Con il passare dei giorni, e l'emergere di molti dettagli riguardo agli attacchi terroristici di Mumbai, la narrativa ufficiale appare sempre meno credibile, mentre allo stesso tempo diventa più facile capire chi otterrà un guadagno da questo evento, indicando quindi una pista più coerente con i fatti conosciuti.
Ma i media principali, come al solito, non danno peso alle incongruenze di ciò che riportano. Non si soffermano ad analizzare l'assoluta e incredibile incompetenza che avrebbero dimostrato i servizi di sicurezza indiani, apparentemente incapaci di impedire il massacro e di eliminare o bloccare una decina di terroristi per tre giorni. Pare a loro una cosa perfettamente normale, così come i resoconti che raccontano di poliziotti che non usano le loro armi, lasciando che gli assassini facessero il loro lavoro.
Non trovano niente di strano nel fatto che la guardia costiera indiana non sia stata in grado di notare gli spostamenti della nave proveniente da Karachi, né l'approccio su gommoni del commando fuoriuscito da essa in alto mare, e nemmeno tutti gli spostamenti del gruppo una volta giunto a terra. Ovviamente i terroristi hanno lasciato sulla nave un telefono satellitare, le cui chiamate registrate hanno consentito di risalire al gruppo fondamentalista Lashkar-e-Taiba, il cui presunto leader Hafiz Mohammed Saeed è stato prontamente indicato dalle autorità indiane come responsabile degli attacchi.
Tuttavia, Saeed ha negato il suo coinvolgimento, e già questo dovrebbe suscitare qualche interrogativo, dal momento che i terroristi, in genere, usano rivendicare le loro imprese. Ma porsi delle domande non rientra più tra i compiti del giornalista mainstream, che le domande si limita a farle alle autorità costituite per riportarne le risposte. Ma la cosa ancor più sorprendente è che il prof. Saeed guida l'associazione umanitaria Jama’t-ud-Da’wah, il cui portavoce ha smentito qualsiasi collegamento con il Lashkar-e-Taiba.
C'è anche un risvolto particolarmente comico della vicenda: l'unico superstite del commando, Ajmal Amir Kamal (o Azam Amir Kasav, o Azam Ameer Qasab), sulla cui “confessione” si basa l'intera ricostruzione ufficiale, sarebbe originario di Faridkot, un villaggio di 3000 anime nel Punjab, in Pakistan, subito “invaso” da uomini di ogni agenzia di sicurezza alla ricerca di indizi. Gli abitanti del villaggio di capanne di fango, sorpresi in massimo grado, affermano di non sapere nulla dell'intera faccenda. “Non ci sono jihadisti qui,” dice uno degli abitanti, “posso pensare a 10 o forse 20 persone qui che sono andate al massimo fino a Multan.” Di Ajmal Amir Kamal si dice che parli correntemente l'inglese, lingua praticamente sconosciuta a Faridkot, e nessuno lo ha riconosciuto nelle foto che gli agenti hanno mostrato. Un altro locale ha detto: “sembra un ragazzo sveglio. Non abbiamo niente del genere qui.”
Abbiamo quindi, come sempre è accaduto in ciascuno degli eventi terroristici che hanno insanguinato questo decennio e non solo, una narrativa ufficiale traballante costellata da incongruenze che ciononostante pretende di indicare accuratamente i responsabili. Ma abbiamo anche qualcuno che con ogni probabilità beneficerà del sangue versato, che Justin Raimondo descrive con la consueta lucidità:
Ma i media principali, come al solito, non danno peso alle incongruenze di ciò che riportano. Non si soffermano ad analizzare l'assoluta e incredibile incompetenza che avrebbero dimostrato i servizi di sicurezza indiani, apparentemente incapaci di impedire il massacro e di eliminare o bloccare una decina di terroristi per tre giorni. Pare a loro una cosa perfettamente normale, così come i resoconti che raccontano di poliziotti che non usano le loro armi, lasciando che gli assassini facessero il loro lavoro.
