Friday, January 9, 2009

Milton Friedman svelato #2

Di Murray N. Rothbard


MONETA E CICLO ECONOMICO

La terza importante caratteristica del programma del New Deal era proto-keynesiana: la pianificazione da parte del governo della sfera “macro” per appianare il ciclo economico. Nel suo approccio al campo generale della moneta e del ciclo economico – un campo in cui Friedman ha purtroppo concentrato la gran parte dei suoi sforzi – Friedman dà credito non solo ai vecchi Chicago Boys, ma anche, come loro, all'economista di Yale Irving Fisher, che era l'economista per eccellenza dell'Establishment dal 1900 fino agli anni 20. Friedman, effettivamente, ha acclamato apertamente Fisher come “il più grande economista del ventesimo secolo,” e leggendo i testi di Friedman, si ha spesso l'impressione di rileggere Fisher, addobbato, naturalmente, con molta più fuffa matematica e statistica. Gli economisti e la stampa, per esempio, applaudono la recente “scoperta” di Friedman che i tassi d'interesse tendono a salire quando i prezzi aumentano, aggiungendo un premio di inflazione per mantenere lo stesso tasso d'interesse “reale”; questo ignora il fatto che Fisher lo aveva già notato alla fine del ventesimo secolo.

Ma il problema chiave con l'approccio fisheriano di Friedman è la stessa separazione ortodossa delle sfere micro e macro già devastante nella sua visione della tassazione. Perché Fisher credeva, ancora, che da un lato ci fosse un mondo di prezzi individuali determinato dalla domanda e dall'offerta, ma che dall'altro ci fosse un “livello dei prezzi” aggregato determinato dalla disponibilità di moneta e dalla sua velocità di circolazione, e che i due non si incontrassero mai. La sfera macro, aggregata, si suppone sia l'adeguato soggetto della pianificazione e manipolazione di governo, ancora una volta senza presumibilmente interessare o interferire con l'area micro dei prezzi individuali.

Fisher sulla moneta

In accordo con questa concezione, Irving Fisher scrisse un famoso articolo nel 1923, “Il ciclo economico è soprattutto una ‘danza del dollaro’” – recentemente citato favorevolmente da Friedman – che stabiliva il modello per la teoria del ciclo economico “puramente monetaria” di Chicago. In questa vista semplicistica, il ciclo economico si suppone essere soltanto una “danza,” cioè una serie essenzialmente casuale e causalmente disgiunta di alti e bassi nel “livello dei prezzi.” Il ciclo economico, in breve, è la serie di variazioni casuali ed inutili nel livello aggregato dei prezzi. Di conseguenza, dal momento che il mercato libero provoca questa “danza casuale,” la cura per il ciclo economico è che il governo appronti delle misure per stabilizzare il livello dei prezzi, per mantenere quel livello costante. Questo diventò lo scopo della scuola di Chicago degli anni 30 e rimane anche l'obiettivo di Milton Friedman.

Perché un livello di prezzi stabile si suppone sia un'idea etica, da raggiungersi anche mediante l'uso della coercizione governativa? I friedmaniani assumono semplicemente l'obiettivo come manifesto ed a malapena necessitante di discussione ragionata. Ma le basi originali di Fisher erano un malinteso totale della natura della moneta, e dei nomi delle diverse unità monetarie. In realtà, come la maggior parte degli economisti del diciannovesimo secolo sapevano bene, questi nomi (dollaro, sterlina, franco, ecc.) non erano in qualche maniera delle realtà di per sé, ma erano semplicemente dei nomi per delle unità di peso d'oro o d'argento. Erano queste merci, emergenti dal mercato libero, ad essere la vera moneta; i nomi e i soldi di carta e la moneta bancaria, erano semplicemente richieste di pagamento in oro o argento. Ma Irving Fisher si rifiutò di riconoscere sia vera natura della moneta che l'appropriata funzione della parità aurea, o il nome di una valuta come unità di peso in oro. Invece, considerava questi nomi di sostituti cartacei emessi dai vari governi come assoluti, come se fossero moneta. La funzione di questa “ moneta” era di “misurare” i valori. Di conseguenza, Fisher riteneva necessario mantenere il potere d'acquisto della valuta, o il livello dei prezzi, costante.

Questo obiettivo donchisciottesco di un livello di prezzi stabile contrasta con la visione economica del diciannovesimo secolo – e con la successiva scuola austriaca. Esse hanno acclamato i risultati del mercato non ostacolato, del capitalismo laissez faire, nel determinare invariabilmente un livello dei prezzi in calo costante. Perché senza l'intervento del governo, la produttività e l'offerta delle merci tende sempre ad aumentare, causando un declino nei prezzi. Quindi, nella prima metà del diciannovesimo secolo – “la Rivoluzione Industriale” – i prezzi tendevano a scendere costantemente, aumentando così il salario reale pur senza un aumento degli stipendi in termini monetari. Possiamo osservare come questa costante riduzione dei prezzi porti i benefici di livelli di vita più elevati a tutti i consumatori, in esempi quali gli apparecchi televisivi che sono scesi dai 2000 dollari del loro primo ingresso sul mercato a circa 100 per un apparecchio ben migliore. E questo in un periodo di inflazione galoppante.

Fu Irving Fisher, con le sue dottrine e la sua influenza, ad essere in larga parte responsabile delle disastrose politiche inflazionistiche del sistema della Riserva Federale durante gli anni 20 e quindi per il successivo olocausto del 1929. Uno degli obiettivi principali di Benjamin Strong, capo della Federal Reserve Bank (Fed) di New York e virtuale dittatore della Fed durante gli anni 20, era, sotto l'influenza della dottrina di Fisher, di mantenere il livello dei prezzi costante. E poiché i prezzi all'ingrosso erano costanti o effettivamente in calo durante gli anni 20, Fisher, Strong ed il resto dell'Establishment economico si rifiutarono di riconoscere che fosse mai esistito un problema d'inflazione. Così, di conseguenza, Strong, Fisher e la Fed si rifiutarono di ascoltare economisti eterodossi quali Ludwig von Mises e H. Parker Willis che durante gli anni 20 avvertivano che una malsana inflazione del credito bancario stava conducendo ad un inevitabile crollo economico.

Così ostinati erano questi personaggi che, ancora nel 1930, Fisher, nel suo canto del cigno come profeta economico, scrisse che la depressione non c'era e che il crollo del mercato azionario era soltanto temporaneo. 13

Friedman sulla moneta

Ed ora, nella sua molto pubblicizzata Storia monetaria degli Stati Uniti, Friedman ha dimostrato la sua inclinazione fisheriana nell'interpretazione della storia economica americana. 14 Benjamin Strong, indubbiamente la più disastrosa singola influenza nell'economia degli anni 20, viene celebrato da Friedman precisamente per la sua stabilizzazione dell'inflazione e del livello dei prezzi durante quel decennio. 15 Infatti, Friedman attribuisce la depressione del 1929 non al boom inflazionistico precedente ma al fallimento della Riserva Federale del dopo Strong nel gonfiare a sufficienza la massa monetaria prima e durante la depressione.

In breve, anche se Milton Friedman ha prestato un servizio nel riportare all'attenzione della professione economica l'importante influenza della moneta e della massa monetaria sui cicli economici, dobbiamo riconoscere che questo approccio “puramente monetarista” è quasi l'esatto opposto della solida – e davvero di libero mercato – visione austriaca. Perché mentre gli austriaci sostengono che l'espansione monetaria di Strong ha reso il successivo crollo del 1929 inevitabile, Fisher-Friedman crede che tutto ciò che la Fed doveva fare fosse di pompare più soldi per contrastare ogni recessione. Credendo che non ci sia influenza causale che colleghi il boom dal crollo, credendo nella semplicistica teoria della “Danza del Dollaro,” i Chicago Boys vogliono semplicemente che il governo manipoli quella danza, specificamente per aumentare la massa monetaria per controbilanciare la recessione.

Durante gli anni 30, quindi, la posizione Fisher-Chicago era che, per curare la depressione, il livello dei prezzi avrebbe dovuto essere “reflazionato” ai livelli degli anni 20 e che la reflazione avrebbe dovuto essere compiuta mediante:
  1. l'ampliamento della massa monetaria da parte della Fed e
  2. la spesa di deficit e i programmi di lavori pubblici su larga scala da parte del governo federale.
In breve, durante gli anni 30, Fisher e la scuola di Chicago erano “keynesiani pre-Keynes” e, per quel motivo, erano considerati piuttosto radicali e socialisti – e a ragione. Come i successivi keynesiani, i Chicago Boys favorirono una politica monetaria e fiscale “compensativa,” comunque sempre con maggior attenzione sul ramo monetario.

Alcuni potrebbero obiettare che Milton Friedman non crede così tanto in una politica monetaria e fiscale manipolativa come in un aumento “automatico” della Riserva Federale ad un tasso del 3-4 per cento annuo. Ma questa modifica della vecchia Scuola di Chicago è puramente tecnica, e proviene dalla realizzazione di Friedman che le manipolazioni giornaliere e a breve termine della Fed soffrirebbero di inevitabili ritardi, e sarebbero quindi destinate ad aggravare piuttosto che a migliorare il ciclo. Ma dobbiamo renderci conto che la politica inflazionista automatica di Friedman è semplicemente un'altra variante nell'inseguimento dello stesso vecchio scopo Chicago-fisheriano: la stabilizzazione del livello dei prezzi – in questo caso, stabilizzazione nel lungo termine. Quindi, Milton Friedman è, puramente e semplicemente, uno statalista-inflazionista, anche se un inflazionista più moderato della maggior parte dei keynesiani. Ma questa è in effetti una piccola consolazione e difficilmente qualifica Friedman come economista di mercato in questo campo vitale.

Fisher, Friedman e la fine della parità aurea

A partire dai suoi primi giorni, Irving Fisher fu – correttamente – considerato come un radicale monetario ed uno statalista per il suo desiderio di eliminare la parità aurea. Fisher capì che la parità aurea – sotto la quale la moneta di base è una merce estratta sul mercato libero piuttosto che creata dal governo – era incompatibile con la sua ossessionante volontà di stabilizzare il livello dei prezzi. Quindi, Fisher fu uno dei primi economisti moderni a richiedere l'abolizione della parità aurea e la sua sostituzione con il corso legale.

