Saturday, July 14, 2007

Libera difesa


L'idea di questo blog, come credo sia per tutti, era di scrivere in libertà seguendo l'ispirazione del momento. Già al terzo post mi trovo invece a seguire gli spunti provenienti dai commenti dei lettori, che non si limitano ad approvare o dissentire ma pongono domande a cui è impossibile rispondere nel giro di poche righe. Ora, io sarei dell'idea che ciascuno dovrebbe innanzitutto provare a rispondere da solo alle domande che nascono in lui, ma poco male, in fondo il viaggio solitario del gongoro dura da tanto tempo da avergli fatto quasi perdere il senso dell'orientamento, ben vengano quindi queste pungolature che lo guidano come un grosso pachiderma, tanto più che lo spingono in territori che avrebbe senz'altro visitato, perché tutti confinanti. La questione stavolta riguarda la difesa, per la precisione la difesa dall'aggressione esterna:
Come potrebbe resistere una tale società libera dalle pressioni esterne? Il potere in fuga certamente cercherebbe di schiacciarla nuovamente, e il potere in quanto tale tremerebbe di paura al solo pensiero che le proprie greggi possano seguire tale esempio.
Ora, per quanto logica potrebbe sembrare questa domanda, bisognerebbe però chiedersi quali e quanti siano stati i successi della macchina bellica statale quando si è confrontata con una resistenza diffusa nel tentativo di occupare un territorio straniero: nel lungo termine, praticamente nessuno. Certamente tale forma di difesa comporta un pegno in vite umane non indifferente, ma il vantaggio strategico del difensore – in un territorio che conosce a perfezione – e quello psicologico di chi difende la propria libertà, la sua casa e i suoi cari si è dimostrato un ostacolo insormontabile anche per chi può disporre di un numero spropositato di armamenti. In una società libera, in cui cioè la responsabilità ed il diritto alla difesa sono restituiti al singolo individuo, ciascuno è preparato in qualche misura alla resistenza contro un aggressore, perché sa di non potersi affidare ad un soggetto fuori dal suo controllo e dal suo raggio d'azione qual è l'esercito statale. Questo non significa ovviamente che la difesa contro un eventuale stato invasore dovrebbe essere affidata soltanto alla buona mira di singoli disorganizzati: milizie volontarie potrebbero essere organizzate, sotto la supervisione di professionisti esperti, con un arsenale ad hoc assemblato grazie a versamenti volontari.

Ma la capacità di una società libera di difendersi dalle aggressioni esterne non si limita alle milizie volontarie e alle tecniche di guerriglia, che certamente sono più efficaci allorquando l'invasore ha già occupato il territorio da difendere. C'è la necessità della difesa dei confini (e nella guerra moderna, ovviamente, anche dello spazio aereo), indispensabile per evitare di coinvolgere immediatamente la popolazione civile nel conflitto. A questo proposito è bene tenere a mente che una qualsiasi eventuale società libera, nella situazione presente, nascerebbe imprenscindibilmente dalle ceneri di uno stato, e si troverebbe quindi praticamente in casa una vasta struttura militare composta di professionisti, che a questo punto sarebbe da considerarsi privata: chi la gestisse non renderebbe più conto a pochi individui dotati di autorità, ma alla popolazione stessa, e sarebbe quindi da quel momento in poi responsabile in prima persona di gestire le risorse umane, materiali ed economiche a disposizione orientandole esclusivamente alla difesa, di raccogliere contributi volontari per mantenere la sua forza attiva ed efficiente, di organizzarsi quindi come una qualsiasi agenzia privata soggetta al diritto di contratto ed alla concorrenza. Anche nel campo della difesa, infatti, l'efficienza e la sostenibilità sono garantite meglio da diverse agenzie specializzate (per diversità di compiti e di territorio) che da un monopolio, e sono gli stessi militari a confermarlo, seppur indirettamente:
Nella nostra storia nazionale (non troppo lunga, ma ormai nemmeno tanto breve) la politica estera si è sempre addentrata con una certa leggerezza in percorsi irti di problemi militari, ma non ci è mai stato un effettivo raccordo istituzionale tra le alte sfere militari e il governo. Peggio: molto spesso le relazioni dipesero dai rapporti personali tra gli uomini in carica di volta in volta, con l'ovvia conseguenza che i mutamenti di persone trascinavano spesso con sé cambiamenti d'indirizzo e di programmi. Il potere politico non era interessato alla strategia militare, e perciò neppure alla politica militare e ai suoi programmi. Al più i politici davano un'occhiata incompetente e imbarazzata in queste materie per autorizzare o negare le relative spese.
Del resto se un assunto è vero lo sarà in ogni campo di applicazione, se quindi
ogni “monopolio” è “cattivo” dal punto di vista dei consumatori. Il monopolio qui è inteso nel suo senso classico, come esclusivo privilegio assegnato ad un singolo fornitore di un prodotto o di un servizio; quindi, come assenza di “libero ingresso” in una particolare linea di produzione. Cioè soltanto un'agenzia, A, può produrre un dato bene, X. Qualsiasi monopolista è “cattivo” per i consumatori perché, protetto dall'ingresso di nuovi potenziali concorrenti nella sua zona di produzione, il prezzo del suo prodotto X sarà più elevato e la qualità di X più bassa che altrimenti.
Allora anche nel campo della difesa una forza difensiva composta da diverse agenzie specializzate e professionali sostenute volontariamente, da una quantità di milizie fortemente legate al territorio, e dalla stessa volontà di resistenza di ogni singolo individuo può rivelarsi più efficace, e decisamente più economica del moloch bellico statale. Una conferma sembra arrivare inaspettatamente proprio dagli sviluppi del conflitto più sanguinoso dei nostri tempi, quello in Iraq, dove una popolazione ben decisa a non sottomettersi alla più imponente forza militare del mondo sta trasformando inesorabilmente l'occupazione USA in un'impresa impossibile da mantenere, provocando sempre più dissenso oltreoceano e nel resto del mondo. Tanto che gli occupanti, nonostante le enormi spese per mantenere un dipartimento della difesa elefantiaco, sono costretti – sorpresa! – a rivolgersi al libero mercato:
Stime recentemente rivelate mostrano che il numero degli appaltatori privati in Iraq pagati dagli Stati Uniti eccede quello delle truppe americane, sollevando nuove questioni circa la privatizzazione dello sforzo di guerra e della capacità del governo di effettuare campagne militari e di ricostruzione.
Più di 180.000 civili – americani, stranieri ed iracheni – stanno lavorando in Iraq sotto contratto con gli Stati Uniti, secondo le stime dei dipartimenti di Stato e della Difesa ottenute dal Los Angeles Times.
Compreso il recente invio di truppe, 160.000 soldati e poche migliaia di impiegati civili di governo sono stazionati in Iraq.

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