Friday, March 7, 2008

Lord Solly “Strangelove” Zuckerman

Il Gongoro per il momento blogga da un internet cafè, ma i dispacci telepatici da Laputa arrivano comunque puntuali come al solito. L'indagine di questa settimana ci introduce nel magico mondo della celluloide: mezzo di riproduzione artistica, regno della fantasia o qualcosa di più?

Il corrispondente da Laputa cerca una risposta negli indizi sparsi nel film di Stanley Kubrick “Dr. Stranamore,” il classico dei classici del cinema cospirazionista. I risultati della ricerca, manco a dirlo, sono alquanto intriganti.

Con questo
è tutto, dall'internet cafè in cui si trova il Gongoro augura a tutti uno stimolante fine settimana e una buona lettura, sorseggiando del buon caffè turco (ricordatevi di attendere un paio di minuti che il fondo si depositi, una regola che torna buona anche prima di parlare).
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Di Giovanni Pesce

Uno dei quesiti insoluti del “Dr. Stranamore” interpretato da Peter Sellers nel film omonimo è relativo all'identificazione del personaggio “reale” rappresentato nel film.
Dato che il film apparteneva al genere “black comedy,” ovvero una rappresentazione umoristica di un pesante evento sociale, molto probabilmente anche i personaggi dello sceneggiato vengono dal mondo reale.

Chi sono molti articoli sul tema “Who was Dr Strangelove”, ma uno in più non guasta.

Iniziamo dall'inizio, come nelle migliori tradizioni del metodo scientifico applicato di Laputa.

Già il titolo “Dr.” si presenta come un “false friend” linguistico; infatti è qualcosa di diverso dall'italinissimo “Dottore;” nel mondo USA il Doctor è un titolo per un personaggio importantissimo della politica, tipo il Segretario di Stato o il ministro della Difesa; infatti Condoleeza è “Dr. Rice.”
Così i primi indizi ci portanno a puntare a personaggi come Dr. Kissinger oppure a Dr MacNamara, pezzi da novanta della politica.
Tutti questi ragazzi hanno la tessera della associazione del circolo culturale “Gli Amanti della Filosofia”: Phi Beta Kappa (La Filosofia [Phi] Governa [Kappa] la vita [Beta]).

Dal punto di vista teatrale, Kubrick ci ha svelato che la macchietta del tipetto “tedesco” con quella parlantina “tedesca” gli è stata suggerita dai suoi contatti con il paparazzo “tedesco” che negli anni 40-50 seguiva per i giornali di New York la cronaca nera; tralaltro anche Stanley proveniva da quell'esperienza da fotografo di cronaca.

Dal punto di vista tecnico gli indizi ci portano a Teller e a Szilard veri artefici del progetto Manhattan, a Herman Kahn della Rand Corporation, o Werner von Braun, l'uomo dei razzi.

Qui nella sezione locale del dopolavoro di Laputa si punta molto su Robert Strange McNamara il cui il nome Strange si linka bene a Strangelove e, in subordine, a Khan che nel 1960 scrisse “On Thermonuclear War” ovvero: vita dopo l'apocalisse nucleare.
Lo zio Pom, con molta intelligenza, invece fa un sonoro tifo per Lord Solly Zuckerman, consulente di Winston Churchill per i bombardamenti “a tappeto” e la riproduzione umana.

Infatti l'obiettivo del Dr Strangelove è la ricostruzione del genere umano dopo una guerra nucleare, tema già affrontato dai think tank tedeschi, che avevano prodotti tre progetti correlati tra di loro:
  1. Demografia passiva: Lo sterminio dei non-ariani (Olocausto)
  2. Demografia attiva: La costruzione di una Super Razza umana (Lebensborn)
  3. Demografia d'emergenza: La sopravvivenza di un gruppo scelto in un ambiente protetto. (Neu Schwabenland [Nuova Svevia] in Antartide).
Per il progetto 3 fu costruita dai tedeschi, nei primi anni 40, la Base 211 nelle regioni antartiche, con l'idea di utilizzarla come ultimo rifugio per i rimanenti del genere umano dopo una guerra atomica.

Le vicende nucleari della WWII presero un'altra piega e non ci fu più la necessità di far rifugiare un gruppo di persone selezionate per la procreazione in rapporto di un uomo ogni quattro donne.

Base 211 fu distrutta ma non è detto che quei progetti siano stati buttati; probabilmente sono stati ritirati recentemente dalla cantina da persone senza fantasia e sottoposti ad un doveroso aggiornamento.

Con lo studio del genoma e Dna si possono fare interventi correttivi su particolari razze umane e qualche “stranezza” potrebbe prendere il posto della guerra termonucleare.

In attesa di eventi qui a Laputa abbiamo ispezionato tutte le cantine, controllando personalmente la gradazione alcolica dei contenuti delle botti; siamo un pò preoccupati per quel rapporto con quattro donne, comunque vedremo quello che si potrà fare.

13 comments:

Anonymous said...

daaaii che siete i più grandi!!! (ora di euforia...alla vostra)

Sick-boy

Anonymous said...

ah ovviamente il tutto con la massima ironia...

sb

Anonymous said...

Non ho mai potuto sopportare Solly Zuckerman

Anonymous said...

Tremonti chiede la nuova Bretton Woods – e i liberisti perdono la calma

da www.movisol.org

9 marzo 2008 – Nel corso della trasmissione “AnnoZero” su Raidue il 6 marzo, Giulio Tremonti ha ribadito il suo esplicito attacco alla globalizzazione finanziaria che ha gettato il mondo in una crisi finanziaria senza precedenti. Ma questa volta, in concomitanza con l’uscita del suo libro “La Paura e la Speranza”, Tremonti ha fatto un passo in più: per affrontare il “disastro globale”, ha detto, ci vuole “un nuovo accordo tra i grandi paesi del mondo… Ci vuole una nuova Bretton Woods”.

L’attacco di Tremonti al “mercatismo” – il termine che usa per definire l’aderenza fanatica al liberismo, e che definisce “l’ideologia totalitaria inventata per governare il mondo nel XXI Secolo” – non è nuovo. Da molti anni Tremonti cerca di evitare la camicia di forza imposta dal Patto di Stabilità, proponendo nuovi meccanismi di finanziamento per le infrastrutture in Italia. Nel 2003, il suo “Action Plan for Growth” riprese e ampliò il piano Delors del ’94 con l’intenzione di finalmente sbloccare una serie di grandi progetti infrastrutturali europei.