Con un sistema di corso legale, il nome della valuta – dollaro, franco, marco, ecc. – diventa il definitivo standard monetario, ed il controllo assoluto della fornitura e dell'uso di queste unità è necessariamente conferito al governo centrale. In breve, la moneta inconvertibile è inerentemente la moneta dello statalismo assoluto. La moneta è il prodotto centrale, il centro nervoso, per così dire, dell'economia di mercato moderna, ed ogni sistema che conferisca il controllo assoluto di quel prodotto nelle mani dello Stato è disperatamente incompatibile con un'economia di mercato o, alla fine, con la libertà individuale in sé.

Tuttavia, Milton Friedman è un fautore radicale del taglio di tutti gli attuali legami, per quanto deboli, con l'oro, e del passaggio ad uno standard totale ed assoluto di dollaro a corso legale, con tutto il controllo conferito al Sistema della Riserva Federale.* Naturalmente, a quel punto Friedman raccomanderebbe alla Fed di usare saggiamente quel potere assoluto, ma nessun libertario degno di questo nome può provare altro che disgusto per l'idea stessa di conferire potere coercitivo a qualsiasi gruppo e quindi sperare che tale gruppo non usi il proprio potere al massimo grado. La ragione per cui Friedman è completamente cieco alle implicazioni tiranniche e despotiche del suo schema di moneta a corso legale è, ancora una volta, la separazione arbitraria della Scuola di Chicago fra micro e macro, la speranza inutile e chimerica che possiamo avere un controllo totalitario della sfera macro conservando il “mercato libero” nel micro. Dovrebbe essere ormai chiaro che questo genere di “micro-libero mercato” alla Chicago è “libero” soltanto nel senso più ingannevole e ironico: assomiglia molto alla “libertà” orwelliana di “la Schiavitù è Libertà”

Un ritorno alla parità aurea

È indiscutibile il fatto che il sistema monetario internazionale attuale sia un'irrazionale ed abortiva mostruosità ed ha bisogno di una drastica riforma. Ma la riforma proposta da Friedman, di tagliare tutti i legami con l'oro, renderebbe la situazione ben peggiore, dato che lascerebbe tutto alla misericordia completa del suo Stato emettente denaro a corso legale. Dobbiamo andare precisamente nella direzione opposta: ad una parità aurea internazionale che ristabilisca la moneta-merce ovunque e tolga ogni manipolazione monetaria statale dalla schiena dei popoli del mondo.

Inoltre, l'oro, o una qualche altra merce, è vitale per la fornitura di una moneta internazionale – una moneta di base con cui tutte le nazioni possono vendere e depositare i loro conti. L'assurdità filosofica del piano di Friedman con ogni governo che fornisce liberamente la propria moneta a corso legale, separatamente da tutti gli altri, può essere vista chiaramente se consideriamo che cosa accadrebbe se ogni regione, ogni provincia, ogni stato, no ogni città, contea, paese, villaggio, isolato, casa, o individuo emettesse la propria moneta, e quindi avessimo, come Friedman prevede, tassi di cambio liberamente fluttuanti fra tutti questi milioni di valute. Il caos seguente sorgerebbe dalla distruzione del concetto stesso di moneta – l'entità che serve da mezzo generale per tutti gli scambi sul mercato. Filosoficamente, il friedmanismo distruggerebbe la moneta in sé e ci ridurrebbe al caos ed al primitivismo del sistema del baratto.

Uno degli errori cruciali di Friedman nel suo piano per consegnare tutto il potere monetario allo Stato è che non riesce a capire che questo schema sarebbe inerentemente inflazionistico. Perché lo Stato avrebbe allora in suo totale potere di emettere la quantità di moneta che vuole. Il consiglio di Friedman di limitare questo potere ad un'espansione del 3-4% l'anno ignora il fatto cruciale che qualsiasi gruppo, entrando in possesso del potere assoluto di “stampare i soldi,” tenderà a... stamparli! Supponete che a John Jones sia assegnato dal governo il potere assoluto, il monopolio compulsivo, sul torchio tipografico, e gli sia permesso di emettere tutti i soldi che vuole, e di utilizzarli come vuole. Non è forse cristallino che Jones userà questo potere di contraffazione legalizzata al massimo grado, e che quindi il suo governo sulla moneta tenderà ad essere inflazionistico? Alla stessa maniera, lo Stato si è da lungo tempo arrogato il monopolio compulsivo della contraffazione legalizzata, ed in tal modo ha avuto la tendenza ad usarlo: quindi, lo Stato è inerentemente inflazionistico, come sarebbe qualsiasi gruppo con il potere unico di creare i soldi. Lo schema di Friedman intensificherebbe soltanto quel potere e quell'inflazione.

L'unica soluzione libertaria, al contrario, è di far restituire dallo Stato le sue scorte di moneta-merce. Franklin Roosevelt, con il pretesto di “un'emergenza della depressione,” ha confiscato tutto l'oro posseduto dal popolo americano nel 1933, e niente è stato detto per quasi quattro decenni circa la restituzione del nostro oro. Contrariamente a Friedman, il vero libertario deve chiedere al governo di ridare al popolo l'oro rubato, che il governo ci aveva sequestrato in cambio dei suoi dollari di carta.
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Note

13. Irving Fisher, The Stock Market Crash – And After (New York: Macmillan, 1930).
14. Milton Friedman e Anna Schwartz, A Monetary History of the United States, 1867–1960 (Princeton, N.J.: Princeton University Press, 1963).
15. Vedi Murray N. Rothbard, America’s Great Depression (Princeton, N.J.: D. Van Nostrand, 1963), per una visione contrastante degli anni 20. Altro sulla visione del ciclo economico friedmaniana contro quella austriaca si può trovare in Murray N. Rothbard, “The Great Inflationary Recession Issue: ‘Nixonomics’ Explained,” The Individualist (June 1970), pp. 1–5.

*Questo è, in effetti, esattamente ciò che è accaduto a pochi anni dall'originale pubblicazione di questo articolo. Vedi Murray N. Rothbard, What Has Government Done To Our Money? (Auburn, Ala.: Ludwig von Mises Institute, 1990). – Ed.
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Link alla prima parte.
Link alla terza parte.
Link all'articolo originale.

Thursday, January 8, 2009

Milton Friedman svelato #1

Mi sono veramente stancato, quando parlo di libero mercato, di sentir tirare in ballo l'inevitabile Milton Friedman e le sue malsane teorie.

Per questa ragione, grazie anche a Rantasipi che me l'ha ricordato, ho deciso di tradurre questa critica di Rothbard dell'economia secondo Friedman e i Chicago Boys,
pubblicato originariamente in The Individualist nel 1971 e ristampato nel Journal of Libertarian Studies dell'ottobre 2002.

Se non altro per avere un link sottomano che mi risparmi ore di inutile discussione. Diviso in tre parti, questa è la prima.

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Di Murray N. Rothbard


Menzionate “l'economia del libero mercato” ad un membro del pubblico e ci sono alte probabilità che, sempre ammesso che lo conosca, lo identifichi completamente con il nome Milton Friedman. Per parecchi anni, il professor Friedman ha ottenuto continui onori in egual modo dalla stampa e dalla professione, e una scuola di friedmaniani e di “monetaristi” è emersa in un'apparente sfida all'ortodossia keynesiana.

Tuttavia, anziché con la comune reazione di riverenza e di rispetto per “uno dei nostri che ce l'ha fatta,” i libertari dovrebbero accogliere l'intera questione con profondo sospetto: “se è un libertario così devoto, com'è possibile che sia un favorito dell'Establishment?” Consigliere di Richard Nixon e amico e socio della maggior parte degli economisti dell'amministrazione, Friedman, infatti, ha lasciato il segno nella politica corrente, ed infatti ricambia il favore servendo come principale apologista ufficioso per le politiche di Nixon.

Infatti, in questo come in altri tali casi, il sospetto è precisamente la giusta reazione per il libertario, dato che la particolare varietà di’ “economia del libero mercato” del professor Friedman è difficile che riesca ad arruffare le piume dei poteri in essere. Milton Friedman è il Libertario di Corte dell'Establishment ed è ora che i libertari si sveglino di fronte a questa realtà.

LA SCUOLA DI CHICAGO

Il friedmanismo può essere completamente compreso soltanto nel contesto delle sue radici storiche e queste radici sono la cosiddetta “scuola di Chicago” dell'economia degli anni 20 e 30. Friedman, un professore dell'Università di Chicago, è ora il capo indiscusso della moderna, o di seconda generazione, scuola di Chicago, che ha aderenti in tutta la professione, con centri importanti a Chicago, alla UCLA ed all'università della Virginia.

I membri dell'originale, o di prima generazione, scuola di Chicago, erano considerati “sinistrorsi” ai loro tempi, come effettivamente erano secondo qualsiasi tipo di test di verifica del genuino libero mercato. E anche se Friedman ha modificato alcuni dei loro metodi, egli rimane un uomo della Chicago degli anni trenta. Il programma politico dei Chicago Boys originali è rivelato nel modo migliore nella famigerata opera di uno dei fondatori e principali mentori politici: A Positive Program for Laissez Faire di Henry C. Simons. 1 Il programma politico di Simons era laissez-faireista soltanto in senso inconsapevolmente satirico.

Consisteva di tre idee chiave:
  1. una politica drastica di antitrust per ridurre tutte le aziende ed i sindacati alla dimensione di una bottega di fabbro, per giungere ad una concorrenza “perfetta” e a ciò che Simons concepiva essere il “mercato libero”;
  2. un ampio programma di egualitarismo compulsivo, pareggiando i redditi attraverso la struttura dell'imposta sul reddito; e
  3. una politica proto-keynesiana di stabilizzazione del livello dei prezzi per mezzo di programmi fiscali e monetari espansionisti durante una recessione.
Antitrust, egualitarismo e keynesismo estremi: la scuola di Chicago conteneva al suo interno gran parte del programma del New Deal e, quindi, il suo status all'interno della professione economica dell'inizio degli anni 30 era quello di una frangia sinistrorsa. E seppur Friedman abbia modificato e ammorbidito l'inflessibile posizione di Simons, è ancora, essenzialmente, Simons redivivo; appare come un sostenitore del libero mercato solo perché, nel frattempo, il resto della professione si è spostato radicalmente verso sinistra e verso lo statalismo.

E, per alcuni versi, Friedman ha aggiunto deplorevoli elementi statalisti che non erano neppure presenti nella vecchia Scuola di Chicago. 2

La Scuola di Chicago sul monopolio e sulla concorrenza

Esaminiamo gli elementi principali del laissez faire collettivista simonsiano uno alla volta. Sul monopolio e sulla concorrenza, Friedman ed i suoi colleghi hanno felicemente fatto grandi passi verso la razionalità dall'antico ultra-antitrust di Simons. Friedman ora concede che la fonte principale di monopolio nell'economia è l'attività del governo, e si concentra nell'abrogazione di queste misure di monopolizzazione.

