Saturday, July 21, 2007

Piccolo Glossario della Neolingua #2

Continua l'avventura alle radici della propaganda. Stavolta prendiamo in esame una parola il cui significato è stato non soltanto distorto, ma decisamente ribaltato.
___________________________


Profitto

Significato originario:
1
vantaggio, giovamento, beneficio fisico, intellettuale o morale: ha trovato p. in quella cura; fare, recare p., essere utile, portare giovamento; senza alcun p., senza un risultato soddisfacente
2
fig., miglioramento, progresso, spec. nello studio o nel lavoro: segue le lezioni con grande p. | scol., estens., livello di preparazione raggiunto in una materia: p. ottimo, sufficiente, scarso
3a
econ., in un’attività produttiva, commerciale o finanziaria, differenza tra il valore del prodotto e i costi di produzione
3b
econ., spec. al pl. ⇒utile

Il significato del lemma profitto, come si può facilmente constatare, esprime soltanto valori positivi, dai benefici fisici e intellettuali al miglioramento nello studio o nel lavoro. Eppure, sempre più spesso viene utilizzato come sinonimo di negatività, l'esatto opposto del suo vero significato: la logica del profitto, pensare solo al profitto, etc.
Non è difficile individuare la derivazione di questo ribaltamento di significato nelle idee marxiste:

«Il profitto è per noi in un primo tempo solo un altro nome, o un'altra categoria del plusvalore. Siccome, in base alla forma del salario, tutto il lavoro appare pagato, la parte non pagata del lavoro sembra derivare necessariamente non dal lavoro, ma dal capitale, e non dalla sua parte variabile, ma dal capitale complessivo. Con ciò il plusvalore riceve la forma del profitto, senza differenza quantitativa tra l'uno e l'altro. Si tratta solo della forma fenomenica illusoria dello stesso.» (dal Carteggio Marx-Engels, Editori Riuniti)
Il profitto identicato con il plusvalore diventa il frutto illegittimo dello sfruttamento del lavoratore da parte del capitalista, diventa refurtiva, ed è quindi male. Il fatto che tra l'imprenditore e il dipendente si sia svolta una contrattazione ed un libero scambio di salario con lavoro non è preso in considerazione.

Il profitto in realtà è ciò che indica che le nostre azioni sono state corrette per lo scopo che ci eravamo prefissi, è il miglioramento (non solo economico!) che ci consente di misurare i nostri progressi, lo strumento grazie al quale impariamo ad essere responsabili delle nostre azioni.
Nella logica degli stati moderni, invece, ciascuno – a prescindere dalla sua produttività – ha diritto a vivere bene (welfare state), anche se questo “vivere bene” è una misura alquanto soggettiva, in quanto di solito, se da una parte si traduce in una scadente assistenza sanitaria e pensioni al di sotto della soglia di povertà, dall'altra ci si aspetta di ricevere un salario solo in virtù dell'essere vivi.
Scrive Per Bylund a proposito della società svedese:

Faccio parte io stesso di questa seconda generazione di gente cresciuta con e grazie al welfare state. Una differenza significativa fra la mia generazione e quella precedente è che per la maggior parte noi non siamo stati affatto cresciuti dai nostri genitori. Siamo stati allevati delle autorità dentro asili statali a partire dall'infanzia; quindi spinti in scuole elementari pubbliche, scuole superiori pubbliche e università pubbliche; e successivamente ad occupazioni nel settore pubblico ed ancora altra formazione attraverso potenti sindacati e le loro associazioni educative. Lo stato è sempre presente ed è per molti l'unico modo per sopravvivere - e il suo welfare l'unico modo possibile di guadagnare l'indipendenza.
Il profitto in questo quadro è male, è ciò che impedisce la realizzazione delle proprie aspettative di vita: anche chi ha un lavoro meglio del mio è da considerare un nemico, in quanto è un ostacolo tra me e quel lavoro.
La necessità che attraverso il lavoro, di qualsiasi tipo, si debba ottenere un miglioramento in qualche senso è estirpata, ovviamente senza inoltrarsi nel dimostrare come il welfare state possa mantenere la sua promessa di vita migliore per tutti nel momento in cui la somma delle attività umane non presenti il minimo profitto, che è la conseguenza di un simile corso di ragionamento.

In conclusione, accettando il ribaltamento del significato di profitto, perdiamo anche il metro su cui misurare le nostre azioni, e con esso la capacità di giudicarle moralmente. Esattamente come bambini ci affidiamo all'autorità per il nostro mantenimento così come per la guida morale, rinunciando a diventare adulti responsabili e in grado di comportarsi correttamente anche senza un guinzaglio al collo.

20 comments:

Anonymous said...

Paxtibi conferma di essere un capitalista senza scrupoli seguace del Dio denaro.

Scommetto che fa i soldi sfruttando le minoranze oppresse.

:-P

Blessed be

Pike Bishop said...

"Il fatto che tra l'imprenditore e il dipendente si sia svolta una contrattazione ed un libero scambio di salario con lavoro non è preso in considerazione."

Questa non te l'appoggio sicuramente.

La contrattazione o il libero scambio tra salario e lavoro e' un mito come la Fatina Buona e Babbo Natale.

In realta' non c'e' alcuna contrattazione, e' gia' molto se trovi da venderti come schiavo a qualcuno e, se hai bisogno di uno schiavo sei dalla parte del piu' forte automaticamente, perche' hai potuto scegliere di ampliare l'attivita' tanto da non potere fare fronte da solo alla mole di lavoro, il che significa che hai capitale da investire e non rischi di essere sul lastrico prima della fine del mese. Hai inoltre deciso che non ti serve un socio, ma uno schiavo, per cui non puo' sicuramente esistere partecipazione agli utili o alle perdite: lui ti si affitta ad ore, ma tu decidi come la baracca dovra' girare, perche' hai messo il capitale e perche' non e' una democrazia, se no avresti dei soci, non degli schiavi.

In questo senso percio' la parola profitto ha naturalmente una valenza negativa, come in approfittarsene: la schiavitu' e' sempre data dall'approfittamento della miseria (grande o piccola che sia) altrui. A volte il padrone fallisce e l'operaio no (rimane pero' nella solita cacca), e' il rischio di ogni giocatore d'azzardo, che per antonomasia si approfitta appunto degli altri giocatori e cerca di fotterli con destrezza o fortuna, spesso con ambedue.

Il profitto e' positivo solo in assenza di schiavitu', e quando si viene comprati e venduti (o affittati come le puttane), e' difficile parlare di scambio libero e percio' profitto fa rima con approfittatore.

Gongori di tutto il mondo unitevi.... (-:

Paxtibi said...