Il 6 giugno 2007 Tremonti partecipò ad una conferenza pubblica organizzata dall’EIR, la rivista di Lyndon LaRouche, all’Hotel Nazionale a Roma, intitolato “Mercatismo o New Deal?” Discutendo con LaRouche stesso e con il sottosegretario allo sviluppo economico On. Alfonso Gianni, Tremonti appoggiò in termini chiari le proposte di LaRouche per lo sviluppo infrastrutturale eurasiatico, e concluse dicendosi convinto che le idee del movimento di LaRouche “devono circolare”.

Negli ultimi mesi, Tremonti ha ripetutamente sfidato il falso dibattito imposto dall’establishment politico ed economico, denunciando i “folli” che hanno imposto la globalizzazione, la “tecnofinanza” utilizzata per mettere in piedi una bolla speculativa enorme, e paragonando l’attuale crisi a quella del ’29, se non peggio. Molti nella popolazione e nella classe politica sono stati colpiti dalle bordate di Tremonti, ma la casta – quella vera, fatta dai grandi giornali e dall’establishment economico – ha imposto la linea del silenzio: non reagire, ignorarlo, e si troverà il modo di metterlo all’angolo.

Pare che l’uscita del suo nuovo libro e le dichiarazioni sulla Nuova Bretton Woods abbiano cambiato tutto questo. Evidentemente Tremonti ha oltrepassato la linea rossa tracciata dalla finanza. Sicuramente contribuisce il fatto che potrebbe tornare al Ministero dell’Economia tra breve, se il Pdl dovesse vincere le elezioni; e questo proprio mentre la crisi richiede soluzioni urgenti, prima che la prossima banca (italiana questa volta?) che “scopre” perdite di decine di miliardi di Euro metta in ginocchio l’intero sistema.

Adesso si è creato un dibattito nazionale, con numerosi articoli sui giornali nazionali e dichiarazioni dei politici. I liberisti “folli” come Francesco Giavazzi e Renato Brunetta hanno fatto del loro meglio per tappare la falla; ma non dovrebbe sorprendere che il loro meglio è ben poca roba davanti alla necessità di salvare l’economia reale. Fare la voce grossa non sta funzionando questa volta, e questo dibattito intorno alla globalizzazione e le misure protettive necessarie per affrontare la crisi ha la potenzialità di ridefinire la geografia politica in Italia e altrove. Si potrebbero archiviare le manipolazioni dello scenario destra-sinistra in cui nessuno osa sfidare l’ortodossia delle “regole europee” o della società dei consumi. Si potrebbe aprire un vero dibattito intorno a come salvarci dalla politica del liberismo finanziario degli ultimi decenni. E soprattutto, ci si potrà finalmente muovere verso una soluzione per il futuro, proprio quella riorganizzazione del sistema finanziario internazionale proposta da Lyndon LaRouche.



Alcuni stralci dell’intervento di Giulio Tremonti a “AnnoZero” il 6 marzo 2008

Tremonti: Nel 95 ho scritto un libro intitolato “Il fantasma della povertà”... Il fantasma è arrivato ed è un fantasma che fa paura... Credo che quello che sta succedendo sui posti di lavoro sia anche il prodotto di quella che si è chiamata globalizzazione. Cioè dire – e ancora adesso girano, nelle nostre università, sui giornali nella politica, dei pazzi che ti dicono ‘ci vuole più com-pe-ti-ti-vi-tà’. La competitività, la velocità, la violenza dei processi... non che devi pensare ad un mondo di sogno, ma magari ad un mondo com’era prima, meno spinto, meno fanatizzato dal dogma del mercato. La paura ce l’hanno gli anziani che vanno al supermercato e non hanno i soldi per fare la spesa. Noi viviamo in un mondo all’incontrario: in un mondo in cui il superfluo costa meno del necessario. Puoi andare a Londra con 20 dollari ma non fai una spesa al supermercato con 20 euro. Questo è il punto.

La paura riguarda le famiglie che hanno la vita mangiata dai mutui. Sta arrivando una grande crisi. Questo è il punto e la risposta alla domanda. C’è una crisi della globalizzazione. Si è piantata...

Santoro: è il motivo, anche, della prudenza di Berlusconi...

Tremonti: Poi, dopo, rispondo all’imprudente Travaglio... ma direi che il punto è più generale, e cioè a dire: a partire dalla fine degli anni 90 e poi in questo secolo, un gruppo di - diciamo di illuminati, banchieri diventati statisti, politici diventati pensatori economici, falsi profeti – hanno predicato i benefici, il mito del XXI secolo, la globalizzazione, la cornucopia, l’età dell’oro. Tutto si è basato sulla divisione, prima, del mondo in due parti: l’Asia produttrice di merci a basso costo e l’occidente, l’America, importatore di queste merci a debito. Tutto è stato messo in piedi con la tecnofinanza, con le banche che non hanno fatto più il mestiere antico che sempre hanno fatto le banche: prendere denaro sulla fiducia e prestare denaro a proprio rischio. Hanno impacchettato i prodotti e li hanno venduti, ceduti a terzi.

Il meccanismo della tecnofinanza che ha finanziato la globalizzazione è saltato. Non solo: non ha funzionato in sé: non potevi fermare il mondo, ma non eri autorizzato a – solo dei pazzi illuminati, se vuole le dico i nomi italiani ma è meglio di no, hanno pensato che, governando gli anni novanta e poi dopo, che il mondo potesse essere forzato…

Le dico un’ultima cosa. Quando arrivano gli americani nel 45 e portano la penicillina, con la penicillina guariscono tutti di colpo. Adesso come adesso, con la penicillina ci fai poco: servono gli antibiotici. Tutti questi illuminati che governano l’economia, hanno gestito la crisi che c’è e che ci sarà, che continua, si aggrava e contagia, l’hanno gestita con gli strumenti vecchi, e cioè a dire con la riduzione dei tassi d’interesse, con le iniezioni di liquidità. Non reagisce l’organismo, anzi: sta ancora peggio. E’ cambiato il mondo, deve cambiare il governo del mondo.