I Chicago Boys sono diventati progressivamente più amichevoli verso le grandi aziende operanti nel mercato libero, e friedmaniani come Lester Telser sono persino emersi con eccellenti argomenti a favore della pubblicità, precedentemente anatema per tutti i “perfetti concorrenzialisti.” Ma anche se in pratica Friedman è diventato più libertario sulla questione del monopolio, ancora mantiene la vecchia teoria di Chicago: che in qualche modo, l'irragionevole, irreale e infelice mondo della “concorrenza perfetta” (un mondo in cui ogni ditta è così minuscola che non può fare niente per influenzare la sua domanda ed il prezzo dei suoi prodotti) sia migliore del reale ed esistente mondo della concorrenza, che è definita “imperfetta.”

Una visione infinitamente superiore della concorrenza si trova nella totalmente trascurata scuola di “economia austriaca” che disprezza il modello della “concorrenza perfetta” e preferisce il mondo reale della concorrenza del libero mercato. 3 Così anche se la visione pratica di Friedman della concorrenza e del monopolio non è troppo male, la debolezza della sua teoria di fondo potrebbe consentire in qualunque momento un ritorno al forsennato antitrust dei Chicago Boys degli anni 30. Non è stato molto tempo fa, per esempio, che il socio più distinto di Friedman, il professor George J. Stigler, ha sostenuto di fronte al Congresso il disfacimento via antitrust della U.S. Steel in molte parti costituenti.

L'egualitarismo alla Chicago di Friedman

Se è vero che Friedman ha abbandonato l'appello di Simons per l'egualitarismo estremo attraverso la struttura dell'imposta sul reddito, i lineamenti di base dell'egualitarismo statalista ancora rimangono. Rimane un desiderio dei Chicago Boys il porre la massima importanza nella struttura fiscale sull'imposta sul reddito, indubbiamente la più totalitaria di tutte le tasse. I Chicago Boys preferiscono l'imposta sul reddito perché, nella loro teoria economica, seguono la disastrosa tradizione dell'economia anglo-americana ortodossa della netta separazione tra la sfera “microeconomica” e quella “macroeconomica„”

L'idea è che ci siano due mondi economici nettamente separati e indipendenti. Da un lato, c'è la sfera “micro,” il mondo di prezzi individuali determinati dalle forze della domanda e dell'offerta. Qui, concedono i Chicago Boys, è meglio lasciare l'economia al gioco non ostacolato del mercato libero. Ma, asseriscono, c'è anche la sfera separata e distinta della “macro” economia, degli aggregati economici del bilancio pubblico e della politica monetaria, dove non c'è possibilità o, persino, opportunità di un mercato libero.

In comune con i loro colleghi keynesiani, i friedmaniani desiderano consegnare al governo centrale il controllo assoluto su queste aree macro, per manipolare l'economia per fini sociali, mentre sostengono che il micro mondo può ancora rimanere libero. In breve, i friedmaniani così come i keynesiani concedono la vitale sfera macro allo Stato come struttura presumibilmente necessaria per la micro-libertà del libero mercato.

In realtà, le sfere macro e micro sono integrate ed intrecciate, come gli Austriaci hanno mostrato. È impossibile concedere la sfera macro allo Stato mentre si tenta di mantenere la libertà al livello micro. Ogni tipo di tassa, e non ultima l'imposta sul reddito, inietta furto e confisca sistematici nella micro sfera dell'individuo, ed ha effetti spiacevoli e distorsivi sull'intero sistema economico. È deplorevole che i friedmaniani, con il resto dell'economia anglo-americana, non abbia mai prestato attenzione al successo di Ludwig von Mises, fondatore della Scuola Austriaca moderna, nell'integrazione delle sfere micro e macro nella teoria economica fin dal 1912 nella sua classica Teoria della moneta e del credito. 4 Milton Friedman ha rivelato la sua essenziale posizione pro-imposta sul reddito e egualitaria in numerosi modi. Come in molte altre sfere, ha operato non come un avversario dello statalismo e sostenitore del libero mercato, ma come tecnico che consiglia lo Stato su come essere più efficiente nello svolgere il suo lavoro malvagio (dal punto di vista di un vero libertario, più inefficienti
sono
i meccanismi dello Stato, meglio è! 5). Si è opposto alle esenzioni fiscali ed alle “scappatoie” ed ha lavorato per rendere l'imposta sul reddito più uniforme.

Una delle imprese più disastrose di Friedman è stato l'importante ruolo che ha svolto fieramente, durante la Seconda Guerra Mondiale nel dipartimento del Tesoro, nel rifilare al pubblico americano sofferente il sistema della ritenuta d'imposta. Prima della Seconda Guerra Mondiale, quando le aliquote dell'imposta sul reddito erano ben più basse di adesso, non c'era un sistema di ritenuta; tutti pagavano la propria fattura annuale in una somma forfettaria, il 15 marzo. È evidente che con questo sistema, l'amministrazione fiscale non potrebbe avere mai la speranza di estrarre l'intera somma annuale, agli attuali tassi confiscatori, dalla massa della popolazione attiva. L'intero orrendo sistema sarebbe felicemente crollato molto prima di riuscirci. Soltanto la ritenuta d'imposta friedmaniana ha permesso al governo di usare ogni datore di lavoro come collettore d'imposta non pagato, estraendo le tasse tranquillamente e silenziosamente da ogni stipendio. Per molti versi, dobbiamo ringraziare Milton Friedman per l'attuale mostruoso Stato Leviatano americano.

In aggiunta alla stessa imposta sul reddito, l'egualitarismo di Friedman è rivelato nell'opuscolo Friedman-Stigler che attaccava i controlli degli affitti. “Per quelli che, come noi, gradirebbero ancora maggiore uguaglianza di quella attuale . . . è certamente meglio attaccare le diseguaglianze attuali nel reddito e nel patrimonio direttamente alla loro fonte” che limitare gli acquisti di prodotti particolari, come le abitazioni. 6 La singola, più disastrosa influenza di Milton Friedman è stata un'eredità del suo vecchio egualitarismo di Chicago: la proposta di un reddito annuo garantito a tutti attraverso il sistema di imposta sul reddito – un'idea presa ed intensificata da leftists come Robert Theobald, e che il presidente Nixon potrebbe indubbiamente mettere in pratica con il nuovo Congresso. 7 * In questo catastrofico programma, Milton Friedman ancora una volta è stato guidato dal suo desiderio devastante non di rimuovere lo Stato dalle nostre vite, ma di renderlo più efficiente. Vede intorno a sé il disordine rabberciato dei sistemi previdenziali statali e locali e conclude che tutto sarebbe più efficiente se l'intero programma fosse posto sotto il registro federale di imposta sul reddito e a tutti venisse garantito una determinata base di reddito. Più efficiente, forse, ma anche molto più disastroso, perché l'unica cosa che rende il nostro attuale sistema previdenziale appena tollerabile è precisamente la sua inefficienza, precisamente il fatto che per ottenere un sussidio di disoccupazione sia necessario aprirsi la via attraverso uno sgradevole e caotico groviglio burocratico. Il programma di Friedman renderebbe il sussidio di disoccupazione automatico, concedendo così a ciascuno una pretesa automatica sulla produzione.

“Funzione di offerta” del welfare

Dobbiamo realizzare che avere un sussidio non è, come la maggior parte della gente crede, un semplice atto di Dio o della natura, un dato assoluto come un'eruzione vulcanica. Avere un sussidio, come tutti gli altri atti economici umani, ha una “funzione di offerta”: in altre parole, se il welfare paga abbastanza, potete produrre tutti i clienti del welfare che volete. Pagateli sufficientemente poco e potrete ridurre il numero dei clienti a volontà. In breve, se il governo annuncia che chiunque firmi ad uno sportello del “welfare” ottiene un assegno annuale automatico di 40.000 dollari per tutto il tempo che vuole, troveremo abbastanza presto che quasi tutti sono diventati destinatari del welfare – ed inoltre, formeranno un'organizzazione per i “diritti del welfare” per aumentare il sussidio a 60.000 dollari per contrastare l'aumento nel costo della vita.

Più specificamente, la funzione di offerta dei clienti del welfare è inversamente proporzionale alla differenza fra il tasso salariale prevalente nella zona ed il livello degli emolumenti del welfare. Questa differenza è il “costo di opportunità” dell'affidarsi al welfare: l'importo che uno perde oziando invece di lavorare. Se, per esempio, lo stipendio prevalente in una zona aumenta e gli emolumenti del welfare rimangono gli stessi, il differenziale e il “costo di opportunità” dell'ozio aumentano e la gente tende a lasciare il sussidio di disoccupazione e ad andare a lavorare. Se accade l'opposto, più gente chiederà il sussidio di disoccupazione. Se l'avere un sussidio fosse un fatto assoluto della natura, allora non ci sarebbe rapporto fra questo differenziale ed il numero di chi si rivolge al welfare. 8

Secondariamente, l'offerta di clienti del welfare è inversamente proporzionale con un altro fattore estremamente importante: il disincentivo di valore o culturale di affidarsi al welfare. Se questo disincentivo è forte, se, per esempio, uno individuo o un gruppo credono fortemente che sia un male affidarsi al welfare, non lo faranno, punto. Se, d'altro canto, non si preoccupano per lo stigma del welfare, o se, peggio ancora, considerano i pagamenti dell'assistenza sociale come un loro diritto – un diritto ad esercitare una pretesa compulsiva e predatoria sulla produzione – allora il numero delle persone affidate al welfare aumenterà astronomicamente, come è accaduto negli ultimi anni.

Ci sono parecchi esempi recenti dell'“effetto stigma.” È stato mostrato che, dato lo stesso livello di reddito, più gente tende ad affidarsi al welfare nelle zone urbane che in quelle rurali, presumibilmente in ragione della maggior visibilità dei clienti dell'assistenza sociale e quindi del maggior stigma nelle aree più scarsamente popolate. Cosa più importante, è il fatto notevole che certi gruppi religiosi, anche quando significativamente più poveri del resto della popolazione, semplicemente non cerchino il welfare a causa del loro credo etico profondamente sostenuto. Quindi, i cinesi americani, seppur in gran parte poveri, non si rivolgono quasi mai al welfare. Un articolo recente sugli albanesi americani a New York City evidenzia lo stesso punto.

