La storia è scritta dai vincitori, si dice. E se per storia intendiamo la narrativa che ci viene propinata nei centri d'indottrinamento statali e ripetuta ad nauseam dai media asserviti, questo è certamente vero. Fortunatamente però, di tanto in tanto, la storia viene scritta anche da persone eccezionali, che sfuggono all'omologazione vigente affidandosi esclusivamente alla ragione e alla loro umanità. Allora il ritratto che se ne ricava è spesso molto meno lusinghiero per gli acclamati vincitori.
Rothbard è stato un uomo di questo tipo, indifferente al clamore della folla ed ai diktat dei potenti. Quella che segue è una delle innumerevoli dimostrazioni del suo amore per la giustizia e la verità, un pezzo scritto per Left and Right nel 1967, all'indomani della guerra dei sei giorni in Medio Oriente.
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DI Murray Rothbard
Il problema con i settari, che siano libertari, marxisti, o sostenitori del governo mondiale, è che tendono ad accontentarsi della causa alla radice di ogni problema ed a non preoccuparsi mai delle cause più dettagliate o più prossime. Il migliore, e quasi ridicolo, esempio di settarismo cieco e non intelligente è il Partito Laburista Socialista, un partito venerabile senza effetto alcuno sulla vita americana. A qualsiasi problema che la condizione del mondo potrebbe porre – la disoccupazione, l'automazione, il Vietnam, i test nucleari, o qualsiasi altra cosa – il PLS ripete semplicemente, a pappagallo: “adottare il socialismo.” Poiché il capitalismo si presume essere la causa originaria di tutti questi ed altri problemi, solo il socialismo li spazzerà via, punto. In questo modo il settario, anche se la sua identificazione della causa originaria fosse corretta, si isola da tutti i problemi del mondo reale e, per ulteriore ironia, evita a sé stesso di avere un qualche effetto verso lo scopo finale che serba in cuore.
Alla domanda sulle colpe di una guerra, di qualunque guerra, il settarismo alza la sua brutta e disinformata testa molto al di là della palude in cui affonda il Partito Laburista Socialista. Libertari, marxisti, sostenitori del governo mondiale, ciascuno dalla propria diversa prospettiva, hanno l'insita tendenza di evitare di tediarsi con i pro e i contro dettagliati di ogni dato conflitto. Ciascuno di essi sa che la causa alla radice della guerra è il sistema della nazione-stato; data l'esistenza di questo sistema, le guerre ci saranno sempre e tutti gli stati se ne divideranno la colpa. Il libertario, in particolare, sa che gli stati, senza eccezione, aggrediscono i loro cittadini e sa inoltre che in tutte le guerre ogni stato aggredisce i civili innocenti “appartenenti” all'altro stato.
Ora questo tipo di visione della causa originaria della guerra e dell'aggressione, e della natura dello stato in sé, è cosa buona e giusta ed estremamente necessaria per comprendere lo stato del mondo. Ma il problema è che il libertario tende a fermarsi lì, ed eludendo la responsabilità di conoscere che cosa sta accadendo in ciascuna specifica guerra o conflitto internazionale, tende a saltare ingiustificabilmente alla conclusione che, in qualunque guerra, tutti gli stati sono ugualmente colpevoli, e quindi a continuare a farsi gli affari suoi senza pensarci due volte. In breve, il libertario (e il marxista e il partigiano del governo mondiale) tende a trincerarsi nella comoda posizione di un “Terzo Accampamento,” assegnando uguali colpe a tutte le parti in ogni conflitto, e lasciando perdere. Questa è una posizione comoda da prendere perché in realtà non aliena i partigiani dell'uno o dell'altro lato. Entrambi gli schieramenti in una guerra scarteranno quest'uomo come “idealista” senza speranza e settario, un uomo anche piuttosto amabile perché ripete meccanicamente la sua posizione “pura” senza informarsi o prendere posizione su qualsiasi guerra stia infuriando nel mondo. In breve, entrambi gli schieramenti tollereranno il settario precisamente perché irrilevante, e perché la sua irrilevanza garantisce che non avrà effetto sul corso degli eventi o sull'opinione pubblica su questi eventi.