Noi pensiamo alcune cose per l’Italia, ma pensiamo che se il disastro è globale, la politica non può essere più locale. Noi pensiamo ad un nuovo accordo tra i grandi paesi del mondo. Bretton Woods fu nel 44; va rifatto. Ci vuole una nuova Bretton Woods.

Anonymous said...

C’è qualcosa che non va

Claudio Bianchini 04 febbraio 2008


Se fossimo in campo economico si potrebbe affermare, senza timore di smentita, che la società italiana vive, da 20 anni circa, in regime di duopolio.

Infatti che perdano o vincano le elezioni, i 2 schieramenti politici si presentano ormai da quasi 20 anni con gli stessi leader (si fa per dire) e portaborse.

Non c’è paura di sconfitta: tanto o vince Prodi o vince Berlusconi.

E chi perde ora vincerà la prossima volta.

E per i cittadini non cambia nulla.

Se prendiamo le leggi di Prodi e le giriamo su Berlusconi, cambiandone il nome, e facciamo lo stesso con le leggi varate dall’altro schieramento, non se ne accorge nessuno.

Infatti che vincano gli uni o gli altri non cambia assolutamente nulla!

Regime di duopolio, appunto, dove cane non scaccia cane ma lo protegge.



Ma lo spunto di questo articolo non parte da considerazioni politiche ma da un articolo di Maurizio d’Orlando comparso su asianews.it in data 19/09/2007 (1) e recentemente fatto circolare nella lista di «centrofondi.it» (un grazie a Raudace), da considerarsi a dir poco profetico e premonitore della attuale situazione dei mercati finanziari.

Nell’articolo si afferma quanto segue: «A causa di una montagna di mutui fuori parametro (subprime) concessa dalle società di credito fondiario in America, molte banche stanno entrando in crisi. Si parla di giganti come Citygroup e Bank of America negli USA ed in Europa di possibile crollo per banche del calibro di Deutsche Bank, Barclys, BNP Paribas e di alcune finanziarie (AXA) e fondi pensione.Si parla di un buco di oltre 20 miliardi di dollari USA di titoli circolanti emessi nei mercati e privi di patrimonialità reale, di cui né il grande pubblico, né i professionisti di New York si erano accorti. Non si parla più di un problema di liquidità, ma di un problema di solvibilità.Il problema si è originato negli USA a partire dal 1987, quando con pressioni della lobby bancaria - mediante elargizioni costate 300 milioni di Dollari USA - si è riusciti ad ottenere, passo dopo passo, l’abolizione della legge Glass-Steagall, approvata dal parlamento americano dopo la crisi del ‘29. La completa abolizione della legge è stata ottenuta nel 1999 grazie al Presidente Bill Clinton.A suo tempo la legge era stata approvata per evitare il conflitto d’interessi tra banche e società che sottoscrivono obbligazioni ed azioni.Principale fautore di questa liberalizzazione finanziaria è stato il precedente presidente della FED, Alan Greenspan.Questi, divenuto governatore nel 1987, prima di tale nomina era stato membro del consiglio di amministrazione della J.P. Morgan, la prima banca ad usufruire della liberalizzazione.Nei 18 anni di governatorato di Greenspan si è avuta la più grande espansione della finanza speculativa della storia mondiale e la crisi più che imminente avrebbe dimensioni planetarie.In questo ultimo periodo i grandi gruppi finanziari e bancari si sono premuniti piazzando i titoli spazzatura sia in Europa che in Asia.Questi titoli sono valutati AA o addirittura AAA dalle agenzie, cosiddette indipendenti, di valutazione dei valori mobiliari, come Standard & Poors, Moody’s e Fitch…A essere esposte in prima linea dovrebbero esserci teoricamente i fondi pensione, le assicurazioni e le grandi fondazioni americane, come pure i maggiori gruppi finanziari e bancari statunitensi, che sono all’origine dell’emissione incontrollata di titoli atipici di questi lunghi decenni.
Eppure c’è da dubitare che chi ha le chiavi del potere finanziario e monetario sia chiamato a rispondere dei propri misfatti. Alla radice del problema, infatti, ci sono le Banche Centrali ed in primo luogo la FED, che da tempo aveva un chiaro quadro della situazione…».


Ed infine la ciliegina sulla torta: « Chi controlla la FED sa dunque che non può fornire la soluzione nell’ambito stesso della FED. In questo scenario… gli Stati Uniti si preparano, insieme a Canada e Messico, a lanciare una moneta unica, detta ‘Amero’. La soluzione proposta sarebbe l’abolizione del dollaro, sostituito dalla valuta dell’Unione del Nord America»…

In sintesi prima i banchieri a suon di tangenti ai politici (300 milioni di dollari dichiarati) fanno abolire le leggi a suo tempo create in USA per impedire un nuovo tracollo economico sul pianeta come quello del 1929; poi inondano il pianeta di moneta finanziaria senza valore intrinseco nell’economia reale, ma gravata comunque di interesse che l’economia reale ignara accetta e paga.

Quando l’economia reale strozzata dai debiti (soprattutto dagli interessi sui debiti) non ce la fa più, il banchiere che comanda - «colui che controlla la FED»- decide di abbandonare la barca, creare una nuova moneta (ovviamente gravata di interesse a debito) e abbandonare la società civile con in mano dollari che andranno bene solo per accendersi i sigari.



Unico problema: far fare ai politici una legge che dia corso legale alla nuova valuta.

E in questo l’articolo di Asia News ci informa che Greenspan e il CFR (Council on Foreign Relations) sono già all’opera.

Si tratta solo di avere il tempo per prezzolare i politici di turno.



A chi studia economia in una qualunque università occidentale viene insegnato che (primo esempio di globalizzazione al mondo) le Banche Centrali (Federal Riserve, BCE, Banca d’Italia, ecc.) sono state delegate dai singoli Stati nazionali a disciplinare l’emissione della moneta per evitare che questa fosse appannaggio degli appetiti elettorali dei sistemi politici.

Come può essere quindi, che siano proprio i banchieri a prezzolare i politici per fare della moneta esattamente l’uso che si voleva evitare da parte dei politici?

