Monday, May 31, 2010

Lo Stato sono Loro

Ricevo e pubblico con piacere un nuovo articolo dell'amico Gian Piero de Bellis, del sito panarchy.org, che si occupa stavolta di uno dei più perniciosi dogmi della dottrina democratica: l'identificazione dei sudditi con lo stato che li opprime.
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Di Gian Piero de Bellis


Una delle frasi storiche più famose è quella attribuita al giovane Luigi XIV, ancora sotto la tutela del Cardinal Mazarino, e desideroso di liberarsi da qualsiasi potere che lo limitasse: “L’Etat c’est Moi,” lo Stato sono Io.

Che questa frase sia stata o meno pronunciata da Luigi XIV non ha molta importanza. Quello che invece conta è il fatto che essa raffiguri un dato della realtà tuttora valido e cioè che lo Stato non è altro che l’organizzazione dell’esercizio del potere sugli altri e che colui che ne è al vertice e che gode di un potere assoluto è identificabile con l’entità stessa.

Nei decenni successivi, e soprattutto a partire dalla Rivoluzione Francese, lo Stato è diventato sempre meno una entità personale e sempre più una macchina burocratica. Il tramonto dell’aristocrazia, l’ascesa della borghesia e l’entrata in scena delle masse hanno condotto ad un accrescimento smisurato della struttura statale a tal punto che Bastiat, alla ricerca di una definizione di cosa fosse lo Stato, se ne venne fuori con una frase geniale: “Lo Stato è la grande illusione attraverso la quale tutti sperano di vivere alle spalle di tutti gli altri.”

Lo stato nazionale moderno è quindi un apparato gigantesco che penetra negli animi e nelle menti di tutti, sfruttatori e sfruttati, agli uni concedendo laute pappagioni e agli altri distribuendo semplici illusioni. In sostanza, a partire dall’ottocento, tutti o quasi tutti sembrano essere partecipi di questo mastodonte che è lo stato, foraggiandosi o sperando di foraggiarsi o anche solo illudendosi di essere foraggiati.

Lo stato si intrufola in tutti gli interstizi sociali, in tutte le associazioni e istituzioni messe in piedi da gruppi sociali e le assorbe sotto la sua ala apparentemente protettrice ma in realtà soffocante. Alexis de Tocqueville ha descritto molto bene questa situazione in cui lo Stato, dopo essersi sovrapposto alla società annientandola, appare poi come l’unica forma sociale possibile e immaginabile.

E dal momento che noi tutti, a meno di non soffrire di gravi patologie della psiche, siamo esseri più o meno sociali, e la nostra vita è fatta in gran parte di relazioni sociali, ne deriva che molti hanno cominciato a confondere lo stato con la società o addirittura a pensare che senza lo Stato non esiste la Società.

Il passaggio logico successivo è la formulazione di quella che è diventata una convinzione diffusa: Lo Stato siamo Noi.

Questa convinzione si basa sul seguente sillogismo:
Lo Stato è la Società
Noi facciamo parte della Società
Noi siamo lo Stato o, altrimenti detto, lo Stato siamo noi.
Il problema è che questo strampalato sillogismo poggia su una premessa del tutto fasulla: lo Stato non è la Società. La Società, qualsiasi società, è esistita prima dello Stato che non è altro che una recente forma di organizzazione politica territoriale di tipo monopolistico.

Questa identificazione è resa possibile anche per il fatto che gli intellettuali asserviti allo stato si sono riempiti la bocca della parola astratta: Società, mentre avrebbero fatto meglio a usare al suo posto una locuzione concreta come: gli individui e le loro relazioni sociali. In effetti la Società non esiste se non in quanto esistono gli individui che si relazionano tra di loro. Purtroppo l’uso manipolativo di una astrazione (la Società) fa cadere nella trappola di una realtà concreta (lo Stato) presentata come indispensabile; e questo è il risultato nefasto prodotto dagli intellettuali da strapazzo pagati dallo stato come docenti prezzolati o scribacchini a giornata o manipolatori televisivi.

