Wednesday, October 10, 2007

Pasticceria giudiziaria

È giusto, è proporzionato, che il furto di una ciambella possa essere punito con una sentenza di 30 anni di prigione, se non con l'ergastolo? Evidentemente sì:
Scott A. Masters, 41 anni, di Park Hills nel Missouri, è stato accusato di aggressione di secondo grado e rapina per il furto di una ciambella da 52 centesimi da un Country Mart a Farmington, circa 70 miglia (113 chilometri) a sud di St. Louis. Gli impiegati del supermercato hanno detto che, il dicembre scorso, si è infilato la ciambella sotto la camicia senza pagare, quindi ha spinto via un impiegato che ha provato a fermarlo mentre fuggiva.

La spinta è considerata come assalto, che trasforma un reato minore come il furto semplice in una rapina a mano armata punibile con una condanna potenziale da cinque a 15 anni di reclusione. Dati i precedenti giudiziari di Masters, i procuratori potrebbero aumentare tale sentenza da 30 anni fino all'ergastolo.
Questa sarebbe la giustizia statale: mentire alla nazione e al mondo intero, e sulla base di queste menzogne bombardare ed invadere uno stato straniero è considerato perfettamente legale, ma il furto di ciambella con spinta può essere punito con pene fino all'ergastolo. Senza contare che “il Congresso è libero di definire il “crimine violento" come desidera, a prescindere da come le leggi degli stati considerino lo stesso comportamento.”

Ma se l'ipotesi di una giustizia privata viene da molte parti scartata come inaffidabile perché “soggetta alla logica del profitto” (logica che, semmai, in assenza di monopolio, garantirebbe un incentivo all'imparzialità delle corti), quale perversa logica si nasconde dietro una simile stupefacente sproporzione tra crimine e pena?

Indovinate un po': proprio la logica del... profitto! Infatti, l'ergastolo per una ciambella non è altro che l'ingrediente di una ricca torta confezionata dallo stato federale per la tavola dei suoi invitati privilegiati.
___________________________


L'industria carceraria negli Stati Uniti: big business o nuova forma di schiavitù?


Di Vicky Pelaez (da El Diario-La Prensa, New York)

Le organizzazioni per i diritti dell'uomo, così come quelle politiche e sociali, condannano ciò che definiscono come nuova forma di inumano sfruttamento negli Stati Uniti, dove, affermano, una popolazione di fino a 2 milioni di carcerati - principalmente neri e ispanici - sta lavorando per alcune industrie per una miseria. Per i tycoons che hanno investito nell'industria carceraria, è stato come trovare una pentola piena d'oro. Non devono preoccuparsi di scioperi o pagamenti di assicurazioni, di vacanze o permessi. Tutti i loro operai sono a tempo pieno, e non arrivano mai in ritardo né si assentano per problemi familiari; inoltre, se non gradiscono la paga di 25 centesimi l'ora e rifiutano di lavorare, vengono rinchiusi in celle di isolamento.

Ci sono circa 2 milione di carcerati nelle prigioni statali, federali e private sparse per il paese. Secondo il California Prison Focus, "nessuna altra società nella storia umana ha incarcerato tanti dei suoi stessi cittadini." Il quadro indica che gli Stati Uniti hanno imprigionato più persone che qualunque altro paese: un milione mezzo più della Cina, la quale ha una popolazione cinque volte più grande degli Stati Uniti. Le statistiche rivelano che gli Stati Uniti detengono il 25% della popolazione carceraria mondiale, su soltanto il 5% della popolazione mondiale. Da meno di 300.000 carcerati nel 1972, la popolazione delle prigioni ha raggiunto i 2 milioni entro l'anno 2000. Nel 1990 era di un milione. Dieci anni fa c'erano soltanto cinque prigioni private nel paese, con una popolazione di 2.000 carcerati; ora, ce ne sono 100, con 62.000 carcerati. Secondo questi rapporti è stato previsto che entro la prossima decade, il numero raggiungerà i 360.000.

Che cosa è accaduto durante gli ultimi 10 anni? Perché ci sono tanti prigionieri?
"I contratti privati per il lavoro dei carcerati sono un incentivo per imprigionare sempre più gente. Le prigioni dipendono da questo reddito. Azionisti corporativi che fanno i soldi grazie al lavoro dei carcerati fanno lobbing a favore di pene più lunghe, per espandere la loro mano d'opera. Il sistema si autoalimenta," dice uno studio del Progressive Labor Party, il quale accusa l'industria carceraria di essere "un'imitazione della Germania Nazista riguardo al lavoro forzato schiavista e ai campi di concentramento."

Il complesso dell'industria carceraria è una delle industrie in crescita negli Stati Uniti ed i relativi investitori sono su Wall Street. "Questa industria multimilionaria ha le proprie mostre commerciali, convention, website, e punti vendita su internet. Inoltre ha campagne pubblicitarie dirette, aziende di architettura, società di costruzioni, case di investimento in Wall Street, aziende di impiantistica, compagnie di distribuzione di generi alimentari, sicurezza armata, e celle riempite in una grande varietà di colori."

Secondo Left Business Observer, l'industria federale carceraria produce il 100% di tutti i caschi militari, cinghie delle munizioni, maglie a prova di proiettile, placche di identificazione, camicie, pantaloni, tende, borse e spacci di bevande. A parte i rifornimenti militari, gli operai della prigione forniscono il 98% dell'intero mercato per i servizi di assemblaggio di apparecchiature; il 93% delle vernici e dei pennelli; il 92% dell'assemblaggio di cucine; il 46% delle armature protettive; il 36% degli elettrodomestici; il 30% di cuffie/microfoni/altoparlanti; e il 21% delle forniture di ufficio. Parti di aeroplano, forniture mediche, e molto più: i prigionieri stanno persino allevando cani-guida per ciechi.


IL CRIMINE SCENDE, LA POPOLAZIONE CARCERARIA SALE

Secondo i rapporti delle organizzazioni dei diritti umani, questi sono i fattori che aumentano il potenziale di profitto per coloro che investono nel complesso industriale carcerario:

• Imprigionare persone condannate per crimini non violenti, e pene carcerarie lunghe per il possesso di quantità microscopiche di droghe illegali. La legge federale stabilisce una pena di cinque anni senza possibilità di ricorso per un possesso di 5 grammi di crack o di 3.5 once di eroina, e 10 anni per il possesso di meno di 2 once di cocaina in blocchi o di crack. Una pena di 5 anni per la cocaina in polvere richiede un possesso di 500 grammi - 100 volte di più della quantità di cocaina in blocchi per la stessa pena. La maggior parte di coloro che usa la polvere di cocaina sono bianchi, classe media o gente ricca, mentre principalmente i neri e Latinos usano la cocaina in blocchi. Nel Texas, una persona può essere condannata ad un imprigionamento fino a due anni per il possesso di 4 oncie di marijuana. Qui a New York, la legge anti-droga di Nelson Rockefeller del 1973 prevede una pena obbligatoria in carcere da 15 anni fino all'ergastolo per un possesso di 4 once di una qualsiasi droga illegale.

• L'approvazione in 13 stati della "legge dei tre colpi" (ergastolo dopo una condanna di tre crimini), ha reso necessaria la costruzione di 20 nuove prigioni federali. Uno dei casi più preoccupanti derivati da questa misura è stato quello di un prigioniero che per aver rubato un automobile e due biciclette ha ricevuto tre pene di 25 anni.

• Pene più lunghe.

• L'approvazione di leggi che richiedono un dibattimento minimo, senza riguardo per le circostanze.

• Una grande espansione del lavoro carcerario che genera profitti che motivano l'incarcerazione di più gente e per periodi di tempo più lunghi.

• Più punizioni per i prigionieri, in modo da allungare le loro pene.


LA STORIA DEL LAVORO CARCERARIO NEGLI STATI UNITI

Il lavoro carcerario ha le sue radici nella schiavitù. Dopo la guerra civile del 1861-1865, fu introdotto il sistema di "assumere i prigionieri" così da continuare la tradizione della schiavitù. Gli schiavi liberati venivano accusati di non onorare i loro impegni di mezzadria (coltivare la terra di qualcun'altro in cambio di una parte del raccolto) o di piccoli furti - che non venivano quasi mai dimostrati - ed erano quindi “assunti” per il raccolto di cotone, o per lavorare in miniere e nella costruzione di ferrovie. Dal 1870 fino al 1910 nello stato della Georgia, l'88% dei carcerati assunti era nero. Nell'Alabama, il 93% dei minatori "forzati" erano neri. Nel Mississippi, un podere-prigione enorme simile alle vecchie piantagioni sostituì il sistema degli schiavi con l'assunzione di condannati. La rinomata piantagione di Parchman è esistita fino al 1972.

Durante il periodo post-Guerra Civile, le leggi razziali segregazioniste di Jim Corvo sono state imposte ad ogni stato, con la segregazione legale in scuole, abitazioni, matrimoni e in molti altri aspetti della vita quotidiana. “Oggi, un nuovo insieme di leggi dichiaratamente razziste sta imponendo il lavoro forzato e lo sfruttamento della manodopera sul sistema giudiziario criminale, ora conosciuto come complesso industriale carcerario,” commenta il Left Business Observer.