E come può essere che ciò riaccada dopo il 1929 quando si sapeva già, grazie a quella esperienza, come sarebbe andata a finire comportandosi in quel modo?

E come può essere che vi sia un soggetto che possiede (o decide per) la Federal Riserve e che noi non si sappia chi sia pur avendo un così grande potere?

Che è poi il potere dei poteri: quello di decidere l’emissione della moneta.

Come mai non viene mai citato in TV o sui giornali?

Come può essere che qualcuno decida di cambiare valuta senza coinvolgere le istituzioni democratiche di quel Paese in questa decisione?


E ancora: In Europa la situazione è identica o diversa?

Chi decide quanti euro ogni anno debbano essere messi in circolazione?

Chi possiede e ha potere decisionale nella BCE?

A chi rendono conto questi signori se compiono misfatti?

Quali controlli il parlamento europeo e i singoli Stati nazionali hanno sulla BCE?

E sulle banche nazionali?

A cosa è dovuta l’inflazione?

Perché se la moneta è in mano ai banchieri per evitare abuso da parte del sistema politico le monete continuano a svalutarsi?

Gli euro emessi appartengono agli Stati nazionali o alla BCE, che è un soggetto privato e che indebita gli Stati quando questi ricevono nuova moneta?

Con quali criteri e soprattutto chi decide quale interesse passivo applicare sulla moneta presa a debito dagli Stati nazionali e di conseguenza poi dai cittadini verso le banche?

Perché il parlamento italiano può decidere di occupare militarmente uno Stato straniero ma non può deliberare sulla propria moneta?

Ed infine, perché su queste tematiche c’è la totale disinformazione da parte dei mass media ufficiali?


Siamo sull’orlo di una crisi economica inevitabile salvo un miracolo.

Il sistema bancario, principale responsabile di questa crisi, se ne lava le mani e da nessuna parte viene messo sotto accusa.

Anzi i banchieri li troviamo come primi ministri o presidenti della repubblica.

Il sistema politico, occidentale in generale e italiano in particolare, ha dimostrato incompetenza e sudditanza a questo sistema.

Tutti noi sappiamo perfettamente che se anche va al governo la coalizione opposta non cambierà nulla.

Il cittadino fondamentalmente è al muro ed è impotente perché non capisce come funziona il sistema.

Non sa dove è il trucco, se trucco c’è.

Non sa cosa fare perché gli è stato fatto credere negli ultimi 70 anni che l’unico sistema economico possibile è quello occidentale, in quanto è il migliore e ha dato abbondanza e prosperità a tutti.

Non ce né un altro migliore.

L’altro possibile, cioè il comunismo, è morto da tempo perché peggiore di quello occidentale..


Ma noi sappiamo che non è così.

Sappiamo, nonostante il colpevole silenzio dei media ufficiali, che è possibile ricorrere ad un sistema monetario diverso, dove la moneta appartiene agli Stati e non a banchieri privati, senza che questo metta in discussione la società occidentale ed i suoi valori sociali, politici e democratici; sappiamo che, ad esempio, solo in Italia esistono oltre una ventina di esperimenti di moneta complementare (in Germania sono più di 100) che cercano di far sì che la spesa dei cittadini rimanga all’interno dell’economia nazionale e non se ne vada a gonfiare gli investimenti speculativi asiatici; sappiamo che il problema del deficit dello Stato italiano è collegato al debito che viene contratto dallo Stato verso banchieri privati allorché nuova moneta viene immessa in circolazione, e non solo per l’eccesso di spesa della «casta politica» rispetto alla raccolta delle imposte; sappiamo che i banchieri internazionali non vogliono che le masse siano informate su questi meccanismi, altrimenti non potrebbero più spiegare ai cittadini come mai Prodi e Letta sono stipendiati dalla Goldmann Sachs quando non hanno incarichi governativi, e che la Goldman è l’advisor (vale a dire il consulente che dice a chi vendere e a quale prezzo) per eccellenza quando lo Stato italiano vende qualche azienda pubblica; sappiamo che la scuola di pensiero dell’insigne economista Federico Caffè, misteriosamente scomparso nel 1987, che si opponeva alle distorsioni di questo sistema finanziario, non è morta con lui.



Allora riteniamo che sia giunto il momento di cominciare ad illustrare, da questo sito, quale è il trucco del capitalismo.

Che i banchieri internazionali lo vogliano o no.


Fine prima parte


Claudio Bianchini

da www.effedieffe.com

Anonymous said...

La vera causa dell’inflazione e del debito pubblico


Claudio Bianchini 11 marzo 2008



Se chiedete a qualcuno quale sia la causa dell’inflazione, se il vostro interlocutore è onesto non otterrete nessuna risposta.
Se non lo è, comincerà a ripetere qualche informazione presa qui e là.
Vi parlerà dell’aumento del prezzo del petrolio (ma senza dirvi che un aumento sino a 150 $
al barile è stato deciso a tavolino più di un anno fa in una riunione del gruppo Buildenberg); oppure citerà qualche sciopero degli autotrasportatori, o parlerà della siccità.
Ma non potrà dire nulla che possa spiegare il costante, irreversibile e durevole fenomeno di perdita di valore della moneta a medio e lungo termine cui tutti siamo abituati a convivere da quando siamo nati.
Come mai?

Si è già detto nella prima parte di questo articolo (1) che nel 1987, grazie a pressioni della lobby bancaria e a Greenspan, già governatore della FED (Federal Reserve), era stato abrogato in USA
il sistema che impediva interferenze bancarie nelle aziende che chiedevano prestiti, al fine di evitare un nuovo 1929.
Tolti i vincoli alle banche, dopo qualche anno sta iniziando a succedere né più ne meno quello che è successo nel 1929.
Quello che negli USA è stato fatto da Greenspan in Italia è stato fatto da Ciampi, che nel 1993 ha abrogato la legge bancaria del ‘36.

Non deve stupire che in Italia (ed in Europa) sia avvenuto quello che è già avvenuto in USA.
Mentre Alan Greespan prima di diventare governatore della FED era membro del Consiglio di Amministrazione della J.P. Morgan, da noi molti dirigenti del ministero del Tesoro ed i vari Ciampi, Prodi, Draghi, ecc., sono stati ai vertici di Goldman Sachs, una delle principali banche d’affari del pianeta, nonché il principale advisor per la (s)vendita dell’IRI diretta proprio da Romano Prodi e indagata assieme alla stessa JP Morgan e Lehman brothers, dalla procura
di Pescara per truffa ai danni dell’erario italiano.