Questi albanesi sono abitanti invariabilmente poveri dei bassifondi, ma non c'è albanese-americano che riceva un sussidio. Perché? Poiché, ha detto uno dei loro leader, “gli albanesi non elemosinano e per gli albanesi, prendere un sussidio è come elemosinare per strada.” 9

Un altro esempio è la chiesa mormonica, dei cui membri molto pochi si rivolgono all'assistenza pubblica. Perché i mormoni non solo inculcano nei loro membri le virtù del risparmio, dell'autonomia e dell'indipendenza, si prendono anche cura dei loro bisognosi con programmi di carità della chiesa basati sul principio di aiutare le persone ad aiutarsi, e quindi di toglierli dalla carità il più rapidamente possibile. 10 Così, la chiesa mormonica suggerisce ai suoi membri che “cercare ed accettare l'aiuto pubblico diretto troppo spesso invita la maledizione dell'ozio e promuove l'altro male del sussidio di disoccupazione. Distrugge l'indipendenza, l'industriosità, il risparmio e l'amor proprio dell'uomo.” 11 Quindi, l'altamente riuscito programma privato di assistenza sociale della chiesa è basato sui principi che la chiesa ha incoraggiato i propri membri a stabilire per mantenere la propria indipendenza economica: ha incoraggiato il risparmio ed ha promosso l'istituzione delle industrie che creino occupazione; ed è sempre pronta ad aiutare i fedeli membri bisognosi.

E:
Il nostro scopo primario era di costruire, finchè potesse essere possibile, un sistema sotto cui la maledizione dell'ozio sarebbe stata eliminata, il male del sussidio di disoccupazione abolito e l'indipendenza, l'industria, il risparmio e l'amor proprio fossero una volta di più fondati fra la nostra gente. Lo scopo della chiesa è di aiutare la gente ad aiutarsi. Il lavoro dev'essere ristabilito come i principi guida delle vite della nostra comunità ecclesiale. Fedeli a questo principio, i lavoratori dell'assistenza insegneranno ed inviteranno sinceramente i membri della chiesa ad essere economicamente indipendenti al massimo dei loro poteri. Nessun vero Santo degli Ultimi Giorni, se fisicamente in grado, allontanerà volontariamente da sé la difficoltà del suo proprio sostegno. 12
Il metodo del libertario al problema dell'assistenza sociale, allora, è di abolire tutto il welfare coercitivo e pubblico e sostituirlo con la carità privata basata sul principio dell'incoraggiamento all'autonomia, sostenuta inoltre inculcando le virtù della fiducia in se stesso e dell'indipendenza nella società.

Incentivi nel Piano di Friedman

Ma il piano di Friedman, al contrario, si muove precisamente nel senso opposto, dato che stabilisce gli emolumenti dell'assistenza sociale come diritto automatico, una pretesa automatica e coercitiva sui produttori. Quindi rimuove del tutto l'effetto stigma, scoraggia disastrosamente il lavoro produttivo con tasse esorbitanti e stabilendo un reddito garantito per chi non lavora, il che incoraggia l'ozio. In più, stabilendo un minimo reddituale come “diritto” coercitivo, incoraggia i clienti del welfare a richiedere minimi più alti, aggravando così continuamente l'intero problema. Ma Friedman, intrappolato nella separazione anglo-americana di “micro” e “macro,” presta pochissima attenzione a questi effetti cataclismatici sugli incentivi.

Persino gli handicappati sono danneggiati dal piano di Friedman, dato che un sussidio di disoccupazione automatico rimuove l'incentivo marginale affinchè l'operaio handicappato investa nella propria riabilitazione professionale, poiché il ritorno monetario netto da tale investimento è ora notevolmente abbassato. Quindi, il reddito garantito tende a perpetuare questi handicap. Per concludere, il sussidio di disoccupazione di Friedman pagherebbe un più alto reddito per persona alle famiglie sotto assistenza sociale, sovvenzionando di conseguenza un aumento continuo nella popolazione di bambini fra i poveri – precisamente coloro che meno possono permettersi una tal crescita demografica. Senza unirsi all'isteria corrente per “l'esplosione demografica,” è certamente irragionevole sovvenzionare deliberatamente la nascita di più bambini indigenti, che è ciò che il piano di Friedman farebbe come diritto automatico.
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Note

1. Henry C. Simons, A Positive Program for Laissez Faire: Some Proposals for a Liberal Economic Policy (Chicago: University of Chicago Press, 1934).
2. In questo articolo, limito la discussione al politico-economico e ometto i problemi tecnici della teoria economica e della metodologia. È in queste ultime che Friedman ha raggiunto il suo peggio, dato che Friedman è riuscito a cambiare la vecchia metodologia di Chicago, essenzialmente aristoteliana e razionalista, in una madornale ed estrema variante del positivismo.
3. Per un'eccellente introduzione alla visione austriaca, vedi Individualism and the Economic Order di F.A. Hayek (Chicago: University of Chicago Press, 1948), cap. 5.
4. Ludwig von Mises, Teoria della moneta e del credito.
5. C'è un aneddoto affascinante sul distinto industriale Charles F. Kettering. Visitando il letto d'ospedale di un amico che si stava lamentando della crescita del governo, Kettering gli ha detto “coraggio Jim. Ringrazia Dio che non otteniamo tanto governo quanto paghiamo!”
6. Milton Friedman e George J. Stigler, Roofs or Ceilings? (Irvington-on-Hudson, N.Y.: Foundation for Economic Education, 1946), p. 10.
7. Per un'ulteriore critica della dottrina di Friedman-Nixon del reddito garantito, vedi Murray N. Rothbard, “The Guaranteed Annual Income,” The Rational Individualist (September 1969); e Henry Hazlitt, Man vs. The Welfare State (New Rochelle, N.Y.: Arlington House, 1969), pp. 62–100. *Rothbard predisse correttamente che questa proposta di Friedman avrebbe fatto parte della campagna presidenziale del 1972. Interessante, e rivelatore, il fatto che fu proposta dall'avversario democratico di Nixon, il senatore George McGovern. Gli elettori lo considerarono come estremamente radicale e McGovern fu sconfitto in modo schiacciante. Ed.
8. Per una dimostrazione empirica di questo rapporto, vedi “The Demand for General Assistance Payments,” American Economic Review 54, no. 6 (dicembre 1964), pp. 1002–18.
9. New York Times (13 aprile 1970).
10. Questo era lo stesso principio di che guida la Charity Organization Society nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo. Quell'organizzazione liberale classica “credeva che l'aspetto più serio della povertà fosse la degradazione del carattere dell'uomo o della donna indigenti. La carità indiscriminata rendeva soltanto le cose peggiori; demoralizzava. La vera carità richiedeva amicizia, pensiero, la specie di aiuto che avrebbe ristabilito l'amor proprio dell'uomo e la sua capacità di sostenere lui e la sua famiglia.” Charles Loch Mowat, The Charity Organization Society (London: Methuen, 1961), p. 2.
11. Welfare Plan of the Church of Jesus Christ of Latter-Day Saints (The General Church Welfare Committee, 1960), p. 48.
12. Welfare Plan, pp. 1-2.
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Link alla seconda parte.
Link alla terza parte.
Link all'articolo originale.

Wednesday, January 7, 2009

Occupation 101

“La più grande minaccia per la verità non è l'ignoranza...
è l'illusione della conoscenza”

(Stephen Hawking)




Eccellente documentario sulle radici e la realtà del conflitto israelo-palestinese.

Tuesday, January 6, 2009

Schiavo per sempre?

Il dottor Zivago di Boris Pasternak, di cui riporto un breve e significativo brano, è senza dubbio un libro da leggere, da rileggere, e da conservare nell'animo con gratitudine. Non solo per la maestria con cui l'autore fa vibrare ogni pagina maneggiando con la cura di un grande compositore ogni frase ed ogni parola, tanto che, leggendolo, pare di assistere ad una complessa sinfonia. Ma anche, e soprattutto, perché raccontandoci le vicende del protagonista al tempo del trionfo del collettivismo, ci svela una grande verità: non importa quanto assoluta possa apparire la vittoria del totalitarismo, quanto oppressivo e avvilente il suo dominio; noi continueremo a vivere, ad amarci, a sognare, e a desiderare la libertà, a coltivarne il seme nel nostro animo, e mai, nonostante tutto il suo potere, l'ottuso Leviatano conquisterà i nostri cuori. Ed è questo il suo inevitabile destino, essere sconfitto proprio nel momento del suo trionfo.
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Di Boris Pasternak


Ma non c'era tempo di far congetture. In strada cominciava ad imbrunire. Doveva sbrigare molte faccende prima che facesse notte. Non ultima preoccupazione, quella di prender conoscenza dei decreti affissi nella via. Non erano tempi in cui si scherzasse. Per una semplice ignoranza si poteva pagare con la vita la trasgressione a qualche nuova ordinanza. E, senza aprire la porta di casa, senza togliere la bisaccia dalle spalle affaticate, scese in istrada, davanti al muro che per un largo tratto era fittamente coperto di stampati di ogni genere.

Erano articoli di giornale, estratti di discorsi tenuti alle riunioni e decreti. Scorse di sfuggita i titoli. “Sull'ordine di requisizione e di tassazione delle classi abbienti. Sul controllo operaio. Sui comitati di fabbrica e d'officina.” Erano le disposizioni del nuovo potere subentrato nella città che andavano abrogando gli ordinamenti precedenti. Le nuove autorità ricordavano ai cittadini il rigore dei propri provvedimenti, che forse essi avevano dimenticato sotto la temporanea amministrazione bianca. Ma la prolissità di quelle monotone ripetizioni faceva girare la testa a Jurij Andrèevic. A quali anni risalivano quei titoli? Ai tempi del primo rivolgimento o ai periodi successivi, dopo alcune rivolte bianche scoppiate nel frattempo? Che scritti erano quelli? Dell'anno avanti? Di due anni prima? Una volta nella sua vita si era entusiasmato per l'incontrovertibilità di quel linguaggio e la linearità di quel pensiero. Possibile che dovesse pagare quel suo incauto entusiasmo col non avere davanti ormai più altro per tutta la vita se non quelle forsennate grida e ordini perentori che nel corso degli anni non mutavano, anzi, col passare del tempo, diventavano sempre più astratti, incomprensibili e inattuabili? Possibile che per essere stato un istante consenziente, fosse divenuto schiavo per sempre?

