Consolatevi: non siete stati i primi, né sarete gli ultimi.
___________________________
Di Sean Corrigan
La stampa locale svizzera ha pubblicato il sunto di un rapporto compilato da un gruppo di cosiddetti “esperti” dell'Accademia Svizzera di Scienza Ingegneristica (SATW) il cui sensazionale proclama è che la benzina “dovrebbe” d'ora in poi costare, per decreto, non meno di quattro franchi per litro – più o meno il doppio del prezzo di mercato corrente che sarebbe, per un americano, il desolante equivalente di circa 14 dollari al gallone.
Il motivo dato da questi claustrali menagramo per raccomandare una riduzione così brutale del benessere materiale delle persone? È incredibilmente attorcigliato: poiché – secondo il loro nobile parere – la domanda svizzera di benzina supererà inevitabilmente le scorte disponibili ad un certo punto dei prossimi due decenni, è meglio anticipare la risultante sofferenza economica “scoraggiando” il consumo, piuttosto che permettere di rimandare a data futura una così dolorosa (seppur oltremodo ipotetica) delusione.
Presumibilmente, su questa base, per diminuire la probabilità che precipiti da una scogliera durante la prossima migrazione di massa, dovremmo costringere il lemming prudente a lanciarsi oggi dalla finestra di un grattacielo.
Né è questo l'unico caso in cui una tale retorica interventista emana da una burocrazia svizzera chiaramente discordante dal solido equilibrio Bürgerlich che caratterizza una nazione i cui talenti ingegneristici ed abilità imprenditoriali a lungo hanno permesso di fiorire in una terra minuscola, chiusa da picchi sterili e gelati e dotata di troppo poche risorse naturali per mantenerla in ogni tipo di comodità.
No, lungi dal considerare il successo dei loro concittadini meritorio di elogio, gli autori governativi a Berna lo condannano acidamente come atto di spoliazione e furto. Certamente, non si può pensare niente di diverso sul seguente passo, emanante un'aura di sprezzante superiorità, preso dritto dalle pagine dell'annuario statistico ufficiale per il 2008:
L'impronta ecologica della Svizzera è tre volte più grande della sua biocapacità… L'impronta ecologica esprime il consumo in termini di quanta superficie (in ettari globali) è richiesta per sostenere questo consumo. Mostra se ed in che misura il nostro uso delle risorse naturali supera la capacità rigeneratrice della biosfera…Parecchie pagine di discussione potrebbero essere spese dissipando la penosa ignoranza economica qui espressa su argomenti di base come l'offerta, la domanda, i costi di opportunità e i segnali dei prezzi, ma limitiamoci ad una semplice osservazione che sembra sfuggire ai nostri ingegneri e burocrati politicamente corretti: benché tutti noi ordinariamente nutriamo desideri che superano di molto i nostri mezzi per soddisfarli, la maggior parte di noi ha malvolentieri finito per accettare che sia il nostro destino terreno il dover rinunciare ad alcuni piaceri per assaporarne altri – un'epifania che abbiamo raggiunto da qualche parte fra la fine del nostro addestramento alla toilette e la realizzazione che Babbo Natale era soltanto il frutto della fertile immaginazione di un venditore di giocattoli.
Quando il consumo supera la nostra biocapacità, le risorse naturali nel paese si esauriscono o devono essere importate da altri paesi. In tali casi, finiamo per vivere a scapito di altre regioni del pianeta o delle generazioni future.
Anche se ci fosse qualche validità nel terrore del “Picco del Petrolio” (terrore largamente ipotetico, nella valutazione di questo autore), gli svizzeri – proprio come tutti gli altri popoli – si adatteranno molto più prontamente permettendo a ciò che chiamiamo processo I² E² S² E (Innovazione, Economizzazione e Sostituzione, che conduce all'Investimento guidato dall'Imprenditoria e alimentato dal Risparmio) di filtrare attraverso il libero mercato, piuttosto che per mezzo di qualcosa sognato da guru della pianificazione e da filibustieri politici, rispettivamente, nelle loro torri d'avorio e nelle stanze piene di fumo.
È estremamente importante, inoltre, riconoscere un tal caso di “presunzione fatale” come perfettamente caratteristico di coloro che si compiacciono della moderna danse macabre dell'esaurimento e della penuria collettiva che così tanto pervade sia i verdi anti-umanisti che i cacciatori di sussidi, che ipocritamente si mettono in fila ruffianeggiando questi Savonarola dei giorni nostri.
