Tuesday, June 3, 2008

Il Grande Crimine

Hunt Tooley insegna storia all'Austin College, ed è l'autore di “The Hindenburg Program of 1916: A Central Experiment in Wartime Planning” (pdf). In questo breve saggio analizza uno dei prezzi più cari che l'umanità ha dovuto pagare per la Prima Guerra Mondiale, ovvero il passaggio della vita e della proprietà privata dalle mani dell'individuo a quelle dello stato.

Un prezzo che continuiamo a pagare ancora oggi, e che spiega almeno in parte, se non del tutto, il motivo per cui i governi sono sempre così prolifici nella produzione di giustificazioni per la guerra.
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I costi della Grande Guerra: la nazionalizzazione della vita privata

Di T. Hunt Tooley


I costi della Grande Guerra furono davvero astronomici. Come per il numero delle stelle, la contabilità finale è nelle mani di Dio. I massacri, il patrimonio, la fede in una certa specie di ordine della società: tutti questi sono stati costi della guerra. Come suggerì Wilfred Owen nella sua terribile poesia “Strange Meeting,” la cultura europea sembrava terribilmente determinata a migrare dal progresso verso qualcosa che lo storico letterario Paul Fussell più tardi chiamò il mondo dei trogloditi: una specie di visione hobbesiana, si potrebbe dire, dipinta con penna ed inchiostro da Otto Dix. [1] Un grande costo, davvero.

Tuttavia questo saggio ha meno a che fare con i numeri di vite finite rispetto a ciò che pertiene le vite alterate, o piuttosto, i cambiamenti nella condizione della vita privata dell'individuo moderno, della famiglia moderna, della comunità moderna. Questo saggio riguarda la proprietà privata, l'autonomia dell'individuo e la tendenza disastrosa dello stato, accelerata dalla Prima Guerra Mondiale, a rivendicare il diritto di prendere a piacere qualsiasi cosa si trovi all'interno del suo territorio.

Un tema secondario è che questo grande cambiamento nella vita privata era già in maturazione prima del 1914. L'agente reale del cambiamento non fu la guerra, ma lo stato ed i suoi appoggi e servi. Tuttavia la guerra come acceleratore del cambiamento fu dannosa a sufficienza. I leader politici ed intellettuali in tutti i paesi accolsero con favore la guerra per i cambiamenti collettivisti che avrebbe inevitabilmente portato. Negli Stati Uniti, una delle figure più importanti ad accogliere favorevolmente la guerra fu John Dewey, un vero dio nel pantheon della nostra moderna religione civile. Dewey vedeva la guerra, giustamente, come l'acceleratore della incombente società industriale: una società positivista gestita, che considerava come la democrazia stessa. (Più su questo sotto.)

Mere statistiche

Le mere statistiche non raccontano l'intera storia, ma possono cominciare a mostrarne i contorni. Cinquanta milioni di uomini in tutto il mondo furono mobilitati per il servizio militare in guerra. Poco più di un quinto di essi morì. [2] Le morti civili sono più difficili da calcolare, ma molti milioni morirono d'inedia (come nel caso della Germania, dove morì per malnutrizione un numero di civili fra il mezzo milione e 700.000), per omicidio di massa intenzionale, ed emigrazione forzata, mentre altri furono uccisi per rappresaglia o come spie, casualmente da fuoco amico o nemico, o vittime della violenza intenzionale di singoli soldati (amici o nemici), ecc. [3]

Oltre alla sua capacità di trasformare individui vivi in individui morti, durante la Prima Guerra Mondiale, lo stato riuscì anche ad inquinare, sconvolgere e distruggere gli ecosistemi delle campagne e delle città in Europa ed altrove – ecosistemi che si erano formati in millenni. L'area di distruzione lungo il Fronte Occidentale è, naturalmente, l'esempio più notevole. Ogni città o paese all'interno di quest'area venne danneggiata; un gran numero è scomparso. Alcune città sopravvissero soltanto come associazioni di raccolta per organizzare riunioni ufficiali degli ex residenti – riunioni tenute necessariamente altrove, poiché nei siti delle città la terra stessa era stata alterata fisicamente, inquinata e disseminata di esplosivi attivi. Effettivamente, le innaturali quantità di materiale organico in decomposizione ed un'enorme distribuzione di prodotti chimici tossici (metalli pesanti compresi), con la rottura semi-totale delle reti fognarie naturali ed artificiali nella maggior parte delle zone, hanno significato che alcuni di quei luoghi sono stati semplicemente irrecuperabili per gli ultimi novant'anni – e per quanto ancora in futuro possiamo soltanto immaginarlo. [4] Delle vite sono state ancora – negli ultimi anni – perdute o minacciate da questi esplosivi e da altri pericoli rimasti indietro. [5]