Se noi usiamo invece realtà concrete come Francesca, Giovanni e Teresa, la prima che lavora a Biandrate al Bar dello Sport, l’altro che è a studiare a Reading in Inghilterra, e la terza che è casalinga a Bollate, e diciamo che essi, assieme molti altri, sono lo Stato Italiano, allora l’imbroglio è presto smascherato e la presa in giro o truffa intellettuale è praticamente impossibile. Se poi ci mettiamo dentro Hassan l’emigrato dal Marocco che fa il muratore a Sesto San Giovanni o Alì in fuga dalle persecuzioni di qualche cricca al potere, e diciamo che lo Stato sono anche loro (quale Stato?), allora l’inganno diventa talmente visibile nella sua indecente e lercia immoralità che anche l’ultimo degli ingenui ci penserebbe due volte prima di dire che lo Stato siamo Noi.

Allora dobbiamo ritornare alla realtà di Luigi XIV, alla sua presunta ma quanto mai vera affermazione e attualizzarla. Ai tempi nostri mentre non è più concepibile che qualcuno possa dire: Lo Stato sono Io, è invece non solo plausibile ma anche estremamente veritiero affermare: Lo Stato sono Loro.

E per loro intendiamo tutti coloro che, basandosi sull’imposizione fiscale e cioè sull’estrazione forzata del pizzo, ricevono il loro reddito dallo Stato (i burocrati, i militari, i docenti universitari, ecc.), ricevono sovvenzioni dallo Stato (i giornalisti, gli industriali delle corporazioni, ecc.) ricevono privilegi dallo Stato in quanto facenti parte di albi professionali riconosciuti dallo Stato (i notai, gli avvocati, i commercialisti, ecc) o di enti riconosciuti dallo Stato (ad es. le banche).

Alcuni di costoro possono essere contro lo Stato e non riconoscersi nello Stato, ma la grande maggioranza di essi sono lo Stato. Loro sono lo Stato.

Questo è il Loro Stato che a molti di noi non interessa minimamente e da cui vogliamo scappare come vuole scappare colui che è tenuto prigioniero da un gruppo di banditi per il pagamento di un riscatto, soggetto ad uno strozzinaggio infinito che nelle intenzioni dei banditi dovrebbe durare tutta la vita.

In sostanza, quando qualcuno vuole inserirti controvoglia nel Loro Stato tirando fuori la bidonata assoluta che lo Stato siamo tutti Noi, allora è bene chiarire, con le buone maniere ma fermamente, che si declina l’invito a fare parte di una organizzazione di magnaccia bancarottieri, guerrafondai e beceri xenofobi e che si hanno invece ambizioni più elevate e di più largo raggio che non quella di far parte di un pollaio nazionale. Al tempo stesso si può far rassicurare l’interlocutore che lui assieme ad altri possono continuare a sostenere e a sentirsi parte del Loro Stato perché lo Stato è in effetti Loro e Loro sono lo Stato. Però si dovrebbe fare gentilmente ma vigorosamente presente che, come nessuno chiede agli altri di pagare le proprie spese condominiali o il proprio conto al ristorante, così è bene che Loro comincino a pagare le spese del Loro Stato perché il tempo dell’estorsione del pizzo sta rapidamente volgendo al termine.

Solo allora si moltiplicheranno gli individui liberi impegnati a sviluppare libere relazioni sociali e le società, cioè le reti volontarie di individui come Teresa, Hassan, Miguel e Peter, potranno finalmente rifiorire.

16 comments:

Ed Schlecter said...

Come spesso accade, gli anarchici sono troppo insegnati ad accusare gli intellettuali (tutti!) di essere “asserviti allo stato” per capire ciò che quegli intellettuali dicono veramente, ossia che non esiste una distinzione netta tra società e stato. È vero, alcuni di loro hanno identificato e identificano le due realtà, ma si tratta di una minoranza. All'estremo opposto stanno appunto gli anarchici, secondo i quali la società sarebbe più giusta e funzionante se non si intromettesse lo stato a rovinare la festa. Una specie di dottrina del buon selvaggio, in cui al posto della proprietà privata a mettere scompiglio nell'armonia naturale tra gli uomini c'è lo stato.

Mi pare molto più sensata la posizione intermedia, ossia che lo stato sia, né più né meno di qualsiasi altra istituzione, un prodotto delle dinamiche sociali. Anche perché altrimenti non si capisce da dove questo stato sia sbucato fuori. C'è la società in cui tutto funziona per il meglio o quasi, poi dal disco volante sbarca lo stato e succede il casino.