Anche il futuro è già stato assicurato qualunque schieramento vinca le elezioni.
E’ infatti del 18 giugno 2007 la notizia della nomina ad advisor di Goldman Sachs di Gianni Letta, già sottosegretario alla presidenza del consiglio del Governo presieduto da Silvio Berlusconi (2).

La lobby bancaria dunque si comporta come tutte le lobby: persegue esclusivamente il suo interesse e quello dei suoi soci.
Stupisce quindi che a questa lobby, in tutte le economie capitalistiche, sia stato trasferito dai singoli Stati nazionali il potere di emettere moneta attraverso il cosiddetto «sistema delle Banche Centrali nazionali private».
Potere che, tra l’altro, è stato trasferito in regime di monopolio, e si colloca al di sopra delle leggi e di qualsiasi possibilità di controllo degli Stati nazionali, che in qualche modo hanno, a differenza delle Banche Centrali private, organismi eletti dalla cittadinanza secondo criteri democratici.

Eppure questo sistema viene propagandato presso la società civile come il sistema monetario più progredito, anzi come «l’unico possibile» in quanto frutto dell’evoluzione naturale dei sistemi economici più efficienti e liberi.
Niente di più falso naturalmente, come vedremo in seguito.
Ma stupisce soprattutto la mancanza di critica sostanziale a questo sistema monetario da parte
della classe politica e del mondo accademico nonostante, dopo alcuni anni di soggiogamento a questo sistema monetario, emergano ovunque inevitabilmente due amare e drammatiche verità che contrastano proprio con le motivazioni e gli obiettivi che hanno portato alla costituzione dell’attuale sistema monetario basato sulle Banche Centrali private:

- l’aumento sistematico ed irreversibile dell’indebitamento da parte dei soggetti che utilizzano
la moneta nei confronti dei soggetti che emettono la moneta: paradosso che vede gli Stati nazionali e la cittadinanza intera, vale a dire l’economia reale che produce beni e servizi, sempre più indebitata nei confronti del sistema bancario, che non produce né beni né servizi;
- il perdurare dell’inflazione e della perdita di valore della moneta rispetto al sistema dei prezzi.

Nelle università di economia si insegna che è stato necessario togliere ai governi nazionali (democraticamente eletti) la sovranità monetaria (cioè il potere di decidere quanta moneta emettere, nei confronti di chi e a quali condizioni di interesse) in quanto questi utilizzavano tale strumento prevalentemente per fini politici ed elettorali.
Vale a dire stampavano troppa cartamoneta rispetto al reale fabbisogno dell’economia reale e questo creava inflazione.

L’esempio che più spesso veniva citato negli anni ‘80 era quello della repubblica tedesca di Weimar post prima guerra mondiale, e della sua iperinflazione per eccesso di cartamoneta stampata.
Da qui la necessità di pervenire ad un sistema monetario internazionale più stabile e non asservito al sistema politico o al dittatore di turno (3).

Questo percorso è stato realizzato a tappe in Europa con il trattato di Maastricht del 1992, che ha portato dapprima alla costituzione della BCE (Banca Centrale Europea), omonimo della FED
in USA, ed al sistema SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) composto dalle Banche Centrali Nazionali (BCN), e successivamente all’introduzione della moneta unica.
Il sistema SEBC ha il compito di coordinare una politica monetaria unica nei Paesi dell’euro. L’obiettivo dichiarato del neonato «Eurosistema» era ed è il mantenimento della stabilità dei prezzi.

Per questo motivo agli Stati che adottavano l’euro era richiesto da subito:
Un rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%;
Un rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%.

La BCE sin dall’inizio ha mostrato di sapere bene quale sia la causa principale dell’inflazione.
Nel Bollettino mensile della BCE Febbraio 1999 alla pagina 27 si affermava infatti che «Vi è
un ampio consenso, fondato su un’evidenza empirica ragguardevole, sul fatto che la dinamica
dei prezzi nel medio-lungo periodo abbia un’origine monetaria ...» (4).
Il sistema BCE - Banche Centrali (i cui costi sono a carico nostro) aveva ed ha, pertanto, tutti
gli strumenti per operare la stabilizzazione dei prezzi all’interno del sistema euro: gli è stato conferito il monopolio dell’emissione monetaria (proprio per sottrarla alle politiche ed ai rischi inflattivi degli Stati nazionali e dei politici); opera in assoluta autonomia rispetto agli Stati nazionali; mostra di conoscere che la reale causa dell’inflazione è un problema di massa monetaria in circolazione, di cui lo stesso sistema BCE-SEBC ha il monopolio di emissione.

E allora perché non eliminano il problema?
Non avremo per caso costruito anche a livello europeo un ulteriore carrozzone mangiasoldi
che non serve a nulla?
Per entrare nell’euro ci hanno chiesto sacrifici.
E per rimanerci sopportiamo ogni anno finanziarie assurde.
Ma se tutto questo è stato fatto per stabilizzare i prezzi e difenderci dall’inflazione perché i prezzi continuano ad aumentare?
Perché la moneta che abbiamo in tasca continua a perdere di valore anno dopo anno?
Quando una cosa non viene capita da un interlocutore attento dopo che è stata ripetuta più volte, o è una bufala oppure non si vuole che sia capita.
Allora vediamo dove è il trucco, se trucco c’è.

Molti non sanno che la BCE è un soggetto privato.
Nessun organismo comunitario o nazionale può imporre direttive o controlli alla BCE. Analogamente al sistema vigente in USA con la Federal Riserve, gli unici soggetti a cui risponde
la BCE sono i suoi soci, che sono in linea di massima le Banche Centrali (BCN) degli Stati aderenti all’euro, anch’esse a suo tempo privatizzate o rese autonome dalle influenze degli Stati nazionali, con alcune inspiegabili anomalie in quanto sono soci, ad esempio, alcune Banche Centrali di Stati non aderenti all’euro come la Gran Bretagna.
I soci della BCE sono quindi privati.
E i soci dei soci della BCE anche.