In questo senso percio' la parola profitto ha naturalmente una valenza negativa, come in approfittarsene.

Il profitto e' positivo solo in assenza di schiavitu', e quando si viene comprati e venduti (o affittati come le puttane), e' difficile parlare di scambio libero e percio' profitto fa rima con approfittatore.


Ma infatti è l'approfittatore il problema, non il profitto. Approfittatore è giusto che abbia valenza negativa: è il vocabolo che indica, l'uso distorto del profitto, di chi appunto approfitta delle sventure altrui.

È questo il mio discorso: se è vero che tale è il comportamento dei padroni sempre più frequentemente, non è anche vero che lo sia per tutti i padroni. Se il profitto è reciproco, quindi valutato da entrambe le parti positivamente, è perfettamente legittimo ed augurabile. Ma assegnando valenza negativa al lemma profitto condanni anche la transazione virtuosa, la corretta cooperazione tra gli individui, e una volta che lo fai con la parola, ne vedi gli effetti nella società: si affievolisce la differenza tra gli onesti e gli approfittatori, un incentivo in più a passare tra le schiere di questi ultimi.

Bisognerebbe piuttosto indagare sul perché il potere contrattuale del dipendente è crollato fino allo zero a scapito di quello del padrone, e come mai cose come esperienza, professionalità, competenza, affidabilità e talento abbiano potuto perdere quasi tutto il loro valore nel mercato del lavoro, ma lo farò in un prossimo post.

Il mio primo sospetto, ovviamente, è lo stato, pare sia stato visto mentre manometteva le leggi immutabili dell'economia...

Paxtibi said...

Paxtibi conferma di essere un capitalista senza scrupoli seguace del Dio denaro.

Più che altro un capitalista senza Dio e con poco denaro...

:-(

Pike Bishop said...

"Ma infatti è l'approfittatore il problema, non il profitto."

Giusto cosa volevo dire io, ma...

"se è vero che tale è il comportamento dei padroni sempre più frequentemente, non è anche vero che lo sia per tutti i padroni."

Dissento. E' vero per tutti i padroni in quanto tali: quando c'e' qualcuno che possiede la vita e le prestazioni che da tale vita (il tempo e' la vita) di qualcun altro, non ci puo' essere profitto comune, solo truffa e rapina, con destrezza o con violenza rimane solo un dettaglio.

"Bisognerebbe piuttosto indagare sul perché il potere contrattuale del dipendente è crollato fino allo zero a scapito di quello del padrone"

Nessun mistero: e' la conseguenza insita nei loro ruoli. Quand'anche, sotto particolari circonstanze, lo schiavo ad ore (o in perpetuita') non stia cosi' male, si raggiungera' alla lunga inevitabilmente il punto in cui il suo potere contrattuale varra' zero: e' implicito nel rapporto di lavoro tra padrone e schiavo.
Solo dei veri collaboratori liberi di scambiare servizi e beni sul mercato E NON PARTE (o tutta) DELLA LORO VITA possono avere un rapporto con dinamiche dipendenti dalla domanda e offerta del mercato. Il rapporto tra schiavo e padrone e' come una partita truccata, e' solo una variabile del costo delle merci, che tende a costare progressivamente meno a man mano che la produzione si organizzi.

"Il mio primo sospetto, ovviamente, è lo stato"
Senza lo stato sarebbe un po' difficile l'esistenza dei padroni. Senza la sua macchina di morte pronta a scattare per chi non si adegua alle regolette i padroni si scioglierebbero come neve al sole. Ma e' solo una ipotesi da verificare (magari lo si potesse fare praticamente).

"le leggi immutabili dell'economia..."

Che sono white man magic, total bullshit per bocconiani idrocefali.

Pax, vedo che sulla parte della demolizione (dello Stato) siamo del tutto d'accordo (se senti Linucs digli di procurasi altre munizioni per la Gatling), ma sulla costruzione, senza offesa, mi sembra che tu ti sia ancorato a concetti che senza l'esistenza dello stato si potrebbero impacchettare e rispedire al mittente, con la preghiera che se li infili la' dove sai.

Magari saro' un po' rozzo, ma non mi pare di essere equivocabile :-)

H.I.M. said...

Il discorso di pike non è del tutto sbagliato, solo che non tiene conto di una dato fondamentale, che poi mi sembra Paxtibi individui, ovvero perchè il potere contrattuale del lavoratore sia decaduto. Beh, è abbastanza semplice: i Contratti Nazionali di Lavoro, i CNL. E' chiaro che se sindacati e associazioni di categoria come Confindustria si siedono a tavolino e decidono che Mimì Metallurgico deve guadagnare minimo tot, io datore di lavoro darò il minimo tot, avrò la coscienza a posto e, sottraendomi alle dinamiche del mercato che diversamente mi imporrebbero di trovare un accordo che soddisfi entrambe le parti, incoraggerò anche gli altri datori di lavoro a fare altrettanto creando il "sistema".
E' un po' lo stesso discorso del valore legale del titolo di studio che tanta mediocrità ha provocato e continua a provcare: ovunque si stabilisca per legge un parametro minimo per l'accesso ad una professione si oterrà in cambio che chiunque si candidi ad ottenere quel posto farà il minimo indispensabile pur di raggiungere quel parametro.

Pike Bishop said...

"io datore di lavoro darò il minimo tot, avrò la coscienza a posto e, sottraendomi alle dinamiche del mercato che diversamente mi imporrebbero di trovare un accordo che soddisfi entrambe le parti"

Bella favola, quando arriva biancaneve? :-)

I CNL sono un fattore di controllo sociale, un teatrino ad uso e consumo di sindacati che rappresentano tutti e percio' non rappresentano nessuno, creati per trarre in inganno il lavoratore che crede di avere ottenuto qualcosa, mentre e' stato solo fregato con un trucchetto per garantirsi una conveniente pace sociale.

La dinamica descritta da H.I.M. e' una storiella tanto cara ai padroncini piccolini che se non ci fosse il contratto collettivo pagherebbero ancora meno.
Difatti nei paesi in cui non c'e' mai stato alcun contratto collettivo (UK, per esempio) i salari tendono naturalmente al ribasso, un ribasso cosi' basso che toccherebbe abissi imbarazzanti cosicche' il governo deve, per evitare situazioni che rivelerebbero il vero volto del capitalismo, stabilire comunque arbitrariamente un salario minimo garantito sotto il quale nessun lavoratore possa essere ingaggiato. E tutto cio' senza contrattazioni estenuanti o scioperi, tanto per dire che e' una contromisura necessaria ai fini propagandisti.