Il frammento lacero di un resoconto gli cadde sotto gli occhi. Lesse:

“Le notizie a proposito della carestia dimostrano l'incredibile passività delle organizzazioni locali. I casi di abuso sono evidenti, la speculazione mostruosa, ma cosa ha fatto l'Ufficio dei sindacati locali, che cosa hanno fatto i Comitati di fabbrica e di officina della città e del territorio? Finché non effettueremo perquisizioni di massa nei depositi dello scalo di Jurjatin, nei settori di Jurjatin-Razvil'e e di Razvil'e-Rybalka, finché non applicheremo severe misure repressive, ivi compresa la fucilazione sul posto degli speculatori, non ci sarà salvezza contro la carestia.”

“Che invidiabile cecità!” pensò. “Di quale pane si può parlare, quando da tempo in natura non ce n'è più? Quali classi abbienti, quali speculatori, quando tutti questi sono da tempo distrutti, dalla logica dei decreti precedenti? Quali contadini, quali villaggi, se non esistono più? Come fanno a dimenticare i loro stessi progetti e provvedimenti che da tempo non hanno più lasciato pietra su pietra? Che cosa debbono essere per farneticare di anno in anno, con simile febbrile, implacabile ardore su argomenti inesistenti, da tempo esauriti, e non voler nulla vedere intorno a sé?”

Ebbe un capogiro, perdette i sensi e cadde svenuto sul marciapiede. Quando riprese conoscenza e lo aiutarono a rialzarsi, gli offersero di accompagnarlo dove desiderava. Ringraziò e ricusò l'aiuto spiegando che doveva soltanto attraversare la strada ed entrare nella casa di fronte.

Sunday, January 4, 2009

Una gigantesca riserva

Il Leviatano, incarnazione del potere maligno del collettivismo, è il vero grande nemico dell'umanità, un parassita spietato pronto a qualsiasi delitto per perseguire il suo scopo. Chiunque si opponga al suo governo dev'essere sterminato, chiunque non si conformi eliminato, mentre chi si fa strumento letale della sua brama di conquista sarà ricompensato e glorificato nei secoli, portato ad esempio di virtù, in un sovvertimento di qualsiasi valore umano tradizionale.

Agli ingenui queste affermazioni possono apparire esageratamente radicali e perentorie, ma la storia è disseminata delle sanguinose prove che ne dimostrano la verità. Una di queste prove, lampante e tragica, è lo sterminio dei nativi americani, riassumibile nell'ignobile massacro di Wounded Knee Creek, qui raccontato da William N. Grigg.
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Di William Norman Grigg

“Ciò che accadde al mio paese sta accadendo anche al vostro.... Voi non lo sapete neanche, ma siete gli indiani del ventunesimo secolo e questo è molto triste.”
~ Russell Means, attivista indiano ed agevolatore della Repubblica Indipendente di Lakota di recente creazione

Poco prima che l'esercito di Stati Uniti massacrasse centinaia di affamati, disperati Sioux che erano stati radunati sulle sponde gelate del Wounded Knee Creek nel Dakota del Sud, l'Ufficio del Censimento annunciava la scomparsa di una linea di frontiera per la prima volta nella storia americana.

Il Destino Manifesto aveva finito lo spazio, e l'Impero Americano – un termine utilizzato sfrontatamente nella letteratura del trionfalista del periodo – ora cingeva l'intero continente nordamericano ed i suoi governanti erano liberi di conferire le benedizioni della civilizzazione sulle masse incolte al di là delle nostre coste.

I primi nella lista per questo non richiesto privilegio furono i cubani ed i filippini. I cinesi ed i messicani avrebbero assaggiato – nel senso di essere sottoposti ad alimentazione forzata – gli sgradevoli frutti della benevolenza imperiale americana, prima che Washington, sotto il regno dell'indicibilmente vile Woodrow Wilson, spedisse centinaia di migliaia di missionari per la democrazia armati sui campi di battaglia d'Europa.

L'intervento americano ruppe un impasse nella Prima Guerra Mondiale che avrebbe potuto portare ad una pace negoziata, preservando così la Cristianità. La “vittoria” alleata contribuì a coltivare diverse perniciose specie di totalitarismo e di nazionalismo bellicoso, vaccinando così efficacemente l'umanità contro un'insorgenza di pace e di normalità. Questo si tradusse in una lista senza fine di imprese imperiali all'estero, con l'uso da parte dell'Èlite di Governo Americana di mezzi sia relativamente subdoli (corruzione per mezzo del sussidio estero) che volgari (bombardamenti e altre forme di letale “umanitarismo”) per propagare la propria visione della giustizia sociale intorno al globo.

E mentre Washington verificava con passione i difetti di altri regimi, i beneficiari originali della sua missione di civilizzazione – i resti di varie comunità indiane americane – erano consegnati ad un'esistenza sventurata contrassegnata da un'irrimediabile povertà, da tassi di mortalità abissali e da una pervasiva disperazione. La condizione degli indiani americani offriva un contrappeso di realtà alla retorica auto-estasiata americana, ed il sistema delle riserve era una specie di ritratto di Dorian Grey per l'immagine del regime come guardiano della libertà e della giustizia. E l'omicidio di massa dei Sioux al Wounded Knee fu una specie di cerimonia di laurea per il regime allorché si preparava ad esportare la violenza imperiale all'estero.

Circa tre anni dopo il massacro del dicembre 1890 al Wounded Knee, lo storico Frederick Jackson Turner presentò al pubblico dell'Esposizione Colombiana a Chicago la sua presto famosa “tesi della frontiera” – ovvero, che la conquista della frontiera occidentale, che chiamava “il punto di unione fra brutalità e civiltà,” aveva portato a termine la prima fase della vita della nazione americana. La conquista della frontiera, sosteneva Turner, aveva rifinito un carattere distintamente americano, instancabile ed ingegnoso, ferocemente individualista e sprezzante verso il potere centralizzato e l'autorità gerarchica.

L'orazione di Turner fu, per alcuni versi, una versione accademica del noto trucco da cantante da camera per invitare il suo pubblico ad “applaudirsi.” Allora, come oggi, gli americani volevano vedersi come gente dura e indipendente, anche quando stavano partecipando ad un furto di terra militarizzato, federalmente sovvenzionato, svergognato e senza precedenti.

È vero, i coloni ed i pionieri erano spesso persone dure e coraggiose e non pochi tra loro si disimpegnarono onorevolmente sia nel tragico combattimento con gli indiani che nell'onesto commercio con loro quando si realizzò la pace. Ma preso complessivamente, il Destino Manifesto rappresentò il trionfo del corrotto corporativismo.

In Westward the Tide, un'opera tipicamente degna, il romanziere Louis L'Amour, giustamente noto come il “Trovatore del West americano” (e un autodidatta i cui successi accademici erano facilmente pari a quelli del dott. Turner), cattura l'ambivalenza del periodo espansionista da Appomattox a Wounded Knee.

Il tipo umano dominante che si trovava sulla frontiera, scrive, “era un uomo scarno e dallo sguardo gelido che temeva Dio e nient'altro.... Aveva coraggio, durezza, e una volontà testarda che non esitava davanti a nessun problema perché troppo grande.... Era l'uomo che rifiutò di rimanere vicino ai fortini e per questo veniva spesso ucciso dagli indiani, sua moglie nutriva i suoi bambini con un fucile poggiato sulle ginocchia e lavorava i suoi campi con una pistola legata alle stanghe dell'aratro. Sfidava gli indiani, i grandi allevatori, i fuorilegge. Era il nidificatore, l'occupatore abusivo, l'uomo che si muoveva verso ovest.”

Che lo sapessero o meno, sottolinea L'Amour, i pionieri individualisti funsero da rompighiaccio per conto delle forze collettiviste.

“Le ferrovie venivano verso ovest grazie ai sussidi ed ai terreni regalati dal governo,” ricordava. “Non hanno avanzato mai di un passo senza la vendita di terra del governo, i soldi del governo da spendere e la protezione dell'esercito. [I pionieri] non chiesero la protezione di nessuno, o se sì, non a lungo, ma oltrepassavano l'esercito ovunque il loro percorso non fosse ostruito da una linea troppo serrata e dove si fermavano mettevano radici.”

E ovunque questi individualisti mettessero le radici, lo Stato Leviatano si materializzava rapidamente per installare il necessario apparato di conformità coercitiva. Questo processo è stato catturato dall'editore George A. Crofutt – un energico evangelista del Destino Manifesto – nella sua didascalia al dipinto del 1872 “American Progress” di John Gast.

La diffusissima litografia illustrava lo Stato americano come una formosa femmina dai capelli chiari e precariamente coperta da una veste diafana, con la fronte di alabastro cinta dalla “stella dell'impero,” che guarda verso ovest con un'espressione di benevola risoluzione mentre gli indiani terrorizzati fuggono terrorizzati davanti a lei. Sul suo braccio destro sta un libro intitolato “Scuole Comuni,” che Crofutt descrive esultante come “emblema della nostra educazione e testimone della nostra Illuminismo Nazionale.” Con la mano sinistra tesse la campagna con i “lunghi cavi del telegrafo, che spargeranno l'intelligenza per tutta la terra.”

Davanti a questa ragazza fascinosa ma onnipotente la terra è attraente, ma desolata; al suo passaggio sorgono città, “navi a vapore, manifatture, scuole e chiese, sopra cui fasci di luce fluiscono e riempiono l'aria – segni della nostra civiltà,” continua Crofutt. Dalle città “procedono le tre grandi linee continentali” della ferrovia federalmente sovvenzionata, così come un flusso di cavalieri pony express, di carri di pionieri, di diligenze, di cercatori d'oro, e di altri attratti irresistibilmente verso ovest.

Ma il vero fulcro di questa celebrazione artistica “della grandiosità e dell'impresa del nostro paese,” come la vede Croffutt, è la manciata di indiani che fuggono davanti alla “bella e avvenente Femmina” che incarna lo Stato americano.

“In fuga dal ‘progresso’ verso le acque blu del Pacifico sono gli indiani con le loro squaw, i loro papoose e le loro slitte,” scrive con parole che stillano disprezzo. Gli indiani “fuggono dalla presenza della meravigliosa visione. La ‘Stella” è troppo per loro.”

“American Progress,” come spiegato da Croffutt, accoppiava bigotteria civica con un appello manifesto a tre degli istinti più bassi: la semplice lascivia; l'impulso tribale verso il culto del potere collettivo; e la disumanizzazione di chi non fa parte della collettività scelta.

La bontà dell'America, nella lettura di Croffutt, è ratificata dalla ritirata degli indiani selvaggi. Parlando attraverso Matt Bardoul, uno dei suoi eroi da romanzo, Louis L'Amour ha dato voce ad una visione meno autocompiaciuta, concludendo che gli indiani si sono ritirati di fronte a “quella che alcuni potrebbero considerare una superiore barbarie.”