Chi sta investendo? Almeno 37 stati hanno legalizzato la privatizzazione del lavoro carcerario a società private che organizzano le loro operazioni all'interno delle prigioni di stato. La lista di tali aziende contiene la crema delle corporazioni USA: IBM, Boeing, Motorola, Microsoft, AT&T, Wireless, Texas Instrument, Dell, Compaq, Honeywell, Hewlett-Packard, Nortel, Lucent Technologies, 3Com, Intel, Northern Telecom, Twa, Nordstrom, Revlon, Macy, Pierre Cardin, Target Stores, e molte altre. Tutte queste imprese sono eccitate dal boom economico generato dal lavoro carcerario. Solo tra il 1980 e il 1994, i profitti sono saliti da 392 milioni di dollari a 1.31 miliardi. I carcerati dei penitenziari di stato generalmente ricevono lo stipendio minimo per il loro lavoro, ma non tutti; in Colorado, ottengono circa 2 $ all'ora, ben al di sotto del minimo. E nelle prigioni private, ricevono solo 17 centesimi all'ora per un massimo di sei ore al giorno, l'equivalente di 20 dollari al mese. La prigione privata con le paghe migliori è la CCA nel Tennessee, dove i prigionieri ricevono 50 centesimi all'ora per quelli che chiamano “impieghi altamente qualificati.” A quelle cifre, non sorprende che i carcerati trovino la paga nelle prigioni federali molto generosa. Là, possono guadagnare 1.25 $ l'ora per otto ore al giorno di
lavoro, ed a volte fare straordinari. Possono mandare a casa 200-300 $ al mese.

Grazie al lavoro carcerario, gli Stati Uniti sono ancora una volta una posizione attraente per gli investimenti in lavori originariamente progettati per il mercato del lavoro del terzo mondo. Un'azienda che operava una maquiladora (impianto di assemblaggio in Messico vicino al confine) ha chiuso i suoi stabilimenti e li ha rilocati nella prigione di stato San Quentin in California. Nel Texas, una fabbrica ha licenziato i suoi 150 operai e si è assicurata i servizi dei prigionieri-operai dalla prigione privata di Lockhart in Texas, dove vengono montati i circuiti stampati per aziende come IBM e Compaq.

Il rappresentante dello stato dell'Oregon Kevin Mannix recentemente ha invitato Nike a tagliare la propria produzione in Indonesia e portarla nel suo stato, dicendo al produttore di scarpe che “ci non sarà alcun costo di trasporto; stiamo offrendovi lavoro carcerario competitivo (qui).”


PRIGIONI PRIVATE

Il boom delle privatizzazioni delle carceri è cominciato negli anni 80, sotto i governi di Ronald Reagan e di Bush sr., ma ha raggiunto il suo apice nel 1990 sotto William Clinton, quando le azioni di Wall Street si vendevano come hotcakes. Il programma di Clinton per il taglio della manodopera federale ha provocato da parte del Dipartimento di Giustizia l'appalto alle corporazioni carcerarie private per l'incarcerazione di operai privi di documenti e di condannati di alta sicurezza.

Le prigioni private sono il commercio più grande nel complesso dell'industria carceraria. Circa 18 corporazioni sorvegliano 10.000 prigionieri in 27 stati. Le due più grandi sono Correctional Corporation of America (CCA) e Wackenhut, le quali insieme controllano il 75%. Le prigioni private ricevono un importo garantito di denaro per ogni prigioniero, indipendentemente dal costo per mantenerlo. Secondo Russell Boraas, un amministratore di una prigione privata in Virginia, "il segreto dei costi di gestione bassi sta nell'avere il numero minimo di guardie per il numero massimo di prigionieri." La CCA ha una prigione ultra-moderna in Lawrenceville, in Virginia, dove cinque guardie nel turno di giorno e due di notte vigilano oltre 750 prigionieri. In queste prigioni, i carcerati possono ottenere le loro pene ridotte per "buona condotta," ma per qualsiasi infrazione, ottengono 30 giorni aggiunti - che significa più profitti per la CCA. Secondo uno studio delle carceri del Nuovo Messico, è stato trovato che i carcerati della CCA hanno perso il "tempo della buona condotta" ad un tasso otto volte superiore a quelli dentro le prigioni di stato.


IMPORTARE ED ESPORTARE I CARCERATI

I profitti sono così buoni che ora c'è un nuovo commercio: importazione dei carcerati con pene lunghe, cioè i criminali più pericolosi. Quando un giudice federale ha deciso che il sovrappopolamento nelle carceri del Texas era una punizione crudele ed insolita, la CCA ha firmato contratti con gli sceriffi delle contee povere per costruire e gestire nuove prigioni dividendosi i profitti. Secondo un articolo apparso su Atlantic Monthly del dicembre 1998, questo programma è stato sostenuto da investitori come Merrill-Lynch, Shearson-Lehman, American Express ed Allstate, ed il progetto era sparso per tutto il Texas rurale. Il governatore di questo stato, Ann Richards, ha seguito l'esempio di Mario Cuomo a New York ed ha costruito così tante prigioni di stato che il mercato è stato sommerso, tagliando i profitti delle carceri private.

Quando una legge firmata da Clinton nel 1996 - che terminò la supervisione e le decisioni della corte - causò sovrappopolamento e violenza, condizioni pericolose nelle prigioni federali, le società carcerarie private del Texas cominciarono a mettersi in contatto con altri stati le cui carceri erano sovraccaricate, offrendo servizi "affitta-una-cella" nelle prigioni della CCA situate in piccole città nel Texas. La commissione per un rappresentante dell'affitta-una-cella è di 2.50 - 5.50 $ al giorno per posto letto. La contea ottiene 1.50 $ per ogni prigioniero.


STATISTICHE

Il 97% di 125.000 carcerati federali sono stati condannati per crimini non-violenti. Si crede che più della metà dei 623.000 carcerati nelle prigioni comunali o di contea siano innocenti dei crimini di cui sono accusati. Di questi, la maggioranza sta attendendo il processo. Due terzi del milione di prigionieri statali ha commesso crimini non-violenti. Il sedici per cento dei 2 milioni di prigionieri del paese soffrono di malattie mentali.

Tuesday, October 9, 2007

Il Credo del Cittadino

Fratelli cittadini, figli dello Stato, Uno Unico e Indivisibile, che solo può perdonare i nostri peccati.

Cantiamo insieme!

I believe in a Holy Trinity.
I believe in an Almighty Godvernment,
Incarnate in our Saviour the President,
And blessed by a Holy Spirit, the Will of The People.

Hallelujah!

I believe in the Blessed Election, Mother of Godvernment.
Her virginal purity begets the best rulers we can imagine.
And though my fellow citizens are idiots,
And all those politicians are frauds,
I believe that a Holy Spirit oversees each an every ballot cast;
The outcome of Democracy is the Sacred Will of the People. (bis)

Hallelujah!

I believe in Universal Rights, for everyone,
To do what I think they should.
And though always it fails, I have faith in Godvernment
To enforce the laws I think are good.
I believe in Freedom of Speech,
For all the honest people, who think like I do.
I believe in Freedom of Cult,
For who follows my Bible, the One and True.

I believe in a World of Love for all humans,
And birds, flowers and beasts.
And those who disagree the least
Should be mercilessly squished
For they are all demons!

(Da quebecoislibre.org)

Monday, October 8, 2007

«We all dream of being a child again.»

Un cult. Il capolavoro di Sam Peckinpah: The wild bunch (Mucchio selvaggio, '69). Un cast eccezionale – William Holden, Ernest Borgnine, Edmond O'Brien – per una storia di uomini veri.

Sunday, October 7, 2007

Piccolo Glossario della Neolingua #12

La pace è più importante di ogni giustizia; e la pace non fu fatta per amore della giustizia, ma la giustizia per amor della pace.
(Martin Lutero)
Lemma fondamentale della neolingua, il cui significato è stato scambiato con il suo contrario – la guerra – proprio come nelle previsioni di Orwell. Vediamo come.
___________________________

Pace
Significato originario:
1a condizione di un popolo o di uno stato che non sia in guerra con altri o non abbia conflitti, lotte armate in corso al suo interno: mantenere, consolidare la p., politica, tempo di p., la p. europea
1b ristabilimento di tale condizione dopo un periodo di guerra: chiedere la p. | atto che sanziona tale ristabilimento: trattare, firmare la p., trattato, conferenza di p.; anche con l’indicazione del luogo in cui è stato stipulato: la p. di Westfalia

C'è un motto latino che ai pianificatori sociali piace molto ripetere, ed è la famosa frase di Vegezio “si vis pacem, para bellum“, ovvero: "chi vuole la pace, prepari la guerra". È la sintesi perfetta della logica del potente di turno, al quale fa comodo non solo per giustificare la sottrazione di risorse dalla società civile per mantenere un apparato militare, ma anche e soprattutto per mascherare vere e proprie operazioni di guerra da azioni di pace.

Abbiamo già visto infatti come lo stato si sia arrogato il monopolio della sicurezza – legittima esigenza dell'uomo – e come lo mantenga con la creazione fittizia di continue crisi, facendo lievitare la domanda per poter così aumentare l'offerta dirottando sempre maggiori risorse in quella direzione; non è quindi difficile comprendere che la pace a cui è interessato è solo quella del quieto vivere dei suoi rappresentanti, e questa è garantita al massimo grado soltanto da uno stato di guerra perenne.