No: libertari devono arrivare a capire che ripetere meccanicamente i principi ultimi non è abbastanza per affrontare il mondo reale. Solo perché tutte le parti condividono la colpa ultima degli stati non significa che tutte le parti sono ugualmente colpevoli. Al contrario, virtualmente in ogni guerra, una parte è molto più colpevole dell'altra e a quella parte dev'essere assegnata la responsabilità di base per l'aggressione, la conquista, ecc. Ma per per scoprire quale parte in una guerra è la più colpevole, dobbiamo informarci approfonditamente sulla storia di quel conflitto e questo richiede tempo e riflessione – ed è inoltre necessaria la volontà ultima di diventare rilevanti prendendo posizione e assegnando un maggior grado di colpevolezza su un lato o sull'altro.
Diventiamo quindi rilevanti; e, con questo in mente, esaminiamo le cause storiche alla radice dell'attuale cronica e acuta crisi in Medio Oriente; e facciamolo con lo scopo di scoprire e giudicare il colpevole.
La crisi cronica del Medio Oriente risale – come molte altre crisi – alla Prima Guerra Mondiale. I britannici, in cambio della mobilitazione dei popoli arabi contro i loro oppressori della Turchia imperiale, promisero agli arabi la loro indipendenza alla fine della guerra. Ma, allo stesso tempo, il governo britannico, con un caratteristico gioco su due tavoli, prometteva la Palestina araba come “casa nazionale” per il sionismo organizzato. Queste promesse non erano sullo stesso piano morale: per ché nel primo caso, agli arabi veniva promessa la propria terra liberata dalla dominazione turca; e nel secondo, si prometteva al sionismo mondiale una terra enfaticamente non sua. Quando la guerra mondiale finì, i britannici senza alcuna esitazione scelsero di mantenere la promessa sbagliata, quella al sionismo mondiale. La loro scelta non fu difficile; se avesse mantenuto la propria promessa agli arabi, la Gran Bretagna avrebbe dovuto andarsene gentilmente dal Medio Oriente e consegnare quella terra ai suoi abitanti; ma, per adempiere alla sua promessa ai sionisti, la Gran-Bretagna doveva rimanere come potenza imperiale che governasse la Palestina araba. Che abbia scelto il corso imperiale non sorprende affatto.
Dobbiamo, quindi, tornare ancora più indietro nella storia: a cosa serviva il sionismo mondiale? Prima della Rivoluzione Francese, gli ebrei europei in gran parte erano stati relegati in ghetti, e dalla vita del ghetto era emersa una distinta identità culturale ed etnica (così come religiosa) ebraica, con lo Yiddish come linguaggio comune (essendo l'ebraico soltanto l'antica lingua dei riti religiosi). Dopo la Rivoluzione Francese, gli ebrei dell'Europa occidentale si emanciparono dalla vita del ghetto ed affrontarono la scelta di dove dirigersi. Un gruppo, gli eredi dell'Illuminismo, scelse e sostenne la scelta di uscire dalla cultura ristretta e parrocchiale del ghetto per assimilarsi nella cultura e nell'ambiente del mondo occidentale. Ma se l'assimilazionismo era chiaramente il corso razionale in America ed Europa occidentale, questo percorso non avrebbe potuto esser seguito facilmente in Europa Orientale, dove le mura dei ghetti ancora tenevano. In Europa Orientale, quindi, gli ebrei si rivolsero ai vari movimenti per la conservazione dell'identità etnica e culturale ebraica. Quello prevalente era il Bundismo, la visione del Bund ebraico, che sosteneva l'autodeterminazione nazionale ebraica, fino ad includere uno stato ebraico nelle regioni a predominanza ebrea dell'Europa Orientale (così, secondo il Bundismo, la città di Vilna, in Europa Orientale, con una popolazione a maggioranza ebrea, avrebbe fatto parte di uno stato ebraico di nuova formazione). Un altro gruppo di ebrei, meno potente, il movimento territorialista, disperando per il futuro degli ebrei in Europa Orientale, sosteneva la conservazione dell'identità ebraica Yiddish con la formazione di colonie e comunità ebree (non stati) in varie zone non popolate e vergini del mondo.