Nel 1874, due anni dopo che Gale aveva rivelato il suo ritratto propagandistico, George Armstrong Custer, un agente del “progresso americano,” guidò una forza di invasione nelle Black Hills del Dakota del Sud, un territorio considerato sacro dai Sioux e a loro promesso solennemente in perpetuo da un trattato meno di un decennio prima.

Come qualunque impiegato del Leviatano americano coerente, Custer considerava i trattati proprio come avrebbe fatto più tardi Lenin: delle croste di torta, fatte per essere rotte quando le circostanze lo richiedevano. Le Black Hills, Custer annunciò, erano piene d'oro “dalle radici dell'erba in giù.” Questo trasformò poche gocce di immigrazione clandestina nelle Black Hills in un diluvio, e Washington – fedele alla linea – decise che era venuto il tempo di riscrivere il suo trattato con i Sioux.

Nel settembre 1875, Washington convocò un congresso con i rappresentanti dei Sioux nella speranza che gli indiani (nella frase di Dee Brown) “avrebbero venduto la loro terra per evitare al governo degli Stati Uniti l'imbarazzo di dover rompere un trattato per ottenerla.”

L'atteggiamento della maggior parte dei Sioux fu riassunto in un gesto di sfida di Toro Seduto. informato del desiderio di Washington di comprare le Black Hills, Toro Seduto rispose prendendo una manciata di terreno e liberandolo nel vento. “Voglio che andiate a dire al Grande Padre che non voglio vendere alcuna terra al governo – nemmeno tanto così.”

Affrontato da un proprietario non interessato a vendere la terra, il governo fece quello che fa sempre: si preparò a rubare la terra e ad assassinare quelli determinati a difenderla. Le preparazioni cominciarono a “sbattere gli indiani nella sottomissione,” come disse l'ispettore indiano E.T. Watkins.

Naturalmente, non andò proprio in quella maniera quando le forze federali si scontrarono con un'enorme coalizione degli indiani delle pianure il giugno seguente in quella che i Sioux hanno chiamato la battaglia di Greasy Grass – o che i perdenti chiamarono la battaglia di Little Bighorn.

Dopo che il Settimo Cavalleggeri fu sbaragliato ed il suo vanesio e sanguinario comandante spedito all'inferno, il Leviatano diede il via ad una punizione collettiva. Non potendo di scovare Toro Seduto, Gall, Cavallo Pazzo e gli altri capi indiani che avevano battuto il suo esercito ed avevano sfidato la “stella dell'impero,” Washington autorizzò l'impenitente criminale di guerra generale William T. Sherman – il generale Westerman della guerra dell'Unione contro il Sud – a trattare tutti i Sioux nelle riserve come prigionieri di guerra. Questo significava che coloro che non avevano combattuto sarebbero stati puniti come rappresaglia per la vittoria degli indiani.

Anche se non furono mai battuti definitivamente sul campo di battaglia, i Sioux erano alla fine spezzati con il terrore, la pressione politica e la logica implacabile della demografia. Gli americani erano troppo numerosi per respingerli, il loro governo troppo potente per resistergli, i loro capi interamente senza pietà né scrupoli.

Cavallo Pazzo era determinato ad affrontare l'esercito federale, ma alla fine fece l'amara scelta di portare la sua gente nella riserva per evitare l'inedia. Quando seppe che lo stesso governo che aveva rubato le sue terre ed aveva ucciso la sua gente stava arruolando Sioux per uccidere i Nasi Forati del capo Giuseppe – una tribù nordoccidentale che sperimentava lo stesso trattamento per mano dell'impero – Cavallo Pazzo minacciò di ribellarsi e lasciare la riserva.

Quando un informatore venne a sapere dei piani pazzeschi di Cavallo Pazzo, il capo fu “arrestato” dalla polizia dell'agenzia indiana – che comprendeva diversi Sioux Quislings, compreso Piccolo Grande Uomo – e quindi assassinato da un soldato dell'esercito americano a Fort Robinson.

Dopo la morte di Cavallo Pazzo nell'autunno del 1877, i suoi genitori – che facevano parte di una banda di Sioux che sperava di ritirarsi nel Canada e di trovarvi rifugio con l'esiliato Toro Seduto – seppellirono il corpo del loro figlio vicino ad un torrente chiamato Wounded Knee, in un pezzo di terra che presto sarebbe diventato la riserva indiana di Pine Ridge.

Toro Seduto fuggì in Canada dopo la battaglia di Greasy Grass nella speranza che la sua gente sarebbe stata protetta come sudditi della Corona Britannica. Tuttavia, l'intervento di Washington impedì al Grande Capo ed ai suoi seguaci di ottenere un pezzo di terra adatta. Nel luglio 1881, Toro Seduto seguì Cavallo Pazzo, Nuvola Rossa, Cane Rosso, Coda Pezzata ed altri capi Sioux nella scelta di arrendersi per non morire di fame.

Incarcerato a Fort Randall in violazione delle promesse di un trattamento decente, la resistente dignità di Toro Seduto risultò essere un ostacolo per i commissari indiani federali, che volevano assicurarsi che la resistenza dei Sioux fosse stata spezzata per sempre. Nella sua prima riunione con i commissari, Toro Seduto trattò i burocrati con disprezzo regale, li rimproverò beffardo di “comportarsi come uomini che hanno bevuto del whisky” alla richiesta che i Sioux consegnassero formalmente le agognate Black Hills.

Apparentemente, la preoccupazione per il destino della sua sofferente banda di seguaci indusse Toro Seduto a moderare il suo linguaggio in una riunione successiva. Prevedibilmente, i commissari indiani non erano inclinati a ricambiare; invece, sfruttarono l'occasione per rimproverare Toro Seduto per la sua sfida e arringarlo sulle molteplici glorie dello Stato Imperiale.

“Non siete un grande capo di questo paese,” lo istruì il senatore repubblicano dell'Illinois John Logan. “Non avete seguito, potere, controllo e diritto ad alcun controllo. Siete in una riserva indiana soltanto per concessione del governo. Siete nutriti dal governo, vestiti dal governo, i vostri bambini sono istruiti dal governo e tutto ciò che oggi avete e siete è merito del governo.... Il governo nutre e veste ed istruisce i vostri bambini ora, e vuole insegnarvi a diventare agricoltori, ed a civilizzarvi, e rendervi uguali agli uomini bianchi.”

Logan esternò questo sermone totalitario decenni prima che Mussolini incorporasse la stessa visione del mondo nel suo credo fascista: “tutto all'interno dello Stato, niente al di fuori dello Stato, niente contro lo Stato.”

Alla fine, con l'applicazione della sua tattica preferita – negoziazione con l'estorsione, sotto forma della minaccia di lasciar morire di fame gli indiani se non avessero rinunciato alle loro terre – Washington riuscì ad assicurarsi la proprietà delle Black Hills. Da un atto del congresso del 1889, la pietosa rimanenza della terra del trattato originale del 1868 venne divisa in sei piccole riserve nel Dakota del Sud. I Sioux vennero disarmati, privati dei loro cavalli, e confinati nelle riserve.

Prima del trattato del 1889, ai Sioux era stato promesso che le razioni di sussistenza previste dal patto del 1868 sarebbero continuate. Ma una volta ottenute le Black Hills, Washington non vide necessità di adempiere la sua parte dell'accordo estorto ai Sioux ed il Congresso tagliò subito le razioni della metà. Entro il 1890, le razioni promesse non arrivarono più del tutto. Diversi anni di scarsi raccolti misero in difficoltà i residenti euro-americani del Dakota del Sud; i Sioux prigionieri morivano di fame.

Confrontando l'annientamento assoluto, i Sioux avvertirono improvvisamente una rinascita religiosa. Un sant'uomo del Paiute chiamato Wovoka stava predicando una dottrina escatologica che combinava misticismo con elementi del Nuovo Testamento. Entro il 1891, profetizzò, il bisonte sarebbe tornato, i guerrieri morti sarebbero risorti a migliaia dalle loro tombe, e un grande vento avrebbe spazzato il governo dell'Uomo Bianco dalla terra.

Sino a quel momento, Wovoka insegnava, i Sioux dovevano mantenere la pace.

“Quando i vostri amici muoiono, non dovete piangere,” insisteva. “Non dovete far del male né nuocere a nessuno. Non dovete combattere. Fate sempre la cosa giusta. Vi darà soddisfazione in questa vita. Non parlate di questo alla gente bianca. Gesù è ora sulla terra.”

Piuttosto che resistere ai bianchi con la forza delle armi, Wovoka spiegava, gli indiani dovevano coprirsi con una speciale “veste della medicina” che li avrebbe protetti dalle pallottole, ed eseguire una “Danza degli Spiriti” per adorare il messia ed esprimere la speranza che il suo regno avrebbe presto prevalso.

Questa nuova religione – un genere di Sufismo indiano, senza la militanza che caratterizza la versione originale musulmana – diede ai Sioux disperati e affamati un senso di speranza e il principio di una nuova identità comune. Così, naturalmente, doveva essere soppresso con alacrità e severità.

Nell'ottobre 1890, Daniel F. Royer, un farmacista in disgrazia ed ex medico (la sua autorizzazione era stata revocata in California a causa di una tossicodipendenza) fu nominato agente indiano alla riserva di Pine Ridge. Non aveva esperienza negli affari indiani; la sua nomina era stata fatta per motivi puramente politici. Circa due settimane dopo, Royer spedì un telegramma dettato dal panico che chiedeva l'intervento militare di Washington e l'arresto dei capi Sioux.

Resoconti sensazionalistici di presunti complotti indiani saturarono l'aria ed annerirono le pagine dei giornali in tutto il paese. Royer ed altri agenti indiani pubblicarono ordini d'arresto per “istigatori” indiani con qualsiasi pretesto disponibile. All'inizio di dicembre, la Guardia Nazionale del Dakota del Sud, una milizia creata dal governatore Arthur C. Mellete meno di un mese prima, massacrò e scalpò in un'imboscata 75 Danzatori degli Spiriti Sioux.

Presto il 15 dicembre, un invecchiato Toro Seduto fu circondato da un'unità operativa di 43 agenti di polizia al comando del tenente Testa di toro, un indiano Quisling. Il Grande Capo era preparato ad arrendersi pacificamente, ma dopo che un grande gruppo Danzatori degli Spiriti si fu materializzato per protestare l'arresto non provocato ebbe un ripensamento. Quando uno dei Danzatori tirò fuori un fucile, uno dei poliziotti estrasse la pistola e sparò in testa a Toro Seduto a bruciapelo.