Questa condizione si sta realizzando grazie a quelle che, astutamente, vengono definite “missioni di pace,” la cui legittimità è garantita dall'autorità delle Nazioni Unite, ovvero il centro di potere e controllo in cui convergono gli organismi di potere di tutto il mondo. Vere e proprie spedizioni militari vengono così vendute, grazie al “bollino blu” dell'ONU, come soluzioni a conflitti e crisi, vere o presunte che siano, in ogni angolo del pianeta, dove provocano, come succede in ogni luogo occupato da contingenti militari, il fiorire di attività che in tempi di vera pace vengono considerate immorali o quantomeno poco desiderabili: la prostituzione, il traffico di droga e di alcolici, gli abusi sui minori. Il tutto a scapito di altre attività più utili e costruttive, e a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali autoctone o meno.

La normale vita civile di una nazione occupata dalle forze di pace, si trasforma quindi nella normale condizione di un paese in guerra, quale che fosse la situazione prima del loro arrivo. Ma soprattutto, il risultato decisamente più deleterio di una simile filosofia è che si elimina qualsiasi alternativa all'assunto che solo con l'intervento militare si possano risolvere problemi che non sempre hanno a che fare con conflitti di un qualche tipo. Lo stesso
controllo della “ricostruzione” passa dalla società civile locale a quello dei responsabili dell'occupazione, che ne decidono scopi e priorità.

In conclusione, se vogliamo chiarire il senso della frase di Vegezio, se vogliamo comprenderne meglio cos'è che l'uomo di potere intende quando la ripete ispirato, non abbiamo che da ribaltarla, così da leggerla nella giusta luce di questo mondo al contrario: chi vuole la guerra, prepari la pace.

Saturday, October 6, 2007

Signori lettori, ho un piano!

L'ormai consueto collegamento telepatico del fine settimana con Laputa continua a funzionare, e il nostro inviato speciale nelle intricate maglie della storia G. Pesce ci può accompagnare in un viaggio temerario nell'oscuro mondo della finanza, sulle tracce di Eustace Mullins. Realtà o fantasia? Ai lettori il giudizio, si spera scevro da pregiudizi.

Ma se quella della Fed non è una cospirazione, allora quale lo è?
E in fondo, cosa fa Mullins nel suo “The Secrets of the Federal Reserve” se non completare l'analisi di Rothbard ne “The Case Against the Fed” inserendola nel contesto storico?

L'unico mio appunto è che la pratica di indebitarsi per far la guerra non è stata certo inventata dalla Fed: è un metodo molto diffuso fin dall'antichità.
___________________________

Di Giovanni Pesce

Una cospirazione è un patto segreto tra due o più persone che si organizzano tra di loro per danneggiare diritti altrui.
(Eustace Mullins)

La vulgata comune ci presenta i professori di economia come grandi esperti della cose economiche; in realtà questi studiosi conoscono e si limitano a insegnare le teorie più belle e nella pratica invece hanno dei seri problemi per tirare avanti.

Al contrario, i giovani frequentatori del mio Club a Lower Manhattan, meno studiosi ma molto più proattivi, hanno dimostrato delle capacità economiche straordinarie.

I ragazzi più intraprendenti Aldrich, Harriman, Morgan, Rockefeller e Warburg sapevano cosa fare per migliorare le proprie situazioni finanziarie; e quelli più ambiziosi, appena diventati uomini di Stato, hanno raggiunto posizioni di vero Potere vestendo i panni di politici o ambasciatori.

Questi “giovani” avevano preparato nel 1910 un piano, poi passato alla storia come piano Aldrich o "Wall Street plan" .

Ora questo progetto sarebbe più o meno paragonabile ai piani prodotti dai Think-tank venexiani (Ridotto Morosini) o americani (PNAC Progetto per il Nuovo Secolo Americano).

L'Aldrich Plan aveva avuto una partenza avventurosa: con un treno privato il 22 Novembre 1910 un gruppo di gentlemen partì da Hoboken NY; giunti a Jekyll Island in Georgia questi uomini d'affari decisero di costituire la Federal Reserve, macchina da soldi per i soli soci fondatori.

Il metodo più classico di far soldi prevede la ricerca di un pollo da spennare; così a Jekyll Island venne deciso che il pollo migliore sarebbe stato, in primis, il popolo americano tramite dei debiti contratti dal Presidente.

Immediatamente dopo, i ragazzi di Wall Street per accelerare i profitti pianificarono un particolare schema finanziario (codenamed WW1), dove i principali Governi mondiali si sarebbero indebitati a rotta di collo con le banche USA e le banche centrali degli Stati vincitori avrebbero depredato la finanza dei paesi sconfitti.

In pratica un nuovo impero economico basato sul prestito di banconote della Fed e sul rientro in comode rate di capitale ed interessi.

Guardando le cose con più freddezza abbiamo da una parte una cessione di note di banca (banconote ndr) garantite da un nome imponente "America" e dall'altra un impegno alla restituzione delle stesse banconote maggiorate da un interesse composto da oro e lavoro. Inoltre il peso dell'operazione WW1 ricade sugli Stati Nazione costretti a chiedere il prestito in una contingenza sfavorevole (guerra).

Torniamo alle gesta di John Pierpoint Morgan che fu il promotore della riunione di Jekyll Island, pur senza parteciparvi. Il banchiere si sentiva anche armatore navale e così JP Morgan acquisì la proprietà della White Star Lines, quella del Titanic, Olympic, Britannic (ex Gigantic). Operazione,in realtà, poco fortunata con quegli assets, anche se, successivamente, la cifra investita fu recuperata. In ogni caso il nostro uomo d'affari salvò miracolosamente la propria pelle rinunciando al viaggio inagurale del Titanic nell'Aprile del 1912, andando in Provenza.

Al club si discute del naufragio più famoso della storia e i gomblottisti propongono alcune teorie:

A) Una truffa assicurativa: l'Olympic ed il Titanic si sarebbero scambiati i nomi e ad affondare sarebbe stata l'Olympic affetta da gravi problemi

B) Un tentativo di eliminare i concorrenti come Guggenheim, passeggero sul Titanic.

Un mix tra le due ipotesi non dispiace al redattore di queste note.

In che cosa consisteva il piano Aldrich?

Secondo Eustace Mullins (“The Secrets of the Federal Reserve”), il piano prevedeva delle milestones:

1) Preparazione monetaria per WW I
2) Depressione Agricola
3) Crisi del '29
4) WW II
5) Affondamento della popolazione mondiale nei suoi debiti.

Eustace Mullins, allievo del poeta economista Ezra Pound, è un ispiratore di Rothbard della scuola austriaca d'economia.

Quindi. a parere dell'autore, sarebbe stata pianificata a tavolino una serie di crisi economiche tutte coordinate per far ottenere all'oligarchia il completo controllo dell'economia mondiale.

Se non è possibile ottenere un risultato con i mezzi leciti a disposizione (la carota) allora si deve utilizzare il terrore economico: la creazione delle crisi finanziarie (il bastone).
Dando strattoni all economia si creano delle onde economche che costringono le persone a chiedere prestiti o affogare economicamente.
Dopo la concessione di un prestito "che non si può rimborsare" avviene la fine economica del debitore; il creditore eredita i beni del debitore.

Sembra di vedere nel piano Aldrich un'applicazione economica del piano teorico Pike-Mazzini, quello che, prevedeva per il completo controllo del Mondo, la preparazione di alcune Guerre Mondiali.
Probabilmente in quegli anni sono state coordinate anche le attività di Aleister Crowley, cultore di "religione nera", che frequentò New York, Berlino e l'Italia influenzando quelle culture.

Ma questa è un'altra storia.

Friday, October 5, 2007

«Questo dev'essere un ladro»

Chi non ricorda questa scena? Totò e Mario Castellani in Totò a colori di Steno ('52).

Democrazia e legittimità

Ricevo e pubblico volentieri questa riflessione di un lettore, in linea con il pensiero del gongoro. Per molti dei frequentatori di questo sito non si tratta di idee nuove ma mi pare un buon sunto sui problemi a mio avviso insolubili del sistema democratico, e sui molteplici danni che causano nella società.

Ne approfitto per segnalare questo sito, da cui ho tratto l'immagine a fianco, da visitare per chi volesse rendersi conto con che squallido livello di propaganda è stata inculcata negli italiani la convinzione della bontà del sistema democratico, e dunque qual era – ed è – la considerazione dgli uomini politici per la coscienza civile del popolo.

“Valori democratici,” eh? Andate a farvi fottere.

___________________________

Di Luigi Ghezio


Si sente spesso dire che la democrazia è "il migliore dei governi possibili", ma la domanda è fuorviante perchè si da per scontato che un governo centrale debba esistere.

La democrazia stessa affonda la sua legittimazione nell'esproprio forzato, nel furto e nella truffa. Inoltre crea volontariamente ingiustizie sociali ed impossibilità di competere ad armi pari sul cosiddetto "libero mercato".

Vediamo perchè.

L'esproprio forzato (irpef, irpeg, irap, ora ire ed ires) viene utilizzato costantemente ed uniformemente nei confronti di tutti i cittadini con il meccanismo chiamato "imposte dirette". Ogni guadagno percepito infatti è tassato, e quindi una sua parte viene espropriata al legittimo proprietario, colui che ha lavorato per ottenerlo. Se una persona cerca di sfuggire all'esproprio per procedere vengono utilizzati i corpi armati statali.

Il furto (Iva, imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, imposte di bollo ed accise) è applicato ai cittadini in modo indiretto attraverso una maggiorazione artificiale dei prezzi di ogni genere di bene: dai generi di prima necessità come gli alimenti (dove il furto è in proporzione minore), agli altri comunque fondamentali come la produzione dell'energia (es: carburanti).