Su altri fronti, la distruzione tese ad essere meno intensa. Ma ancora, città dopo città furono bombardate e bruciate lungo tutta l'Europa centrale e sud-orientale, così come altrove. All'inizio della Prima Guerra Mondiale, le armate russe “ripulirono” le aree vicino al fronte di milioni di ebrei, tedeschi ed altre persone considerate probabilmente bendisposte verso l'esercito tedesco. Molte centinaia di migliaia morirono nel procedimento. [6] E ci fu il massacro turco degli armeni, degli assiri e dei greci quasi contemporaneamente. In effetti, questi casi di pulizia e omicidi etnici aprirono ancora un altro vaso di Pandora che trasformò la “tecnica” dell'emigrazione forzata violenta in uno dei motivi principali del mondo del ventesimo secolo.

Dovremmo anche pensare ai risultati a lungo termine: la miseria causata da queste morti e dalla brutalità, le vite produttive che il mondo ha perso, il lavoro mai compiuto, le tradizioni familiari che finirono e molto di più. E se estendiamo il nostro pensiero fino ai risultati geopolitici della guerra, vediamo ulteriori miserie scorrere dalle decisioni umane di quel tempo. La rivoluzione russa ed i conflitti che nacquero dal quasi inspiegabile congresso di pace di Parigi provocarono incalcolabile sofferenza, morte e disperazione in problemi che ancor oggi sembrano insolubili.

Civiltà europea e individui

Ma qui voglio concentrarmi non sul tema delle vite, ma della vita privata e della sua estensione, la proprietà privata. In primo luogo, uno degli enormi costi della guerra fu la percentuale di ricchezza o di capacità produttiva trasferita da mani private nei forzieri di stato. Anche il teorico originale del potere dello stato, Niccolò Machiavelli, raccomandò agli aspiranti assolutisti di tenere le mani lontane dalle proprietà (e dalle donne) dei loro contadini e di altri cittadini produttivi. [7]

In effetti, gli assolutisti di Machiavelli lottarono con l'Europa dell'individualismo e del costituzionalismo per trecento anni, fino a che le forze degli individualisti liberali non sembrarono aver conquistato la supremazia sia in Europa che nelle sue appendici. Ma dall'ultimo quarto del diciannovesimo secolo, l'Europa degli imperi, del nazionalismo e del crescente collettivismo voltò le spalle alle realizzazioni ed all'autonomia degli individui e delle famiglie. Nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale, gli europei sempre più cominciavano a definirsi per gruppi – nazionalità, sesso, o classe. Ogni gruppo sviluppò l'abitudine di chiedere al governo di confermarlo o sostenerlo o di dargli privilegi speciali – spesso con la minaccia implicita della violenza.

Tutto questo era in diretto contrasto sia con i valori conservatori che con quelli liberali del diciannovesimo secolo, ma i liberali in Europa e negli Stati Uniti subirono una trasformazione: nati come campioni dell'autonomia individuale, diventarono schiavi della sicurezza di gruppo. In questo scenario, la guerra diventò, come Murray Rothbard ed altri hanno osservato, adempimento. [8] Le politiche sono troppo familiari per enumerarle: intervento economico ovunque, pesante incoraggiamento per unirsi al “sistema” bellico, denuncia continua dei nemici interni, disprezzo della norma di legge, massiccio trasferimento di ricchezza dalle mani degli individui, delle famiglie e di altre fonti private allo stato. Non ultima tra queste tendenze fu la sopraffazione delle vite private e perfino della privacy. Dalla vacua propaganda esaltante il pensiero di gruppo in tutte le società dei belligeranti al disfacimento molto reale delle unità familiari ad opera dei bolscevichi, la guerra fu la copertura per le molteplici incursioni dell'interferenza dello stato nella vita privata.