L'omicidio di Toro Seduto spinse il suo fratellastro, Bigfoot, a fuggire con la sua gente alla riserva di Pine Ridge in cerca di rifugio.

Bigfoot soffriva di una grave polmonite che gli faceva tossire sangue; i suoi stanchi ed emaciati seguaci – circa 120 uomini e circa due volte quel numero donne e bambini – non erano in condizioni molto migliori. Tuttavia il maggiore Samuel Whitside, che intercettò la grande banda di Bigfoot il 28 dicembre, insistette nel trattarli come forza militare catturata. Con le pistole puntate del Settimo Cavalleggeri – che manteneva l'amara memoria istituzionale della propria sconfitta a Greasy Grass/Little Bighorn – la banda fu portata ad un accampamento sulle sponde del Wounded Knee Creek, dove gli indiani dovevano essere disarmati.

Bigfoot ed i suoi seguaci erano circondati da due battaglioni di cavalleria; quattro mitragliatori rotanti Hotchkiss montati su carri, che potevano lanciare cariche esplosive fino a due miglia di distanza, erano stati posizionati con attenzione su un rilievo fuori dall'accampamento.

Subito dopo l'alba del 29 dicembre, l'esercito cominciò a raccogliere i fucili dei seguaci di Bigfoot. Con stanca rassegnazione, gli indiani cedettero gli unici mezzi indipendenti di ottenere del cibo, lasciandosi interamente alla mercé di un nemico capriccioso che aveva frequentemente usato la fame come arma.

Impaziente con il ritmo della raccolta delle armi, diversi contingenti di soldati si dispersero per l'accampamento, andando di tenda in tenda a confiscare tutte le armi da fuoco nascoste. Questo provocò una comprensibile protesta delle donne le cui dimore venivano violate.

Un giovane, un sordomuto chiamato Coyote Nero, si oppose quando venne il suo turno di consegnare il fucile. Tenendo il suo Winchester sopra la testa, questo giovane uomo – che non aveva commesso alcun crimine e non aveva minacciato nessuno – protestò che aveva pagato del buon denaro per il suo fucile e non aveva intenzione di consegnarlo. Fu assalito da parecchi soldati.

Poco dopo, un colpo lacerò il gravido silenzio, provocando il massacro che diventò inevitabile quando i Sioux disarmati caddero nelle mani di un vendicativo Settimo Cavalleggeri.

“Abbiamo provato a correre,” testimoniò la sopravvissuta Louise Weasel Bear, “ma ci hanno sparato come se fossimo bisonti.” Il malato ed impotente Bigfoot fu ucciso, il suo corpo tormentato dalla malattia abbandonato contorto in modo grottesco nella neve. Lo raggiunsero qualcosa come 300 dei suoi seguaci.

“Donne, bambini e infanti morti e feriti erano sparsi dappertutto ... dove avevano cercato di scappare,” ricorda Alce Nero, l'uomo medicina degli Ogalala, che arrivò subito dopo il macello. “I soldati li hanno seguiti lungo il burrone, mentre scappavano, e li hanno assassinati là dentro. A volte erano in mucchi perché si erano raccolti insieme, mentre altri erano sparsi dappertutto. A volte gruppi di loro sono stati uccisi e fatti a pezzi dove i mitragliatori [Hotchkiss] sui carri li hanno colpiti.”

Coloro che resistettero sopravvissero. Alce Nero ha raccontato come due giovani ragazzi avevano preso posizioni da cecchino uccidendo più soldati possibile: “Questi erano ragazzini molto coraggiosi.” Altri Sioux “lottarono con i soldati a mani nude finché non riuscirono a prendergli le pistole.” Un capitano dell'esercito chiamato Wallace fu circondato da un gruppo di madri Sioux e picchiato a morte con dei bastoni.

Ma questa non fu una “battaglia,” come venne chiamata per un secolo dopo l'evento. Fu un massacro di gente inerme ed innocente da parte dell'apparato omicida del Leviatano. Quando Alce Nero arrivò sulla scena, quello che vide non era un campo di battaglia, ma piuttosto “una lunga tomba di donne e bambini e infanti macellati, che non avevano mai fatto alcun male e stavano soltanto cercando di scappare.”

Quando i superstiti cercarono aiuto medico, scoprirono che la priorità era di medicare le ferite della manciata di personale dell'esercito che era stato ferito nel corso del massacro. Molti di loro perirono per l'abbandono e per le ferite non medicate. Per parecchi giorni la terra al Wounded Knee rimase cosparsa dei corpi dei morti. Il 3 gennaio 1891, i resti mortali delle vittime vennero raccolti e interrati in una fossa comune.

La spedizione militare che eseguì il massacro costò 2 milioni di dollari del 1890. Questo fornì un benvenuto “pacchetto di stimolo economico” per le comunità locali. Ma merita di essere ricordato che sarebbe costato appena una frazione di quell'importo fornire ai Sioux affamati le razioni erano state loro promesse dal trattato originale del 1868.

Ma Washington credette a quanto pare che la spesa supplementare fosse giustificata per ottenere la totale sottomissione degli un tempo temuti Sioux. Fornire al Settimo Cavalleggeri un'occasione per vendicare la sua sconfitta, e quindi rivendicare il potere della “stella dell'impero,” fu un dono inatteso .

Ancor oggi, l'esercito degli Stati Uniti espone fiero la “decorazione della battaglia” di quella che viene chiamata la “campagna” del Wounded Knee. Dozzine dei partecipanti a quell'atrocità – che può correttamente essere chiamata la Babi Yar americana – ricevettero la Medaglia dell'Onore del Congresso. Il monumento agli “eroi di Wounded Knee Creek” ancora esiste a Fort Riley, in Kansas.

Anche se chiuse il sipario sull'Era della Frontiera americana, Wounded Knee fu soltanto l'ouverture della carriera del Leviatano nella macelleria imperiale. Il percorso esterno della “stella dell'impero” è segnato da atrocità che mostrano una rassomiglianza familiare con quel massacro e le tattiche che condussero ad esso.

Solo pochi anni dopo, l'impero organizzò una campagna di contro-insurrezione che avrebbe condotto all'imprigionamento, la tortura ed il macello di decine di migliaia di filippini “liberati.” Alla fine della Prima Guerra Mondiale, Washington ed i suoi alleati usarono la stessa tattica che aveva avuto così successo contro i Sioux – schierare l'arma della fame per assicurarsi la sottomissione ad un trattato – contro la Germania imperiale sconfitta.

La “pace” draconiana che prevalse a seguito del blocco imposto dagli americani spinse al potere un movimento totalitario guidato da un piccolo austriaco pervertito che pensò che il trattamento degli indiani da parte di Washington fosse un modello adeguato per trattare con le razze “inferiori” in Europa.

Un secolo dopo Wounded Knee, lo stesso Leviatano americano che forzò la sottomissione dei Sioux con la fame impose un micidiale embargo all'Iraq che sarebbe durato più di un decennio uccidendo centinaia di migliaia di bambini. Dopo aver usato la fame e la negazione delle necessarie medicine per ammorbidire gli iracheni, l'impero – già impantanato in Afghanistan – ha lanciato un'invasione in Iraq.

E come nota Scott Horton di AntiWarRadio, dovunque l'impero schieri le sue legioni all'estero, il territorio non sotto il controllo imperiale viene definito “nazione indiana.” Con ottimismo del tutto ingiustificato, la maggior parte degli americani suppongono che questo si applichi soltanto all'estero. Ma ogni tanto – come a Waco o a Ruby Ridge – l'impero offre un sanguinoso promemoria per il fatto che Wounded Knee rimane il modello ufficiale per occuparsi di ogni resistenza, straniera o domestica che sia.

In un'affascinante intervista con Scott Horton, l'attivista indiano Russell Means descrive come il sistema americano delle riserve indiane sia stato l'incubatrice per i programmi totalitari di ingegneria sociale sia qui che all'estero. L'assoggettamento degli indiani americani, avverte, ha fornito il modello per l'espropriazione continua della classe media americana.

Mentre il sistema finanziario implode, agli abitanti del nostro paese de-industrializzato viene confiscato ciò che rimane della nostra ricchezza per servire gli interessi degli elementi più corrotti dell'élite di governo. L'aria è pregna di presagi di una imminente legge marziale per sopprimere ogni resistenza organizzata a questo saccheggio senza precedenti.

Sapremo che l'opzione Wounded Knee è sul tavolo quando i nostri governanti ci chiederanno ciò che ordinarono ai Sioux conquistati: la resa delle nostre armi da fuoco personali.

È un fatto glorioso che la cittadinanza privata americana possieda più armi da fuoco degli eserciti e delle forze di polizia del mondo intero. È questo fatto, e forse solo questo, che spiega perché il Regime che ci governa non ha ancora trasformato il nostro paese in una gigantesca riserva. Non dovremmo mai supporre che questo non possa cambiare in un attimo.

Saturday, January 3, 2009

Guerra alla recessione

Robert Higgs, editore di The Independent Review, analizza uno dei più repellenti articoli di propaganda militarista e disinformazione economica degli ultimi tempi, pubblicato alla vigilia di Natale – quale indesiderabile strenna – dal Wall Street Journal, e vergato dall'“economista” conservatore Martin Feldstein.

Se qualcuno sentiva il bisogno di assaporare l'aria fascista che tirava negli anni 30, questo brano è l'ideale. In quanto all'autore, mi unisco all'augurio calorosamente espresso da Linucs nel suo commento in proposito.
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Il keynesismo militare ci salverà?

Di Robert Higgs


Scrivendo sul Wall Street Journal il 24 dicembre 2008, Martin Feldstein ci regala un articolo intitolato “Spendere per la difesa sarebbe un grande stimolo.” Il titolo dice tutto quello che dovete sapere: il keynesismo militare è la medicina che prescrive questa eminente figura dell'Establishment politico-economico: un professore di Harvard, ex Presidente del Consiglio dei Consulenti Economici, ex presidente dell'Associazione Economica Americana, presidente emerito dell'Ufficio Nazionale della Ricerca Economica e membro del Comitato Consultivo di Intelligence Estera del presidente. Che un uomo così pregno di onori e successi professionali venda una simile cianfrusaglia da tempo screditata dice molto delle condizioni dell'economia mainstream. Quando pensate che non si possa andare più a fondo, vi accorgete che si può.