La truffa è applicata forzando il cittadino ad utilizzare una moneta "finta", e cioè creata dal nulla, intrinsecamente senza valore rompendo quindi la sua naturale funzione di merce. L'utilizzo di "fiat money", cioè di valute come l'Euro imposte attraverso il corso forzoso, danno la possibilità di controllare artificialmente l'inflazione e quindi di diminuire il potere d'acquisto della moneta. Questo svantaggia la classe della popolazione più debole e cioè quella che lavora con reddito fisso e che vede diminuire il suo potere di acquisto con una forte difficoltà ad aumentare proporzionalmente il suo salario.
La possibilità di creare "credito facile" inoltre avvantaggia i guadagni finanziari (cioè le persone che hanno rese economiche dal mero investimento di danaro) a discapito di tutti quelli che devono invece lavorare per guadagnare e che sono ovviamente la maggior parte della
popolazione.

Le ingiustizie sociali vengono realizzate costruendo artificialmente una casta di persone che gode di vantaggi e benefici altrimenti impossibili a realizzarsi.
Tra questi possiamo includere i politici, gli impiegati statali che percepiscono stipendio indipendetemente dalla loro resa produttiva, e determinate categorie protette di lavoratori come ad esempio i notai a cui tutti dobbiamo ricorrere per legge.

La concorrenza reale, intesa come quella condizione in cui più imprese competono sul medesimo mercato e che in ultima analisi migliora il rapporto costo/beneficio per l'acquirente, è impedita attraverso tutta una serie di normative e regole.

Alcune regole alzano arbitrariamente le barriere di ingresso ad un certo mercato attraverso la necessità di licenze (ad esempio in settori strategici come le telecomunicazioni), e quindi di fatto permettono che gli unici attori siano un numero estremamente ristretto di grosse
aziende che non hanno difficoltà a creare cartelli per mantenere artificialmente alto il prezzo di beni e servizi offerti.

Altre regole limitano artificialmente il numero di esercizi (es. notai, medici, avvocati, etc) sia la loro località e modalità di funzionamento (numero di negozi per zona, orari lavorativi, periodi possibili per i saldi, etc).

Ma le regole più subdole sono le restrizioni a particolari settori merceologici come droga ed armi. Con la favoletta che viene fatto "per il nostro bene", su tali beni vengono applicate fortissime restrizioni o completi divieti di produzione e commercio.

Quello che però nella realtà accade, e che tutti i giorni possiamo verificare con i nostri occhi, è che, nonostante tali regole e limitazioni, i tantissimi acquirenti non hanno difficoltà a trovare in vendita ogni genere di droga, così come i criminali non hanno nessuna difficoltà (se non economica) a procurarsi le armi da utilizzare per compiere poi operazioni illecite.

L'unica differenza che si ottiene è che il prezzo al quale si acquistano questi beni "protetti" è molto, molto superiore a quello che si avrebbe sul libero mercato.

Sebbene a prima vista questo possa sembrare un fatto positivo (di fatto viene disincentivato l'acquisto di tali beni) quello che nella realtà si ottiene è la costruzione di fortissime e potentissime organizzazioni criminali che traggono la loro forza proprio dall'operare in mercati fortemente protetti e quindi dove il guadagno è incredibilmente alto rispetto all'investimento. Per fare un confronto, se un'attività commerciale "convenzionale" può rendere tra il 5 ed il 20% annuo, un'attività commerciale fuorilegge (ma pur sempre esercitabile) può rendere il 3000% settimanale.

Le conseguenze sono di diverso tipo e tutt'altro che trascurabili: da una parte si promuovono le attività fuorilegge (essendo di fatto estremamente più redditizie delle altre), dall'altra si permette che si formino attività criminali organizzate estremamente ricche. (Per inciso, la promozione di attività fuorilegge viene incentivata attraverso normative ad hoc come l'indulto ed ogni genere di condono, il più famoso dei quali è stato il "tombale").

Proprio grazie alla ricchezza acquisita sui mercati protetti, tali organizzazioni criminali hanno la possibilità di corrompere attività governative (le cui decisioni quindi influenzano tutti) ed intervenire nel mercato "regolare" ma con concorrenza sleale perchè hanno condizioni
di vantaggio rispetto agli altri attori: si pensi alla necessità di riciclare denaro sporco attraverso attività commerciali pesantemente in perdita.

Facciamo quindi un esempio di cosa accade con i soldi di una parte delle tasse che paga un ipotetico signor Rossi, e supponiamo anche per assurdo pure che lo stato non abbia funzionari corrotti. Questi soldi vengono utilizzati per pagare e gestire forze di polizia che tra le altre cose controllano il mercato degli stupefacenti. Meglio funziona tale controllo più alto sarà il prezzo che il figlio del sig. Rossi, ad esempio consumatore di Extasy in discoteca, pagherà la pillola
sul mercato nero.
Il doppio risultato ottenuto è quello di spendere di più soldi (in tasse e merci) e contemporaneamente rendere ancora più potente, grazie al maggior guadagno, il gruppo criminale che gestisce tala attività.

Se poi vogliamo introdurre la possibilità che funzionari chiave nella struttura di comando statale siano corrompibili, allora avremmo che l'attività criminale avrà tutti i mezzi (economici) per corrompere tali persone e fare quindi in modo di:

- inasprire le leggi che impediscono il commercio degli stupefacenti in modo da tenere il più alto possibile il loro prezzo sul mercato nero

- far avere un "trattamento speciale" per gli affiliati all'organizzazione che malauguratamente venissero colti dalle maglie della "giustizia", ed essere invece più determinati con le organizzazioni concorrenti

Con tutte le ovvie conseguenze del caso.

Alcune di queste conseguenze potrebbero ad esempio essere di cercare di incrementare il proprio business creando nuovi mercati protetti vietando ad esempio il commercio delle cosiddette "droghe leggere", meno pericolose di altre merci del tutto legali come gli alcolici (qualcuno mi dice che questo sia già avvenuto... oops).

Può la democrazia, una struttura costruita in questo modo, ergersi a modello per tutte le persone che ne fanno parte e pure definirsi un traguardo da raggiungere?

Ovviamente no, ed infatti se ne vedono i risultati tutti i giorni.

Thursday, October 4, 2007

L'altra realtà di Norman Podhoretz

Riporto e traduco la recensione (o meglio, la stroncatura) di David Gordon del libro di Norman Podhoretz La IV Guerra Mondiale pubblicata dal Mises Institute.

Esponente di spicco della cricca neocon ed irriducibile sostenitore della guerra globale al terrorismo, Podhoretz è stato consulente del U.S. Information Agency dal 1981 al 1987 ed è membro del Council on Foreign Relations, oltre che firmatario del PNAC. Nel 2004 è stato insignito della Presidential Medal of Freedom, il più alto onore che il presidente USA può assegnare ad un civile, mentre nel 2007 ha ricevuto il Guardian of Zion Award.
___________________________

Di David Gordon

[World War IV: The Long Struggle Against Islamofascism. Di Norman Podhoretz. Doubleday, 2007. 230 pages.]

Norman Podhoretz, un'eminente autorità sui romanzi di Norman Mailer, si è per decenni presentato come esperto in politica estera. Allora non è troppo, si potrebbe supporre, attendersi che possieda una conoscenza elementare della storia europea. Ma qualsiasi aspettativa del genere è destinata ad essere presto delusa. Troviamo nel suo ultimo sforzo questa sorprendente osservazione:
A seguire da questo [desiderio di stabilità attraverso un equilibrio di forze] vi era un principio molto vecchio, risalente agli accordi del sedicesimo secolo che si svilupparono dal Trattato di Vestfalia permettendo una coesistenza più o meno pacifica fra principati cattolici e protestanti perennemente in guerra fra loro. Nella sua forma originale questo principio fu espresso dal motto latino cuius regio eius religio (la religione del capo è la religione della regione). (p.132)
Podhoretz ha preso un granchio clamoroso. Ha confuso gli accordi presi nella Pace di Augusta (1555) con il Trattato di Vestfalia (1648), che confermò il principio del cuius regio e lo estese al Calvinismo. Ma che cosa è mai un misero secolo per il nostro colto autore?

Ma sto giudicando Podhoretz su un metro ingiusto. Come egli stesso rende abbondantemente chiaro in questo libro, il suo campo non è il fatto storico ma piuttosto la fantasia e la propaganda. Lo vediamo immediatamente nel titolo che ha scelto per il suo libro. Il quale presuppone due falsità: che siamo impegnati in una guerra mondiale e che qualcosa chiamato “Islamofascismo” esista.

Gli Stati Uniti hanno invaso l'Iraq nel marzo del 2003 e da allora ci sono rimasti, ma questo difficilmente è sufficiente per parlare di una guerra globale. Né gli argomenti cambiano se a questo si aggiungono i maldestri tentativi dell'amministrazione Bush di uccidere Osama Bin Laden. Come potrebbe, persino qualcuno incapace quanto Podhoretz di ragionamento storico, non riuscire a vedere che non c'è una IV guerra mondiale? (La III guerra mondiale fu la Guerra Fredda. Ancora una volta, Podhoretz sbaglia: anche se si è trattato di un conflitto prolungato fra Stati Uniti e Russia sovietica, non c'era una guerra mondiale, nonostante James Burnham sostenesse il contrario.)