Accelerati trasferimenti di proprietà privata allo stato

Rivolgiamo la nostra attenzione verso alcuni casi che ci danno modo di capire il processo di decivilizzazione – la “migrazione dal progresso” nelle parole di Wilfred Owen. Durante la guerra, la spesa pubblica fra i belligeranti aumentarono di un fattore medio di circa diciotto, i loro redditi dichiarati di un fattore di circa otto. [9] Gli indici del costo della vita raddoppiarono nei migliori dei casi ed quadruplicarono nel peggiore. I governi in tutti i paesi belligeranti intervennero nelle loro economie con controlli dei prezzi e razionamenti, e si affannarono per pagare i costi orrendi della carneficina. Nel far ciò, dovettero sviluppare nuove attitudini verso la proprietà privata, e quindi verso la vita privata stessa.

Walther Rathenau ci fornisce un importante caso di studio. Rathenau, il direttore della Azienda Elettrica Generale tedesca (AEG), lavorò come capo dell'Ufficio Tedesco dei Materiali Bellici a partire dai primi giorni della Prima Guerra Mondiale. Il suo ufficio usò l'autorità statale per spingere con la prepotenza le aziende alla fusione (aziende elettriche incluse), per confiscare le risorse necessarie, per intervenire piuttosto direttamente nelle operazioni di imprese grandi e piccole. Il suo compito, egli rivelò in un rapporto soltanto un anno dopo l'inizio della guerra, era stato scoraggiante, pricipalmente perché la Germania era molto attaccata a concetti antiquati come la norma di legge, o piuttosto la norma di leggi basate su proprietà e volontà privata, come quelle “difettose ed incomplete” leggi di proprietà in vigore dal tempo di Federico il Grande e da ancor prima. [10] Le “misure coercitive” che Rathenau amministrò facevano parte proprio della serie di cambiamenti che “con tutta probabilità sarebbero stati destinati a interessare i tempi futuri.” Effettivamente, Rathenau mostrò precisamente come il processo del cambiamento fu realizzato: per ridefinizione.
Al termine “sequestro” venne data una nuova interpretazione, piuttosto arbitrariamente, lo ammetto, ma sostenuta da determinati passaggi nella nostra legge marziale…. “Sequestro” [ora] non significa che le mercanzie o il materiale sono confiscati dallo stato, ma soltanto che sono limitati, ovvero, che il proprietario non può più disporne a sua volontà ma che devono essere riservati per uno scopo più importante…. Inizialmente molta gente trovò difficile adeguarsi alla nuova dottrina. [11]
Questo genere di ridefinizione ebbe luogo in tutti i paesi belligeranti durante e molto dopo la guerra, e non solo nei regimi totalitari uomini come Rathenau erano sempre pronti a procedere. Le ridefinizioni di parole come confisca e sequestro condussero ai regimi di assistenza sociale ridistribuzionalisti e paternalisti in Gran-Bretagna, in Francia e nell'America di FDR, così come ai governi fascisti e comunisti in Germania, in Italia ed in Russia.

Tali ridefinizioni erano già in corso prima della guerra, ma il tempo di guerra rappresentò l'adempimento. Questo fu in particolare il caso per gli agenti dello stato, e per coloro le cui fortune dipendevano dall'espansione dello stato moderno.

Un altro caso del tempo di guerra che potrebbe aiutarci a capire è l'aspetto relativo del trasferimento della ricchezza privata all'utilizzo dello stato. Esaminiamo l'inflazione del tempo di guerra. Le politiche inflazionistiche della maggior parte dei poteri belligeranti rappresentano, dopo tutto, un'estensione delle erosioni della proprietà privata recentemente ridefinite. Storicamente, l'inflazione è un classico gioco di saccheggio legale, più efficace delle tasse poiché il furto legalizzato è celato. Quindi, nel crescere a passi da gigante, nell'impiegare sempre più tirapiedi ai propri ordini – sia nelle forze militari che regolatrici – i governi della Prima Guerra Mondiale trasferivano corrispondentemente sempre più ricchezza del loro popolo allo stato.