Per quanto riguarda il valore legale del titolo di studio ci stiamo ancora bevendo altre favolette: non esiste e non e' mai esistito se non nel mondo dei figli di bidelle meridionali che diventano insegnanti nella scuola pubblica.
In realta' la mediocrita' e' creata dal fatto che la scuola, invece che essere un posto dove se si e' interessati si possa imparare qualcosa, utile o inutile che sia, e' un parcheggio/carcere per giovinotti a cui lavare, inamidare e stirare il cervello, OBBLIGANDOLI a frequentarla fino a tarda eta' e costringendoli a procurarsi un "pezzo di carta" che per qualsiasi datore di lavoro e' garanzia che il soggetto e' stato lobotomizzato a dovere e pronto ad essere utilizzato come cocococode' in un call-center o simili.

Senza il titolo di studio, valore legale o no, non si ha speranza di ottenere un qualsiasi lavoro, a meno a che non si voglia provare a competere con i vari extra-comunitari per i lavori che "non vogliamo piu' fare"; provare per credere: piuttosto di prendere un italiano i padroni si vendono la madre, perche' se no, che li hanno rinquaglioniti per anni a fare, per ritrovarseli di nuovo incazzati a fare picchetti una volta che si accorgessero che il lavoro e' fatica e non basta a pagare l'affitto, dopo che il governo si e' ciulata da subito la meta'? Meglio sfruttare gli africani per cui il lavoro e' una benedizione.

La scuola obbligatoria sta rivelando quello che e' il suo fine ultimo - l'indottrinamento e la pecorizzazione dell'Italiota - e vedo con imbarazzo e dispiacere che ha sortito il dovuto effetto pure fra persone insospettabili che si potrebbero per altri versi ritenere pensanti e senzienti.
Peccato.

Anonymous said...

mmm. Prima di tutto complimenti per il post.
Poi vorrei dei ragguagli sul ragionamento di pike.
Mi par di capire che sei antistatale.
Comprendi l'inutilità e la dannosità dello Stato. Ma allo stesso tempo sei anti-imprenditore, perché nei rapporti di lavoro dipendente hai posizioni molto simili a quelle marxiste.
Non capisco il ragionamento per cui, se uno affitta parte del suo tempo dietro un compenso stabilito a priori sia uno schiavo. O meglio, non capisco quale sarebbe l'alternativa da te proposta.
Prendi anche un libero imprenditore. Un commerciante. Non si può dire che affitti parte della sua vita (il tempo che trascorre in negozio), ai suoi "datori di lavoro" che sono quelli che comprano i suoi prodotti? E il compenso che riceve, non è egualmente deciso a priori dalla differenza tra il costo di acquisto e quello di vendita (semplificazione) ?
Ordunque, in questo esempio, il fruttivendolo è un piccolo operaio vessato dal consumatore. Il piccolo operaio può cercare di sfruttare la sua esperienza, ritoccando i prezzi verso l'alto. Ma il datore di lavoro (gli acquirenti), possono benissimo decidere di rivolgersi ad altri per questo servizio, licenziandolo (ovvero smettendo di comprare i suoi prodotti e provocando così ingenti perdite al nostro povero lavoratore). Dunque il povero commerciante è schiavo dei capricci del datore di lavoro. Inteso come consumatore.
Inoltre, a differenza del lavoratore in fabbrica, il nostro commerciante può essere legalmente oggetto di mobbing, discriminazioni razziali, religiose e politiche.
Ad esempio, se il commerciante fosse nero, tutto il quartiere potrebbe decidere di "licenziarlo" evitando di andare a comprare nel suo negozio, senza che nessuno possa dire nulla. A meno di improbabili leggi che ti "impongano " di servirti in quel locale.
Dall'altra parte c'è la possibilità che costui sia in una situazione molto favorevole e che per difficoltà di concorrenza possa permettersi di aumentare i prezzi senza subire perdite di clienti.
E' il caso sarebbe paragonabile ad un ricercatore che conosca nei dettagli un progetto remunerativo e , forte di questa conoscenza "ricatti" il datore di lavoro perché un suo licenziamento provocherebbe enormi perdite per lo stesso?
Insomma. Io trovo le posizioni di datori di lavoro e lavoratori abbastanza invertibili, salvo la differente mobilità di capitale e lavoro, ma per il resto molto molto simili. Tu invece pike, una volta abolito lo stato Ed il capitalismo, cosa proponi??

Pike Bishop said...

libertyfighter mi rovinera' la digestione:

"nei rapporti di lavoro dipendente hai posizioni molto simili a quelle marxiste."

Ohibo', nientemeno!!!

No, guarda, le posizioni marxiste sono molto diverse e dovrebbe essere chiaro gia' dalle poche righe che ho scritto, sebbene in uno stile, ahime', piuttosto penoso (chiedo venia). Le posizioni marxiste sono simili a quelle hegeliane del tipo: "la liberta' e' liberta' di obbedire alle leggi". Per liberare i lavoratori dalla loro condizione la trovata geniale del marx e' di trasformare tutti quanti in lavoratori salariati (mai entrato in una fabbrica per lavorarci, pero'!!!).
Io invece sono per l'abolizione totale della schiavitu', punto e basta.

“Non capisco il ragionamento per cui, se uno affitta parte del suo tempo dietro un compenso stabilito a priori sia uno schiavo.”

Direi che e’ facile, definisci schiavo.

“O meglio, non capisco quale sarebbe l'alternativa da te proposta.”

Se non capisci il problema, come si fa ad illustrare qualsiasi alternativa (guarda che non sto prendendo per il sedere: e’ come illustrare un modo di vita alternativo a quelli che non capiscono cosa stia facendo lo Stato per loro).

“Un commerciante. Non si può dire che affitti parte della sua vita (il tempo che trascorre in negozio), ai suoi "datori di lavoro" che sono quelli che comprano i suoi prodotti?”

No, lui della sua vita (a parte tutte le regole e vessazioni imposte arbitrariamente dallo Stato per distruggerlo a favore della solita multinazionale) fa cosa vuole. Incidentalmente ha un prodotto o piu’ prodotti da piazzare e li vuol vendere nella maniera che piu’ gli piace, secondo le regole del mercato, che non esistono e percio’ danno parecchia liberta’ di iniziativa. Se una cosa non funziona ne prova un’altra ed il tempo che spende non e’ necessariamente legato al guadagno che ne ottiene. Direi comunque che anche il commerciante, in un mercato veramente libero, sarebbe una razza in estinzione, a meno che non mi porti le merci con la carovana attraverso il deserto….

“E il compenso che riceve, non è egualmente deciso a priori dalla differenza tra il costo di acquisto e quello di vendita (semplificazione) ?”

Piuttosto grande, la semplificazione: deciso da chi? Mai comprato niente dai marocchini? Quelli sono un esempio di commerciante, non il tizio che in virtu’ della protezione armata dello stato impone un prezzo fisso.