E infatti l'asino casca quando l'autore cerca di fornire un esempio concreto a sostegno di questa distinzione netta. È sintomatico il fatto che sia costretto a citare degli esempi parziali e fuorvianti per non contraddirsi da solo. Chi è lo stato? si chiede. “Tutti coloro che ricevono il loro reddito dallo Stato (i burocrati, i militari, i docenti universitari, ecc.)”. Con un trucco retorico abbastanza ingenuo, gli esempi prendono in considerazione solo minoranze privilegiate e generalmente odiose, ma numericamente quasi insignificanti a confronto del resto. Pagato dallo stato è pure l'insegnante non universitario (magari precario), il medico, l'infermiere e l'impiegato di posta. Se lo stato sono coloro che vivono di soldi pubblici, lo stato sono qualche milione di dipendenti pubblici italiani.

Poi, lo stato sono coloro che ricevono sovvenzioni e privilegi. C'è chi riceve privilegi più grandi e privilegi più piccoli, ed è sacrosanto denunciarlo. Ma tecnicamente è un privilegio “di classe” anche il non poter essere licenziati per una giusta causa e godere di un minimo salariale, per non parlare del ricevere sussidi per la propria attività agricola. Tutte cose che in assenza di stato non esisterebbero. Per non parlare poi del fatto che ad esempio in Italia lo stato da sempre chiude un occhio e mezzo sui lavoratori autonomi che non pagano le tasse. Anche questo è un privilegio rispetto a chi (come il burocrate statale) i soldi non li vede nemmeno perché vengono prelevati alla fonte.

Sono solo alcuni esempi per dire che la situazione è molto più sfumata rispetto al bianco e nero che spesso si dipinge, e non esiste nessun “noi”, la società, i buoni, e nessun “loro”, lo stato, i cattivi.

Paxtibi said...

Mi pare molto più sensata la posizione intermedia, ossia che lo stato sia, né più né meno di qualsiasi altra istituzione, un prodotto delle dinamiche sociali.

Esattamente come la mafia.

Con un trucco retorico abbastanza ingenuo, gli esempi prendono in considerazione solo minoranze privilegiate e generalmente odiose, ma numericamente quasi insignificanti a confronto del resto.

Numericamente quasi insignificanti, economicamente molto significative.

Se lo stato sono coloro che vivono di soldi pubblici, lo stato sono qualche milione di dipendenti pubblici italiani.

Infatti. Ma in un'organizzazione gerarchica le responsabilità non si distribuiscono indifferentemente dalla posizione.

,Ma tecnicamente è un privilegio “di classe” anche il non poter essere licenziati per una giusta causa e godere di un minimo salariale, per non parlare del ricevere sussidi per la propria attività agricola. Tutte cose che in assenza di stato non esisterebbero.

Tutte cose che distruggono l'economia.

Anche questo è un privilegio rispetto a chi (come il burocrate statale) i soldi non li vede nemmeno perché vengono prelevati alla fonte.

Il "burocrate statale che paga le tasse" è una contraddizione in termini degna del Mondo delle Meraviglie!

Sono solo alcuni esempi per dire che la situazione è molto più sfumata rispetto al bianco e nero che spesso si dipinge

Io direi che siamo sul marrone intenso.

Ed Schlecter said...

Esattamente come la mafia.

Verissimo. Infatti qualsiasi persona di buon senso sa che per debellarla non basta la repressione, ma serve che cambi il contesto sociale in cui si sviluppa e prospera.

Ed esattamente come il libero mercato, che così come lo intendiamo ora sarebbe stato impensabile appena qualche centinaio di anni fa.

Tutte cose che distruggono l'economia.

Vero, se si parte dal presupposto, come dice Hoppe, che il lavoratore salariato è tale perché preferisce un guadagno istantaneo piuttosto che mettere via soldi da investire in futuro e diventare autonomo (sic!). Ne deriva che anche lo sfruttato (sottocategoria del lavoratore salariato) è tale perché vuole esserlo. Ossia: se sei povero è solo colpa tua.

Il "burocrate statale che paga le tasse" è una contraddizione in termini degna del Mondo delle Meraviglie!

