Monday, September 10, 2007

Sempre sia lo Stato

Non pretendo certo di essere il primo ad affermarlo, più o meno tutti gli autori “austriaci,” da Mises a Rothbard a Hoppe, sono giunti alla stessa conclusione: quella dello Stato è in tutto e per tutto una religione, un sistema di pensiero fondato su dogmi, primo fra tutti il famigerato “lo stato siamo noi”, affermazione oltremodo fallace e indimostrabile. Abbiamo noi, come individui, il potere di decidere qualsiasi cosa nell'ambito statale? Ovviamente no. Possiamo, unica azione concessa a tutti, votare e decidere a chi, tra due o più candidati, consegnare il potere; ma solo se facciamo parte della maggioranza, in caso contrario la nostra decisione è nulla. E in ogni caso, da quel momento in poi, niente è in nostro potere, nemmeno ciò che colui che abbiamo eletto (ed ecco già un termine vagamente religioso) deciderà di fare.

D'altro canto, le nostre azioni – da quelle pubbliche fino alle più private – si devono conformare alle leggi che la casta sacerdotale statale promulga, pena sottostare alla punizione prevista. La società è intesa come un corpo unico, con un unico scopo, mai raggiunto, al quale tendere: lo stato siamo noi, ma qualcuno è un piede, qualcuno una mano, solo alcuni privilegiati sono la testa in cui è racchiuso il segreto del fine ultimo. Nel suo The Need of a Golden Calf , Frank Chodorov scriveva:
“Non è lo Stato un idolo? Non è come un feticcio in cui gli uomini vedono poteri soprannaturali e capacità sovrumane? Lo Stato può nutrirci quando siamo affamati, guarirci quando siamo malati; può aumentare gli stipendi ed abbassare i prezzi, persino contemporaneamente; può istruire i nostri bambini senza costo; può occuparsi di noi contro gli imprevisti della vecchiaia e divertirci quando siamo annoiati; può darci l'elettricità approvando leggi e migliorare il gioco del baseball regolamentandolo. Cosa non può fare lo Stato per noi se soltanto abbiamo fede in lui? E noi abbiamo fede. Nessuna dottrina religiosa nella storia del mondo ha mai catturato i cuori e le menti degli uomini come la moderna dottrina religiosa dello statalismo.”
Quindi una religione materialista, il cui regno promesso è del tutto terreno: la soddisfazione di ogni esigenza materiale per tutti. Ma il fatto che questo traguardo continui a restare una sfocata illusione, mentre la dura realtà la smentisce, sta spostando progressivamente l'obiettivo su un piano meno concreto, rendendo la socialdemocrazia sempre più simile ai modelli di riferimento delle religioni tradizionali. Da un articolo di Ben O'Neill pubblicato proprio oggi:
C'è stato un periodo in cui i promotori del socialismo sostenevano che avrebbe condotto l'uomo all'abbondanza materiale, mentre il capitalismo del libero-mercato avrebbe portato soltanto a sempre più miseria e sarebbe infine sprofondato sotto le proprie tensioni interne. Attualmente queste tesi non si sentono più tanto in giro e per un buon motivo. Un secolo di prova empirica ha dimostrato il contrario: che il mercato libero conduce a crescente ricchezza e libertà materiale, mentre il socialismo soltanto alla povertà, alla supremazia dello stato ed infine, all'omicidio di massa.

Attualmente l'attacco si è spostato. Il capitalismo non ci conduce alla povertà; ci conduce a troppa ricchezza. Questo ci rende "avidi" e "materialisti." Ci conduce all'eccessivo “consumismo”.
Di fronte al fallimento degli obiettivi reali, lo stato cerca di darsi una dimensione morale, in grado di giustificare l'inaccettabile distorsione del diritto che pone i suoi rappresentanti in posizione privilegiata nei confronti del resto della società. Così la richiesta di migliorare le proprie condizioni materiali, cioè la stessa ragion d'essere dello stato, la promessa mai mantenuta, diventa una pretesa da stigmatizzare: l'ovvio e legittimo bisogno di assicurare per sé e per la propria famiglia le condizioni materiali necessarie per una vita soddisfacente si trasforma in peccato d'avidità. Lo stato ci chiede sacrificio, abnegazione, frugalità (“abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, quante volte l'abbiamo letto sui giornali di regime?).

