Thursday, August 7, 2008

Una sola libertà

Luigi Camillo Berneri, una delle figure più importanti nella storia anarchica italiana: collaborò con Errico Malatesta a Umanità Nuova, ma anche con riviste antiautoritarie non anarchiche, come Rivoluzione Liberale di Piero Gobetti. In polemica con Trotzki che la considerava un “assurdo storico,” individuava nella burocrazia sovietica la naturale conseguenza dell'aver mantenuto l'apparato satale, e la identificava con lo strumento coercitivo dello stato accentratore.

Soprattutto, parlando di economia Berneri dichiarava: “sul terreno economico gli anarchici sono possibilisti, sul terreno politico sono intransigenti al cento per cento!” Ovvero, se la critica allo stato e la negazione del principio di autorità erano mete irrinunciabili, la forma economica anarchica doveva rimanere aperta, e quindi l'idea di Berneri era che si dovesse sperimentare la libera concorrenza tra lavoro e commercio individuali e lavoro e commercio collettivisti. La collettivizzazione era quindi da condannare se frutto dell'imposizione e non della libera scelta: l'anarchia non doveva portare ad una società dell'armonia assoluta, ma alla società della tolleranza.

Berneri verrà ucciso dai comunisti durante la guerra civile spagnola, falciato dal fuoco dei mitra alle spalle, poco dopo aver commemorato a Radio Barcellona la morte di Gramsci che aveva scritto su Ordine Nuovo: “Non ammetteremo mai di essere avversari degli anarchici, avversarie sono due idee contradditorie, non due idee diverse.”

Di seguito pubblico una sua lettera a Piero Gobetti, che dimostra quanto labili siano in realtà le barriere tra i pochi che, nel nome della libertà, si oppongono al potere oppressivo dello stato.
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Il liberismo nell'Internazionale


di Camillo Berneri


Caro Gobetti,

m'è accaduto più volte, trovandomi a discutere delle mie idee con persone colte, di dover constatare, per le domande rivoltemi e per le obbiezioni mossemi, che il movimento anarchico, che pure fa parte, e non piccola, della storia del socialismo, è o semi-ignorato o malamente conosciuto. Non mi sono, quindi, stupito, leggendo l'articolo del prof. Gaetano Mosca sul materialismo storico, nel vedere annoverato tra i socialisti utopisti il Proudhon, che rimarrebbe mortificato nel vedersi posto a braccetto con quel Blanc, che egli saettò con la più aspra ironia per aver posto “l'Eguaglianza a sinistra, la Libertà a destra e la Fratellanza in mezzo, come il Cristo fra il buono e il cattivo ladrone.”

Per escludere il Proudhon dagli scodellatori della zuppa comunista, basterebbe la critica alla formula, che divenne poi il credo Krapotkintano “da ciascuno secondo le sue forze ed a ciascuno secondo i suoi bisogni,” formula che egli chiama una casuistica avvocatesca, poiché non vede chi potrà fare la valutazione delle capacità e chi sarà giudice dei bisogni. (Cfr. L'Idée générale de la Révolution au dix-neuviéme siécle. - Garnier, Paris, 1851, p. 108).

L'errore in cui è caduto il Mosca è interessante, poiché dimostra come sia sfuggito a molti studiosi della storia del socialismo questa verità: che il collettivismo dell'Internazionale ebbe un valore essenzialmente critico. Fatto che è stato negato anche da alcuni anarchici, come da L. Fabbri, che sostiene essere l'anarchismo "tradizionalmente e storicamente socialista" in quanto ha per base della sua dottrina economica "la sostituzione della proprietà socializzata alla proprietà individuale" (cfr. Lettere ad un socialista; Pensiero - 1910, n. 14, p. 213).

Basta una rapida scorsa alla storia della Iª Internazionale per smentire questa affermazione. L'Internazionale nacque in Francia, nell'atmosfera ideologica del mutualismo proudhoniano, e, come dice Marx in una sua lettera relativa al Congresso di Ginevra (1866), non aveva, nel suo primo tempo, espressa alcuna idea collettivista né comunista. Il rapporto Longuet nel Congresso di Losanna (1867) dimostra che Proudhon dominava ancora. E tale dominio si riscontra nel Congresso di Bruxelles (1868), in cui, tuttavia, si affacciò l'idea collettivista, ma in modo generico e limitata alla proprietà fondiaria e alle vie di comunicazione. La collettivizzazione affermata nel IV Congresso, quello di Basilea (1869), fu limitata al suolo. L'influenza praudhoniana, dunque, è parallela all'anti-comunismo e all'anti-collettivismo.

