e quindi valutare se e quanto profitto guadagnerà dall'investimento. Se prevede bene e significativamente meglio dei suoi concorrenti in affari, otterrà dei profitti dal suo investimento. Migliori le sue previsioni, più alti i profitti che guadagnerà. Se, d'altro canto, è un cattivo pronosticatore e sopravvaluta la richiesta del suo prodotto, soffrirà delle perdite ed abbastanza presto sarà spinto fuori dal commercio.
L'economia di mercato, allora, è un'economia di profitti e di perdite, in cui l'acume e l'abilità degli imprenditori di affari sono misurate dai profitti e dalle perdite che raccolgono. L'economia di mercato, inoltre, contiene un meccanismo incorporato, un genere di selezione naturale, che assicura la sopravvivenza e la prosperità del migliore nelle previsioni economiche e la raschiatura dei peggiori. Perché maggiori sono i profitti raccolti dai migliori pronosticatori, maggiori diventano le loro responsabilità negli affari, e più avranno a disposizione da investire nel sistema produttivo. Dall'altro lato, alcuni anni di perdite subite spingeranno i pronosticatori e gli imprenditori peggiori fuori dagli affari e li spingeranno nella truppa degli impiegati stipendiati.
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Link alla seconda parte.
Link alla terza parte.
Questo saggio di Rothbard, pubblicato in origine come mini-libro, è forse il più sintetico e, insieme, completo, riassunto della teoria del ciclo misesiana.
L'ho diviso in tre parti.
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Depressioni economiche: la causa e la cura
Di Murray N. Rothbard
Viviamo in un mondo di eufemismi. I becchini sono diventati “impresari di pompe funebri,” gli agenti di stampa sono ora “consiglieri di pubbliche relazioni” ed i portieri sono stati tutti trasformati in “soprintendenti.” In ogni settore, i semplici fatti sono stati avvolti in nebulosi travestimenti.
Non di meno è stato così per l'economia. Ai vecchi tempi, eravamo abituati a soffrire crisi economiche quasi periodiche, l'inizio improvviso delle quali era chiamato “panico,” ed il prolungato periodo depresso dopo il panico era chiamato “depressione.”
La depressione più famosa nei tempi moderni, naturalmente, è stata quella che cominciò con un tipico panico finanziario nel 1929 e durò fino all'avvento della Seconda Guerra Mondiale. Dopo il disastro del 1929, gli economisti ed i politici decisero che questo non doveva accadere mai più. Il modo più facile per riuscire in questa risoluzione era, semplicemente, di eliminare le “depressioni” dall'esistenza. Da quel punto in avanti, l'America non avrebbe sofferto ulteriori depressioni. Perché quando la prossima dura depressione arrivò, nel 1937-38, gli economisti si rifiutarono semplicemente di usare il terribile nome, e fornirono una nuova, molto più morbida parola: “recessione.” Da lì in poi, siamo passati per parecchie recessioni, ma non una sola depressione.
Ma abbastanza presto la parola “recessione” è anch'essa diventata troppo dura per la fragile sensibilità del pubblico americano. Ora sembra che abbiamo avuto nostra ultima recessione nel 1957-58. Perché da allora, abbiamo avuto soltanto “cali,” o, ancora meglio, “rallentamenti,” o “spostamenti laterali.” Così siate sereni; d'ora in poi, le depressioni e perfino le recessioni sono state proscritte dalla volontà semantica degli economisti; d'ora in poi, il peggio che ci possa mai capitare sono dei “rallentamenti.” Tali sono le meraviglie della “Nuova Economia.”
Per 30 anni, gli economisti della nostra nazione hanno adottato la visione del ciclo economico tenuta dal tardo economista britannico, John Maynard Keynes, che creò l'Economia Keynesiana, o “Nuova Economia,” nel suo libro, la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, pubblicato nel 1936. Sotto i loro diagrammi, la matematica e il gergo disordinato, l'atteggiamento dei keynesiani verso l'espansione e la correzione è di pura semplicità, persino di naivete. Se c'è inflazione, allora la causa si suppone sia la “spesa eccessiva” da parte del pubblico; la cura presunta è che il governo, l'autonominato stabilizzatore e regolatore dell'economia della nazione, imponga alla gente di spendere di meno, “assorbendo il loro eccesso di potere d'acquisto” con l'aumento delle tasse. Se c'è una recessione, d'altro canto, questa è stato causata da insufficienti spese private e la cura adesso è che il governo aumenti la propria spesa, preferibilmente con i deficit, aggiungendola quindi al flusso aggregato di spesa della nazione.