Feldstein ritiene che “contrastare una profonda recessione economica richiede un aumento nella spesa pubblica per compensare il netto declino nella spesa di consumo e negli investimenti aziendale ora in corso. Senza un tale aumento nella spesa pubblica, la recessione economica sarebbe più profonda e più lunga.” Questa dichiarazione contiene l'essenza del volgare keynesismo. Sembrerebbe che Feldstein, come quasi ogni altro leone dell'economia mainstream, abbia mancato di notare che dal campione che per lo stesso test empirico che la professione considera sacrosanto, questa teoria è stata decisivamente confutata dagli eventi del 1945–-47 – o forse gli economisti mainstream credono che dopo la così bella dimostrazione di coraggio, come la considerano loro, del loro modello dal 1940 al 1945, il suo abissale fallimento nelle previsioni dal 1945 al 1947 non debba esser preso seriamente.

Come se questa cecità non fosse abbastanza, la continuazione è ancora peggio, perché il cieco economista non solo propone di impiegare volgari misure keynesiane per frenare la recessione corrente, ma propone anche che il cieco conduca il cieco lungo il peggiore percorso possibile: il governo non aumenti semplicemente la spesa pubblica in generale; aumenti la spesa militare e altre apparenti spese per la sicurezza nazionale in particolare. “Un aumento provvisorio nelle spese del DOD sui rifornimenti, sulle attrezzature e sulla forza lavoro dovrebbe essere una parte importante di quell'aumento [dell'amministrazione Obama] nelle spese generali di governo. Lo stesso si applica al dipartimento della Sicurezza della Patria, alla FBI e ad altre parti della comunità di intelligence nazionale.” Feldstein prevede la creazione di circa 300.000 posti di lavoro come conseguenza del gettare disordinatamente dei soldi nell'aumento del personale militare, nell'addestramento, negli strumenti e nell'acquisizione di articoli importanti quali gli aerei da combattimento, i velivoli da trasporto e le navi da guerra.

Quindi, “un aumento di breve durata notevole nella spesa per la difesa e l'intelligence da una parte stimolerebbe la nostra economia e dall'altra rinforzerebbe la sicurezza della nostra nazione.” Feldstein parla come se l'esercito degli Stati Uniti sia attualmente una cosa afflosciata, esaurita, disperatamente necessitante di essenziali riparazioni, rifornimenti, allargamento e ammodernamento, nonostante il fatto che non ci sia nazione sulla terra che si avvicini a rappresentare una seria sfida militare per gli Stati Uniti e che i gruppi irregolari di fanatici islamici nelle caverne del Pakistan e nei vicoli delle grandi città dell'Asia e dell'Europa pongano, al massimo, un problema di polizia, e non una minaccia contro la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Egli sembra non apprezzare che il governo stia già spendendo più di un trilione di dollari l'anno per scopi di tipo militare.

L'articolo di Feldstein ci ricorda che le élite che governano questo paese hanno un'alta soglia per l'imbarazzo. Tireranno fuori senza vergogna qualsiasi triste apparato intellettuale per giustificare la rapina dei soldi dei contribuenti da incanalare poi verso gli appaltatori corporativi privilegiati ed all'orda dei parassiti sul libro paga del governo. Per quanto possa essere intellettualmente spregevole il keynesismo militare, esso tuttavia ha una provata tradizione nel portare l'Establishment dove vuole andare.

Per decenni, i segretari della Difesa hanno contribuito a giustificare le loro richieste pantagrueliche di preventivo sostenendo che gli alti livelli di spesa militare avrebbero fatto “bene all'economia” e che spese militari ridotte avrebbero causato la recessione. Così il comune è diventato questo argomento che i critici marxisti gli hanno dato il nome adeguato di keynesismo militare. Sia a destra che a sinistra, la gente ha creduto che le enormi spese militari avrebbero spinto in alto un'economia che, in assenza di questo supporto, sarebbe sprofondata nella depressione. Tale pensiero ha giocato un ruolo importante nel processo politico che ha diretto circa 15 trilioni (in odierni dollari) in spese militari per la Guerra Fredda fra il 1948 ed il 1990. Né è sparito dopo che l'Unione Sovietica poco sportivamente ha lasciato il campo da gioco.

Il keynesismo militare ha sufficiente plausibilità superficiale da avergli fatto raccogliere un seguito notevole in certi ambienti persino prima che la Teoria Generale di Keynes gli avesse dato un'apparente rispettabilità intellettuale. Nel suo libro del 1944 As We Go Marching, John T. Flynn annotò come un fatto “questa devozione degli elementi conservatori al potere militare,” e sottolineò che “il militarismo è quel grande, affascinante progetto di opera pubblica sul quale vari elementi nella comunità possono trovarsi d'accordo.” Egli capì, tuttavia, che la spesa pubblica militare ha conseguenze ben più gravi della classica costruzione keynesiana di piramidi. “Inevitabilmente, avendo ceduto al militarismo come strumento economico, faremo ciò che altri paesi hanno fatto: manterremo viva nel nostro popolo la paura delle ambizioni aggressive di altri paesi e noi stessi ci imbarcheremo in imprese imperialistiche per nostro conto.” Flynn si merita un buon voto come profeta.

L'economia keynesiana si basa sulla presunzione che la spesa pubblica, sia per munizioni che per altre merci, crea un'addizione alla domanda aggregata dell'economia e quindi impiega lavoro ed altre risorse che altrimenti rimarrebbero inattive. L'economia ottiene non solo la produzione supplementare causata dall'uso di queste risorse, ma ancora maggiore produzione grazie ad un “effetto moltiplicatore.” Da qui arriva l'affermazione keynesiana che persino la spesa pubblica per far scavare alla gente delle buche per terra per poi riempirle abbia effetti benefici: anche se gli spalatori non creano niente di valore, l'effetto moltiplicatore è messo in moto allorché spendono il loro reddito monetario per i beni di consumo appena prodotti da altri.

Tale teoria non ha mai affrontato precisamente il motivo di fondo per l'iniziale inattività della forza lavoro e delle altre risorse. Se gli operai vogliono lavorare ma non possono trovare un datore di lavoro che voglia assumerli, è perché non sono disposti a lavorare ad un tasso salariale che renda la loro occupazione utile per il datore di lavoro. La disoccupazione risulta quando il tasso salariale è troppo alto per “incontrare il mercato.” I keynesiani hanno inventato bizzarre ragioni – rivendicazioni salariali rigide verso il basso, una “trappola della liquidità” – per spiegare perché nel mercato del lavoro durante la Grande Depressione domanda e offerta non si incontravano ed hanno quindi a lungo continuato ad accettare tale ragionamento dopo che la depressione è sbiadita nella storia. Ma quando i mercati del lavoro non hanno funzionato, durante gli anni 30 o altre volte, le cause si possono trovare solitamente nelle politiche del governo – quali la National Industrial Recovery Act del 1933, la National Labor Relations Act del 1935 e la Fair Labor Standards Act del 1938, fra molte altre – che ostruiscono il normale funzionamento del mercato del lavoro.

Così, le politiche governative hanno creato un'alta e continua disoccupazione e i keynesiani ne hanno dato la colpa al mercato. Hanno poi accreditato i deficit del tempo di guerra del governo per aver sollevato l'economia dalla Grande Depressione ed hanno elogiato le continue spese militari per aver impedito un altro crollo economico. In questo modo, l'economia sana è stata sostituita da idee economiche congeniali ai politici spendaccioni, agli appaltatori militari, ai sindacati e agli economisti di sinistra – ed alla fine anche agli economisti presumibilmente conservatori, come Martin Feldstein.

Quanto meglio sarebbe stato se la saggezza di Ludwig von Mises fosse stata presa in considerazione. In Nation, State, and Economy (1919), Mises scrisse: “La prosperità della guerra è come la prosperità portata da un terremoto o dalla peste.” L'analogia era adeguata nella Prima Guerra Mondiale, nella Seconda Guerra Mondiale e durante la Guerra Fredda. Rimane adeguata anche oggi. Contrariamente ai proclami degli economisti keynesiani, la spesa di deficit del governo non creerà qualcosa dal niente; certamente avrà costi di opportunità. Quando la spesa pubblica va a mantenere un abnorme apparato militar-industrial-imperiale, i costi di opportunità sono ancora maggiori, perché comprendono vite e libertà, così come i consueti sacrifici economici.

Friday, January 2, 2009

Thursday, January 1, 2009

Premio Caligola - Dicembre '08: Szoke!

I festeggiamenti per l'inizio del nuovo anno non hanno impedito agli e/lettori del Gongoro di compiere il loro dovere esprimendo la loro preferenza per il vincitore dell'ultimo Premio Caligola - Il potere gli ha dato alla testa del 2008, e bisogna dire che hanno avuto pochi dubbi: con un consistente margine di vantaggio, al 67% dei voti, si piazza sullo scalino più alto del podio la dott.ssa australiana Helen Szoke, che in nome delle pari opportunità propone di discriminare i maschi bianchi per rimediare ai presunti vantaggi che la natura e/o la società ha ingiustamente elargito loro. Il corpo elettorale ha voluto premiarla, giustamente, per questo nuovo traguardo del femminismo militante.

Poca gloria per gli altri candidati, con il presidente USA uscente George W. Bush – che ormai riesce a vincere solo a rubamazzette – nettamente staccato al 17%. tanto gli ha fruttato la sua comica dichiarazione sulla “rinuncia al mercato per salvare il mercato” che presagisce forse un luminoso futuro come comico, ma che dopo tutto quello che ha combinato desta ben poca sensazione, bisogna ammetterlo. Poco meno ha ottenuto l'altro australiano, il ministro della salute Nicola Roxon, che ha individuato nella penna rossa delle maestrine il nemico numero uno della psiche degli studenti, altrimenti libera di svilupparsi proficuamente nei centri d'indottrinamento statale. Avrebbe forse meritato qualcosa in più, ma francamente la performance della sua compatriota era di un altro livello. Ma qualcosa di grande sta nascendo in Australia e attendiamo nuove conferme per il prossimo futuro.

Comunico inoltre che lo speciale Premio annuale è stato assegnato alla Gran Bretagna, che ha assommato il maggior numero di partecipazioni e di voti durante il 2008, mentre alla dottoressa Szoke sono stati inviati targa ricordo e kit
Do it yourself: Suicide! per l'occasione accompagnati da un grosso vibratore nella speranza che serva a farle superare l'invidia del pene che l'affligge (sì, sono anch'io un bieco maschio bianco dominante!).

Anno nuovo, vita nuova...

... e Mondo Nuovo.