“Ordunque, in questo esempio, il fruttivendolo è un piccolo operaio vessato dal consumatore”

No, a meno che non abbia un solo “consumatore”, il che significa che e’ uno schiavo, non un fruttivendolo.

“Dunque il povero commerciante è schiavo dei capricci del datore di lavoro. Inteso come consumatore.”

Passatemi un asciugamano a tre piazze per asciugarmi le lacrime.
A parte il fatto che il “datore di lavoro” e’ un eufemismo PC che non ho mai capito se mi diverta o mi faccia incazzare, questa favola l’ho sentita da quando sono nato, me la raccontava sempre mio padre nello sforzo di allevare un altro profittatore chiagni e fotti.
Come mai nessuno di quelli che racconta queste panzane vende baracca e burattini per andare a lavorare in fabbrica? Come mai invece sono disposti a pugnalare alle spalle anche la famiglia mettendola nelle grane per generazioni (e guarda che parlo per esperienza vissuta) piuttosto che mollare la presa dal lavoro che li separa dalla schiera degli schiavi?
Il “consumatore” non esiste, e’ un altro termine della NeoLingua che dovrebbe essere ostracizzato (come un altro centinaio di termini analoghi, fanstastica l’idea di Paxtibi di aprire questa serie di post). Il fatto e’ che ci sono invece persone a cui serve un prodotto e sono disposti a spendere piu’ o meno per acquistarlo, punto e basta. Se il prodotto interessa, vendera’, a meno che non ci siano dei rapporti viziati dalla forza.

“Ad esempio, se il commerciante fosse nero, tutto il quartiere potrebbe decidere di "licenziarlo"”

Non e’ proprio esattamente quel che succede ai commercianti marocchini che sono esposti alle angherie di quei mostri dei barbari padani: non mi risulta che li “licenzino” (anche perche’ loro sono liberi ed i padani non se li sono comprati come schiavi), anzi, mi risulta che I marocchini facciano buoni affari, perche’ propongono vendite convenienti per l’acquirente. Mai parlato con un commerciante marocchino? Male, in genere e’ gente cortese ed interessante.

“E' il caso sarebbe paragonabile ad un ricercatore che conosca nei dettagli un progetto remunerativo e , forte di questa conoscenza "ricatti" il datore di lavoro perché un suo licenziamento provocherebbe enormi perdite per lo stesso?”

Ricatti? Se non puo’ fare il padrone perche’ e’ un ciula merita che se lo fottano, altro che ricatti. E’ Padrone per Diritto Divino? Che fine ha fatto l’offera di mercato tra salario e prestazione? Oddio!!!!

“Insomma. Io trovo le posizioni di datori di lavoro e lavoratori abbastanza invertibili, salvo la differente mobilità di capitale e lavoro, ma per il resto molto molto simili.”

Anche le posizioni dei quattro stupratori e della proverbiale ragazzina con le treccine nel vicolo scuro, salvo la differente capacita’ di tirare sganassoni, ma per il resto molto simile.

“Tu invece pike, una volta abolito lo stato Ed il capitalismo, cosa proponi??”
Godersela, e non scherzo.

Per una risposta piu’ articolata su una domandina da niente come quella che mi viene qui posta mi riservo pero’ l’apertura di un mio blog personale….(-:

E’ comunque una costante: anche i comunisti i fascisti ed altri statalisti assortiti ti fanno SEMPRE la stessa domanda, salvo che poi, non avendo capito il problema ti danno sempre dell’utopista o altri epiteti casualmente presi dal cofano degli epiteti a basso prezzo. Penso che terro’ le mie carte coperte ancora per un po’, almeno fino a che un collega gongoro mi faccia una domanda simile dopo avere compreso il mio punto e per genuino interesse nelle cazzate che posso sparare.

Paxtibi said...

Pike sostiene, mi par di capire, che un rapporto di lavoro davvero paritario può essere soltanto quello di associati, come in una cooperativa, in pratica.

Ma, oltre al ragionamento di Libertyfighter che mi pare più che giusto, c'è da dire che non sempre tale rapporto è il preferito: in molti casi (anche a me è capitato, per esempio quando mi sono trasferito in Grecia) si preferisce un posto da dipendente, con un orario più o meno stabile e un salario sicuro ogni mese, alla possibilità – magari più allettante ma sicuramente più rischiosa – di associarsi con altri o semplicemente di lavorare in proprio. In quei casi non mi sono certo sentito schiavo – se non per la consistente fetta di stipendio sottratta in busta – in quanto avevo pattuito da principio le condizioni alle quali cedevo una parte del mio tempo e la mia esperienza, e la sicurezza del salario fisso ogni mese mi consentiva di costruire da zero la mia vita in un paese per me nuovo.

In effetti, quello che volevo far notare sul crollo del potere contrattuale del dipendente, è che l'alternativa di lavorare in proprio o con associati è resa impraticabile dalle barriere fiscali che ne aumentano a dismisura il rischio, e quindi la necessità di possedere un capitale in grado di ammortizzarlo. E quando l'alternativa è un'impresa con scarsissime possibilità di riuscita, è ovvio che anche il peggior lavoro da dipendente gli verrà preferito.

Non c'è dubbio che eliminando tali barriere sarebbero molti di più coloro che preferirebbero aprire la loro piccola attività piuttosto che svendere il loro lavoro ad altri, con l'effetto secondario ma non meno importante di diminuire la manodopera disponibile sul mercato aumentandone quindi il potere contrattuale.

Comunque, il punto è che il profitto rimane una parola positiva...

Pike Bishop said...

“Comunque, il punto è che il profitto rimane una parola positiva..”.

Sicuramente, e non mi sembra che ci sia mai piovuto. Ero semplicemente partito da una frase del tuo post su cui non ero d’accordo.

Come pure non piove sul concetto basilare che hai appena esposto:

“l'alternativa di lavorare in proprio o con associati è resa impraticabile dalle barriere fiscali che ne aumentano a dismisura il rischio, e quindi la necessità di possedere un capitale in grado di ammortizzarlo. E quando l'alternativa è un'impresa con scarsissime possibilità di riuscita, è ovvio che anche il peggior lavoro da dipendente gli verrà preferito.”

Infatti, se posti tra il dilemma se sia meglio morire di fame o essere schiavi (ammesso che il diventare criminale – in ogni senso - ci ripugni), a volte si sceglie la vita, specialmente se ci indorano la pillola NON CHIAMANDO LE COSE COL LORO NOME.
L’esempio di vita vissuta che fai spiega bene la situazione, se pensi di non avere possibilita’ di riuscita (nel tuo caso per problemi ambientali, e’ difficile inserirsi in patria, figuriamoci all’estero, come ben sanno i muratori laureati con la pelle molto scura che lavorano in Italia) ti abbassi alla schiavitu’ volontaria, e sei perfino contento di avere trovato un padrone disposto ad impiegarti.