L'idea che l'aumento della spesa pubblica o i soldi facili sia un “bene per gli affari” e che i tagli di bilancio o i soldi più difficili siano un “male” pervade persino i giornali e le riviste più conservatori. Queste pubblicazioni inoltre prenderanno per certo che sia un sacro dovere del governo federale dirigere il sistema economico sulla stretta strada fra gli abissi della depressione da un lato e dell'inflazione dall'altro, dato che l'economia di mercato si presume che tenda sempre a soccombere ad uno di questi mali.
Tutte le attuali scuole di economia hanno la stessa attitudine. Notate, per esempio, il punto di vista del dott. Paul W. McCracken, il prossimo presidente del Consiglio dei Consulenti Economici del presidente Nixon. In un'intervista al New York Times subito dopo aver assunto la carica [il 24 gennaio 1969], il dott. McCracken ha asserito che uno dei principali problemi economici che la nuova amministrazione deve affrontare è “come raffreddare questa economia inflazionistica senza allo stesso tempo provocare inaccettabili livelli di disoccupazione. In altre parole, se l'unica cosa che vogliamo fare è raffreddare l'inflazione, questo potrebbe essere fatto. Ma le nostre tolleranze sociali sulla disoccupazione sono ristrette.” E ancora: “Penso che qui noi dobbiamo trovare la nostra strada. Noi non abbiamo realmente molta esperienza nel provare a raffreddare un'economia in modo ordinato. Abbiamo pestato sui freni nel 1957, ma, naturalmente, abbiamo ottenuto un allentamento sostanziale nell'economia.”
Notate l'attitudine fondamentale del Dott. McCracken verso l'economia: notevole solo in quanto condivisa da quasi tutti gli economisti di oggi. L'economia è trattata come un paziente potenzialmente guaribile, ma sempre problematico e recalcitrante, con una tendenza continua ad ricadere in maggiore inflazione o disoccupazione. La funzione del governo è di essere il vecchio, saggio manager e medico, sempre vigile, sempre al lavoro per mantenere il paziente economico in buone condizioni. Comunque, qui il paziente economico si suppone chiaramente essere l'oggetto, ed il governo come “medico” il padrone.
Era non molto tempo fa che questo genere di atteggiamento e di politica veniva chiamato “socialismo”; ma viviamo in un mondo di eufemismi, ed ora utilizziamo etichette di gran lunga meno dure, come “moderazione” o “libera impresa illuminata.” Viviamo ed impariamo.
Quali sono, dunque, le cause delle depressioni periodiche? Dobbiamo rimanere sempre agnostici circa le cause delle espansioni e delle contrazioni? È realmente vero che i cicli economici sono radicati in profondità all'interno dell'economia di mercato e che quindi una qualche forma di pianificazione di governo è necessaria se desideriamo mantenere l'economia all'interno di un certo genere di limiti stabili? Le espansioni e delle contrazioni semplicemente accadono, o una fase del ciclo scorre logicamente dall'altra?
L'atteggiamento che attualmente va di moda nei confronti dei del ciclo economico risale, in realtà, a Karl Marx. Marx vide che, prima della Rivoluzione Industriale di circa il tardo XVIII secolo, non c'erano state espansioni e contrazioni regolarmente ricorrenti. Ci sarebbe stata una crisi economica improvvisa ogni volta che un certo re avesse fatto una guerra o confiscato la proprietà dei suoi sudditi; ma non c'era segno dei peculiari fenomeni moderni delle oscillazioni generali e ragionevolmente regolari nelle fortune negli affari, delle espansioni e delle contrazioni. Poiché questi cicli sono inoltre comparsi sulla scena quasi nello stesso momento dell'industria moderna, Marx concluse che i cicli economici erano una caratteristica inerente dell'economia di mercato capitalista. Tutte le varie scuole correnti di pensiero economico, a prescindere dalle loro altre differenze ed alle differenti cause che attribuiscono al ciclo, concordano su questo punto vitale: che questi cicli economici nascono in qualche luogo in profondità all'interno dell'economia di mercato. La colpa è dell'economia di mercato. Karl Marx credeva che le depressioni periodiche sarebbero diventate sempre peggiori, fino a muovere le masse alla rivolta e alla distruzione del sistema, mentre gli economisti moderni credono che il governo possa stabilizzare con successo le depressioni ed il ciclo. Ma tutti le parti sono d'accordo che il difetto si trova in profondità all'interno dell'economia di mercato e che se c'è qualcosa che può salvare la situazione, dev'essere una qualche forma di massiccio intervento del governo.