La Banca d’Italia ad esempio, che ha un diritto di partecipazione in BCE del 14,57% (9), è posseduta interamente da banche ed enti privati (vi è anche l’INPS) (5).
Ma allora, se la BCE ed i suoi soci banchieri sono soggetti privati, così potenti da condizionare tutti i governi ed imporre un sistema monetario che concede solo e solo a loro di battere moneta, e di determinarne il tasso di interesse, senza alcun controllo da parte di chicchessia, non è per caso che sono loro a determinare volontariamente l’inflazione perché così ci guadagnano?
E a scapito dell’intera economia reale?

Margrit Kennedy nel suo libro «La moneta libera da inflazione e da interesse» (6) documenta esattamente una situazione analoga in Germania negli anni ‘80, dove il 90% della popolazione pagava endemicamente interessi passivi allo 0,2% della popolazione, con un 10% circa che riusciva a rimanere in una situazione di pareggio.
Trattandosi della Germania e non di una repubblica delle banane qualsiasi, non è credibile che un sistema così concepito possa essere casuale.
Né che sia frutto dell’evoluzione naturale del mercato.
Ci sarà pure un motivo se anche in periodi di congiuntura sfavorevole gli unici uffici che non si riducono mai sono (oltre a quelli pubblici) gli sportelli bancari e se alle banche appartengono i più bei palazzi in qualunque città andiate.

Secondo quanto documentato nell’interessante saggio del ricercatore indipendente Rudo de Ruijter «I segreti del denaro, dell’interesse e dell’inflazione», la principale causa dell’inflazione è data dalla facoltà concessa alle banche di immettere moneta creditizia in base al meccanismo della riserva frazionaria.
De Ruijter sottolinea che con questo meccanismo «i prestiti hanno un effetto nascosto. Quando colui che ha ricevuto il finanziamento spende i soldi, chi li riceve li deposita nella sua banca che, proprio grazie a questo deposito, può effettuare nuovi prestiti. Anche i soldi di questi nuovi finanziamenti verranno spesi e diventeranno depositi in altre banche. E così via. Naturalmente
ad ogni passaggio la banca incassa interessi. E’ un enorme girotondo che crea denaro e gonfia
la massa monetaria totale del Paese. Ogni volta che i prestiti concessi da una banca diventano depositi in un’altra banca comincia un nuovo giro di finanziamenti … Le banche creano nuova moneta, ma non possono magicamente creare nuovi beni da comprare. Se la gente dispone di più soldi ma la quantità di beni da comprare resta invariata, tutto quel che succede è che i prezzi salgano. Il valore facciale del denaro diminuisce. E’ quella che si chiama inflazione. Allora, quando le banche mettono in circolazione nuovo denaro, il valore dell’unità monetaria diminuisce…».

Ora è più chiaro su chi ci guadagna e chi no se permane un regime perenne di inflazione?
Abbiamo ceduto la sovranità monetaria ad un soggetto privato che fa esclusivamente il suo interesse e quello dei suoi soci, e lo fa a danno dell’intera economia reale.
Ma le caratteristiche dell’attuale sistema monetario comportano anche altre conseguenze, tutte
a favore delle banche e deleterie per gli altri.

Claudio Bianchini

Fine seconda parte

(Nota dell’autore: Si ringraziano in particolare Pierluigi Paoletti (www.centrofondi.it) e l’ingegner Lino Rossi (voceditalia.it) dai cui scritti sono stati presi alcuni spunti per questo articolo)

da www.effedieffe.com

Anonymous said...

LA PROPOSTA DELLA
NUOVA BRETTON WOODS
IN BREVE



Convocare una conferenza delle maggiori nazioni del mondo per decidere di:

1. Ristabilire parità fisse tra le monete – rispetto all’oro e modificabili solo nel contesto degli accordi – allo scopo di:
a) rendere possibile il finanziamento a lungo termine
delle attività produttive e commerciali reali,
b) vietare la speculazione sui cambi.


2. Congelare e annullare i titoli finanziari speculativi, che ammontano a svariati trilioni di dollari, secondo i regolari criteri di procedura fallimentare.


3. Emettere crediti d’emergenza – dove occorrono per garantire il funzionamento delle normali attività – e credito agevolato ai grandi programmi infrastrutturali che daranno notevole impulso anche all’impresa produttiva privata.


4. Ripristinare regole e controlli sulle attività finanziarie e amministrative abolite dalla “deregulation”.


5. In tale contesto, incoraggiare i paesi a istituire banche nazionali, sotto la sovranità del Parlamento, in sostituzione dell’attuale sistema delle banche centrali autonome.



Questa proposta di Lyndon LaRouche è stata oggetto di diverse mozioni, sottoscritte da parlamentari di tutto l’arco politico, che chiedono al governo italiano di adoperarsi in ambito internazionale per promuovere l’iniziativa.

Anonymous said...

L’Irlanda distrutta dall’euro

Maurizio Blondet 13 marzo 2008

da www.effedieffe.com

Per anni l’Irlanda è stata l’allievo modello del liberismo terminale. Ne ha applicato con entusiasmo tutte le ricette (liberalizzazioni, flat tax, mercato del lavoro libero) e la sua rinnovata «competitività» è stata premiata con un boom economico straordinario. Il boom è finito, ed è cominciato il disastro.

I prezzi delle case sono scesi del 7% l’anno scorso, e continuano a precipitare. La disoccupazione è in aumento. Le banche sono piene di debiti. E si rivela che il boom era, in realtà, soltanto una enorme bolla immobiliare. Ma non è colpa degli irlandesi. La colpa è dell’euro, o più precisamente del tasso primario imposto dalla BCE uguale per tutte le economie dell’eurozona.

Ci sono stati anni in cui, per dare fiato alla Germania in recessione, la BCE ha mantenuto il tasso d’interesse al 2%: buono per la Germania, anzi ancora troppo alto, ma «troppo basso» per l’Irlanda. Il denaro facile ha lanciato le banche irlandesi in una corsa ad indebitare i concittadini. Con mutui e prestiti personali. Il credito si espandeva da un anno all’altro anche del 30%.