Per esempio, al di là dell'Atlantico, una congiura davvero sinistra sembra essersi formata fra un predone corporativo trasformatosi in sognatore di mulini a vento, il repubblicano T. Boone Pickens; il fantasista seriale e allarmista climatico, il democratico Al Gore; ed il magnate dei media ed elitista globale Ted Turner: questa empia trinità ha messo da parte le presunte differenze ideologiche per l'elevato scopo di meglio tosare la moltitudine di pecore credulone spaventate dai loro racconti intessuti di tempeste assassine, di banchine di ghiaccio che fondono e di sceicchi del petrolio maniaci e terroristi.
Si è tentati di chiedere se anche il vecchio Noè fosse riuscito ad intimorire una cittadinanza male informata per sovvenzionare il suo piccolo giardino zoologico galleggiante, o se l'arca – che avrebbe trasportato i frutti della terra a lui ed alla sua discendenza soltanto – già esponesse sul suo pennone l'ingannevole immagine del tenero panda di quei genocidi aspiranti proprietari di parco a tema del WWF.
Ma benché tutto ciò appaia così spaventosamente contemporaneo ed in accordo con il Gaio zeitgeist suburbano, la disperante tirannia del surrogato inefficiente, la spinta verso l'autarchia e la ricerca del Lebensraum che stanno alla base hanno un oscuro precedente.
Per poterlo scorgere, dobbiamo prima di tutto riconoscere che la lingua di serpente della propaganda impiega oggi una semiotica differente.
Quindi, “surrogato” indossa le vesti dell'“energia alternativa” e della “tecnologia sostenibile” mentre “autarchia” si traduce in concetti come “cibo a basso chilometraggio” e “ridotta impronta del carbonio.” A sua volta, gli stessi vecchi timori malthusiani che non ci siano sufficienti risorse naturali per tutti sono stati cambiati dal giustificare una spinta all'esterno per conquistare con le armi prezioso spazio vitale, nella promozione di misure di controllo della popolazione puntate sulla riduzione dell'impatto “canceroso” dell'uomo, la “specie parassita” sul nostro “malato” pianeta madre.
Il nostro uso di vecchie frasi può aver già allertato il lettore sulla loro provenienza, ma, a mostrare che è implicato qualcosa di più di una mera generalizzazione, citiamo a conferma alcuni dettagli dallo studio magistrale di Adam Tooze sull'economia nazista, The Wages of Destruction.
Anche se Carl Bosch fu indubbiamente un genio della chimica industriale, come Tooze riferisce, fu proprio la sua ineffabile fissazione moderna che il mondo fosse sull'orlo del “Picco del Petrolio” non meno di ottant'anni fa ad aver condotto direttamente al patto diabolico firmato fra il suo conglomerato in espansione, la IG Farben, ed il nascente regime di Hitler:
[N]el 1928, nelle sue installazioni di Leuna… IG Farben intraprese la costruzione del primo stabilimento per idrogenazione del carbone, il processo alchemico con cui il carbone si trasformava in petrolio… L'investimento di 330 milioni di marchi… avrebbe pagato quando i pozzi di petrolio si sarebbero prosciugati e i prezzi del combustibile si sarebbero impennati.Purtroppo per Bosch, quello stesso prospetto di una scarsità imminente ispirò un'ondata di imprenditorialismo che condusse a nuovi, importanti sviluppi nei giacimenti di petrolio in Venezuela, California, Oklahoma e nel bacino permiano del Texas, culminati nella scoperta del famoso “gigante nero,” nei tardi anni 30 – e quindi alla saturazione del mercato mondiale.
Per Carl Bosch questa fu chiaramente una grave battuta d'arresto, ma la IG avrebbe potuto certamente ritirarsi dall'idrogenazione. La perdita di alcune centinaia di milioni non avrebbe distrutto l'azienda. Una tal ritirata, tuttavia, sarebbe stata del tutto contraria rispetto alla visione della ditta di Carl Bosch, che ora dipendeva dalla compiacenza del governo tedesco nell'imporre elevate imposte sul petrolio importato.Non si può non essere colpiti dalle somiglianze non solo con Pickens e la sua campagna cinicamente populista per l'energia del vento, o con Gore ed il suo multimiliardario fondo “eco,” ma anche con gli odierni avidi cacciatori di sovvenzioni fra i promotori dell'energia solare ed i membri dell'ampia lobby dei biocombustibili che hanno trovato un nuovo modo di penalizzare i semplici e laboriosi consumatori di cereali e semi oleiferi per imbottire i lussuosi nidi dei baroni dell'agricoltura del Midwest.