Al collettivismo aderirono Bakounine e seguaci; ma vedendo in esso più che un progetto di forma economica, una formula di negazione della proprietà capitalista. Bakounine era entusiasta di Proudhon. Egli (Cfr. Oeuvres, I, 13-26-29) esalta il liberismo nord-americano [non erano ancora sorti i trusts], e dice “La libertà dell'industria e del commercio è certamente una gran cosa, ed è una delle basi essenziali della futura alleanza internazionale fra tutti i popoli del mondo.” E ancora: “I paesi d'Europa ove il commercio e l'industria godono comparativamente della più grande libertà, hanno raggiunto il più alto grado di sviluppo.” L'entusiasmo per il liberismo non gli impedisce di riconoscere che fino a quando esisteranno i governi accentrati e il lavoro sarà servo del capitale “la libertà economica non sarà direttamente vantaggiosa che alla borghesia.” In quel direttamente vi è una seconda riserva. Infatti egli vedeva nella libertà economica una molla di azione per la classe borghese, che egli afferma essere ingiusto considerare estranea al lavoro (Cfr. Oeuvres, I, pp. 30 e segg.), e non poteva non riconoscere la funzione storica del capitalismo attivo. Interessanti sono anche i motivi delle simpatie del B. per il liberalismo nord-americano, poiché ci spiegano che cosa egli intendesse per proprietà.

Il B. fa presente che il sistema liberista nord-americano “attira ogni anno centinaia di migliaia di coloni energici, industriosi ed intelligenti,” e non si impressiona punto all'idea che costoro divengano, o tentino divenire, proprietari.

Anzi, si compiace che vi siano coloni che emigrano nel Far West e vi dissodino la terra, dopo essersela appropriata, e nota che “la presenza di terre libere e la possibilità per l'operaio di diventare proprietario, mantiene i salari ad una notevole altezza ed assicura l'indipendenza del lavoratore” (Cfr. Oeuvres, I, 29).

La concezione del valore energetico della proprietà, frutto del proprio lavoro, è la nota fondamentale della ideologia economica del B. e dei suoi più diretti seguaci. Tra questi Adhémar Schwitzguébel, che nei suoi scritti (Cfr. Quelques écrits, a cura di J. Guillaume, Stock, Paris, pagina 40 e seguenti) sostiene che l'espropriazione rivoluzionaria deve tendere a concedere ad ogni produttore il capitale necessario a far valere il suo lavoro. La dimostrazione storica dell'anti-comunismo bakunista sta nel fatto che le tendenze comuniste nell'Internazionale italiana trionfarono nel 1867, quando l'attività del Bakounine era quasi interamente sospesa (Cfr. Introd. del Guillaume alle Oeuvres de B., p. XX) e nel fatto che in Spagna, ove l'Alleanza aveva piantato profonde radici, perdura una corrente anarchica collettivista in senso bakunista.