Tutti i belligeranti nella Prima Guerra Mondiale “crearono” valuta o moneta stampandola o immaginandola sotto forma di credito. I pianificatori della Prima Guerra Mondiale aprirono anche la strada per ciò che potremmo chiamare la moderna “etica” dell'inflazione (celebrata da Keynes e più tardi dai tifosi della "curva di Phillips”) ignorando la natura non volontaria di questo trasferimento di ricchezza ed incoraggiando le vittime di questi trasferimenti a considerarli come atti di patriottismo. Il capo della banca centrale tedesca disse al consiglio della banca fin dal 25 settembre 1914, che il migliore modo per coprire i prossimi enormi costi della guerra sarebbe stato “un appello ad un intero popolo,” un appello “a valori etici e non soltanto al profitto personale.” [12]

Dopo il 1918, i governi tesero a recedere in qualche misura dalla più estrema tassazione del tempo di guerra, ma i trasferimenti di proprietà privata verso gli stati continuarono sotto forma d'inflazione. Anche negli Stati Uniti del periodo del dopoguerra, quando non ci fu tecnicamente una grande crescita della quantità di moneta in sé, ci fu un'espansione del credito notevolissima alimentata dal governo federale e promossa dalla Riserva Federale, come Murray Rothbard ha dimostrato molti anni fa nel suo libro America's Great Depression. In generale gli economisti austriaci, da Mises e da Bresciani-Turroni in poi, hanno mostrato abbastanza chiaramente che gli anni 20 rappresentarono una bolla altamente inflazionistica il cui scoppio innescò la Grande Depressione. [13]

Se aggiungiamo a questa “tassa dell'inflazione” nascosta il fatto che l'alta tassazione del tempo di guerra aumentò le tasse di un fattore da tre in su, è chiaro che lo stato oltrepassò una soglia durante la Prima Guerra Mondiale, una soglia ad un trasferimento molto, molto più alto di ricchezza privata verso lo stato. Durante il periodo del dopoguerra, i livelli si ridussero in qualche misura, ma in generale, il terreno era stato preparato per un aumento continuo di tali trasferimenti fino alla fine del ventesimo secolo e oltre.

Sto suggerendo qui che un grande costo della guerra sia stato la degradazione dell'autonomia degli individui e delle famiglie in relazione alla loro proprietà. Potrei aggiungere che le enormi e appariscenti fortune del ventesimo secolo non sono la proprietà privata che ho in mente principalmente, poiché molte di quelle fortune sono basate su associazioni monopolistiche fra i grandi centri di ricchezza ed i governi – l'anima dell'attività speculativa, dello spremere i produttori. Ciò che ho in mente è la giustizia di possedere le cose per cui si ha lavorato, la giustizia inerente in quella meravigliosa facoltà della condizione umana di lavorare duro, programmare e risparmiare per sopravvivere, dare e consumare nei modi scelti dall'individuo e dalla famiglia – in contrasto con l'aggressiva tendenza dello stato a prendersi dei pezzi sempre più grandi.

La nazionalizzazione del privato

Parte del problema per i tirapiedi dello stato era la questione di come nazionalizzare e sistematizzare un'ampia fascia di aspetti della vita essenzialmente privati. Delle migliaia di casi che potremmo studiare a questo riguardo, i molteplici aspetti dell'istruzione pubblica sono forse i più strettamente connessi con la perdita della privacy. E questi aspetti sono rivelatori quando pensiamo ad essi relativamente alla Grande Guerra. Qui mi concentrerò sugli Stati Uniti, dove il santificato John Dewey dev'essere considerato con attenzione. La complessa visione collettivista di Dewey del ruolo dell'educazione nella società era basata sulla distruzione delle antichi abitudini di mediazione di costumi, tradizione e negoziazione della famiglia e dell'individuo. Come i suoi colleghi progressisti Frederick Taylor ed Edward Mandell House, credeva che la nuova comunità sarebbe stata controllata da amministratori specializzati del “sistema” che capivano i problemi dell'individualismo. Come scrisse Dewey un decennio prima della guerra,
Siamo portati a guardare alla scuola da un punto di vista individualistico, come qualcosa fra l'insegnante e l'allievo, o fra l'insegnante ed il genitore…. E giustamente. Tuttavia la gamma della prospettiva deve essere allargata. Ciò che il migliore e più saggio genitore vuole per il proprio bambino, quello deve volere la comunità per tutti i suoi bambini. Qualunque altro ideale per le nostre scuole è limitato e sgradevole; messo in atto, distrugge la nostra democrazia. [14]
Nella lotta per irreggimentare democraticamente i bambini, Dewey fu sostenuto da un gran numero di fantaccini progressisti. Per esaminarne uno solo, potremmo pensare alla sociologa e giornalista Frances Kellor. Alla guida del movimento per l'Americanizzazione nel periodo prima della guerra, la Kellor collegò le sue predilezioni per il nazionalismo americano, l'efficienza industriale e l'esigenza di indottrinare gli immigranti alle attitudini americane, creando un movimento che decollò con l'inizio della Prima Guerra Mondiale. Entro il 1916, la sempre più influente Kellor reclamava il servizio militare universale, l'attento indottrinamento nei programmi scolastici, e la rivitalizzazione dell'America. Accolse con favore la guerra in arrivo perché avrebbe creato lo “spirito eroico con cui una nazione è infine saldata insieme….” Per la fine della guerra, la Kellor ed altri come lei si presero il merito per il lavoro reale di fare pressione con successo sulle legislature statali per realizzare un nuovo regime di formazione, proscrivendo le scuole in lingua straniera, pubbliche e private, promuovendo le classi di americanizzazione, ed altrimenti usando le scuole per promuovere l'agenda progressista della distruzione della privacy e dell'immersione dell'individuo nelle torbide acque della democrazia. [15]