Date le condizioni dell'ebraismo europeo alla fine del XIX ed all'inizio del XX secolo, tutti questi movimenti avevano una base razionale. L'unico movimento ebraico privo di senso era il sionismo, un movimento che ebbe inizio all'interno del territorialismo ebraico. Ma mentre i territorialisti volevano semplicemente conservare l'identità ebrea-Yiddish in una terra propria di nuova formazione, il sionismo cominciò ad insistere per una terra ebraica unicamente in Palestina. Il fatto che la Palestina non fosse una terra vergine, ma fosse già occupata da popolazioni di contadini arabi, non significava niente per gli ideologhi del sionismo. Ancora, i sionisti, lungi dallo sperare di conservare la cultura Yiddish del ghetto, voleva seppellirla e sostituirla con una nuova cultura ed una nuova lingua basate su un'artificiale espansione secolare dell'antico ebraico religioso.
Nel 1903, i britannici offrirono un territorio per la colonizzazione ebraica in Uganda ed il rifiuto di questa offerta da parte dei sionisti polarizzò i movimenti territorialista e sionista, che in precedenza erano fusi insieme. Da quel momento in poi, i sionisti si dedicheranno alla mistica terra-e-sangue in Palestina e solo in Palestina, mentre i territorialisti avrebbero cercato una terra vergine in un'altra parte del mondo.
A causa degli arabi residenti in Palestina, il sionismo dovette trasformarsi in pratica in un'ideologia di conquista. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Gran Bretagna prese il controllo della Palestina ed usò il suo potere sovrano di promuovere, incoraggiare e favorire l'espropriazione delle terre arabe per l'uso e per l'immigrazione sionista. I vecchi titoli di proprietà terriera turchi venivano spesso raccolti e comprati a poco prezzo, espropriando così i contadini arabi in nome dell'immigrazione sionista europea. Nel cuore del mondo arabo agricolo e nomade del Medio Oriente arrivava così, sulle spalle e sulle baionette dell'imperialismo britannico, un popolo di colonizzatori in gran parte europeo.
Anche se il sionismo era ora impegnato per una Palestina come casa nazionale ebraica, non lo era ancora nell'allargamento di uno stato ebraico indipendente in Palestina. Effettivamente, soltanto una minoranza dei sionisti favoriva uno stato ebraico e molti di questi avevano rotto con il sionismo ufficiale, sotto l'influenza di Vladimir Jabotinsky, e avevano formato il movimento sionista-revisionista per mobilitarsi perché uno stato ebraico governasse l'antica Palestina storica su entrambe le rive del fiume Giordano. Non è sorprendente che Jabotinsky abbia espresso grande ammirazione per il militarismo e la filosofia sociale del fascismo di Mussolini.
All'altra ala del sionismo stavano i sionisti culturali, che si opponevano all'idea di stato politico ebraico. In particolare, il movimento del Ihud (Unità), raccolto intorno a Martin Buber e ad un gruppo di distinti intellettuali ebrei dell'università ebraica di Gerusalemme, sosteneva, quando i britannici se ne fossero andati, uno stato ebreo-arabo bi-nazionale in Palestina, in cui né l'uno né l'altro gruppo religioso dominasse l'altro, ma che lavorassero in pace ed armonia per costruire la terra della Palestina.
Ma la logica interna del sionismo non l'avrebbe tollerato. Nella tumultuoso congresso del Sionismo Mondiale all'Hotel Biltmore di New York nel 1942, il sionismo, per la prima volta, adottò l'obiettivo di uno stato ebraico in Palestina, e niente di meno. Gli estremisti avevano vinto. Da quel momento in poi, ci sarebbe stata una crisi permanente in Medio Oriente.