Per capire il ragionamento del nostro autore, dobbiamo procedere alla seconda falsità, l'esistenza dell'Islamofascismo. Podhoretz evoca nell'esistenza questa minacciosa ed enorme entità collegando un certo numero di fenomeni autentici. In primo luogo, ricorda diversi eventi terroristici che risalgono agli anni '70:
La documentazione parla tristemente da sola. Dal 1970 al 1975, durante le amministrazioni Nixon e Ford, diversi diplomatici americani sono stati assassinati in Sudan e in Libano mentre altri sono stati rapiti. I perpetratori erano tutti agenti di una o dell'altra fazione dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). (p. 27)
Questi li raggruppa insieme alle azioni terroristiche degli anni '80 che coinvolgono Muammar Qaddafi in alcuni casi e Hezbollah in altri. [1] Negli anni '90 si uniscono Osama Bin Laden e Al-Qaeda con gli attacchi alle ambasciate e l'attacco alla USS Cole. Gli attentati naturalmente culminano con gli attacchi del 9/11. Questi vari avvenimenti sono naturalmente deplorabili, ma senza addurre alcuna prova, Podhoretz li considera tutti parte di una guerra concordata lunga decenni dei terroristi contro gli Stati Uniti.

Anche se Podhoretz avesse ragione sul fatto che i vari attacchi terroristici sono collegati, questo difficilmente costituirebbe una guerra mondiale. Ma il nostro distinto esperto di fiction ha appena cominciato a confabulare. Il nostro nemico non è solo qualche gruppo di terroristi ma una parte sostanziale dell'Islam, una religione con oltre un miliardo di fedeli. A seguito di Daniel Pipes, Podhoretz avverte di
un'ideologia capace di fare appello ai musulmani di ogni forma e formato… [con] un gran numero di cellule collegate. Se gli islamisti costituiscono dal 10 al 15 per cento della popolazione musulmana nel mondo, si tratta di circa 125 - 200 milioni di persone … l'obiettivo degli islamofascisti non è soltanto di schierare queste risorse per assassinare quanti di noi sia possibile. Come i nazisti ed i comunisti prima di loro, sono dediti alla distruzione delle libertà che proteggiamo e per le quali l'America si erge a baluardo. (p.14)
Podhoretz confonde due cose molto diverse. Molti musulmani affermano abbastanza aggressivamente la convinzione che la loro religione sia destinata trionfare e vedono il mondo occidentale secolare con disprezzo. Ma come può Podhoretz da questo arrivare ad un complotto che coinvolge milioni di persone per distruggere l'America?

Non ci offre nulla di più che aneddoti. “Diversamente dall'Europa, in cui l'attacco del 9/11 ha causato un fugace momento di simpatia per gli Stati Uniti … nel mondo islamico le notizie del 9/11 hanno spinto a ballare nelle vie ed a gridare di giubilo” (P. 99).

Quali persone, e quante, erano giubilanti? Podhoretz non lo dice, né riferisce, per esempio, della veglia a lume di candela per le vittime del 9/11 in Iran. Ma supponiamo che Podhoretz abbia ragione. Sarebbe la prova di qualcosa di più del fatto che qualcuno è felice di assistere alle disgrazie di una potenza ostile? Saltare da questo ad una cospirazione in tutto il mondo per distruggere l'America è un passaggio perlomeno temerario. Non sto insinuando che tutto il discorso su una minaccia islamica sia insensato. Il mio problema è Podhoretz, non l'Islam: non riesce assolutamente a fornire prove per le sue accuse principali.

A questo punto una difficoltà minaccia il nostro autore. Come abbiamo visto, egli afferma che milioni di musulmani professano una versione radicale dell'Islam che mira al collasso dell'America. Sollecita una guerra per combattere questa “dottrina armata” e ha sostenuto entusiasticamente l'invasione dell'Iraq come parte della crociata anti-terrorismo. Ma Saddam Hussein, benchè fosse naturalmente musulmano, governava uno stato in gran parte secolare. Inoltre, non era coinvolto negli attacchi del 9/11. Anche se Podhoretz fosse nel giusto circa il complotto islamico, per quale motivo la guerra in Iraq dovrebbe far parte della lotta anti-islamica? Non è piuttosto una diversione da quella lotta?

Ma un fattore minore come la logica non ferma il nostro autore. È sufficiente per lui che Bush abbia dichiarato l'Iraq parte dell'“asse del male.” Non è necessaria alcuna prova che Saddam avesse progettato un qualsiasi attacco contro l'America, né importa che l'invasione dell'Iraq abbia provocato “un'esplosione furiosa di anti-americanismo” nel mondo arabo (p. 100). La distruzione di Saddam non ha indebolito il potere dell'Islam radicale che Podhoretz teme, poiché l'Iraq non era governato con questa ideologia. Piuttosto, l'invasione ha ulteriormente infiammato l'ostilità degli islamisti radicali. Podhoretz, come appena menzionato, nota questa reazione ma la vede soltanto come illustrazione della malvagità araba piuttosto che come prova che la politica che favorisce ha fallito.

Temo che ancora non abbiamo finito con l'immagine dipinta dal Podhoretz del nemico che affrontiamo. Anche se tutto ciò che Podhoretz ha detto circa i suoi antagonisti fosse vero, perchè li chiama fascisti? Cita Bernard Lewis a proposito dell'influenza dei nazisti nella formazione del partito Baath negli anni '40. Questo partito, tuttavia, era e rimane un movimento nazionalista secolare; cosa avrebbe a che fare con la pressione islamica contro l'occidente temuta dal nostro autore? Il suo “argomento” sembra essere che i radicali religiosi islamici sono fascisti perché alcuni arabi secolari sessant'anni fa hanno guardato ai nazisti con simpatia.

Mettiamo tutto questo da parte, comunque, e supponiamo che milioni di musulmani mirino a distruggerci. Cosa dovremmo fare? Per Podhoretz, la risposta è diretta: dobbiamo installare la democrazia in tutto il Medio Oriente.
Il “nuovo metodo” di Bush è mirato (nella mia [di Podhoretz] versione preferita) a rendere sicuro per l'America il Medio Oriente rendendolo sicuro per la democrazia” (p. 144).
Questa non è un'idea utopica, poiché gli stati di quella regione
furono creati tutti meno di cento anni fa dalle rovine dello sconfitto Impero Ottomano dopo la prima guerra mondiale…. Essendo questo il caso, non c'era niente di “utopico” nell'idea che tali regimi – che erano stati piantati con radici poco profonde da due potenze occidentali [la Gran Bretagna e la Francia] e la cui legittimità era sfidata costantemente dalle forze interne sia religiose che secolari – potrebbero essere sradicati con l'aiuto di una terza potenza occidentale e che un sistema politico migliore potrebbe essere messo al loro posto. (pp. 144-45)
Naturalmente il ragionamento del Podhoretz è errato: non consegue dall'instabilità di un governo che un successivo regime possa essere stabilito facilmente, ma questo non è il problema sul quale desidero ora fissare l'attenzione. Se dobbiamo credere a Podhoretz, milioni di musulmani mirano a distruggerci. In democrazia, questa gente non voterà forse per i governi che tenteranno di mettere in atto i loro programmi radicali? Dato il loro numero (una volta di più, se Podhoretz ha ragione su di loro) è probabile che avrebbero spesso un peso decisivo nelle elezioni. L'effetto del rimedio democratico del Podhoretz è probabile che sarebbe un'intensificazione del problema che dovrebbe curare. Podhoretz pensa che le opinioni islamiche radicali che teme fioriscano soltanto nei regimi non democratici? In caso affermativo, ancora una volta non offre niente che possa supportare la sua posizione.

Accenna al problema in un punto: “sì, le elezioni hanno portato Hamas al potere nell'Autorità Palestinese, hanno dato ai terroristi di Hezbollah un posto nel governo libanese ed hanno assegnato seggi ai terroristi della Fratellanza Musulmana nel Parlamento egiziano” (p. 211). La sua risposta consiste nel citare due scrittori mediorientali che elogiano le elezioni come segno che l'urna elettorale ha sostituito la tirannia. In altre parole, la risposta al problema che gli elettori possano eleggere regimi ostili è che la Democrazia è una Buona Cosa.

Una volta di più, tuttavia, concediamo il beneficio del dubbio al nostro distinto esperto di Medio Oriente. Supponiamo che, prima del 2003, si fosse propensi a vedere del merito nella nozione della democrazia come cura per i problemi di quella regione. Un osservatore razionale non dovrebbe concludere che, applicata all'Iraq, tale politica abbia fallito miseramente?

Per niente, dice Podhoretz: la guerra sta andando piuttosto bene. È vero, degli errori sono stati commessi, ma che problema c'è? Questi ammontano a “spiccioli una volta confrontati agli errori fatti nella seconda guerra mondiale – una guerra condotta da giganti riconosciuti come Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill” (p. 115). Il “ragionamento” del Podhoretz, se l'ho capito bene, è che se gli errori della guerra in Iraq sono meno di quelli di un'altra guerra da lui ritenuta un successo, allora la guerra in Iraq non è un fallimento. È probabilmente normale che Podhoretz non tenti di argomentare le sue affermazioni.