Dai paramenti alle cerimonie, dai dogmi agli anatemi, nulla sembra mancare allo stato per poter essere definito una religione. Manca però una cosa fondamentale ai profeti di questa fede moderna, la qualità che ha consentito ai grandi profeti del passato di essere pietra angolare di religioni millenarie: la capacità di essere d'esempio, di costituire un modello da seguire. Poco male, hanno a disposizione un valido surrogato: la forza bruta.

13 comments:

Pike Bishop said...

Manca però una cosa fondamentale ai profeti di questa fede moderna, la qualità che ha consentito ai grandi profeti del passato di essere pietra angolare di religioni millenarie: la capacità di essere d'esempio...

Che sappia io anche le religioni millenarie non hanno dati un granche' di esempi. Per dirne una le Chiese Cristiane, da Pietro e Paolo in poi non hanno certo brillato per l'esempio impartito. Se non vado errato mi sembra di ricordare che Pietro fosse un tipo violento che brutalizzo' una coppia di anziani per farne acquisire i beni alla nuova organizzazione.

Inoltre santi democratici pure ce ne sono, come ci sono quelli comunisti, vedi ad esempio i Padri Fondatori della Democrazia Americana - e pure quelli non erano proprio irreprensibili, anche se tentano di passarceli per tali.

Lo Stato e' una Chiesa, proprio come La Chiesa e' uno Stato.

Del fatto che il capitalismo procuri ricchezza avrei pure qualcosa da ridire, tutto sta nel significato che si da' a ricchezza: certo e' che funziona meglio dello statalismo (cioe' e' piu' efficente, il che non significa che dia piu' felicita'), ma non ne e' anch'esso altro che una funesta derivazione.

Paxtibi said...

Per dirne una le Chiese Cristiane, da Pietro e Paolo in poi non hanno certo brillato per l'esempio impartito.

Beh, Pike, soprattutto Paolo io non credo neanche che fosse cristiano, me lo immagino piuttosto come un agente infiltrato tipo CIA o Mossad; Pietro invece mi pare il classico patsy... Pensavo piuttosto alla figura di Gesù, che dal punto di vista etico è davvero un esempio positivo. Certo, lui era il figlio di dio, così è più facile. :-)

Del fatto che il capitalismo procuri ricchezza avrei pure qualcosa da ridire

Guarda, qui mi sa che il problema è sempre di intendersi sui termini: per me il capitalismo è semplicemente il diritto alla proprietà privata e al libero scambio tra uomini. Certo, non basta a creare un mondo perfetto, ma il mondo perfetto non può esistere – e meno male, aggiungo io, altrimenti sai che palle! – ma non ho ancora trovato una buona ragione per la quale rinunciare a possedere una casa (magari!) e a scambiare quello che mi pare con chi mi pare. Se tu per capitalismo intendi il sistema corporativo vigente, secondo me il termine è sbagliato. In una società senza stato le corporations così come le conosciamo non esisterebbero proprio, ne sono convinto. Ed è probabile che saremmo “progrediti” meno, ma di sicuro più armonicamente e in maniera più utile e naturale. E, certo, chi avesse preferito vivere diversamente avrebbe potuto farlo senza grossi problemi.

Anonymous said...

Un secolo di prova empirica ha dimostrato il contrario: che il mercato libero conduce a crescente ricchezza e libertà materiale

Ma allora 'sto benedetto "libero mercato" esiste oppure no?

carloooooo

Anonymous said...

Colpito ed affondato!

Ho un profondo senso dello Stato e lo vedo come quell'organizzazione che sta sempre in piedi, non muore mai, si interessa di problemi che nessuno vuole risolvere.

Certo lo stato fa debiti che qualcuno dovrà pagare, ma, in fin dei conti, manda avanti le cose.