“Pike sostiene, mi par di capire, che un rapporto di lavoro davvero paritario può essere soltanto quello di associati, come in una cooperativa, in pratica.”

Hai usato Quella Parola!!!!!! C........a porebbe essere la parola esaminata nella prossima puntata!

H.I.M. said...

Vedo che il post è già passato in secondo piano, purtroppo impegni di lavoro mi hanno impedito di replicare in tempi adeguati. Lo faccio ora.

Come osserva libertyfighter il discorso di pike, benché ammantato dalla sicumera con cui mi accusa di credere alle favole, è parecchio contraddittorio come del resto lo sono sempre i discorsi degli antistatalisti contrari al capitalismo. Francamente, sono disinteressato alla polemica su questo terreno, la trovo un’inutile perdita di tempo, un dialogo fra sordi.
Mi limito pertanto ad osservazioni basic.
Delle due l’una: o i CNL (e i salari minimi) sono “un fattore di controllo sociale, un teatrino etc etc” oppure uno strumento coercitivo, odioso perché statale finché si vuole, ma auspicabile e necessario affinché quei mostri di capitalisti il cui vero volto non ci è dato conoscere non possano retribuire i loro dipendenti ancor meno di quanto attualmente fanno.
Chi ragiona in maniera speculativa non può sottrarsi a questa scelta. Le terze vie, le mezze misure, sono pura superficialità.
Per quanto riguarda i salari UK, quello che dice pike non corrisponde assolutamente al vero: già tra il 1850 ed il 1860 i salari dei muratori italiani corrispondevano a circa il 40% di quelli inglesi i quali, tra l’altro, avevano un potere d’acquisto nettamente superiore a quelli italiani (Vera Zamagni, An International comparison of real industrial wages). Dal 1906, anno in cui nacque il sindacato italiano, tale divario aumentò ulteriormente fino ad arrivare ad oggi in cui i salari in Italia (paese più sindacalizzato del mondo) sono i più bassi d’Europa ed esattamente il 50% di quelli inglesi, la cui superiorità non è certo dovuta al “minimum wage”, bensì ad una maggiore flessibilità e ad un potere contrattuale del lavoratore nettamente più incisivo dovuto anche all’assenza di contratti collettivi. Non consideriamo fra l’altro le distorsioni sul costo del lavoro e quindi sui prezzi delle merci e dei servizi che il salario minimo provoca e limitiamoci a dire il potere d’acquisto dei salari italiani si è progressivamente deteriorato proprio a causa di questa artificiosità.

Sul valore legale del titolo di studio l’affermazione secondo cui non sarebbe mai esistito o esistito esclusivamente per i figli delle bidelle meridionali lascia senza parole: mai sentito parlare di Carlo Scarpa?

Piccola parentesi: trovo particolarmente interessante ed utile l’idea di una serie di post sulla Neolingua al fine si smascherare l’uso scorretto di alcuni termini: Laozi diceva che il giorno in cui le parole perderanno il loro significato, l’uomo perderà la sua libertà e, ritenendo che questo triste cammino stia ormai per concludersi, faccio chapeau all’iniziativa di Paxtibi e di chiunque contribuirà nell’impresa.
Solo cerchiamo di non fare “pexo el tacòn del sbrego” (peggio la toppa dello strappo), come si dice in veneto.
Sopra ho parlato di lavoratori dipendenti. Eventualmente, malgrado non esistano sinonimi perfetti (probabilmente perché inutili), avrei potuto dire “subordinati”. Ma parlare di “schiavitù volontaria” è un palese non senso, una cosa impossibile, insomma, una non-verità, se per verità intendiamo tutto ciò che descrive esattamente la realtà.
Difatti, se un individuo viene pagato per essere schiavo di qualcuno, la sua stessa condizione di schiavo richiede che tutto ciò che gli appartiene divenga proprietà del suo padrone, ma essendo quest’ultimo colui che ha pagato significa che pagherebbe se stesso per la schiavitù di un’altra persona. Un non senso, appunto.
In realtà, ciò che avviene tra un lavoratore dipendente ed un datore di lavoro è ben diverso: il lavoratore “vende” temporaneamente il diritto a disporre di sé a delle condizioni ben precise che riguardano l’uso del proprio corpo. Se un datore di lavoro paga 10 € l’ora affinché il lavoratore prenda i sacchi di terra dalla catasta e li metta sul rimorchio del camion, significa che sta cedendo parte della sua proprietà (il denaro) in cambio del diritto di usare parzialmente il corpo del lavoratore -le braccia, le gambe e quel poco di intelletto necessario- a tale scopo. Possiamo dire che in tal modo il lavoratore diventa sua proprietà? No, ovviamente, perché il datore di lavoro non può diventare proprietario assoluto delle braccia, delle gambe e della mente del lavoratore dato che natura vuole che ad un corpo corrisponda una sola mente. E, poiché il lavoratore ha liberamente scelto (l’essere costretto da condizioni sociali e ambientali è una tipica incrostazione concettuale marxista) di prestare la sua opera come controparte di un pagamento, ciò significa che egli ha usato le proprie facoltà mentali per uno scopo da lui stesso stabilito, ovvero lavorare per essere retribuito, poco o tanto non cambia nulla, o meglio ha importanza solamente nel caso in cui il valore di questo scambio sia fissato da soggetti estranei all’operazione, come avviene appunto nel caso del salario minimo per legge.

Detto questo, almeno per quanto mi riguarda, è certamente preferibile che si creino figure professionali autonome a tutti i livelli, anche nella manovalanza. Tuttavia, anche se ciò avvenisse, non avremo risolto definitivamente il problema. Cosa accadrebbe infatti in quei settori in cui determinate prestazioni sono richieste solo per brevi periodi dell’anno o che per cause di forza maggiore non necessitano di lavoratori professionisti ma solamente di figure prive di specializzazione come avviene proprio con gli immigrati?
Introducendo “professionisti” laddove non necessari aumenterebbero notevolmente i costi della produzione e quindi i prezzi, abbassando la competitività dei prodotti e causando infine disoccupazione. Questo significa che forme di lavoro subordinato sono inscindibili dal principio di divisione del lavoro che poi è uno dei cardini della società libera.