Col denaro così abbondante e a basso costo, gli imprenditori hanno costruito a man bassa: l’edilizia ha raggiunto il 15% del reddito nazionale, ed è la maggiore industria del Paese, con 280 mila addetti - molto per un paese di 4,2 milioni di anime. Molte banche hanno offerto mutui al 100% sul valore dell’immobile; il 55% sono a tasso variabile. Quanto ai debiti delle famiglie, hanno raggiunto il 190% del reddito disponibile della famiglie stesse, la percentuale più inaudita del mondo sviluppato.

Dopo il collasso cominciato in America, le banche irlandesi si trovano paurosamente esposte nell’immobiliare a prezzi precipitosamente calanti, con sempre più debitori insolventi, - e come non bastasse, i tassi della Banca Centrale Europea sono saliti al 4,5% (1). Decisamente troppo per una piccola economia in recessione, e in pieno «credit crunch» mondiale. Il tasso EU ha creato la bolla e la distorsione dell’economia irlandese quando era troppo basso, ed ora la strangola definitivamente perché è troppo alto.

«Il mercato degli immobili è morto, quello delle auto nuove è ghiacciato, la perdita di lavoro è a livelli record, gli esportatori sono devastati dall’euro forte, i prezzi dei carburanti balzano in su, i pignoramenti crescono»: così ha sunteggiato la situazione il giornale Irish Independent. E lo Stato è impotente a scongiurare che la recessione si trasformi in depressione.

«Non possiamo fare niente di quello che uno Stato farebbe in una simile situazione di recessione da scoppio di bolla finanziaria», spiega Morgan Kelly, economista alla University College Dublin: «Non possiamo abbassare i tassi d’interesse, non possiamo svalutare, non possiamo applicare stimolo fiscale, e tutto perché siamo nell’eurozona».

Tutte queste prerogative sono state demandate alla BCE: è Trichet che varia i tassi, che sopravvaluta l’euro, che vieta l’allentamento fiscale, anzi raccomanda «rigore» (cioè più tasse) per non sforare il debito pubblico. Come tutti noi, anche l’Irlanda ha ceduto al sovranità monetaria al banchiere-robot. Il quale fornisce a tutti, per così dire, una T-shirt della stessa taglia: dove la Germania sta stretta, e dove l’Irlanda affoga (come Italia, Spagna e Grecia: ma quando un Paese è piccolo, il colpo è più duro e coinvolge immediatamente tutti i settori economici).

«Abbiamo una recessione interna che coincide e si aggiunge alla recessione globale», dice Kelly: e nell’impossibilità di ogni manovra, «è la salute del sistema bancario a determinare quanto sarà grave la recessione. E francamente, la salute non è buona». Sono strapiene di mutui al 100 per 100 su case svalutate, e i cui abitanti non riescono a pagare i ratei variabili verso l’alto.

Le banche irlandesi, rivela la Banca dei Regolamenti Internazionali, hanno accresciuto enormemente l’emissione di obbligazioni di vario genere: da 10 miliardi di dollari a 35 miliardi in un quadrimestre, cifra enorme per un paese di 4 milioni di persone. Perché emettere bond in un mercato dove nessuno è disposto a comprarli? Semplice: le banche irlandesi emettono queste obbligazioni per consegnarle allo sportello della BCE, ed ottenere in cambio liquidità. Non possono fare altro, avendo le istituzioni finanziarie e le famiglie accumulato 123 miliardi di dollari di passivi in mercati esteri, quello americano e quello inglese anzitutto, dove gli scambi sono congelati dal terrore e dai crack.

Secondo il professor Kelly, lo Stato finirà per operare un gigantesco salvataggio delle banche a spese dei contribuenti. «Il precedente c’è, è quello che hanno fatto gli scandinavi negli anni ‘90 nazionalizzando le banche», dice. Difatti la Svezia ha nazionalizzato le sue più grosse banche, risanandole e poi rimettendole sul mercato. Ma c’è un piccolo dettaglio: per far questo, la Svezia dovette uscire dal serpente monetario europeo (il sistema di cambi fissi che portò all’euro), e riprendersi il controllo delle leve monetarie, la sovranità finanziaria. L’Irlanda dovrà uscire dall’euro? Sarà il primo Paese ad uscirne?

Nessuno osa proporre questo, e nemmeno pensare a cosa accadrebbe a un piccolo Paese indebitatissimo fuori della moneta comune, ai tassi che richiederebbero gli investitori per comprare i suoi BOT. E tutti guardano con spavento al momento in cui gli irlandesi saranno chiamati a pronunciarsi sulla cosiddetta costituzione europea, ribattezzata Trattato di Lisbona. E’ il solo Paese che terrà un referendum su questo (a tutti gli altri questa possibilità è stata negata). Cosa deciderà il popolo?

La spaccatura dell’eurozona, sottoposta a tensioni intollerabili, può cominciare da lì e non dalla Spagna o dall’Italia. Il brutto è che le Banche Centrali non si preoccuperanno troppo di salvare un paesino di 4 milioni di abitanti, quando saranno impegnate ad affrontare - con mezzi ridicoli - la crisi più titanica che già si profila. E’ quella dei derivati.

Warren Buffet, il più intelligente finanziarie americano, già nel 2003 segnalava questa bolla torreggiante su tutte le altre bolle: «La quantità proliferante di derivati a lungo termine e il massiccio crescere di cambiali non coperte (uncollateralized receivables) che portano con sé sono armi finanziarie di distruzione di massa». Nel 2003, i derivati in essere avevano un valore «nozionale» di 100 trilioni di dollari (un trilione è un milione di milioni); oggi sono una montagna con nozionale di 516 trilioni.

Il loro valore sui «mercati» oggi è un’incognita totale, e per lo più questi strumenti finanziari creativi non hanno mai avuto alcun mercato, essendo contratti privati fra due banche o due aziende o due finanziarie. Per di più, non hanno dietro nulla di reale a sostenere le transazioni, qualcosa di simile alle riserve bancarie o ai margini degli agenti di Borsa. Sono superfetazioni fantastiche basate su piramidi di crediti sottostanti, serviti per anni a creare denaro dal nulla del nulla, al di fuori delle Banche Centrali e dei circuiti finanziari di «mercato».