Un altro caso di studio riguarda i modi in cui gli stati nazionalizzano i villaggi, le famiglie e le regioni in nome del disastro. Il nostro esempio è il villaggio di Vauquois, un villaggio tipico della regione della foresta di Argonne nella Lorena, la sommità di un colle patria di diverse centinaia di pacifici cittadini francesi prima del 1914. Quando la guerra scoppiò, le unità dell'esercito francese si ritirò dalla frontiera a Vauquois nelle prime settimane della guerra e là presero posizione. I tedeschi attaccarono, ma come accadeva spesso, gli eserciti arrivarono ad un punto morto, in questo caso sulla sommità stessa della collina o della cresta oblunga. I due lati si trincerarono nelle proprie posizioni, con entrambe le linee della trincea che passavano attraverso il villaggio, in effetti, alla distanza del lancio di una pietra – o di una granata. Questo segmento del Fronte Occidentale rimase sul posto per quattro anni, eccezion fatta per la distruzione della stretta terra di nessuno con mine sotterranee. Quindi, la collina fu letteralmente scavata fuori dagli esplosivi e disseminata di tunnel. Occasionalmente, i soldati combattevano nel sottosuolo. Occasionalmente, si scambiavano invece tabacco e cioccolato. La Prima Armata americana entrò nelle posizioni francesi nel settembre 1918 e “prese” la posizione tedesca di Vauquois incenerendola con proiettili alla thermite e quindi semplicemente girando intorno a Vauquois. [16]

Ma cosa era accaduto alla strettamente legata comunità dei paesani francesi? Furono evacuati e dislocati molte miglia dietro le linee, dove languirono durante la guerra. Una volta che la guerra fu terminata, la burocrazia militare della ricostruzione francese – famosa per l'arroganza e l'inettitudine – continuò a limitare l'accesso all'area in modo che i lavoratori ufficiali del reclamo potessero “reclamare” il villaggio, nonostante le richieste dei paesani di lasciarli ritornare a prendere possesso delle loro proprietà. Dal momento che non era rimasto, in effetti, alcun villaggio al di là degli enormi crateri e di pochi brandelli di muratura, il governo francese finalmente – anni dopo l'evacuazione e perfino dopo la guerra stessa – decise di dichiarare l'area una “zona rossa.” Il che significava che a nessuno era permesso di rientrarci. La difficile situazione dei paesani di Vauquois alla fine venne privatizzata e diverse collette di carità permisero ai paesani di tornare, comprare un po' di terra poche centianaia di yarde giù dalla collina e di fondare una nuova Vauquois. [17]

Quindi, lo stato portò la guerra che inghiottì le vite private degli abitanti di Vauquois. Lo stato li rimosse per la loro sicurezza e lo stato gli impedì di ritornare a salvare ciò che poteva essere salvato. Questo è un modello così ben radicato novant'anni dopo che potrebbe richiedere un certo sforzo per immaginarlo diversamente: prima quegli individui fossero potuti tornare quando la guerra si spostò oltre la regione nel settembre 1918, maggiori sarebbero state le probabilità di riprendersi qualcosa, di riciclare il rimanente, di salvare quel che poteva essere salvato. Prima si fossero liberati dalla nazionalizzazione e fossero tornati all'esistenza privata piuttosto che vivere come parte del sistema bellico in un'altra città, più l'ordine naturale dell'individuo, della famiglia e del villaggio avrebbe potuto riaffermarsi, anche se sarebbe stato necessario del duro lavoro. Invece, hanno affrontato i ritardi dovuti alle formalità burocratiche mentre il loro governo raccoglieva milioni di franchi in riparazioni dalla Germania e costruiva nuovi palazzi di governo e varie altre addizioni “infrastrutturali” per la Francia (autostrade, ecc.) lontano da Vauquois.

