Monday, December 24, 2007

Piccolo Glossario della Neolingua #21

“A society that does not recognize that each individual has values of his own which he is entitled to follow can have no respect for the dignity of the individual and cannot really know freedom.”
(Friedrich Hayek)
Analizziamo stavolta un lemma che ricorre spesso nei discorsi degli uomini di stato, apparentemente nel rispetto del suo significato, in realtà distorcendolo quel tanto che basta per giustificare la loro posizione ed imporre le loro decisioni.
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Collettività
Significato originario:
1 l’essere collettivo, comune a più individui: la c. di un bene
2 pluralità di persone considerate come insieme unitario, come comunità politica o sociale: il fatto ha impressionato la c., agire nell’interesse della c., la c. nazionale

Il termine collettività deriva dal verbo latino colligere, ovvero raccogliere, ed esprime il concetto di più persone raccolte insieme da un fine comune. È più o meno un sinonimo di società, e subisce la stessa distorsione di significato, sottile ma decisiva, che Mises con la solita lucidità aveva ben esplicitato:
Il peggiore nemico del pensiero libero è la tendenza a ipostatizzare, cioè, attribuire un'entità sostanziale alle costruzioni o ai concetti mentali.

Nelle scienze dell'azione umana il caso più cospicuo di questo errore è il modo in cui il termine società è impiegato dalle varie scuole della pseudo-scienza. Non è dannoso impiegare il termine per indicare la cooperazione di individui uniti in attività per raggiungere fini definiti. È un preciso aspetto delle azioni di diversi individui che costituisce ciò che chiamiamo società o “grande società.” Ma la società in sé non è una sostanza, né un potere, né un essere agente. Solo gli individui agiscono. Alcune delle azioni degli individui sono dirette dall'intenzione di cooperare con altri. La cooperazione degli individui determina una situazione che il concetto della società descrive. La società non esiste al di là dei pensieri e delle azioni delle persone. Non ha “interessi” e non punta a nulla. Lo stesso è valido per tutti le altre collettività.

L'ipostatizzazione non è meramente un errore epistemologico e non fuorvia soltanto la ricerca di conoscenza. Nelle cosiddette scienze sociali spesso serve aspirazioni politiche ben precise sostenendo una maggiore dignità della collettività rispetto all'individuo o persino attribuendo l'esistenza reale soltanto al collettivo e negandola all'individuo, chiamandola pura astrazione.

In altre parole, alla collettività vengono attribuite le caratteristiche del ben noto Leviatano di hobbesiana memoria, sottintendendo un corso di azioni unitario il cui fine sarà ovviamente definito dalla guida politica: tant'è vero che, a fianco di collettività, è usuale il ricorso ad altri termini quali coesione, benessere generale, crescita, o il riferimento di una meta che la società dovrebbe raggiungere, proprio come se di un singolo organismo si stesse trattando.

Non dovrebbe essere difficile notare come l'unico scopo in grado di ottenere effettivamente una certa coesione, l'unica meta che consente di essere indicata come comune a tutti i componenti la collettività, sia la guerra. Come compresero perfettamente i neocon, quando scrivevano nel loro PNAC della necessità di “un evento catastrofico e catalizzatore, come una nuova Pearl Harbor” per stringere le fila della società americana, unirla, sotto la minaccia di un nemico spietato e deciso a distruggerla. E non è una sorpresa, soprattutto se consideriamo che i neocon sono seguaci della dottrina di Leo Strauss, il quale
egge a fondo La Repubblica e Le Leggi (oltre a Senofonte, autore che gli ispira lo studio sulla tirannide) e dal primo dialogo citato riprende il terribile passo della "nobile menzogna", uno dei più controversi luoghi della filosofia politica del grande filosofo ateniese, riattualizzandolo: infatti, poiché nella concezione di Strauss solo pochi eletti, gli aristòi, i migliori per natura, hanno la capacità di vedere il volto segreto dell'essere e la sua negatività originaria, [...] essi, ovvero i "guardiani", hanno il dovere di affettare - o comunque di mettere in scena con grande convinzione - se non la fede, una forte simpatia per essa e per i suoi valori, perché solo la religione è in grado di stabilizzare il quadro politico e di operare come efficace instrumentum regni, frenando il relativismo immanente al democraticismo di matrice giacobina e al liberalismo moderni e fornendo la materia prima per una theologia civilis ancorata a valori che pretendono di spacciarsi come transtemporali.
Una visione fortemente elitaria del potere, quindi, in nome del quale deve essere sacrificata sia la libertà dell'individuo che la verità, e la cui realizzazione può e, in ultima analisi, deve passare per la guerra. Questo intrinseco legame tra collettivismo e guerra non era sfuggito a rothbard, che nel suo saggio War collectivism notava, tra le altre cose, come le stesse forze produttive del paese furono trascinate, senza troppi sforzi, nell'impresa bellica dello stato:
Fu apparentemente necessaria la più gigantesca guerra di tutta la storia per dare all'idea della cooperazione un simile posto nel programma economico generale come quello che i fornitori d'acciaio del paese cercarono di dare alla propria industria quasi dieci anni fa con il breve accordo amichevole fra il giudice Garyand ed il presidente Roosevelt.

È vero che i rapporti del tempo di guerra fra il governo e le acciaierie a volte furono tesi, ma lo sforzo e la dura minaccia del controllo governativo delle risorse furono diretti generalmente alle piccole imprese, come Crucible Steel, che aveva rifiutato testardamente di accettare i contratti di governo.

Nell'industria siderurgica, infatti, erano le grandi acciaierie – U.S. Steel, Bethlehem, Republic, etc. – che, all'inizio della guerra, avevano in primo luogo sollecitato il controllo governativo dei prezzi e dovettero spingere un governo talvolta confuso ad adottare quello che alla fine diventò il suo programma. Il motivo principale era che i grandi produttori d'acciaio, felici dell'enorme aumento dei prezzi dell'acciaio nel mercato come conseguenza della richiesta bellica, erano ansiosi di stabilizzare il mercato su un prezzo elevato ed assicurarsi così a lungo termine una posizione di profitto per la durata della guerra.
Ed è così che, nel solo interesse del potere – ovvero di un ben preciso gruppo di individui – le forze produttive di un popolo vengono trasformate in forza di distruzione, rivelando con la morte di milioni di individui la grande menzogna, l'attribuzione di qualità che sono soltanto dell'individuo alla collettività tutta. Ma a quel punto, tristemente, è ormai troppo tardi.

È una delle poche cose divertenti nel nostro piuttosto monotono mondo che coloro che oggi si agitano più decisamente contro il collettivismo e la minaccia rossa siano proprio quelli che hanno tartassato, corrotto, adulato e tormentato perché lo stato intraprendesse tutti i passi successivi che conducono direttamente al collettivismo.
(Albert Jay Nock: Impostor Terms, Atlantic Monthly, February 1936.)

2 comments:

Anonymous said...

Il mio compagno Koba era innamorato dall'acciaio della Steel Corporation, tanto che veniva chiamato
"Steel-in" l'uomo-acciaio.

buon natale da Kerenski

Paxtibi said...

Buon Natale anche a te Kerenski!

Me la spieghi questa di Koba?