Non trovano niente di strano nel fatto che la guardia costiera indiana non sia stata in grado di notare gli spostamenti della nave proveniente da Karachi, né l'approccio su gommoni del commando fuoriuscito da essa in alto mare, e nemmeno tutti gli spostamenti del gruppo una volta giunto a terra. Ovviamente i terroristi hanno lasciato sulla nave un telefono satellitare, le cui chiamate registrate hanno consentito di risalire al gruppo fondamentalista Lashkar-e-Taiba, il cui presunto leader Hafiz Mohammed Saeed è stato prontamente indicato dalle autorità indiane come responsabile degli attacchi.
Tuttavia, Saeed ha negato il suo coinvolgimento, e già questo dovrebbe suscitare qualche interrogativo, dal momento che i terroristi, in genere, usano rivendicare le loro imprese. Ma porsi delle domande non rientra più tra i compiti del giornalista mainstream, che le domande si limita a farle alle autorità costituite per riportarne le risposte. Ma la cosa ancor più sorprendente è che il prof. Saeed guida l'associazione umanitaria Jama’t-ud-Da’wah, il cui portavoce ha smentito qualsiasi collegamento con il Lashkar-e-Taiba.
C'è anche un risvolto particolarmente comico della vicenda: l'unico superstite del commando, Ajmal Amir Kamal (o Azam Amir Kasav, o Azam Ameer Qasab), sulla cui “confessione” si basa l'intera ricostruzione ufficiale, sarebbe originario di Faridkot, un villaggio di 3000 anime nel Punjab, in Pakistan, subito “invaso” da uomini di ogni agenzia di sicurezza alla ricerca di indizi. Gli abitanti del villaggio di capanne di fango, sorpresi in massimo grado, affermano di non sapere nulla dell'intera faccenda. “Non ci sono jihadisti qui,” dice uno degli abitanti, “posso pensare a 10 o forse 20 persone qui che sono andate al massimo fino a Multan.” Di Ajmal Amir Kamal si dice che parli correntemente l'inglese, lingua praticamente sconosciuta a Faridkot, e nessuno lo ha riconosciuto nelle foto che gli agenti hanno mostrato. Un altro locale ha detto: “sembra un ragazzo sveglio. Non abbiamo niente del genere qui.”
Abbiamo quindi, come sempre è accaduto in ciascuno degli eventi terroristici che hanno insanguinato questo decennio e non solo, una narrativa ufficiale traballante costellata da incongruenze che ciononostante pretende di indicare accuratamente i responsabili. Ma abbiamo anche qualcuno che con ogni probabilità beneficerà del sangue versato, che Justin Raimondo descrive con la consueta lucidità:
L'effetto del massacro di Mumbai sulla politica indiana è un'altra possibile analogia con l'11 settembre, che diede potere ai neocons e catapultò i peggiori guerrafondai al livello più alto della burocrazia della sicurezza nazionale. Nel caso dell'India, dove gli elettori andranno presto alle urne, siamo pronti ad assistere ad una vittoria elettorale per il movimento politico militante più nazionalista e sciovinista nel paese, il partito Bharatiya Janata (BJP).Se inquadriamo allora in questo scenario l'assassinio del capo dell'antiterrorismo indiano Hemant Karkare – tra i primi a cadere negli attacchi – che aveva scoperto la responsabilità dei fondamentalisti indù in una serie di attentati inizialmente attribuiti ai musulmani, il tutto comincia ad avere una certa logica. Una logica di cui purtroppo non c'è traccia nei media ufficiali, troppo impegnati nella loro attività di servili veline del potere.