Non solo, ma dato che nelle parole di pike risuona in più occasioni una certa sensibilità verso gli immigrati, forse è opportuno ricordare che il premio Nobel Milton Friedman ebbe modo di ammonire su come le leggi a favore dei salari minimi possano essere anche razziste: nel Sud Africa dell’apartheid, i minimum wages voluti dai sindacati fecero sì che i lavoratori neri privi di specializzazione non potendo competere con quelli specializzati, erano costretti ad accettare l’unica condizione a cui poter essere assunti: una retribuzione inferiore a quella minima stabilita per legge.

Mi scuso con il proprietario del blog per la lunghezza della replica, ma… tanto dovea.

Pike Bishop said...

sono disinteressato alla polemica su questo terreno, la trovo un’inutile perdita di tempo, un dialogo fra sordi

E’ una costante che pero’ risulta stupefacente ogni volta: quando qualcuno ribatte ad affermazioni che reputa non rispondenti alla realta’ dei fatti e basate sulla fede in un sistema a cui la realta’ si dovrebbe piegare e non viceversa (favole, dunque) il fedele credente nella bonta’ della sua teoria, a prescindere dal fatto che sia non solo eticamente discutibile, ma anche sconfessata dai fatti, parla invariabilmente di “polemica” e “dialogo fra sordi”. Questa reazione probabilmente e’ il frutto della poca dimestichezza nei confronti del dialogo contraddittorio che deriva dalla pratica piuttosto triste di entrare in locali pubblici ormai intruppati in mandrie omologhe i cui componenti parlano solo fra di loro e non singolarmente, come ai vecchi tempi, per discorrere degli argomenti piu’ vari con chiunque stazionasse in cerca anche lui di interlocutori che non rispondessero invariabilmente ai codici ed alle consuetudini del branco.

ammantato dalla sicumera con cui mi accusa di credere alle favole

HIM, a mio parere tu CREDI ed il credere presuppone un atteggiamento fideistico e gli atteggiamenti fideistici sono invariabilmente il risultato della assimilazione di FAVOLE.
Naturalmente chi crede a Babbo Natale o alla Verginita’ della Madonna deve per forza catalogare chi gli fa notare come siano solamente favole in qualche tipo di categoria di peccatori alcune di tipo francamente sorprendente come: “antistatalisti contrari al capitalismo” (che non pare migliore di “islamofascisti”). Nemmeno per un momento si pensa di avere a che fare con individui che non sono intruppabili in nessuna categoria pret-a-porter o inventata di sana pianta che sia.

Delle due l’una: o i CNL (e i salari minimi) sono “un fattore di controllo sociale, un teatrino etc etc” oppure uno strumento coercitivo, odioso perché statale finché si vuole, ma auspicabile e necessario affinché quei mostri di capitalisti il cui vero volto non ci è dato conoscere non possano retribuire i loro dipendenti ancor meno di quanto attualmente fanno…Chi ragiona in maniera speculativa non può sottrarsi a questa scelta. Le terze vie, le mezze misure, sono pura superficialità

Ed ecco qui una dimostrazione classica: l’aut-aut. E’ uno strumento autoritario e propagandistico classico ( lo usa persino GWB, che non e’ una cima) per decidere per tutti cosa sia possibile esprimere in maniera circoscritta alle categorie decise dal creatore dell’aut-aut. La forca logica. Non vuoi andare in padella? Buttati nella brace.
Naturalmente, di solito, le cose non si conformano ai ragionamenti binari e’ questo caso non e’ una eccezione: in quanto sarchiaponi propagandistici i salari minimi non sono che una foglia di fico, senza la quale si rivelerebbe la pochezza del capitalismo, nemmeno capace a curare i propri interessi e lo stato democratico , come al solito, viene in soccorso al povero capitalista (che ha bisogno dello stato cosi’ come lo stato ha bisogno di lui per vivere e crescere come un cancro alle spese dei “cittadini”) provvedendo la foglia di fico che spinge il beota votante alla considerazione di essere nel migliore dei regimi possibili. Infatti I seguenti esempi forniti da HIM non esemplificano un granche’:

già tra il 1850 ed il 1860 i salari dei muratori italiani corrispondevano a circa il 40% di quelli inglesi i quali, tra l’altro, avevano un potere d’acquisto nettamente superiore a quelli italiani (Vera Zamagni, An International comparison of real industrial wages). Dal 1906, anno in cui nacque il sindacato italiano, tale divario aumentò ulteriormente fino ad arrivare ad oggi in cui i salari in Italia (paese più sindacalizzato del mondo) sono i più bassi d’Europa ed esattamente il 50% di quelli inglesi, la cui superiorità non è certo dovuta al “minimum wage”, bensì ad una maggiore flessibilità e ad un potere contrattuale del lavoratore nettamente più incisivo dovuto anche all’assenza di contratti collettivi

Non conosco il testo citato, ma come tutti i testi di fuffa sociologica (le scienze, si fa per dire, sociali) che si basano su dati che non danno MAI un affresco complessivo della situazione, non e’ affidabile. Perche’??? Perche’ le condizioni della classe lavoratrice britannica sono sempre state e sono ancora di gran lunga peggiori di quelle della classe lavoratrice italiana e lo sono tuttora. Io in Gran Bretagna ci abito da piu’ di un decennio, e non ho mai visto in Italia nessun lavoratore condurre una vita miserevole quanto quella dei lavoratori inglesi. Persino I colletti bianchi non se la cavano bene: per cavarsela bene su di qui bisognerebbe guadagnare molto, ma molto di piu’ che in Italia, e il fatto che si guadagni il doppio e’ una cazzata incredibile. Infatti basterebbe solo chiedere alle migliaia di giovani impiegati che si sono trasferiti su di qui in cerca del Paese del Bengodi e che sono invariabilmente tornati a casa con la coda in mezzo alle gambe e senza avere risparmiato una lira.
Naturalmente si puo’ sempre dire: “le fonti”!!! Se non e’ scritto su un libro (o su un website) non puo’ essere vero. Ma si consideri che anche i fratelli Grimm scrivevano libri. Solo per rimarcare la dose, in qualche isola sperduta delle isole britanniche la minimun wage e’ stata introdotta solo un paio di anni fa e c’erano delle persone che prendevano £2.50 all’ora, quando 5 arance costano 2 sterline, un affitto in un buco malsano e umido mai meno di £750, una pinta di latte £1.65 e il riscaldamento (perenne) ancora piu’ che in Italia. Alla faccia.

parlare di “schiavitù volontaria” è un palese non senso, una cosa impossibile, insomma, una non-verità, se per verità intendiamo tutto ciò che descrive esattamente la realtà

Per chi non avesse mai, come milioni di sciagurati, lavorato in una piccola ditta con mansioni generiche consiglio di provare, e’ molto piu’ istruttivo che leggere libri fatti da gente che non ha mai lavorato da dipendente neanche una mezza giornata. Inoltre e’ evidente che il servizio militare volontario, tanto per fare un esempio lampante, secondo lo stesso metro di giudizio e’ una cosa impossibile, insomma una non verita’ e non esiste nella realta’. Complimenti.

il lavoratore “vende” temporaneamente il diritto a disporre di sé

Stupendo, non e’ cieco, e’ non vedente quindi se ridiamo quando cade in un fosso non stiamo ridendo della sua persona, ma solo dello specifico caso per cui non vede in quella specifica situazione e siamo assolti. Il non chiamare le cose (schiavitu’) con il loro nome esaltato a modo di vivere.