Podhoretz fa un certo numero di altre notevoli asserzioni. I prigionieri a Guantánamo non sarebbero maltrattati. Anzi, al contrario, ricevono cure mediche avanzate e il loro regime è così salutare che hanno guadagnato in media diciotto libbre ciascuno durante la loro prigionia (p. 93). Leggendo questo, sono stato tentato di fare domanda per l'ammissione alla struttura. Prima di spedire il mio modulo di iscrizione, tuttavia, la cautela mi ha fermato. Altrove Podhoretz ci dice che “il fattore chiave nel combattere un'insurrezione terroristica” sta nella quantità di informazioni che si possono ottenere e che un metodo per assicurarsele è attraverso gli interrogatori dei prigionieri. Podhoretz si lamenta degli sforzi per “definirli 'tortura' fino al punto in cui diventerebbe illegale persino il sottoporre un terrorista catturato a metodi di interrogatorio generalmente accettati” (p. 114). Podhoretz ha un'idea piuttosto aberrante di buon trattamento e di conseguenza dovrò abbandonare i miei programmi di vacanza a Guantánamo.

La politica americana in Iraq, allora, è un magnifico successo. Di conseguenza, allora, l'autore di tale politica non si dovrebbe qualificare per la sua grandezza? “Io [Podhoretz] credo che il primo degli aspetti per i quali [Bush] già assomiglia a Harry Truman sia il suo riconoscimento in ritardo come grande presidente” (p. 205).

Le critiche sulle politiche interne di Bush lasciano intatta la sua grandezza: “chi si ricorda o si preoccupa oggi per le politiche interne di Truman?” (p. 205). Eric Voegelin, seguendo il romanziere austriaco Heimito von Doderer, parlò di una seconda realtà abitata da coloro che soffrono di un disordine dello spirito. Non posso pensare ad un'immagine più esatta di ciò che intendeva della IV Guerra Mondiale del Podhoretz. [2]
___________________________


David Gordon recensisce i nuovi libri d'economia, politica, filosofia e legge per The Mises Review, la rivista trimestrale di letteratura nelle scienze sociali, pubblicata dal 1995 dal Mises Institute. È autore de The Essential Rothbard, disponibile nel Mises Store. Consulta il suo archivio. Mandagli una mail. Commenta sul blog.

Questa recensione è stata pubblicata originariamente ne The Mises Review, autunno 2007.

Note

[1] Per un resoconto scettico di alcune delle accuse contro la Libia, vedere John Quigley, The Ruses for War (Prometheus Books, 2007).

[2] Podhoretz scrive con una prosa solida per quanto indistinguibile; ma non penso che i suoi maestri Lionel Trilling e F. R. Leavis avrebbero approvato il suo uso costante di “e/o” – una locuzione più adatta ad una lettera di affari che ad un saggio o ad un libro.

Wednesday, October 3, 2007

Cose da grandi

“Where is the Life we have lost in living? Where is the wisdom we have lost in knowledge? Where is the knowledge we have lost in information?”
(T.S. Eliot)
Ho già detto che per lo stato siamo tutti bambini? Credo di sì. E cosa si dice ai bambini quando i grandi discutono? «Andate di là a giocare, queste sono cose da grandi,» giusto? Questo sembra proprio il senso di questa notizia rivelata dal The New York Sun (e segnalata da Xymphora):
Frustrata dalle fughe di notizie sulla stampa sul suo lavoro più delicato, la sorveglianza elettronica, la National Security Agency (NSA) ha organizzato negli ultimi anni una serie senza precedenti di “seminari” segreti per istruire i reporter sui danni causati da tali perdite e per scoraggiare articoli che potrebbero interferire con la missione dell'agenzia di spiare i nemici dell'America.
Ovviamente, la scusa buona è, come al solito, quella del nemico: i “grandi” ci proteggono, ma non devono essere disturbati dalle nostre domande e dai nostri capricci. Loro sanno cosa è bene per noi, noi dobbiamo ubbidire, anche se non capiamo perché. Anzi, non dobbiamo neanche saperlo, il perché: non potremmo capirlo, ma soprattutto il saperlo potrebbe compromettere la loro sacra missione, quella di proteggerci. Se Bin Laden ancora non è stato catturato il motivo sta nell'imprudenza di qualche sprovveduto reporter, capito bambini?
Alle classi di mezza giornata hanno partecipato funzionari di alto grado della NSA che hanno evidenziato i passaggi discutibili nelle storie pubblicate offrendo “una innocua riscrittura” che secondo loro mantiene “il senso generale” degli articoli ma omette i particolari che potrebbero rivelare le tecniche dell'agenzia, secondo i sommari dei corsi ottenuti dal The New York Sun.
Da uno a dieci, quanto valuterà il taxpayer – che ricordiamolo, è colui che paga funzionari della NSA, seminari segreti, e in parte, pure i giornalisti – dicevo, quanto valuterà un'informazione completa e quanto la necessità della segretezza della NSA? Non importa, perché in fondo, la sua valutazione l'ha già delegata ad altre persone, insieme alla propria libertà.
Denominato “SIGINT 101,” usando l'acronimo della NSA per signals intelligence, il seminario è stato presentato “una manciata di volte” fra circa il 2002 ed il 2004, ha confermato ieri una portavoce dell'agenzia, Marci Green. I funzionari sono rimasti soddisfatti del programma, ha detto.
La soddisfazione dei lettori di giornali non è invece contemplata dal programma, che pare avere un'idea ben precisa di cosa dev'essere l'informazione. Del resto, il popolo cresciuto nell'incubatrice della d/istruzione pubblica, a parte poche eccezioni, non pare averne una molto diversa: lungi dal ricercare il sapere, si accontenta di sapere ciò che deve sapere. Tutto ciò che va oltre il limite della matrice imposta è, come si dice ai bambini: cacca.

Tuesday, October 2, 2007

“Classified information”

Ancora una scena dalla serie televisiva Blackadder Goes Forth ('89). L'arte della guerra...

La potatura

In the economic sphere an act, a habit, an institution, a law produces not only one effect, but a series of effects. Of these effects, the first alone is immediate; it appears simultaneously with its cause; it is seen. The other effects emerge only subsequently; they are not seen; we are fortunate if we foresee them.
(Frédéric Bastiat)

Stiamo assistendo negli ultimi tempi ad una corsa al riarmo generalizzata, ignorata o minimizzata da gran parte dei mass media, tanto più preoccupante quanto le tensioni in tutte le zone calde del pianeta si stanno estremizzando. Il conflitto in Iraq continua a causare quotidianamente decine di morti, Israele provoca la Siria, l'Iran è nel mirino, si sta approntando un'imponente spedizione ONU nel Darfur, mentre si accendono nuovi focolai come in Birmania.

La spesa in armamenti, se superficialmente rende l'impressione di un'economia forte ed ancora in crescita, ad un'analisi più attenta si rivela per quello che è: un'ulteriore grave, enorme drenaggio di risorse che avrebbero potuto e dovuto tradursi in energia costruttiva. Come aveva compreso Bastiat, gli effetti visibili ci nascondono gli effetti invisibili. Il tank ci impedisce di vedere i trattori che avrebbero potuto essere costruiti al suo posto.

Giocando sull'insicurezza del popolo abilmente coltivata dalla propaganda lo stato presenta l'acquisto di una nuova corazzata come simbolo di potenza e prosperità, e promessa di trionfi ancor maggiori. Ecco allora che, come se fosse inevitabile, qualsiasi contrasto, qualsiasi differenza di vedute con stati o fazioni diverse viene subito preso a pretesto per diffondere un'atmosfera di minaccia: nessuno pare interessato al compromesso e all'accordo, tutti fanno a gara ad istigare i popoli all'odio instillando la paura. Non solo: l'urgenza della guerra unisce nella stessa trincea democratici e repubblicani, destra e sinistra, atei e credenti. Secondo Randolph Bourne:
Il governo, senza il mandato del popolo, senza consultare il popolo, conduce tutte le trattative, i tentennamenti, le minacce e le spiegazioni, che la portano lentamente allo scontro con un certo altro governo e delicatamente ed irresistibilmente a far scivolare il paese nella guerra. A beneficio dei cittadini fieri e orgogliosi, è fortificato dalla lista degli intollerabili insulti lanciati contro di noi dalle altre nazioni; a favore del liberale e benefattore, ha un convincente catalogo degli scopi morali che il nostro andare alla guerra realizzerà; per le classi ambiziose ed aggressive, può delicatamente bisbigliare di un ruolo più grande nel destino del mondo. [...]

Il tempo di guerra mette l'ideale dello Stato in chiaro rilievo e rivela gli atteggiamenti e le tendenze che erano nascosti. In tempo di pace il senso dello Stato diminuisce in una repubblica non militarizzata. Perché la guerra è essenzialmente la salute dello Stato. L'ideale dello Stato è che all'interno del suo territorio il suo potere ed influenza dovrebbero essere universali. Così come la Chiesa è il mezzo per la salvezza spirituale dell'uomo, dello Stato si pensa che sia il mezzo per la sua salvezza politica. Il suo idealismo è sangue ricco che fluisce in tutti i membri del corpo politico. Ed è precisamente in guerra che l'urgenza dell'unione appare maggiore e la necessità dell'universalità indubitabile. [...] Lo Stato si trasforma in ciò che in tempo di pace ha vanamente lottato per diventare: l'inesorabile giudice e pianificatore dei commerci, degli atteggiamenti e delle opinioni degli uomini.

Ed è veramente uno squallido spettacolo quello di uno stato che, sempre più rapidamente, si avvia verso il suo destino di distruzione. I proclami, le accuse, le provocazioni si accavallano in un crescendo propagandistico che finisce per coinvolgere le masse: l'individuo, sotto la pressione della rabbia e del terrore perde progressivamente la capacità di analisi razionale e, abbandonatosi alle pulsioni emotive si trasforma in uomo-massa, perfetto strumento nelle mani del potere. Non c'è altra strada percorribile, non c'è alternativa, non c'è possibilità di accordo, perché il nemico ha caratteristiche disumane, bestiali, diaboliche.