Il BJP è l'espressione politica del movimento Hindutva, una versione fondamentalista dell'induismo tradizionale che fa risalire la genealogia della “razza indiana” fino all'antica invasione ariana dal nord. Secondo gli ideologi di Hindutva, la loro razza è nata al Polo Nord ed era originariamente – nella sua forma “pura” – una tribù di ariani biondi e dagli occhi azzurri. Di conseguenza, il capo della loro organizzazione centrale, il Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), deve essere un bramino Saraswat dai capelli biondi e dagli occhi azzurri. L'obiettivo del movimento, come gli obiettivi di tutti i movimenti fascisti di ogni luogo, è di riprendere la gloria perduta di un passato semi-leggendario, in questo caso il ripristino dell'antico impero indù.
Il grande problema del governo indiano è stata la mancanza di coesione del paese. Il fallimento del Partito del Congresso nell'unire la nazione intorno ad un modello laicista-federalista e la persistenza del separatismo localista ha aperto la strada al BJP per unificare il paese su una base differente: il nazionalismo estremo alimentato dal fanatismo religioso, ovvero, il fondamentalismo indù.
Il BJP ha conquistato importanza aumentato grazie ai tumulti di piazza iniziati da gruppi guidati dal partito, che hanno condotto alla distruzione di una moschea locale. Il governo municipale del BJP ha abbattuto la costruzione rovinata ed ha costruito un tempio indù sul sito, considerato il luogo di nascita del dio indù Ram. Quei disordini civili hanno causato 1.200 morti, principalmente musulmani, un modello di violenza che sicuramente si riaffermerà dopo i fatti di Mumbai.
7 comments:
Non so dove abbia preso queste informazioni sull'hindutva, ma sono piuttosto sbagliate. Il punto principale del movimento è la religione, non la razza, e inoltre pochissimi nazionalisti indù credono nella teoria dell'invasione ariana, mentre i più sostengono l'Out of India Theory, cioè che gli ariani sarebbero originari dell'India e in seguito abbiano invaso l'Europa.
PS: non sono assolutamente a favore dell'hindutva (che Dio me ne scampi!)
Le informazioni sono nell'articolo di raimondo che ho riportato, e le fonti sono nei link. Ti ringrazio per la precisazione, che comunque non cambia di molto la questione: il problema è il loro nazionalismo esasperato, quello che credono sulle loro origini è soprattutto folklore.
Ciao!
Pax, secondo me noi stiamo sopravvalutando gli Stati e i governi. Ci siamo lasciati prendere la mano.
E' evidente che basta essere un gruppo di musulmani per poter mettere fuori uso Cia, Fbi, Air Force, i servizi segreti indiani, russi e cinesi, per poter agire indisturbati in ogni angolo del globo, comandare in Iraq, in Afghanistan, in Somalia, rubare 20 carriarmati, una petroliera, distruggere la civiltà cristiana e mettere uno dei loro a fare il presidente degli Usa.
E' evidente che basta essere un gruppo di musulmani per poter mettere fuori uso Cia, Fbi, Air Force, i servizi segreti indiani, russi e cinesi, per poter agire indisturbati in ogni angolo del globo, comandare in Iraq, in Afghanistan, in Somalia, rubare 20 carriarmati, una petroliera, distruggere la civiltà cristiana e mettere uno dei loro a fare il presidente degli Usa.
Il bello è che a vedere la pubblica amministrazione il dubbio ti viene
:-D Sick boy
E' mia opinione che la "sciatteria" delle prove sia una cosa voluta; anzi sia un marchi di fabbrica dell'organizzazione.
Non ho ancora perfezionato questa mia convinzione, ma sono abbastanza certo di questo fatto.
In effetti, questi in dieci hanno messo sotto scacco l'intero apparato di sicurezza indiana... quanti siamo noi? Una ventina, una cinquantina? Forse riusciamo a fare un colpo di stato!
E' mia opinione che la "sciatteria" delle prove sia una cosa voluta; anzi sia un marchi di fabbrica dell'organizzazione.
Be', in un certo senso, come nota bene Sick-boy, la sciatteria è il marchio di fabbrica del settore pubblico...
:-P
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