Né i paralleli finiscono qui, perché, negli anni 30, una volta intrapresa questa strada, entrambe le parti rimasero disperatamente legate alla necessità di mantenere artificialmente il prezzo del combustibile ad un livello che era, in precisa coincidenza con le ultime idee del SATW, circa il doppio del prezzo mondiale.
Questo imperativo – che assicurò a Bosch profitti corporativi mentre aumentava i redditi del Reich – forgiò una aggrovigliata catena di conseguenze non intenzionali, come tutte le “iniziative” de haut en bas tendono a fare. Non ultimo il successivo effetto disastroso sull'ambizione di Hitler di emulare le realizzazioni del “fordismo” realizzando un'automobile acquistabile da ogni famiglia tedesca.
Il “Maggiolino” Volkswagen di Ferdinand Porsche può ben essere stato un duraturo trionfo del design ingegneristico, ma poiché la benzina era così inutilmente costosa, fu necessario trovare un sistema per ridurre il costo capitale dell'automobile, di modo che il costo di esercizio totale potesse rientrare nello scarno bilancio della famiglia media. La risonanza con le attuali proposte di offrire una gamma di riduzioni fiscali e di sovvenzioni statali per la produzione di automobili ibride colpisce troppo per essere ignorata.
Trovando il tetto feticcio di 1.000 Reichsmarks per automobile impossible da realizzare in ambito puramente commerciale (la creatura di Porsche era, infatti, non meno costosa dell'attuale modello meno caro della Opel), la produzione del veicolo venne presto affidata ad un impianto da costruire appositamente usando i fondi originalmente donati all'allora proscritto movimento dei sindacati, integrati da un'imposizione obbligatoria continuativa su tutti gli operai tedeschi.
Afflitta dai sovraccarichi di costo inevitabili in una società chiusa, eccessivamente affidata alle merci autoprodotte, e già tesa alla costruzione del suo monumentale programma di riarmo, l'entità responsabile, il Deutsche Arbeitsfront, più avanti tentò di finanziarsi offrendo ai propri membri un piano di risparmio a lungo termine, sostenuto da un'importante e obbligatoria sottoscrizione di una polizza d'assicurazione biennale sul veicolo, pagabile dai suoi potenziali proprietari.
Anche se circa 340.000 anime fiduciose alla fine firmarono il programma, esso scivolò sempre di più negli arretrati ed in perdite nascoste in continuo aumento.
Alla fine, malgrado tutte le pose da podio e le sbandierate isteriche, non una singola VW fu mai consegnata ad un membro del pubblico tedesco. La fabbrica semi-finita venne convertita all'uso militare e i 275 milioni di Reichsmarks in risparmi così duramente raccolti caddero vittime dell'orrenda inflazione del dopoguerra.
Tutto questo dovrebbe avvertirci di stare in guardia quando sentiamo le zuccherose parole degli odierni politici e le blandizie dei loro alleati corporativi che distorcono il lodevole desiderio di evitare la spensierata distruzione del nostro ambiente in uno strumento di espansione imperiale, di controllo dello Stato e di arricchimento improprio.
Né dovremmo permetterci di essere intimoriti dai carbofobi del IPCC quando usano dubbia scienza e peggiore economia per spingerci a credere che l'intero pianeta sia in imminente pericolo di un crollo cataclismatico a meno che la gente comune (quantunque, naturalmente, non i coccolati membri dello stesso Sanhedrin Verde) rinunci a qualsiasi speranza di un tenore di vita migliore.
Più enfaticamente, dovremmo rifiutare ogni suggerimento per cui, con l'arroganza alla Canuto di credere di poter impedire in qualche modo questa falsa catastrofe, i pianificatori centrali offriranno una via non solo alla salvezza terrena, ma anche ad un più veloce sviluppo economico ed a maggior prosperità materiale mentre lottiamo duramente per sormontare gli handicap che cercano di imporci. Se ad ogni maschio adulto si amputa la gamba destra per ordine dello stato, il fatto che si venderanno più membra artificiali non è esattamente un segno di progresso.
Per fortificare la nostra risoluzione di resistere a tali insidiosi programmi, potrebbe anche essere utile pensare allo spiacevole destino di quelli che ci hanno preceduto, che, persa la loro fede nel libero scambio e nella divisione internazionale del lavoro in una tempesta di follia monetaria, si convertirono alla visione messianica della penuria imminente e dell'inevitabile conflitto – con il risultato di provare la rabbia del cielo sulle loro teste.
___________________________
Sean Corrigan è Chief Investment Strategist alla Diapason Commodities Management di Losanna, in Svizzera. Mandagli una mail. Leggi i suoi articoli. Commenta sul blog.
Link all'articolo originale.