Pressati da lati opposti dai sionisti ansiosi di ottenere uno stato ebraico e dagli arabi che volevano una Palestina indipendente, i britannici decisero infine di andarsene dopo la Seconda Guerra Mondiale e di passare il problema alle Nazioni Unite. Con l'intensificarsi delle spinte per uno stato ebraico condizione, il riverito dott. Judah Magnes, presidente dell'Università Ebraica di Gerusalemme e capo del movimento del Ihud, denunciò amaramente il “totalitarismo sionista,” che, accusava, sta cercando di portare “l'intero popolo ebreo sotto la propria influenza con la forza e la violenza. Ancora non ho visto chiamare i terroristi sionisti con il loro giusto nome: assassini – che hanno brutalizzato uomini e donne. … Tutti gli ebrei in America condividono tale colpa, persino quelli che non sono d'accordo con le attività di questa nuova leadership pagana, ma che rimangono comodamente seduti con le mani incrociate….” Poco tempo dopo, il dott. Magnes ritenne necessario l'esilio dalla Palestina ed emigrò negli Stati Uniti.
Sotto la pressione incredibilmente intensa dagli Stati Uniti, nel novembre del 1947 l'ONU – compresi gli entusiasti Stati Uniti e l'URSS – approvò riluttante un programma di partizione della Palestina, un programma che costituì la base dell'uscita britannica e della dichiarazione dell'esistenza di Israele il 15 maggio dell'anno seguente. Il programma di partizione garantì agli ebrei, che possedevano una frazione trascurabile della terra palestinese, quasi metà dell'area territoriale del paese. Il sionismo era riuscito a ritagliare uno stato ebraico europeo in territorio arabo nel Medio Oriente. Ma non era affatto finita qui. L'accordo dell'ONU aveva permesso (a) che Gerusalemme venisse internazionalizzata secondo la regola dell'ONU e (b) che ci fosse un'unione economica fra i nuovi stati ebraico e arabo della Palestina. Queste erano le condizioni di base con cui l'ONU approvò la partizione. Entrambe vennero subito e bruscamente disattese da Israele – che cominciarono così una crescente serie di aggressioni contro gli arabi in Medio Oriente.
Mentre i Britannici erano ancora in Palestina, le forze paramilitari sioniste iniziarono a schiacciare le forze armate arabe palestinesi in una serie di scontri di guerra civile. Ma, cosa più fatidica, il 9 aprile 1948, i fanatici terroristi sionisti-revisionisti raggruppati nell'organizzazione Irgun Zvai Leumi massacrarono cento donne e bambini nel villaggio arabo di Deir Yassin. Dall'avvento dell'indipendenza di Israele il 15 maggio gli arabi palestinesi, demoralizzati, fuggivano in preda al panico dalle loro case e dalla minaccia del massacro. I vicini stati arabi mandarono allora le loro truppe. Gli storici sono soliti descrivere la guerra che seguì come invasione di Israele da parte degli stati arabi, eroicamente respinta da Israele, ma poiché tutti i combattimenti ebbero luogo su territorio arabo, questa interpretazione è chiaramente errata. Ciò che accadde, infatti, è che Israele riuscì ad occupare grossi pezzi dei territori assegnati agli arabi palestinesi dall'accordo di partizione, comprese le zone arabe della Galilea occidentale, della Palestina araba centro-occidentale come “corridoio” per Gerusalemme e delle città arabe di Jaffa e di Beersheba. Anche il grosso di Gerusalemme – la città nuova – fu occupata da Israele ed il programma di internazionalizzazione dell'ONU venne scartato. Gli eserciti arabi furono ostacolati dalla loro stessa inefficienza e disunità e da una serie di tregue imposte dall'ONU rotte solo per il tempo bastante a Israele per occupare più territorio arabo.