Con disastri come quello di Vauquois e di altre cento città e villaggi francesi, comprendiamo la genesi dell'amministrazione statale dei disastri nel ventunesimo secolo. Gli individui che provano a proteggere le loro proprietà durante un uragano sono considerati nemici dello stato – problemi di cui si deve occupare la polizia. I recenti sfaceli della FEMA sono soltanto la versione ultima e più estrema.

L'indagine in molti altri casi di studio riempirebbe i contorni di questa storia: l'obiezione di coscienza alla guerra, l'arruolamento delle donne in fabbriche di munizioni ultra-tossiche, la propaganda dell'obbligazione verso lo stato che condusse le girl-scout in Inghilterra ad organizzare la consegna di piume bianche agli uomini sani che non si arruolavano nell'esercito, i lavori forzati in Germania, l'internamento dei tedeschi etnici in Australia, il programma per aprire la posta degli Stati Uniti alla ricerca di sabotatori e traditori e molto, molto di più. Ma per sintetizzare una lunga storia, come con il “sequestro” della proprietà privata di Rathenau, e con la “sistematizzazione” dei disastri gestita dallo stato, il risultato della crisi della Grande Guerra, come Robert Higgs potrebbe indicare, fu una profonda trasformazione in tutti i rapporti tra l'individuo e lo stato, e quindi una profonda trasformazione in tutti i rapporti fra gli individui, le famiglie, le chiese e i gruppi non statali.

Come ho suggerito nella mia frase di apertura, non potremo mai contare i costi della Grande Guerra. Possiamo, tuttavia, apprezzare il mondo che è stato perso quando, nel 1914, le luci si spensero in tutta Europa ed altrove da allora in poi. Uno dei costi più importanti è stato l'inizio della nazionalizzazione della vita privata che continua il suo corso fino ad oggi.

Lasciatemi aggiungere che questa contabilità dei costi e tutta la visione della guerra nei suoi aspetti negativi sono appena immaginabili nei moderni sistemi di pensiero statalisti e democratici. Dopotutto, forse la guerra ha reso davvero il mondo sicuro per la democrazia. In effetti, Randolph Bourne, famoso per l'osservazione che la guerra è la salute dello stato, avrebbe potuto andare oltre: la guerra non è solo la salute dello stato, ma anche la salute della democrazia. Non c'è aspetto della guerra che sia sgradita al moderno stato collettivista-democratico. La guerra giustifica ogni misura voluta per l'espansione del potere dello stato; rende necessaria la rimozione di tutti gli intermediari fra lo stato e gli individui, le famiglie, o altre unità umane naturali. La guerra esalta la collettività e tende ad uccidere, mutilare, umiliare, o corrompere l'individuo. La guerra fornisce un'aria di sacralità alla moderna religione civica umanista e positivista. Le nostre feste nazionali relative alla guerra rappresentano giorni santissimi, salvo che il sacrificio celebrato è il sacrificio degli individui nel servizio dello stato (o della “libertà” o di qualsiasi altra parola chiave lo stato decida di usare come sinonimo per i propri poteri). Quindi, da questa prospettiva, i costi della guerra per gli individui sono trasformati in chiari profitti per lo stato.
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Note


[1] Paul Fussell, The Great War and Modern Memory (New York: Oxford University Press, 1975), ch. 2, “The Troglodyte World.”

[2] Leonard P. Ayers, The War With Germany: A Statistical Summary (Washington, D. C., 1919).