Il lavoratore ha liberamente scelto (l’essere costretto da condizioni sociali e ambientali è una tipica incrostazione concettuale marxista)

E’ vero, anche quando scegli di salire sul vagone bestiame in quanto pungolato da una baionetta hai liberamente accettato un passaggio ferroviario: l’essere costretto da condizioni sociali e’ una tipica incrostazione concettuale marxista. Neanche Berlusconi si sarebbe mai spinto fino a questo punto.

Cosa accadrebbe infatti in quei settori in cui determinate prestazioni sono richieste solo per brevi periodi dell’anno o che per cause di forza maggiore non necessitano di lavoratori professionisti ma solamente di figure prive di specializzazione come avviene proprio con gli immigrati?
Introducendo “professionisti” laddove non necessari aumenterebbero notevolmente i costi della produzione e quindi i prezzi, abbassando la competitività dei prodotti e causando infine disoccupazione. Questo significa che forme di lavoro subordinato sono inscindibili dal principio di divisione del lavoro che poi è uno dei cardini della società libera


Libera, ma solo per qualcuno, le figure prive di specializzazione non meritano considerazione, e’ gentaglia.

le leggi a favore dei salari minimi possano essere anche razziste: nel Sud Africa dell’apartheid, i minimum wages voluti dai sindacati fecero sì che i lavoratori neri privi di specializzazione non potendo competere con quelli specializzati, erano costretti ad accettare l’unica condizione a cui poter essere assunti: una retribuzione inferiore a quella minima stabilita per legge

Questa e’ una sparata incredibile, notare la logica: dato che esiste una retribuzione minima di legge, si e’ costretti ad infrangere la legge per pagare di meno e la colpa e’ della legge, perche’ se non ci fosse stata li avrebbero pagati di piu’ (o magari perche’ non si sarebbe infranta la legge?). Solo un economista puo’ essere cosi’ insensibile alla logica.
E’ incredibile come ci si arrampichi su qualsiasi superficie a specchio pur di sostenere una tesi preconfezionata che assume la valenza di credo: la nuova religione modernista, non differente da quella marxista. Tutto inevitabilmente si mettera’ a posto, basta seguire la teoria che e’ giusta perche’ mi hanno sempre detto che e’ cosi’.
A questo punto mi arrendo. Ci sarebbe molto da scrivere sull’etica del capitalismo (inesistente) e su altri temi interessanti come la distinzione tra homunculus pecoronis, hominunculus economicus e uomo libero, ma dato che l’uditorio, anche qui purtroppo piu’ abituato alle favolette (liberiste piuttosto che marxiste, il risultato non cambia), mi sembra giusto non sprecare il mio tempo piu’ oltre.

Ringrazio Paxtibi per l’opportunita’ datami nell’esprimere alcuni distinguo in un ambiente che sento piu’ vicino al mio modo di vedere di molti altri e che spero non si trasformi in una cricca di persone che si uniformano ad un credo accettandolo come verita’ di fede: il vero gongoro non e’ un seguace, e’ un libero pensatore incompreso, perche’ parla di cose che gli altri non vogliono vedere e, qualora le vedessero, cercherebbero di non vedere.

Pike Bishop said...

Per dare un'idea piu' completa sulla differenza (non grande dal punto di vista del lavoratore) tra schiavo e operaio, ecco un brano da Queimada del grande Pontecorvo in cui Marlon Brando spiega perche' gli operai sono da ritenersi piu' convenienti per il capitale e per fare un esempio lampante domanda ai latifondisti di un'isola caraibica del XIX secolo: cosa e' piu' efficiente dal punto di vista economico, una puttana o una moglie? Buona Visione:

http://www.youtube.com/watch?v=hSTl7HUXQnI

PS
Il film e' una chicca vi si trova anche il punto di vista dell'ex schiavo divenuto salariato. Da non perdere.

Anonymous said...

Pike .. Senza offesa...
Mi passi il telefono del tuo pusher?
Per fortuna la maggior parte delle repliche alle tue affermazioni le ha già fatte lui.
Sinceramente:
Fai dei ragionamenti contorti e senza senso supportati solo da una dialettica che rende quasi incomprensibili le frasi. Ti consiglio di schiarirti la mente, accorciare i periodi, e leggerti pure qualche buon libro di Economia Austriaca.

Tra lavoratore e schiavo sussiste la principale differenza che il lavoratore può smettere di lavorare, prendere una canna da pesca ed andarsene a vivere da solo nei boschi, senza essere schiavo di nessuno.
Lo schiavo non può.
Che poi il lavoratore preferisca affittare parte del suo corpo ad ore, allo scopo di ottenere beni che con una canna da pesca e da solo non potrebbe procurarsi, è una sua libera scelta.
Il mercante dal canto suo, non si trova "incidentalmente" con dei beni a disposizione. Quei beni sono frutto di tempo (e quindi vita) impiegati a comprarli e trasportarli e necessitano di altro tempo (e quindi vita) per venderli.
E il mercante, secondo la tua definizione, sarebbe esattamente uno schiavo dei consumatori (anzi no coloro che comprano, altrimenti tu dai in escandescenze). Perché baratta la sua vita (il tempo), in cambio dei soldi che "coloro che comprano", SE vogliono, gli danno.
Anzi, a differenza del lavoratore dipendente, il mercante anticipa il lavoro accumulando i beni in questione, trasportandoli e cercando di venderli. Ma nessuno gli garantisce che realizzerà un profitto, a differenza del lavoratore dipendente.

Ancora.
Il barista del mio paese ha chiuso il bar e se ne è andato in fabbrica....
E ti giuro che guadagnava tanto.

"
Solo dei veri collaboratori liberi di scambiare servizi e beni sul mercato E NON PARTE (o tutta) DELLA LORO VITA possono avere un rapporto con dinamiche dipendenti dalla domanda e offerta del mercato.
"



I beni sul mercato che secondo te devono essere scambiati senza scambiare parte della propria vita, non esistono, perché i beni devono essere prodotti, e per produrli ci vuole TEMPO.
E qualche stronzo sulla faccia della terra, in qualunque modo tu voglia organizzare la società, questo tempo ce lo deve mettere.
Il lavoro non è altro che una merce come un' altra. E si contratta e si vende.