Ci sono, tuttavia, alcuni problemi critici nell'assunto che l'economia di mercato sia la colpevole. Perché la “teoria economica generale” ci insegna che la domanda e l'offerta tendono sempre ad essere in equilibrio nel mercato e che quindi i prezzi dei prodotti così come i fattori che contribuiscono alla produzione tendono sempre verso un certo punto di equilibrio. Anche se delle variazioni dei dati, che avvengono continuamente, impediscono sempre che l'equilibrio venga raggiunto, non c'è niente nella teoria generale del sistema di mercato che giustifica delle fasi regolari e ricorrenti di espansione e contrazione del ciclo economico. Gli economisti moderni “risolvono” questo problema semplicemente mantenendo la loro teoria generale del mercato e dei prezzi e la loro teoria del ciclo economico in compartimenti separati e sigillati, con i due che non si riuniscono mai, ancor meno si integrano a vicenda. Gli economisti, purtroppo, hanno dimenticato che c'è soltanto un'economia e quindi soltanto una teoria economica integrata. Nè la vita economica nè la struttura della teoria può o dovrebbe essere in compartimenti stagni; la nostra conoscenza dell'economia o è un intero integrato o non è. Tuttavia la maggior parte degli economisti sono soddisfatti di applicare teorie per l'analisi generale dei prezzi e per i cicli economici completamente separate e, effettivamente, reciprocamente esclusive. Non possono essere veri scienziati economici finché che sono soddisfatti di continuare a lavorare in questo modo primitivo.
Ma ci sono problemi ancora più gravi con il metodo attualmente alla moda. Gli economisti inoltre non vedono un problema particolarmente critico perché non si preoccupano di quadrare le loro teorie del ciclo economico e dei prezzi generali: il fallimento peculiare della funzione imprenditoriale in tempi di crisi economica e depressione. Nell'economia di mercato, una delle funzioni più vitali dell'uomo d'affari è di essere un “imprenditore,” un uomo che investe nei metodi produttivi, che compra attrezzature e assume forza lavoro per produrre qualcosa che non è sicuro che gli procurerà un ritorno. In breve, la funzione imprenditoriale è la funzione di previsione del futuro incerto. Prima di intraprendere qualsiasi investimento o linea di produzione, l'imprenditore, o “impresario,” deve valutare i costi futuri e presenti e i redditi futuri e quindi valutare se e quanto profitto guadagnerà dall'investimento. Se prevede bene e significativamente meglio dei suoi concorrenti in affari, otterrà dei profitti dal suo investimento. Migliori le sue previsioni, più alti i profitti che guadagnerà. Se, d'altro canto, è un cattivo pronosticatore e sopravvaluta la richiesta del suo prodotto, soffrirà delle perdite ed abbastanza presto sarà spinto fuori dal commercio.
L'economia di mercato, allora, è un'economia di profitti e di perdite, in cui l'acume e l'abilità degli imprenditori di affari sono misurate dai profitti e dalle perdite che raccolgono. L'economia di mercato, inoltre, contiene un meccanismo incorporato, un genere di selezione naturale, che assicura la sopravvivenza e la prosperità del migliore nelle previsioni economiche e la raschiatura dei peggiori. Perché maggiori sono i profitti raccolti dai migliori pronosticatori, maggiori diventano le loro responsabilità negli affari, e più avranno a disposizione da investire nel sistema produttivo. Dall'altro lato, alcuni anni di perdite subite spingeranno i pronosticatori e gli imprenditori peggiori fuori dagli affari e li spingeranno nella truppa degli impiegati stipendiati.
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