Sunday, May 9, 2010

La grande crisi finanziaria fiorentina

A Laputa si trova un ricco archivio di antichi documenti, testimonianza di storie ormai quasi dimenticate, ma utili per capire che tutto il mondo è paese, che la storia si ripete, e che in fondo i luoghi comuni hanno una loro ragion d'essere.

Nel suo dispaccio di oggi, il nostro inviato dall'isola volante ci rende partecipi di una di queste vicende, in cui si intrecciano le vite e le ricchezze di tre centri di potere del passato (e, almeno in un caso, anche del presente): Venezia, Firenze e Londra. Una pagina di storia economica più attuale di quanto potrebbe apparire di primo acchito.

Buona lettura a tutti voi, e un augurio a tutte le mamme!
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Di Giovanni Pesce


Intorno al 1345 due case bancarie fiorentine i Bardi (gennaio 1343) e i Peruzzi (ottobre 1343 e 1346), a causa di un’improvvisa mancanza di liquidità, entrarono in crisi e finirono in bancarotta.

La V.U. (versione ufficiale, ndr) ci racconta che le due banche avessero concesso prestiti al Re d’Inghilterra senza adeguate garanzie, così quando quest’ultimo rifiutò il pagamento concordato, giustificandosi con l’urgenza di organizzare la guerra dei Cent’Anni con la Francia, le agenzie inglesi delle due banche andarono verso il fallimento.

Nonostante esistesse un vincolo di mutuo soccorso , che legava tutte le filiali e che avrebbe dovuto garantire in teoria il buon funzionamento del sistema bancario, non fu possibile alcun salvataggio; questo vincolo, invece, si trasformò in un meccanismo di perdizione che, ad una ad una, portò alla bancarotta tutte le filiali in “franchising”della banca.

Fin a qui la storia raccontata sembra corretta; ma il “dark side” è un altro.

La vicenda economica inizia con il religioso intento, da parte dei banchieri fiorentini, di evitare il peccato di usura; con tal intendimento l’ostacolo dell’usura veniva aggirato chiedendo in restituzione dei soldi prestati, merci o servizi particolarmente remunerativi, come quello di “privatizzare” le entrate dello stato o quello di esercitare il monopolio privato della produzione delle merci più importanti (gli alimentari, la lana ed i tessuti, le ferramenta, il sale) che altrimenti sarebbero state esclusivamente prodotte sotto un sistema di licenze e di tassazione reali o nazionali.

Infatti i Peruzzi, da parte loro, possedevano tutti i diritti sulle entrate del Regno di Napoli, controllavano l’esercito di quel regno, riscuotevano tasse e gabelle, nominavano funzionari e soprattutto vendevano tutto il grano prodotto nel regno di re Roberto.

Invece, la merce principale trattata dai Bardi era la lana; la compravano in Inghilterra, la trattavano in Toscana e poi rivendevano i tessuti.

La lana proveniva dalle colline inglesi dove i frati Cistercensi (monaci bianchi) pascolavano le pecore e ne commercializzavano la lana, nonostante ci fosse un’azione di contrasto da parte del Re che talvolta concedeva a dei mercanti esportatori di lana (noti più tardi come Compagnia dei Cernitori di lana Staplers) dei privilegi di monopolio.

I commercianti italiani anticipavano volentieri ai frati i denari di gran parte della produzione dei prossimi “raccolti,” posizionandosi finanziariamente tra i creditori. I guadagni erano notevoli per entrambe le parti e c’era abbastanza margine per “tenera la botta” in caso d’incidente finanziario; tra l'altro Bardi, Peruzzi e Re d’Inghilterra si scambiavano regolarmente truffe e scorrettezze reciproche.

Nei primi anni della Guerra dei Cent’anni, a partire dal 1339, i banchieri fiorentini resisterono ai mancati pagamenti del Re d’Inghilterra e il loro crollo iniziò solo a partire dal 1343.

Dal punto di vista di finanza “cattolica,” vediamo come sia i Bardi che i Peruzzi, da buoni devoti “guelfi bianchi,” si fossero fatti costruire due cappelle “di famiglia” in Santa Croce a Firenze ed avessero scelto come decoratori personaggi del calibro di “Giotto da Bondone” e Maso; i soldi non mancavano, tra l'altro Beatrice Portinari, fiamma del buon Dante Alighieri, guelfo bianco, andò sposa ad un Simone de’ Bardi.

I banchieri veneziani, invece in combutta con il Vaticano, in quel periodo rastrellarono liquidità (monete d’argento) per poter commerciare con l’Oriente e “volutamente” crearono difficoltà alla circolazione di denaro nell’Europa Continentale.

La guerra dei fiorentini per il possesso di Lucca drenò altra liquidità nel mercato interno fiorentino ed astutamente i venexiani, diffusero ad arte la notizia della difficile solvibilità delle due case fiorentine; pertanto coloro i quali avevano depositi presso le due banche, presi dal panico, ritirarono i loro denari facendo saltare i due banchi. Il mercato delle monete passò in quegli anni sotto il controllo della Serenissima.

A Firenze, Aghinolfo, Sozzo e Rubecchio (che nomi! ndr) Bardi, dopo la bancarotta del 1343, cercarono di rifarsi organizzando un sistema di produzione di monete false, furono scoperti ma non furono condannati.

Il cronista dell’epoca (G. Villani) non indagò nel vero meccanismo di movimenti economici e si accontentò di una spiegazione “inglese” della crisi delle banche fiorentine. La “sapienza” venexiana probabilmente suggerì questa versione della vicenda.

Immediatamente dopo la crisi delle finanze fiorentine, iniziò un periodo di carestia e subito dopo la Peste Nera.

Qualche secolo dopo, i Lehman Brothers iniziarono la loro attività negli USA puntando molto sul commercio del cotone…e... il resto lo sapete.

6 comments:

Anonymous said...

Molto bello.
Ti invio questo http://nsdottorx.blogspot.com/2009/12/il-tumulto-dei-ciompi-firenze-1378.html
che lessi tempi fà.

Tutto come ora, come ben descrive ad esempio Huerta a pag 75 con il fallimento dei Medici a Firenze.

Il Folletto

GianniPesce said...

E' mia opinione che la cacciata degli Ebrei dalla Spagna nel 1492 sia in realtà una cacciata dei "creditori".

Utilizzando quella formula della cacciata, gli Spagnoli hanno evitato il rimborso dei prestiti.

Non ho, in merito, alcuna prova, nè pezza d'appoggio.

Ciao

rumenta said...

pare che anche la caduta della Repubblica di Genova sia stata causata per azzerare i debiti che le case regnanti europee avevano con il Banco di San Giorgio.

GianniPesce said...

San Giorgio?

Quello che compare sulle sterline-oro?

rumenta said...

probabile, considerando che i genovesi vendettero (almeno così ho sentito dire) lo stemma del santo agli inglesi, e che la croce di San Giorgio sulla bandiera è la stessa dello stemma araldico della Repubblica di Genova.
considerando gli stretti rapporti che l'inghilterra ha sempre avuto con Genova (fu un ammiraglio inglese a restituire la sovranità a Genova l'indomani della cacciata delle truppe napoleoniche), non mi sembra così improbabile....

GianniPesce said...

A Firenze avevo un compagno di scuola che abitava a "Costa San Giorgio n.1", un posto incredibile, "sopra" Forte Belvedere.

Al numero 19 ci abitava Galileo Galilei!

Insomma, San Giorgio era di casa anche a Firenze.