Non so se hai mai provato l'esperienza di gestione di un piccolo condominio o un comitato di quartiere o
municipio.
Sono piccoli stati.

In realtà anche la famiglia è un picoolo stato, con dei legami di tipo particolare.

Qualcuno deve prendersi la briga di risolvere i problemi spiccioli o grossi.

Basta che non se ne "approfitti" troppo.

Non riesco a vedere gestibile un mondo di single identità.

ciao Gianni

Anonymous said...

Ho un profondo senso dello Stato e lo vedo come quell'organizzazione che sta sempre in piedi, non muore mai, si interessa di problemi che nessuno vuole risolvere.

Anch'io avevo un profondo senso dello Stato, almeno finché il mio gatto non mi ha prestato il suo Bolfo Collare Antipulci, contro zecche e parassiti d'ogni ordine e grado.

Certo lo stato fa debiti che qualcuno dovrà pagare, ma, in fin dei conti, manda avanti le cose.

Anche la catena del cesso, a suo modo, "manda avanti" le cose.

Non so se hai mai provato l'esperienza di gestione di un piccolo condominio o un comitato di quartiere o municipio. Sono piccoli stati.

Anche le aziende allora sono piccoli stati. E anche i branchi di zebre che pascolano allegramente: tutti piccoli stati. Lo stato ricorre periodicamente e spontaneamente in natura. Scoop del mese.

In realtà anche la famiglia è un picoolo stato, con dei legami di tipo particolare.

Strano però che nessuno di questi "stati" elencato possa separarsi dallo "stato" di cui sopra, ed è altrettanto strano che siano tutti accomunati dal fatto di vedersi fottere soldi arbitrariamente, fatta eccezione per le minoranze ciucciawelfare politicamente in voga (teste di scodella, pederasti, zingarelli oppressi, i cinesi invece no perché si fanno gli affari loro quindi non tornano utili alla riforma demografica).

Qualcuno deve prendersi la briga di risolvere i problemi spiccioli o grossi.

Traendone moderato vantaggio personale, quindi creando ulteriori problemi per trarne ulteriore vantaggio? Sarebbe come dire che l'oncologo prima ci cura il cancro, poi ci rifila una supposta di uranio per farcene venire un altro, altrimenti non avrebbe più di che campare.

Basta che non se ne "approfitti" troppo.

E chi glielo impedisce? La Costituzione, o la carta igienica a tre veli?

Forse glielo impedisce Napolitano con le sue sagge parole.

Non riesco a vedere gestibile un mondo di single identità.

In Badombia non "vedono" la ruota, ma ciò non mi pare motivo di particolare preoccupazione. Per fortuna la bicicletta è già stata inventata.

Né vedo il motivo per farti votare ed influire sulla mia pacifica esistenza.

Anonymous said...

Del fatto che il capitalismo procuri ricchezza avrei pure qualcosa da ridire, tutto sta nel significato che si da' a ricchezza: certo e' che funziona meglio dello statalismo (cioe' e' piu' efficente, il che non significa che dia piu' felicita'), ma non ne e' anch'esso altro che una funesta derivazione.

Se il criterio dovesse essere la sola "efficenza", dovremmo concludere che l'eutanasia obbligatoria e l'eugenetica siano più "efficienti" per mantenere "efficiente" la sanità pubblica e la tutela della collettività.

(vago ricordo)

Anonymous said...

La questione di fondo nelle questioni religiose, è che siano presentate come tali.

Se qualche prete mi parla della sacra bibbia, so cosa c'è dietro, e decido se mi va di seguirlo nel discorso o meno.

Quando invece mi parlano della "Sacra Costituzione" che non va messa in discussione, forse c'è qualcosa che non quadra.

Che la Stella Polare illumini il vostro percorso solidale e rispettoso delle Istituzioni.

Blessed be

Pike Bishop said...