Diventa facile quindi per lo stato scaricare le proprie colpe all'esterno. L'insolubile dissesto finanziario di cui esso è responsabile viene attribuito alle manovre del nemico ed alla necessità di contrastarlo – per proteggere la nazione, ça va sans dire – comoda via d'uscita per la classe dirigente, che non deve più temere gli inevitabili sviluppi del ciclo economico, vera e propria “soluzione finale” al vicolo cieco dell'economia pianificata e dei soldi finti. In fondo, se si vuole evitare che i nodi vengano al pettine basta rasarsi a zero.


Monday, October 1, 2007

Valore e Scambio: tre diversi approcci

Ripubblico un articolo sull'utilità marginale di Marco Bollettino già pubblicato su Luogo Comune, di “utilità niente affatto marginale” per chi non fosse già familiare con la teoria del valore.
___________________________

Di Marco Bollettino (Ashoka)

"I Cartaginesi raccontano anche questo, che vi è una regione della Libia e uomini che la abitano, al di là delle colonne d’Ercole. Quando siano giunti tra questi e abbiano scaricato le mercanzie, dopo averle esposte in ordine lungo la spiaggia risalgono sulla nave e alzano una fumata. Allora gli indigeni vedendo il fumo vanno al mare e poi in sostituzione delle mercanzie depongono oro e si ritirano lontano dalle merci. E i Cartaginesi sbarcati osservano e se l’oro sembra loro degno delle mercanzie lo raccolgono e si allontanano, se invece non sembra degno, risaliti sulla nave di nuovo attendono; e quelli, fattisi avanti, depongono altro oro, finché li soddisfino. E non si fanno torto a vicenda, perché né essi toccano l’oro prima che quelli l’abbiano reso uguale al valore delle mercanzie, né quelli toccano le merci prima che gli altri abbiano preso l’oro"

(Erodoto, Storie IV, 196)

Il racconto di Erodoto illustra ciò che gli antichi intendevano per scambio equo: una lenta e silenziosa trattativa in cui entrambe le parti offrivano le loro mercanzie sino a che non veniva trovato un accordo.

Ma come determinare il valore di queste mercanzie? Oppure dell'oro che veniva offerto in cambio? Esiste un criterio oggettivo per determinare dall'esterno quando uno scambio è equo?

Sin dall'antichità filosofi ed economisti hanno cercato di rispondere a queste domande formulando diverse “teorie del valore”.

Esaminiamo le tre più importanti.


Aristotele, Marx ed il valore oggettivo

Nelle sue opere Aristotele sostiene che ogni bene (una casa, una misura di grano, un letto) ha un suo valore proprio ed oggettivo e quando si effettua uno scambio equo non si fa altro che pareggiare i valori dei beni tramite delle semplici equivalenze.
Siano A una casa, B dieci mine, C un letto. A è la metà di B, se la casa vale cinque mine, o se è uguale a cinque mine. E il letto è la decima parte, C è un decimo di B. E' chiaro pertanto quanti letti costituiscono l'equivalente di una casa, cioè cinque. [..] Infatti non fa nessuna differenza o avere cinque letti in cambio di una casa o pagarli quanto valgono cinque letti.
(Aristotele, Etica Nicomachea, V,8)
I pilastri di questa teoria sono quindi due:

- ogni bene è dotato di un “valore” che è oggettivo e misurabile

- uno scambio equo avviene solo tra mercanzie di pari valore

Per il filosofo greco non vi sono dubbi che il valore delle merci scambiate sia uguale: afferma infatti che “non vi sarebbe scambio se non vi fosse uguaglianza, né uguaglianza se non vi fosse commensurabilità”. Tuttavia, sempre Aristotele, nota che “è impossibile che cose tanto diverse siano commensurabili”.

Cos'è questo “valore” che rende rapportabili tra loro una casa e cinque letti? Che cos'è che li renderebbe uguali?

Aristotele non indaga oltre e parla di un generico “bisogno”. Gli economisti classici (Smith, Ricardo e soprattutto Marx) invece individueranno questo principio comune nel “lavoro”.

Il filosofo tedesco, infatti, riprende le argomentazioni di Aristotele e le approfondisce nel primo libro del Capitale in cui afferma:
Prendiamo poi due merci: p. es. grano e ferro. Quale che sia il loro rapporto di scambio, esso è sempre rappresentabile in una equazione, nella quale una quantità data di grano è posta come eguale a una data quantità di ferro, p. es. un quarter di grano = un quintale di ferro. Che cosa ci dice questa equazione? Che in due cose differenti, in un quarter di grano come pure in un quintale di ferro, esiste un qualcosa di comune e della stessa grandezza. Dunque l'uno e l'altro sono eguali a una terza cosa, che in sé e per sé non è né l'uno né l'altro.
(Marx, Il Capitale, Cap. I)
La “terza cosa” sarebbe quel principio che permetteva la “commensurabilità” di cui parlava Aristotele.. Questo qualcosa, il valore di scambio, deve essere indipendente dalle qualità “fisiche” delle merci, che sono ovviamente molto diverse. Secondo Marx “rimane loro soltanto una qualità, [comune a tutte le merci scambiate e cioé] quella di essere prodotti del lavoro”.

Ricapitolando, per Marx due merci vengono scambiate quando hanno pari valore e quest'ultimo è determinato dalla quantità di lavoro necessario a produrle. Nell'esempio precedente se cinque letti venivano scambiati con una casa era perché “contenevano” la stessa quantità di valore, ovvero le stesse ore di lavoro.


Critiche alla concezione di valore oggettivo

Le critiche che si possono fare a questa teoria sono molteplici e ne verranno presentati solo alcuni esempi.

Innanzitutto si estromette dal processo di scambio quello che è l'attore principale, cioè l'uomo, ed il suo giudizio di valore, che è prettamente soggettivo:

Che differenza c'è, in termini di “valore-lavoro” tra la pallina da baseball con cui Barry Bonds ha realizzato il record di fuoricampo della MLB ed una pallina da baseball qualunque? Nessuna.

Eppure, se messa all'asta, la prima potrebbe essere venduta ad un collezionista per centinaia di miglia di dollari; meno se le accuse a Bonds di aver utilizzato steroidi verranno provate.

Eppure è solo una palla da baseball indistinguibile dalle altre!

In secondo luogo se le merci si scambiano attraverso il loro valore-lavoro non ha alcun effetto, nella determinazione dei prezzi, l'interazione tra domanda ed offerta ma ogni giorno assistiamo al contrario. Marx tenta di giustificare la variazione di prezzo in questo modo:

La grandezza di valore di una merce rimarrebbe quindi costante se il tempo di lavoro richiesto per la sua produzione fosse costante. Ma esso cambia con ogni cambiamento della forza produttiva del lavoro. La forza produttiva del lavoro è determinata da molteplici circostanze, e, fra le altre, dal grado medio di abilità dell'operaio, dal grado di sviluppo e di applicabilità tecnologica della scienza, dalla combinazione sociale del processo di produzione, dall'entità e dalla capacità operativa dei mezzi di produzione, e da situazioni naturali. P. es. la stessa quantità di lavoro si presenta in una stagione favorevole con 8 bushel di grano, in una situazione sfavorevole solo con quattro.

Se però la produttività rimane costante (vengono prodotti sempre 8 bushel di grano) ma cresce la sua domanda, per l'effetto ad esempio di un aumento della popolazione, non si spiegano, con questa teoria, le variazioni di prezzo del grano relativamente agli altri beni, la cui domanda è rimasta costante (ad esempio gli aratri).

Infine Marx sostiene che nello scambio vi sono due fattori:

la motivazione dello scambio, cioè per consumare il bene che riceverò, ovvero quello che Marx chiama “valore d'uso;”
il rapporto di scambio (5 letti per una casa) che è dato invece dal valore-lavoro.

In poche parole se voglio comprare un panino è perché ho fame ma il prezzo che sono disposto a pagare (ovvero il valore di scambio con gli altri beni e con la moneta) è determinato solo dal lavoro necessario a produrlo.

Questo ci conduce alla situazione assurda in cui se il negoziante fissa per un panino un prezzo maggiore del suo valore-lavoro, gli avventori si rifiutano di acquistarlo (pur avendone la possibilità economica!) fino al punto di morire di fame.

Insomma il mondo descritto da Marx è un mondo fittizio popolato di automi che mettono ogni giorno a repentagli la loro vita, non la realtà.


La teoria neoclassica, il valore soggettivo e l'utilità marginale

Nella teoria neoclassica, invece, è l'individuo ad esprimere il giudizio di valore, che pertanto diventa soggettivo e lo fa ricorrendo al concetto di utilità.

Gli uomini, si dice, desiderano acquisire i beni per consumarli e soddisfare i propri bisogni. Ad esempio compriamo un panino perché abbiamo fame, ma potremmo preferire un hamburger oppure, se siamo vegetariani, optare per un'insalata.

E' quindi l'individuo a dare valore alle cose in base alle sue preferenze ed alla situazione in cui si trova: difficilmente daremo lo stesso valore ad un gelato in inverno ed in estate!

Il giudizio di valore, inoltre, non si esprime soltanto riguardo la categoria generale (preferisco l'acqua alla coca cola per dissetarmi) ma anche riguardo quantità differenti dello stesso bene: è la cosiddetta legge dell'utilità marginale decrescente.