Ok, sostituiamo "burocrate statale" con "operaio metalmeccanico", il concetto è lo stesso.

Paxtibi said...

Infatti qualsiasi persona di buon senso sa che per debellarla non basta la repressione, ma serve che cambi il contesto sociale in cui si sviluppa e prospera.

Nel frattempo, poter accogliere a scariche di pallettoni il picciotto che viene a ritirare il pizzo non sembra essere un'idea così malvagia.

Vero, se si parte dal presupposto, come dice Hoppe, che il lavoratore salariato è tale perché preferisce un guadagno istantaneo piuttosto che mettere via soldi da investire in futuro e diventare autonomo (sic!).

No, è vero a prescindere. Il ragionamento di Hoppe riguarda la preferenza temporale e in questo discorso non c'entra nulla. A parte questo, l'hai pure frainteso.

Ok, sostituiamo "burocrate statale" con "operaio metalmeccanico", il concetto è lo stesso.

Ho come l'impressione che all'operaio metalmeccanico (leggi=produttore)non farebbe piacere essere paragonato al burocrate statale (leggi=parassita).

Il burocrate non "paga le tasse", perché, semplicemente, viene pagato con le tasse della classe produttiva. Quindi definire "tassa" una qualsiasi detrazione dal suo stipendio non ha alcun senso. Lo stipendio del burocrate è un'uscita, la tassa un'entrata, ma sempre dalla stessa refurtiva.

Gian Piero de Bellis said...

@ Ed
Ed, il testo è scritto in funzione della proposta finale che ti riassumo: i poveri, gli sfruttati, gli scontenti, gli intraprendenti e via di questo passo possono fuoriuscire dallo stato (senza dover prendere la barchetta e andarsene in un altro stato più o meno simile o solo un tantino meno soffocante)? Questa è la questione su cui tu hai amabilmente sorvolato (oh! potere magico degli intellettuali) e che è invece l’aspetto centrale del discorso. Tutto il resto è storia di contorno su cui si può essere o non essere d’accordo. Allora, ripeto la domanda: lo stato è un gruppo sociale organizzato, (comprendente milioni di persone) che si può abbandonare qualora non se ne condividano fini e mezzi oppure è un bagno penitenziale entro cui si è condotti da neonati e da cui non vi è via d’uscita (tranne che la morte o la fuga verso altri bagni carcerari un po’meno duri)?

Ed Schlecter said...

Ho "sorvolato" la questione fondamentale dell'articolo perché dall'articolo stesso non sono riuscito a coglierla esplicitamente. Sarà una pecca di noi "intellettuali".

Ad ogni modo, anche nel caso avessi colto la proposta che fai, non l'avrei comunque affrontata direttamente per due motivi.

In primo luogo, non accetto la divisione tra "noi" e "loro", che non è "storia di contorno", ma costituisce il presupposto di quella proposta, come ho scritto sopra.

Secondo, non capisco la domanda che poni, visto che la risposta è scontata. Lo stato è - volenti o nolenti - il "bagno penitenziale" da cui non si può uscire. A mio modo di vedere però lo stato è parte di un grande bagno, di un unico gigantesco sistema di potere del quale non costituisce che una frazione.

Anonymous said...

Salud,

tanto di cappello A Gian Piero per l'articolo e a te, Pax, per averlo pubblicato sul Gongoro.
Ultimamente è raro che salvi delle pagine da Internet, ma questa ne valeva la pena.

Suerte,
manolete

PS: leggendo i commenti mi è venuto naturale ricordare una citazione da "Il bombarolo" (1973, Storia di un impiegato, Fabrizio De André):
Intellettuali d'oggi, idioti di domani

(absit iniuria)

Gian Piero de Bellis said...

