Monday, January 14, 2008

Piccolo Glossario della Neolingua #24

“Prosperity or egalitarianism – you have to choose. I favor freedom – you never achieve real equality anyway, you simply sacrifice prosperity for an illusion.”
(Marios Vargas Llosa)
L'uguaglianza di ogni uomo di fronte alla legge è un concetto che chiunque riconosce come giusto. L'uguaglianza promossa dal collettivismo ne è invece una perversa distorsione, sfruttata senza ritegno dal potere statale per giustificare i suoi crimini e manipolare la popolazione a suo piacimento. Vediamo come.
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Uguaglianza
Significato originario:
1 proprietà di più cose o persone di essere uguali tra loro, in tutto o per determinate caratteristiche: u. di peso, di capacità, u. fra gli oggetti
2 principio etico e politico secondo il quale tutti gli uomini hanno pari dignità umana e sociale e gli stessi diritti
3a uniformità, assenza di dislivelli, di asperità e sim.: u. di un terreno; anche fig.: u. di stile
3b fig., corrispondenza di idee, gusti e sim.
4 mat., relazione tra enti formalmente identici, isomorfi, congruenti, che gode delle proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva | relazione tra due espressioni algebriche che portano allo stesso risultato quando vengono calcolate | relazione tra due figure geometriche sovrapponibili
Nel suo romanzo Le sirene di Titano, Kurt Vonnegut immagina una società futura che ha raggiunto la felicità grazie ad una nuova religione, la religione del “Dio Del Tutto Indifferente,” basata sull'assoluta uguaglianza tra gli uomini. Con la sua solita intelligente ironia, Vonnegut così descrive come tale uguaglianza ha potuto essere raggiunta:
Ognuno portava qualche tipo di handicap. La maggior parte degli handicap erano di una specie evidente – fasce zavorrate, sacchetti di piombini, vecchie griglie da fornace – pensate per limitare i vantaggi fisici. Ma c'erano, fra i parrocchiani di Redwine, diversi veri credenti che avevano scelto degli handicap di un genere più sottile e più significativo.

C'erano donne che avevano ricevuto dal capriccio del caso il formidabile vantaggio della bellezza.

Avevano annichilito quell'ingiusto vantaggio con vestiti goffi, cattivo portamento, gomma da masticare e un uso grottesco dei cosmetici.

Un uomo anziano, il cui unico vantaggio era una vista eccellente, aveva rovinato quella vista portando gli occhiali della moglie.

Un giovane di carnagione scura, la cui sensualità procace non poteva essere rovinata da brutti vestiti e dalle cattive maniere, si era handicappato con una moglie nauseata dal sesso.

La moglie del giovane di carnagione scura, che aveva motivo di vanità nella sua chiave Phi Beta Kappa, si era handicappata con un marito che non leggeva altro che fumetti.

La congregazione di Redwine non era unica. Non era particolarmente fanatica. C'erano letteralmente miliardi di persone felicemente auto-handicappate sulla Terra.
Il buon Vonnegut aveva ben chiaro il paradosso dell'assoluta uguaglianza: se le differenze tra gli uomini sono fonte di insoddisfazione e sofferenza, e se l'eliminazione di queste differenze dovute al capriccio della sorte portano alla felicità, tutte le differenze devono essere appianate, così da portare tutti gli uomini al livello dei meno fortunati. Per ovvi motivi, però, Vonnegut non prende in considerazione uomini ancora più sfortunati, come i ciechi, gli zoppi, i mutilati fisicamente o mentalmente; ma si tratta di un romanzo, e in fondo il buon Kurt è riuscito comunque ad illustrare bene il problema che lo stato democratico finge di non vedere.