Gli economisti neoclassici sostengono che ogni unità addizionale dello stesso bene/servizio che consumiamo ci fornisce una quantità di utilità inferiore alla precedente.

Se John è affamato otterrà molta utilità dal mangiare un bel panino. Se ne avrà a disposizione un secondo sarà contento e lo mangerà volentieri, ma traendone meno soddisfazione rispetto al primo e così via per ogni panino addizionale.

John ovviamente preferirà sempre avere più panini a disposizione ma ogni panino extra aggiungerà meno utilità al totale.

Se introduciamo il concetto di valore soggettivo e di utilità marginale ecco che lo scambio (e la nozione di scambio equo) diventa qualcosa di molto diverso rispetto alla formulazione classica.

Proviamo a vedere un esempio.

Marco e Luca collezionano figurine di calciatori e sono entrambi arrivati ad un passo dal completare il loro album: a Marco manca la figurina di Ibrahimovic ed a Luca quelle di Ronaldo e Del Piero.

Fortunatamente entrambi hanno un po' di figurine doppie e Marco si trova proprio a possedere in copia multipla sia Ronaldo che Del Piero, mentre Luca ha un Ibrahimovic extra che è disposto a scambiare.

Lo scambio avviene.

Poiché ora sia Marco che Luca possono completare la loro collezione, entrambi preferiscono la situazione attuale a quella precedente e sono convinti di averci guadagnato.

Non si ha più uno scambio equo quando vengono trattate merci di pari valore ma quando entrambe le parti valutano di più ciò che ricevono rispetto a ciò che danno in cambio.


Homo oeconomicus e critica alla teoria neoclassica del valore

Secondo la teoria neoclassica l'individuo cerca di massimizzare la sua utilità ma, ovviamente, ha un vincolo di bilancio da rispettare. Poiché ogni unità addizionale di un certo bene (il secondo panino) conferisce meno utilità rispetto a quella precedente il nostro homo oeconomicus sarà disposto a spendere di meno per acquistarla.

Di fronte a diversi beni che hanno lo stesso prezzo agirà in modo razionale ed opterà per l'acquisto di un'unità di quello che gli conferisce un'utilità maggiore e così via.

Si può quindi stabilire un criterio per raggiungere l'utilità massima: spendere i propri soldi in modo che l'utilità marginale dell'ultimo euro che state per spendere sia la stessa per ogni bene che potete acquistare.

In altre parole avete speso bene ed in modo razionale i soldi che avevate ed ora non c'è modo di aumentare ulteriormente la vostra utilità spendendo il poco che vi è rimasto nel portafoglio.

Ma se l'uomo marxiano era completamente avulso dalla realtà anche l'homo oeconomicus, questo calcolatore perfetto e pienamente consapevole dei suoi bisogni, è un qualcosa che difficilmente si trova in natura.

Inoltre si è parlato del concetto astratto di utilità, questa quantità che aumenta e diminuisce consumando i beni, ma non si è ancora spiegato bene come e perché consumare qualcosa ci porti beneficio.

Come si può infatti parlare di utilità che un bene ci offre senza ragionare dello scopo per cui lo consumiamo? Questo è l'approccio della scuola Austriaca di economia.


La teoria dell'utilità marginale secondo la dottrina austriaca

Gli economisti austriaci incentrano il loro studio sull'azione dell'uomo intesa come comportamento intenzionale: ogni individuo, in sintesi, utilizza i mezzi che ha a disposizione per cercare di raggiungere i propri obiettivi.

Ovviamente ci sono delle priorità da rispettare e quindi l'azione dell'individuo sarà volta a soddisfare prima i bisogni che sono reputati più urgenti (come mangiare, bere, etc.) e poi via via tutti gli altri, ordinati secondo l'importanza a loro attribuita.

Secondo questa interpretazione il panino fornisce utilità a John perché soddisfa il suo bisogno di nutrirsi: un secondo panino potrà servire ancora a questo scopo, anche se i morsi della fame sono già stati placati, ma sicuramente dopo un po' John avrà la pancia piena e passerà ad altro.

Consideriamo ora la seguente situazione:

Paolo il pizzaiolo ha prodotto quattro pizze. Queste ultime sono le risorse che ha disposizione (i suoi mezzi) per riuscire a raggiungere i suoi obiettivi.

Ipotizziamo che la sua priorità più alta sia avere qualcosa da mangiare e che quindi conserverà una delle pizze appena sfornate per raggiungere questo obiettivo. Il secondo obiettivo di Paolo è dissetarsi con una bottiglia di birra ed è fortunato perché riesce a trovare qualcuno d'accordo a scambiarla con lui in cambio di una pizza. Il nostro pizzaiolo utilizzerà la terza pizza come mezzo per raggiungere il suo terzo obiettivo, che è comprarsi una maglietta, mentre con l'ultima pizza cercherà di ottenere un cappello nuovo.
Osserviamo innanzitutto che, mentre per raggiungere il primo obiettivo Paolo può servirsi dei suoi prodotti (le pizze), per gli altri è costretto ad effettuare degli scambi: la pizza viene scambiata con una bottiglia di birra.

Ciò che dà valore ad un bene è quindi la sua particolare attitudine a soddisfare il fine che si sta perseguendo: diamo valore ad una fetta di pizza quando il nostro scopo è sfamarci, ad una bottiglia d'acqua quando vogliamo dissetarci e così via.

Parafrasando Machiavelli è il fine che ci fa dar valore ai mezzi.

Concentriamoci ora sulle risorse a nostra disposizione: le pizze.

Innanzitutto bisogna osservare che le pizze sono “intercambiabili” tra loro. Paolo le ha appena sfornate tutte e quattro ed ancora non sa quale mangerà, quale verrà scambiata per la birra, quale per la maglietta e quale per il cappello; sa soltanto che quelle quattro pizze gli permetteranno di raggiungere quei quattro obiettivi.

Non potendo distinguere tra le diverse pizze Paolo dovrà attribuire a ciascuna uno stesso valore soggettivo: lo possiamo constatare tutti i giorni quando entriamo in un negozio ed osserviamo che gli stessi articoli hanno tutti lo stesso prezzo.

Quant'è questo valore che Paolo attribuisce alle singole pizze?

Abbiamo visto che quando effettuiamo uno scambio valutiamo di più ciò che riceviamo rispetto a ciò che abbiamo dato.

Poiché Paolo ha mangiato la pizza evidentemente preferiva sfamarsi rispetto al conservare la pizza intera. Allo stesso modo possiamo affermare che preferiva una bottiglia di birra, la maglietta ed il cappello alle tre pizze che ha scambiato per ottenerli.

Il valore attribuito alle pizze dipende quindi dall'ultimo obiettivo (comprarsi il cappello) che è stato raggiunto tramite il loro impiego.

La quarta ed ultima pizza a disposizione di Paolo, che viene impiegata per raggiungere questo fine è chiamata unità marginale oppure unità al margine e dal momento che soddisfa il bisogno meno importante diciamo che offre il beneficio minore.

Consideriamo ora la situazione in cui Paolo riesca solo a preparare tre pizze. Questa volta il nostro pizzaiolo sarà in grado di soddisfare solo i primi tre obiettivi e quindi l'unità marginale sarà la terza, quella che gli permette di comprare una maglietta. Dal ragionamento precedente possiamo dedurre che le pizze avranno per Paolo il valore dell'ultimo fine soddisfatto (comprarsi la maglietta), quindi un valore superiore a quello del caso precedente.

Generalizzando possiamo affermare che quando il numero di pizze offerte diminuisce (da 4 a 3) l'importanza dell'unità marginale aumenta (da “comprarsi il cappello” a “comprarsi una maglietta”) e viceversa.

L'utilità marginale non è quindi, per gli economisti austriaci, un'aggiunta all'utilità totale dell'individuo ma piuttosto il valore del fine marginale (l'ultimo in ordine di importanza che viene soddisfatto).
___________________________

Dello stesso autore:


Quando lo Stato diventa falsario

Bankestein revisited, dal baratto al baratro:

Capitolo 1: La creazione della moneta

Capitolo 2: La moneta diventa "di stato"

Capitolo 3 Nascita del debito pubblico e fallimento dello Stato


Premio Caligola - Settembre '07: Prodi!

Sfida tutta italiana per la vittoria nell'edizione di settembre del Premio Caligola - Il potere gli ha dato alla testa: i campioni nostrani hanno lasciato solo le briciole al concorrente brasiliano, la miseria di due voti (si sussurra comprati, tra l'altro).

Alla fine l'ha spuntata Prodi, con il 55% delle preferenze (neanche nei suoi sogni migliori...) contro il 33% ottenuto da Mastella. Non sono mancate le polemiche, visto che il voto a Prodi offriva la possibilità di votare contemporaneamente altri due nomi di spicco, Pannella e Kagame. Senza questo innegabile vantaggio chissà se il delirio premiante del nostro presidente del consiglio avrebbe prevalso sull'arroganza decadente del campione di Ceppaloni che ha comunque tenuto testa fino alla fine: la classe non è acqua.

Onore a Prodi, quindi, che riceverà la targa ricordo e il kit Do it yourself: Suicide! – nell'occasione verrà consegnato anche ai suoi “compagni di merende” Pannella e Kagame – ed entra da favorito nella lista di candidati alla vittoria dell'edizione annuale del Premio, mentre Lula si consolerà con un riconoscimento della giuria di qualità: un elegante schedario in legno dell'Amazzonia in cui raccogliere le bustarelle dei produttori di armi.