Prima dell'accordo di armistizio permanente del 24 febbraio 1949, allora, 600.000 ebrei avevano creato uno stato che in origine aveva alloggiato 850.000 arabi (da una popolazione araba palestinese totale di 1,2 milioni). Di questi arabi, tre quarti di milione erano stati cacciati dalle loro terre e case ed il resto sottoposto ad una dura regola militare che, dopo due decadi, è ancora in vigore. Le case, le terre ed i conti bancari dei rifugiati arabi fuggiti furono subito confiscati da Israele e consegnati agli immigranti ebrei. Israele a lungo ha sostenuto che i tre quarti di milione di arabi non furono cacciati con la forza ma piuttosto dal loro stesso ingiustificato panico indotto dai leader arabi – ma il punto chiave è che tutti conoscono il risoluto rifiuto di Israele a lasciare che questi rifugiati tornino e reclamino le proprietà a loro sottratte. Da quel giorno a oggi, per due decadi, questi sfortunati rifugiati arabi, le loro fila ora gonfiate per aumento naturale a 1,3 milioni, hanno continuato a vivere in assoluta indigenza nei campi profughi intorno ai confini israeliani, a mala pena mantenuti in vita dagli scarni fondi dell'ONU e dai pacchi CARE, vivendo soltanto per il giorno in cui potranno tornare alle loro legittime case.
Nelle regioni della Palestina originariamente assegnate agli arabi, non è rimasto nessun governo arabo palestinese. Il capo riconosciuto degli arabi palestinesi, il loro Grand Mufti Haj Amin el-Husseini, fu deposto sommariamente dallo strumento britannico di vecchia data, il re Abdullah della Trans-Giordania, che confiscò semplicemente le regioni arabe della Palestina centro-orientale, così come la città vecchia di Gerusalemme (la Legione Araba del re Abdullah era stata costruita, armata, provvista di uomini e perfino guidata da ufficiali colonialisti britannici come Glubb Pasha).
Per quanto riguarda i rifugiati arabi, Israele si aspetta che i contribuenti del mondo (ovvero, in gran parte i contribuenti degli Stati Uniti) si inseriscano e finanzino un ampio programma per risistemarli in qualche luogo in Medio Oriente – cioè, in qualche luogo lontano da Israele. I rifugiati, tuttavia, non hanno naturalmente interesse nella risistemazione; rivogliono le loro case e proprietà, punto.
L'accordo di armistizio del 1949 si presumeva fosse sorvegliato da una serie di Commissioni Miste di Armistizio, composta da Israele e dai suoi vicini arabi. Molto presto, tuttavia, Israele sciolse le Commissioni Miste di Armistizio e cominciò ad invadere sempre più territori arabi. Quindi, la zona ufficialmente demilitarizzata di El Auja venne sommariamente occupata da Israele.
Da quando il Medio Oriente era ancora tecnicamente in uno stato di guerra (c'era un armistizio ma nessun trattato di pace), l'Egitto, dal 1949 in poi, aveva continuato a bloccare lo stretto di Tiran – l'entrata al golfo di Aqaba – a tutti i trasporti israeliani e a tutto il commercio con Israele. In considerazione dell'importanza del blocco del golfo di Aqaba nella guerra del 1967, è importante ricordare che nessuno protestò per questa azione egiziana: nessuno disse che l'Egitto stava violando il diritto internazionale chiudendo questo “pacifico canale internazionale” (rendere qualsiasi canale aperto a tutte le nazioni, secondo il diritto internazionale, richiede due condizioni: (a) consenso delle potenze che si affacciano sul canale e (b) che non esista stato di guerra fra qualsiasi delle potenze che si affacciano sul canale. Nessuna di queste condizioni valevano per il golfo di Aqaba: l'Egitto non acconsentì mai ad un tale accordo e Israele era in uno stato di guerra con l'Egitto dal 1949, di modo che l'Egitto poté bloccare il golfo ai trasporti israeliani senza contestazioni dal 1949 in poi).
