Thursday, December 27, 2007

Tropico e il cancro

Non so se avete mai giocato a Tropico, un gioco della Poptop (la stessa di Shattered Union, un bel gioco di strategia su di una possibile futura guerra civile americana) non recentissimo ma molto divertente, in cui si assume il ruolo di presidente di un'isola tropicale. C'è tutto: politica, con la possibilità di brogli, corruzione, persecuzione e anche di non indire elezioni, diplomazia, tasse. Insomma, si può condurre alla prosperità il proprio piccolo paradiso tropicale o trasformarsi in uno spietato dittatore, divertendosi anche a indagare le reazioni di ciascuno degli abitanti, che in casi estremi possono anche rivoltarsi e cercare di rovesciare il regime.

Personalmente, dopo le prime partite in cui ho cercato di mantenere alta la soddisfazione e di far progredire armoniosamente la mia piccola nazione, ho scoperto il piacere maligno di vessare il popolo mantenendolo nell'ignoranza e nella miseria, cancellando le elezioni e formando un blocco di potere con banchieri ed esercito, ai quali soltanto ho garantito ottime entrate. L'isola ovviamente si è trasformata velocemente in una specie di inferno, tecnologicamente e culturalmente arretrato. Gli oppositori politici assassinati o imprigionati, le frontiere chiuse, e forze di polizia pronte a soffocare nel sangue ogni minimo moto rivoluzionario. Inutile dire che le mie entrate personali hanno però raggiunto livelli mai visti prima.

In breve, ho provato l'ebbrezza di questo cancro dell'umanità chiamato potere, che tanto più può essere goduto quanto più consente di liberare i propri istinti peggiori. Se per mantenere alta la soddisfazione del popolo dovevo rinunciare ad una parte dei miei privilegi e della mia ricchezza, instaurando un regime di terrore potevo disinteressarmene, anzi: tormentare i poveri sudditi mi procurava ore e ore di grande sollazzo.

Mi direte: ma sei tu ad essere malato, nessuno del resto impone di giocare in quel modo. È vero, e certamente questi istinti fanno parte della mia psiche, il potere che il gioco mi ha permesso di sfruttare li ha solamente portati alla luce. Ma d'altro canto non ho alcun motivo di immaginare che possa accadere qualcosa di diverso ad altre persone. Questi istinti vivono all'interno di ciascuno di noi, nascono e si sviluppano con noi, e il processo di crescita e maturazione non è altro che apprendere a controllarli, a renderli inoffensivi. E tale compito è reso più semplice dalla presenza degli altri, dalla necessità di giungere a compromessi per vivere proficuamente in società.

Ma allorché il potere fornisce la possibilità di non preoccuparcene, questi istinti, con la loro promessa di inconfessabili piaceri tornano prepotentemente a regnare su di noi, come nei primissimi anni della nostra vita in cui, esseri irragionevoli, eravamo convinti che il mondo esistesse soltanto in funzione della soddisfazione di ogni nostra esigenza. Questo è il cancro del potere: un male che rende gli uomini irrazionali e malvagi bambini e, purtroppo, non solo per gioco.

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