Paxtibi said...

Oops... ma qui il dibattito continua! Datemi tempo di leggere con calma poi magari dico la mia (se può servire).

Pike Bishop said...

Libertyfighter

Il numero del mio pusher non te lo passo, ma uscire con ogni mezzo dagli schemi mentali consolidati dall'educazione tipica ti farebbe bene. Sono invece molto soddisfatto che la critica che mi fai e' sia prima di tutto stilistica, perche' significa che non hai molto a cui appigliarti. Inoltre evidentemente ritieni di aver capito cosa volevo significare, quindi lo stile e' servito (tra l'altro, leggere qualche libro oltre alla fuffa sociologica ti gioverebbe, spezzetti il discorso con periodi troppo brevi :-) )

Quello invece che continui a non capire e' che gli schiavi salariati anche se non sono in catene non possono prendere la canna da pesca e andare a pescare perche' le loro catene sono psicologiche, familiari, sociali e in ultimo legali. Il sistema democratico e' fatto apposta per tenere a bada il gregge di coloro che producono: se vogliono lasciare il migliore dei sistemi possibili e fare gli "indiani bianchi" verranno prima ridicolizzati, poi sanzionati e infine fatti sparire nei modi e luoghi che sono di uso al momento corrente.

Il mercante, invece, e' un giocatore d'azzardo e, in quel senso il tempo che usa per il suo lavoro e' un tempo dedicato al suo hobby, e non solo spesso non viene percepito come gravoso, ma e' tempo della sua vita, che ha scelto di utilizzare in quella maniera perche' ha deciso di speculare (il commercio non speculativo non esiste, e' una leggenda) sui bisogni o sui desideri, primari o meno che siano, delle altre persone.
Non sta svolgendo un servizio, checche' se ne dica, ma capisco che su questo punto si possano avere delle opinioni diverse, specie se si e' stati abituati a concepire quelli che in una societa' libera sarebbero rami secchi come ruoli normali e necessari.

Tu mi parli del Bar. A parte il fatto che il barista di cui parli magari incassava molto, ma non credo che stesse guadagnando in maniera soddisfacente (gestire un bar e' una rogna incredibile e tutti credono di essere capaci a farlo, mentre in realta' pochi sono in grado), il barista NON E' un commerciante, perche' produce un servizio ed usa il suo tempo per servire il pubblico includendo pero' nel suo servizio anche beni che incasinano il tuo punto di vista sulla sua reale situazione lavorativa. Io ho fatto il barista (ho anche avuto un Pub ed un Ristorante)e posso capire che se non si guadagna molto bene si sia propensi ad evitare quel lavoro, ma questo non ha niente a che vedere col discorso che facevo sul commercio e sull'impresa privata.

Il lavoro NON E' una merce come un'altra. E' chiaro che per produrre qualsiasi cosa ci vuole tempo, ma se vendi tempo (e braccia gambe e cervello)sei uno schiavo.
Mi pare un fatto cosi' evidente che sono persino in imbarazzo o doverlo spiegare, come sarei in imbarazzo a spiegare che chi ruba e' un ladro.
Il lavoro e il tempo utilizzato per il lavoro e' la tua vita. Il tempo inoltre, in se stesso, non e' quantificabile e i sistemi per misurarlo sono del tutto convenzionali.
A questo proposito, per completare la tua educazione ti invito a vedere il filmato di un discorso sul tempo di una delle menti piu' eclettiche del secolo scorso: http://www.youtube.com/watch?v=rTaklXTSDPE
E' in due parti, la seconda: http://www.youtube.com/watch?v=Zr3mBf-Uly0&mode=related&search=
Buona visione.

Anonymous said...

Dunque. Prima di tutto ho notato che nessuno di noi due è soddisfatto di come scrive l'altro. :)

"non possono prendere la canna da pesca e andare a pescare perche' le loro catene sono psicologiche, familiari, sociali e in ultimo legali
[cut...] infine fatti sparire nei modi e luoghi che sono di uso al momento corrente."

Scusa ma non capisco. Le "catene psicologiche, familiari sociali e legali" non hanno impedito ai miei parenti di emigrare e abbandonare i genitori , di cambiare stato e dunque cambiare le catene legali, di impiegare diversamente il loro tempo.
Continuo poi a non capire perché queste catene non agiscono invece sul mercante. Non ha legami familiari? Non è soggetto a leggi? Non ha una sua psicologia?
E allora perché queste catene non lo imprigionano come colui che vende il proprio tempo??

Sul fatto che il mercante speculi, sfondi una porta aperta. Solo che io sono consapevole che la speculazione è un termine positivo. Tu invece lo interpreti come un termine negativo.
Il fatto che il proprietario di un bar non sia un commerciante poi mi perplime alquanto.

Rimane sempre il problema che hai aggirato.
Se nessuno impiega il proprio tempo per produrre, in modo tale da non diventare "schiavo", come si sostenta l'umanità???
Quale è la tua visione di società?
Forse quella senza divisione del lavoro, nella quale cacci il bisonte con una lancia autointagliata da un ramo di albero???
No vorrei capire il tuo punto di vista.
Credi che i beni esistano aprioristicamente o che non siano utili o necessari? Nel secondo caso, credi che il tuo giudizio di valore su questi beni sia lo stesso del resto delle persone?
In sostanza, mi sembra che tu sia anti-statale. Anti-Capitalista. Anti -

Ma non ho ancora capito, e te lo ripeto, come funzionerebbe la vita umana nella tua personale visione del mondo.
Se sei in grado di spiegarmela, magari poi ti do ragione e mi
"converto". Viceversa, sto tanto bene con le mie brave teorie libertarie....

Paxtibi said...

Beh, io devo dire che a me piace come scrivete entrambi (e anche come scrive H.I.M. per la verità) ed ero tentato di lasciarvi continuare da soli...

:-)

Ma alla fine non ho resistito e ho detto la mia, sotto forma di post.

Anonymous said...

Io penso che il lavoro salariato sia una forma di schiavitù e di latifondismo, ma in realtà il problema ha origine nel denaro stesso, che non dovrebbe esistere. Dovremmo tutti vivere dei Frutti che ci dona la Terra, spontaneamente.

Premesso che il lavoro salariato è schiavitù, com'è che bisogna metterlo nel culo al lavoratore una seconda volta, tassando il reddito, ed una terza, tassando gli acquisti, ed una quarta, con le accise, ed una quinta, con i contributi, ed una sesta, per costruire l'ennesimo fottuto campo nomadi e "liberare" l'ennesimo sporco lurido inutile angolo di mondo pieno di altrettanto inutile sabbia?