Se qualche prete mi parla della sacra bibbia, so cosa c'è dietro, e decido se mi va di seguirlo nel discorso o meno
Ora e' cosi', ma non lo e' sempre stato e non solo nei possedimenti vaticani. Ora la Chiesa e'diventata concordataria, di stato, e ci dice addirittura che dobbiamo pagare le tasse dello stato (ed una parte va a loro che invece sono esenti), ma fino a non molto tempo fa i ruoli erano invertiti e l'autorita' dello stato derivava dalla Chiesa.

Ma allora 'sto benedetto "libero mercato" esiste oppure no?
Carlooooooo (quante o?) ha centrato in pieno: o non c'e' e percio' non ci puo' essere prova o c'e' e dunque e' quello che vediamo. Well spotted.....
Se tu per capitalismo intendi il sistema corporativo vigente, secondo me il termine è sbagliato
Non intendo il sistema vigente, ma quello di un paio di secoli fa, da cui il vigente, con l'aiuto dello stato, e' derivato. E non erano rose e fiori. Ma su questo bisognerebbe aprire un apposito post, credo.
Ciao a tutti.

Paxtibi said...

Ma allora 'sto benedetto "libero mercato" esiste oppure no?

Libero davvero no, ma mi sembra chiaro che quello che c'è è sicuramente più libero di quello di un paese socialista, da cui un benessere relativamente maggiore. Cerchiamo di non perderci nei sofismi.

Anonymous said...

Macché sofismi Pax!
Il discorso è molto semplice.

Dicendo così infatti ne fai una questione puramente "quantitativa": maggiore è il grado di libertà dimercato, maggiore è il benessere (economico).

Però mi pare che in questo modo sia la storia a smentirti: nell'Inghilterra della prima rivoluzione industriale il mercato era sicuramente di gran lunga di più libero rispetto ad ora (minore tassaszione, minore regolamentazione del lavoro e del suo mercato, ecc.), ma le condizioni (economiche) medie di vita erano decisamente inferiori.

Quindi, o se ne fa una questione "qualitativa" (cioè che senza Stato ci sarebbero condizioni radicalmente, qualitativamente diverse) o niente: se mi dici che tra la presenza di una entità statale, per quanto minima, e la sua assenza esiste un piccola ma decisiva differenza, allora se ne può discutere. Ma di un mercato di tal fatta non se n'è mai vista nemmeno l'ombra, e si ritorna alla mia domanda iniziale.

Ciao,

carloooooo

Paxtibi said...

Sì, ma con il tuo esempio hai introdotto una nuova variabile, quella temporale: nello Zimbabwe, giusto per fare un esempio attuale, i primi tempi del governo di Mugabe non se la passavano male (a parte i whiteys, ovviamente). Poi però la roba da mangiare è finita e ora fanno la fame.

Allo stesso modo le politiche scellerate degli anni sessanta in Italia sembravano arricchire tutti, ma gli effetti li abbiamo visti dopo 10-20 anni.

È ovvio che solo un mercato libero può autoequilibrarsi e consentire agli individui di migliorare la propria condizione con il lavoro, ma è anche vero che politiche che tendono ad eliminare l'ingerenza dello stato nel mercato riescono a produrre un maggiore benessere rispetto alle politiche interventiste; il fatto che lo stato ci sia, però, impedisce al benessere di distribuirsi in modo equo, cioè restituendo a ciascuno secondo quanto ha offerto, visto che buona parte della ricchezza viene sottratta dallo stato e dirottata nelle tasche sue e dei suoi clientes.

A quel punto è chiaro che certe regole, come il salario minimo ad esempio, possono facilmente esser viste come positive (e lo sono) da chi lavora e non riesce ad arrivare a fine mese, ma non certo da chi il lavoro non riesce a trovarlo.

Il problema, infatti, non è tanto arrivare a capire che il mercato libero è meglio di uno gestito dallo stato, questo è facile, ma come passare da quest'ultima situazione alla prima senza ridurre alla miseria i meno abbienti nel processo.

Questo per me è il problema più grosso, non insolubile ma veramente difficile da affrontare.

Anonymous said...

Penso di aver capito. Grazie del chiarimento, ci penserò su.

Ciao ciao,

Carlo

Paxtibi said...

Sempre a tua disposizione.

;-)