Se il collettivismo dell'Internazionale fosse stato compreso dal Mazzini non ci sarebbe stato il fenomeno della sua critica anti-comunista. Così criticava il Mazzini: “L'Internazionale è la negazione di ogni proprietà individuale, cioè di ogni stimolo alla produzione... Chi lavora e produce, ha diritto ai frutti del suo lavoro: in ciò risiede il diritto di proprietà... Bisogna tendere alla creazione d'un ordine di cose in cui la proprietà non possa più diventare un monopolio, e non provenga nel futuro che dal lavoro.” Saverio Friscia, nella “Risposta di un internazionalista a Mazzini,” (pubblicata sopra il giornale bakunista L'Eguaglianza di Girgenti, e ripubblicata dal Guillaume, che la trova superba e l'approva toto corde [Cfr. Oeavres de B., vol. VI, pp, 137-140]) rispondeva: “Il socialismo non ha ancora detto la sua ultima parola; ma esso non nega ogni proprietà individuale.” Come lo potrebbe, se combatte la proprietà individuale (leggi: capitalista) del suolo, per la necessità che ogni individuo abbia un diritto assoluto di proprietà su ciò che ha prodotto? Come lo potrebbe se l'assioma “chi lavora ha diritto ai frutti del suo lavoro, costituisce una delle basi fondamentali delle nuove teorie sociali?”. E dopo aver analizzato le critiche del Mazzini, esclama: “Ma non è questo del puro socialismo? Che cosa volevano Leroux e Proudhon, Marx e Bakunin, se non che la proprietà sia il frutto del lavoro? E il principio che ogni uomo deve essere retribuito in proporzione alle sue opere, non risponde forse a quell'ineguaglianza di attitudini e di forze ove il socialismo vede la base dell'eguaglianza e della solidarietà umana?.”

In questa risposta del Friscia è netta l'opposizione della proprietà per tutti alla proprietà monopolistica di alcuni; il principio dell'eguaglianza relativa (economica); ed in fine il principio dello stimolo al lavoro rappresentato dalla ricompensa proporzionata, automaticamente, alle opere.

Non pensi, caro Gobetti, che potrebbe essere utile, su R. L., una serie di studi sul liberalismo economico nel socialismo? Credo colmerebbe una grande lacuna e leverebbe di mezzo molti e vecchi equivoci. Credo ne risulterebbe, fra le tante cose interessanti, questa verità storica: essere stati gli anarchici, in seno all'Internazionale, i liberali del socialismo. Storicamente, cioè nella loro funzione di critica e di opposizione al comunismo autoritario e centralizzatore, lo sono tutt'ora.

Tuo C. Berneri.

8 comments:

Domenico Letizia said...

davvero interessante per il mondo libertario.... d'altronte anhce comre miolti anarchici affaermano da tempo Bakunin viene rivalutato completamente, è un' articolo davvero interessante.

Anonymous said...

Questo blog è davvero fantastico, vengo ogni giorno. Posti sempre cose interessantissime, e non so come tu riesca ad avere così tanti spunti da offrire! Complimenti ancora.

Paxtibi said...

Grazie a entrambi!

Domenico, in effetti penso che le differenze tra anarchici – diciamo collettivisti ed individualisti – siano state abbondantemente strumentalizzate ed esagerate, e se è stato possibile è soprattutto a causa dell'efficace repressione statale di qualsiasi testo o documento anarchico e/o libertario. (Ora dò un'occhiata ai tuoi blog.)

Anonymous said...

Mi piacerebbe vederti esser d'accordo con un "collettivista", magari con un socialista... ahahah.
Dici che ne sei capace?? ;-)
mc

Paxtibi said...

Se evita di imporre il suo socialismo o il suo collettivismo a chi non lo desidera, sono il primo a sostenere il suo diritto a metterlo in pratica.

Non vedo dove sia il problema.

Il problema nasce quando il collettivista decide che ciò che da parte sua considera giusto debba essere applicato a tutti, se necessario con la forza.

In tal caso sono il suo primo nemico.

Domenico Letizia said...

in effetti condivido pure la critica che essere d'accordo con gli anarchici socialisti è davvero difficile..... Condivido la critica di coloro che tra l'anarchismo anche ''classico'' dicono che l'anarchia spesso diventa marxismo senza marx..... c'è molto da chiarire e per fortuna si è su una buona strada..

Domenico Letizia said...

d'altronte fu bakunin a dire il socialismo o è volontario o non è..... ma per l'attuale viva il libero mercato!

Anonymous said...

Dici :"Il problema nasce quando il collettivista decide che ciò che da parte sua considera giusto debba essere applicato a tutti, se necessario con la forza.
"

Ideologicamente sono tutto con te!
Il problema e' di tipo pratico.

Comunque, c'e' gia' LC per discutere di questo...

Non ti ho mai fatto i complimenti per il tuo blog (o si?... in tal caso ribadisco ;) ).
E poi ti trovo molto piu' condivisibile a "casa tua"... e' una mia impressione?

..un abbraccio.
mc