La storia della continua aggressione israeliana era appena cominciata. Sette anni più tardi, nel 1956, Israele, alleato agli eserciti imperialisti britannici e francesi, invase l'Egitto. E – oh, con quale fierezza Israele imitò coscientemente le tattiche naziste del blitzkrieg e dell'attacco a sorpresa! E – oh, che ironia che proprio lo stesso establishment americano che per anni aveva denunciato i blitzkrieg e gli attacchi a sorpresa nazisti fosse improvvisamente pieno d'ammirazione per esattamente le stesse tattiche impiegate da Israele! Ma in questo caso, gli Stati Uniti, abbandonando momentaneamente la loro devozione intensa e continua alla causa israeliana, si unirono alla Russia nell'obbligare gli aggressori a lasciare il territorio egiziano. Ma Israele non ha acconsentì a ritirare le proprie forze dalla penisola del Sinai finché l'Egitto non avesse acconsentito a permettere che una Forza Speciale d'Emergenza dell'ONU avesse amministrato la fortezza di Sharm-El Sheikh che controlla lo stretto di Tiran. Tipicamente, Israele rifiutò sdegnoso all'UNEF il permesso di pattugliare il proprio lato del confine. Soltanto l'Egitto acconsentì a permettere l'accesso alle forze dell'ONU, e fu a causa di questo che il golfo di Aqaba è rimasto aperto ai trasporti israeliani dal 1956 in poi.
La crisi del 1967 nacque dal fatto che, nel corso degli ultimi anni, i rifugiati arabi palestinesi avevano cominciato ad abbandonare la loro precedente disperazione triste e passiva ed a formare movimenti guerriglieri che si sono infiltrati nei confini israeliani per portare la loro lotta nella regione delle loro case perdute. Dall'anno scorso, la Siria è stata sotto il controllo del più militante governo anti-imperialista che il Medio Oriente abbia visto da anni. L'incoraggiamento siriano ai guerriglieri palestinesi ha spinto i forsennati capi di Israele a minacciare la Siria con la guerra e la conquista di Damasco – minacce punteggiate da severe incursioni di rappresaglia contro i villaggi siriani e giordani. A questo punto il primo ministro egiziano, Gamal Abdel Nasser, che era stato uno sbruffone anti-israeliano per anni, ma che si era concentrato preferibilmente su misure demagogiche e stataliste che rovinarono l'economia interna dell'Egitto, fu sfidato dai siriani a fare qualcosa di concreto per aiutare: in particolare, a metter fine al controllo dell'UNEF – e quindi al continuo passaggio israeliano – nel golfo di Aqaba. Da qui, la richiesta di Nasser perché l'UNEF se ne andasse. Le proteste pro-israeliane alla rapida acquiescenza di U Thant sono grottesche, quando consideriamo che le forze dell'ONU erano là soltanto su richiesta egiziana e che Israele ha sempre rifiutato risolutamente di avere le forze dell'ONU sul proprio lato del confine. Fu a quel punto, con la chiusura dello stretto di Tiran, che Israele ha cominciato evidentemente a prepararsi per il proprio prossimo blitzkrieg.
Mentre apparentemente approvava le trattative di pace, il governo israeliano alla fine cedeva alle pressioni dei “falchi” all'interno del paese e la nomina di un noto guerrafondaio, il generale Moshe Dayan, a ministro della difesa era ovviamente il segnale per il blitz israeliano avvenuto dopo pochi giorni. Le incredibilmente rapide vittorie israeliane; la glorificazione della stampa delle tattiche e della strategia israeliane; la chiara impreparazione delle forze arabe a dispetto della gran fanfara; tutto ciò dimostra a tutti tranne ai più ingenui il fatto che Israele lanciò la guerra del 1967 – un fatto che l'Israele a malapena si preoccupa di negare.