@Ed
Ed, grazie per la tua risposta che mi suscita i seguenti pensieri:
1. se dovessi accettare, come tu sembri fare, il fatto che lo stato è un bagno penitenziale da cui non vi è via d’uscita e che è parte di bagni penitenziali ancora più soffocanti da cui io non potrò mai liberarmi, allora mi attaccherei subito alla canna del gas.
2. mi risulta comunque difficile credere che sia per tutti così, anzi ho la netta impressione che per alcuni lo stato non sia affatto un bagno penitenziale ma un festino alla grande con accompagnatrici d’alto bordo e champagne a fiumi (per questo è il Loro Stato).
3. inoltre incomincio a vedere le crepe di questo carcere e la bancarotta prossima ventura per cui sono pieno di speranze e di energie. Quindi lascio perdere la canna del gas e continuo a fare progetti e a impegnarmi in attività e spero che anche tu ti staccherai dallo stato e vivrai sempre più come un individuo che dello stato non ha affatto bisogno.

rumenta said...

quoto solo questo perché mi pare sintomatico.
di cosa, decidetelo voi, io la mia idea me la son fatta ;-)

Ed:

Mi pare molto più sensata la posizione intermedia, ossia che lo stato sia, né più né meno di qualsiasi altra istituzione, un prodotto delle dinamiche sociali. Anche perché altrimenti non si capisce da dove questo stato sia sbucato fuori. C'è la società in cui tutto funziona per il meglio o quasi, poi dal disco volante sbarca lo stato e succede il casino.

lo stato non spunta fuori da un disco volante, è semplicemente lo sviluppo di quella organizzazione, nata dalla sopraffazione e dallo sfruttamento, che si è chiamata prima regno, poi impero, poi stato.
è semplicemente il punto finale di una evoluzione lunga e complessa che ha segnato con il sangue la storia dell'umanità, ed è servito unicamente a perpetuare, oggi come ieri, la supremazia di una ristretta parte della popolazione sulla maggioranza.
la quale, purtroppo per lei, non decide una beneamata fava....

Paxtibi said...

Ciao Manolete! :-)

Ed Schlecter said...

Purtroppo sono impossibilitato a portare avanti la discussione, che pure trovo interessante. Rumenta e Giampiero, vorrei solo invitarvi ad evitare di definire aprioristicamente chi non la pensa in un certo modo come "intellettuale" (sottinteso prezzolato e in malafede) e le sue idee come "sintomatiche" di qualcosa lasciato indefinito ma suggerito agli amici tramite un occhiolino. Considerare in malafede o quantomeno incapace di capire le cose come realmente stanno chi la pensa in maniera diversa mi pare sintomo di fanatismo.

Paxtibi said...

Mi spiace Ed, ma devi riconoscere che il primo "sgarbo" l'hai fatto tu alla prima riga del tuo primo intervento, quando hai esordito con un "gli anarchici sono troppo impegnati... per capire...", quindi una generalizzazione spregiativa dello stesso tipo di cui accusi gli altri che ti hanno risposto.

Se vuoi che le tue idee vengano accolte dagli altri con rispetto sei tentuto a mostrare lo stesso rispetto nelle idee altrui. Non so a te, ma a me hanno insegnato così.

In caso contrario, almeno evitaci il vittimismo a posteriori. Tanto qua non si impietosisce nessuno.

Ed Schlecter said...

La mia era una risposta, forse un po' piccata, a quanto scritto nell'articolo: probabilmente se non ci fosse stato l'ennesimo riferimento agli intellettuali "asserviti allo stato" (buttato lì senza dimostrazione alcuna che lo siano realmente) la mia risposta non sarebbe stata così pungente.

Paxtibi said...

Scusa Ed, ma se uno scrive "gli intellettuali asserviti allo stato" mi pare ovvio che faccia riferimento a quegli intellettuali che, effettivamente – guarda un po' – sono asserviti allo stato.

E vorrei sperare che tu non voglia negare l'esistenza di questa curiosa specie animale, contrapposta magari al genere di intellettuali che asserviti allo stato non sono.

Quindi non si tratta di una generalizzazione ma di una selezione di una precisa categoria di persone identificate in base alle loro azioni.

Ed Schlecter said...

Sicuramente sbaglio, ma io da quel che leggo nell'articolo capisco che il poco simpatico epiteto è attribuito indistintamente a tutti coloro che hanno una certa visione della società, per cui viene a priori negata l'onestà intellettuale di chi ha una certa idea (guarda caso opposta a quelle dell'autore) solo per il fatto di averla.

Anonymous said...

curzio malaparte cita nel suo scritto "kaputt"l'espressione" ah congoro" in maniera sconsolata,vuole forse dire che un governo è espressione del suo popolo?