Esso infatti si propone, per mezzo della ridistribuzione, di riportare la giustizia che le azioni degli uomini negherebbero: ma se la ricchezza di un uomo deriva dalle sue abilità e da liberi scambi con i suoi simili, sottrargliene una parte è un furto, un'appropriazione indebita; al contrario, se la sua ricchezza è stata accumulata con mezzi illegittimi, non di ridistribuzione si deve parlare ma di risarcimento, restituzione cioè a chi è stato derubato, e non ad altri. Ovviamente però questo utilizzo del concetto di uguaglianza serve lo scopo reale dello stato, che non è altro che il furto e lo sfruttamento. Quale altro senso avrebbe altrimenti una logica che, in ultima analisi, costringerebbe Leonardo da Vinci a dipingere bendato, o a Maradona di giocare con i piedi legati?

Da notare inoltre come la furia egalitaria dello stato finisca per occuparsi soltanto della dimensione economica dell'uomo, dimenticando tutte le altre differenze e soprattutto che non tutti gli uomini pongono alla sommità della loro scala di preferenze i beni materiali: proprio la critica che spesso e volentieri gli statalisti rivolgono ai sostenitori del libero scambio e del libero mercato. Ma c'è un ulteriore problema provocato dalla dottrina egalitaria. Paradossalmente, si tratta della discriminazione. Leggiamo da Freedom, Inequality, Primitivism and the Division of Labor di Rothbard:
Nell'impiego, nelle gerarchie, e nello status in generale, ai gruppi oppressi si suppone venga garantita la loro quota di posizioni ben pagate o prestigiose (nessuno sembra preoccuparsi troppo per la rappresentazione delle quote nel rango degli zappatori). Ho notato per la prima volta questa tendenza in un documento scritto un anno dopo il presente saggio ad un simposio sul La Natura e le Conseguenze dell'Ideologia Egalitaria. In quella sede ho reagito fortemente alla rappresentazione di quote per i gruppi designati su cui insisteva il movimento di McGovern alla convenzione democratica del 1972. Questi vittoriosi democratici insistevano che i gruppi quali le donne, la gioventù, i neri e gli ispanici erano caduti sotto la loro quota percentuale di popolazione come delegati scelti in convenzioni precedenti; questo ha dovuto essere rettificato dal partito democratico ignorando le scelte dei loro membri e insistendo sulle quote dovute a questi gruppi presunti oppressi. Notai la particolare idiozia del reclamo che i giovani di 18-25 anni erano stati “sotto-rappresentati” in passato, e indulsi in quella che ora si chiamerebbe una reductio ad absurdum “politicamente inappropriata” suggerendo una correzione immediata all'odiosa e cronica sotto-rappresentazione degli “uomini e donne” di cinque anni. [...]

I portavoce per le quote di gruppo nel nome degli “oppressi” (identificati per scopi di pubbliche relazioni con la frase dal suono positivo “affirmative action”) reclamano generalmente che un sistema di quote è la cosa più lontana dalle loro menti: tutto ciò che desiderano è un'azione positiva per aumentare la rappresentazione dei gruppi favoriti. O sono flagrantemente subdoli o non riescono a capire l'aritmetica elementare. Se il Gruppo Oppresso X deve aumentare la sua “rappresentazione” da, per esempio, l'otto al venti per cento, ne consegue che un certo gruppo o combinazione di gruppi vedrà ridursi la sua rappresentazione totale del 12 per cento. Il nascosto, o a volte non-così-nascosto, ordine del giorno, naturalmente, è che i declini delle quote si suppone avvengano nei ranghi dei Gruppi Oppressori designati, che presumibilmente meritano il loro destino.
In altre parole, sotto la maschera dell'uguaglianza si fa subdolamente passare nient'altro che una forma di discriminazione, eliminando nel contempo progressivamente il sistema meritocratico automaticamente generato in regime di libero scambio. L'avanzamento nelle carriere non è più dovuto ad una serie di scelte determinate da capacità dimostrate ma ad una decisione arbitraria a priori, rivelando così nell'uguaglianza promossa dallo stato esattamente il suo contrario: non più l'uguaglianza di fronte alla legge, ma come nella Fattoria degli animali di Orwell una legge che definisce chi è “più uguale degli altri.”

1 comment:

Nietzsche said...

L'invidia. La sfiga.

Lo Stato è La Sfiga Istituzionalizzata. Niente di più.