[3] In più, l'epidemia d'influenza del 1918-19 si portò via molti altri civili (e più persone universalmente dell'intero tributo di morte della Grande Guerra). Questa epidemia fu in un certo senso un evento naturale, ma completamente a carico della guerra: cominciò apparentemente con un virus che poteva adattarsi a causa del gran numero di uomini nei campi d'addestramento americani del Midwest, dove pare che trovò il mezzo in cui adattarsi e sfuggire da popolazione e forma originarie. In effetti, anche se gli Stati Uniti furono colpiti violentemente (con circa 675.000 morti, compresi 43.000 soldati e marinai), pare che il virus abbia fatto nell'agosto 1918 un altro adattamento che gli permise di muoversi intorno al globo. Gli europei morirono in numeri simili, ma l'enorme quantità di morti in India portò il totale in tutto il mondo a quaranta milioni, circa due o due volte e mezza il numero dei morti per tutte le altre cause nella Prima Guerra Mondiale. Per un breve sommario, vedi Pope e Wheal, Dictionary of the First World War, 104; vedi anche Fred R. Van Hartesveldt, The 1918–1919 Pandemic of Influenza: The Urban Impact in the Western World (New York, 1992); e per un recente studio scientifico, Jeffrey K. Taubenberger, “Seeking the 1918 Spanish Influenza Virus,” American Society for Microbiology News, 65, no. 7 (1999).

[4] Vedi Hunt Tooley, The Western Front: Battleground and Home Front in the First World War (Houdmills, Basingstoke: Palgrave, 2003), esp. Chapter VIII.

[5] Stephen Castle, “Great War explosives dump is unearthed by Belgian farmer,” The Independent, 20 marzo 2001.

[6] Vedi Peter Gattrell, A Whole Empire Walking: Refugees in Russia During World War I (Bloomington and Indianapolis, 1999); e Mark Levene, “Frontiers of Genocide: Jews in the Eastern War Zones, 1914–1920 and 1941,” in Minorities in Wartime, 83–117.

[7] Il principe, capitolo XVII.

[8] Murray N. Rothbard, “World War I as Fulfillment: Power and the Intellectuals,” Journal of Libertarian Studies 9 (Winter 1984): 81–125; e ristampato in John V. Denson (ed.), The Costs of War: America's Pyrrhic Victories, 2nd ed. (New Brunswick, NJ: Transaction Press, 1999).

[9] Randall Gray with Christopher Argyle, Chronicle of the First World War, 2 vols. (Oxford, New York: Facts on File, 1991), 2: 293.

[10] Federico il Grande, nonostante tutte le sue imprese economiche stataliste, tentò in effetti di mescolare l'antico rispetto prussiano per la legge con il rispetto per l'individuo dell'Illuminismo. La circolazione della storia del “mugnaio di Sans Souci” – una storia in cui il mugnaio si leva di fronte al giovane re indicando il potere della legge – dimostra qualcosa di questa devozione, che la storia sia apocrifa o meno. Il riferimento del Rathenau a Federico il Grande qui è abbastanza specifico.

[11] Vedi “Address of Walther Rathenau on Germany's Provision for Raw Materials,” 20 dicembre 1915, pubblicato in Ralph H. Lutz (ed.), The Fall of the German Empire, 1914–1918 (Stanford, 1932), 2: 77–90 (Hoover War Library Publications, No. 2).

[12] Gerald Feldman, The Great Disorder, 864.

[13] Sul fronte europeo, vedi particolarmente Constantino Bresciani-Turroni, The Economics of Inflation: A Study of Currency Depreciation in Postwar Germany (Northampton, UK: John Dickens & Co. Ltd., 1968 [1937]): 405–57; e Hans F. Sennholz, The Age of Inflation (Boston: Western Islands, 1979). Sul fronte americano, vedi Murray N. Rothbard, The Case Against the Fed (Auburn, AL: Ludwig von Mises Institute, 1994): 118–30; e American's Great Depression, 5th ed. (Auburn, AL: Ludwig von Mises Institute, 2000): 86–179.

[14] John Dewey, The School and Society (Chicago: University of Chicago Press, 1907), 19–44.

[15] Questa discussione è basata sull'eccellente analisi di John Taylor Gatto, The Underground History of American Education (New York: The Oxford Village Press, 2001), 232–36. Le citazioni provengono da Frances Kellor, Straight America (New York: Macmillan, 1916), 19. Vedi anche Murray N. Rothbard, “Origin of the Welfare State in America,” Journal of Libertarian Studies 12 (no. 2, 1996): 221–23.

[16] Elspeth Johnstone, “Vauquois - The Lost Village,” una pagina sulla “Francia in guerra” del sito worldwar1.com.

[17] Vedi Hugh D. Clout, “The Revival of Rural Lorraine After the Great War,” Geografiska Annaler, Series B, Human Geography 75 (1993): 73–91.

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