Ora una piramide è crollata - i mutui subprime - e l’implosione a catena è cominciata. Quando toccherà i derivati, non vale consolarsi pensando che quel loro preteso valore di 516 trilioni di dollari è un «nozionale» puramente teorico, che nessuno potrà perdere tanto. Inutile rileggersi il rapporto della Banca dei Regolamenti Internazionali che nel 2007 ha valutato in 11 trilioni «la misura approssimativa del rischio finanziario trasferito nei mercati dei derivati».

Vale la pena di fare un confronto: il prodotto interno lordo USA ammonta a 15 trilioni. Tutti i beni immobili del pianeta, case e terreni, grattacieli porti e autostrade e ferrovie, valgono 75 trilioni. Anche una percentuale di crack nei derivati, col nozionale a 516 trilioni, basta a risucchiare l’intera economia americana, o una fetta dei valori immobiliari del mondo. Le Banche Centrali hanno lasciato crescere il mostro - in nome del dogma liberista-privatista, senza controllo e senza regole - ed ora non sanno letteralmente che cosa fare. Le loro iniezioni di liquidità al ritmo apparentemente stratosferico di 200 miliardi di dollari sono risibili, al confronto dei trilioni di buchi che i derivati possono creare.

In questo vuoto di soluzioni, vale la pena di citare una proposta del vice-segretario al Tesoro sotto Ronal Reagan, Paul Craig Roberts, che non saprei giudicare. Secondo Craig Roberts, bisogna sospendere la regola che obbliga le istituzioni finanziarie a scrivere sui libri contabili i loro mutui subprime ai valori di mercato correnti (mark to market). «E’ questo che crea problema nei bilanci delle banche», dice (2). Le obbligazioni composte da mutui subprime sono nei guai «prima che ci fosse un mercato per essi, dato che erano vendute direttamente dalle istituzioni che li emettevano agli investitori», o non quotati o fluttuanti in alcuna Borsa.

«Ora che sono malfamati e il loro valore è sconosciuto, nessuno li vuol comprare. E’ la loro non liquidabilità che ne abbassa il valore». E il valore precipitante di questi subprime sta trascinando le banche e i fondi speculativi all’insolvenza, per di più obbligandole, per fare cassa, a vendere «attivi liquidi sani», ossia le azioni solide, su mercati borsistici, così accelerandone il declino e infettando del male anche le aree sane dell’economia.

La proposta di Craig Roberts è di cambiare la regola, e consentire alle istituzioni speculative di mantenere questi «strumenti inguaiati» nei loro bilanci al loro valore di carico, o al 90% del loro valore (fittizio) iniziale, per guadagnare tempo e sperare nella formazione di un mercato per questa carta. «Sospendere l’obbligo del mark to market allevierebbe la pressione dalla Borsa, e renderebbe non necessario per la Federal Reserve di abbassare ancora i tassi d’interesse per pompare liquidità nell’economia attraverso un sistema bancario che è danneggiato. Tassi d’interesse ancora più bassi peggiorano la crisi accelerando il declino del dollaro; ora che l’inflazione cresce, altra liquidità peggiora la crisi economica».

Il fatto è che, dice l’economista, «non esiste un problema generale di scarsa liquidità; i problemi di liquidità riguardano solo questi strumenti finanziari mal concepiti». Non mi pare gli si possa dar torto. Il punto è che una tale proposta significa salvare, dare sussidi, ai responsabili della messa in commercio delle obbligazioni composte con mutui di insolventi, una «cattiva idea» ispirata da «avidità e frode», per cui «qualcuno deve pagare». Certamente, annuisce Craig Robert: «Ma ora paga la società in generale e l’economia».

E giustamente, l’economista getta la responsabilità sulla Federal Reserve di Alan Greenspan, che con la sua politica «irresponsabile» di bassi tassi, ha prodotto il boom edilizio, senza il quale i mutui subprime non sarebbero stati pensati. Siccome i prezzi degli immobili aumentavano, anche i prestiti altamente rischiosi sembravano «buoni». Ma la vera causa di tutto, aggiunge, è stata l’abolizione della legge Glass-Steagal nel 1999.

Questo Glass-Steagal Act fu emanato nel 1933 proprio come risposta alla crisi del ‘29: esso vietò alle banche commerciali la speculazione azionaria, separando le due funzioni in due tipi di banche diversi (commerciali e d’investimento). Questa legge impediva che le speculazioni andate a male distruggessero il capitale delle banche, con la sequenza a catena dei fallimenti bancari e delle corse agli sportelli dei depositanti. Quella legge fu abolita nel ‘99 (sotto Clinton) da un Congresso posseduto dalla «ideologia del libero mercato», secondo cui «la libertà di mercato è sempre superiore alla regolamentazione pubblica». Ecco i risultati. Che dire?

Pare che Ben Bernanke stia facendo qualcosa di simile alla proposta di Craig Roberts: la sua ultima iniezione di liquidità di 200 miliardi di dollari consiste nel pagare con Buoni del Tesoro le cartacce (mutui subprime e obbligazioni composte da ipoteche) che le banche disperate portano all’incasso. Evidentemente, queste cartacce vengono valutate dalla FED a un valore fittizio di carico. Se basterà, o se sia troppo poco e troppo tardi, se la peste finanziaria non si sia già troppo estesa all’economia reale, lo dirà il domani prossimo.



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1) Ambrose Evans-Pritchard, «Irish banks may need life-support as property prices crash», Telegraph, 11 marzo 2008.
2) Paul Craig Roberts, «How to end the subprime crisis», Counterpunch, 11 marzo 2008.

Anonymous said...

o sto blog era il più produttivo che conoscevo, che è successo? :-)

Anonymous said...

Houston, we 've a problem!

Pax, fix it!

Paxtibi said...

Tranquilli, sto per tornare...
(Ottenere una connessione in Grecia non e' una cosa molto semplice.)

Santaruina said...

con questi scioperi poi...

vai pax, gli attenti lettori cominciavano a preoccuparsi.. :-)

Anonymous said...

Tremonti chiede la nuova Bretton Woods – e i liberisti perdono la calma

Se quelli sono liberisti, Foxman è cristiano, Magdi Allam è shintoista, e tu capisci qualcosa di economia.