Uno degli aspetti più repellenti del macello del 1967 è l'aperta ammirazione per la conquista israeliana da parte di quasi tutti gli americani, ebrei e non ebrei. Sembra esserci una malattia nel profondo dell'animo americano che causa la sua identificazione con l'aggressione e l'omicidio di massa – più rapido e più brutale è, meglio è. Nell'ondata di ammirazione per la marcia israeliana, quanti si addolorarono per le migliaia di civili arabi innocenti assassinati con l'uso israeliano del napalm? E per quanto riguarda lo sciovinismo ebraico fra il cosiddetto popolo “pacifista” della sinistra, non c'è dimostrazione più nauseabonda di una totale mancanza di umanità che quella mostrata da Margot Hentoff nel liberal Village Voice:
Quando ebbe inizio questa guerra, i capi israeliani affermarono che non erano interessati nemmeno in un “pollice” di territorio; la loro lotta era puramente difensiva. Ma ora che Israele siede sulle sue conquiste, dopo ripetute violazioni dei cessate il fuoco dell'ONU, spira un'aria molto diversa. Le sue forze occupano ancora tutta la penisola del Sinai; tutto il Giordano palestinese è stato occupato, spingendo altri quasi 200.000 sfortunati profughi arabi ad unirsi a centinaia di migliaia di loro compagni dimenticati; ha strappato un bel pezzo di Siria; e Israele afferma arrogante che non restituirà mai, mai, la città vecchia di Gerusalemme e non la internazionalizzerà; l'occupazione israeliana dell'intera Gerusalemme è semplicemente “non negoziabile.”
Se Israele è stato l'aggressore in Medio Oriente, il ruolo degli Stati Uniti in tutto questo è stato ancor più sgradevole. L'ipocrisia della posizione degli Stati Uniti è quasi incredibile – o lo sarebbe se non sapessimo qual è stata la politica estera degli Stati Uniti per decenni. Quando la guerra è cominciata, e per un momento è apparso come se Israele fosse in pericolo, gli Stati Uniti sono accorsi velocemente per dichiarare la propria dedizione “all'integrità nazionale del Medio Oriente” – come se i confini del 1949-67 fossero in qualche modo imbalsamati per sacro decreto e debbano essere conservati a tutti i costi. Ma – non appena è stato chiaro che Israele aveva vinto e conquistato ancora una volta, l'America si è rapidamente liberata dei propri presunti cari “principi.” Ora non si parla più “dell'integrità nazionale del Medio Oriente”; ora tutto è “realismo” e l'assurdità di tornare agli obsoleti confini dello status quo ed alla necessità che gli arabi accettino un accordo generale in Medio Oriente, ecc. Di quante altre prove abbiamo bisogno per sapere che gli Stati Uniti hanno approvato dall'inizio, pronti ad accorrere in soccorso di Israele se necessario? Di quante altre prove abbiamo bisogno per sapere che Israele è ora l'alleato ed il satellite degli Stati Uniti, che in Medio Oriente come in tante altre zone del mondo hanno indossato il mantello portato un tempo dall'imperialismo britannico?
La cosa più importante che gli americani non devono essere spinti a credere è che Israele sia un “piccolo” “derelitto” contro i suoi potenti vicini arabi. Israele è una nazione europea con uno standard tecnologico europeo che combatte un nemico primitivo e non sviluppato; ancora, Israele ha dietro di sé la forza concentrata di innumerevoli americani e europei occidentali che lo alimentano e lo finanziano, così come i governi leviatanici degli Stati Uniti e dei suoi numerosi alleati e stati clientelari. Israele non è un “prode derelitto” a causa dell'inferiorità numerica più di quanto lo fosse l'imperialismo britannico quando conquistava terre molto più popolate in India, in Africa ed in Asia.
E così, Israele ora si siede, occupando il proprio aumentato territorio, polverizzando case e villaggi che contengono cecchini, mettendo al bando gli arabi, uccidendo giovani arabi in nome del controllo del terrorismo. Ma questa stessa occupazione, questa stessa elefantiasi di Israele, fornisce agli arabi una potente occasione a lungo raggio. In primo luogo, come i regimi anti-imperialisti militanti di Siria e Algeria ora vedono, gli arabi possono spostare la loro enfasi strategica dalla disperata guerra convenzionale con un nemico molto meglio armato ad una prolungata e totale guerriglia popolare. Armato con armi leggere, il popolo arabo potrebbe mettere in atto un altro “Vietnam,” un'altra “Algeria” – un'altra guerriglia popolare contro un esercito d'occupazione pesantemente armato. Naturalmente, questa è una minaccia soltanto a lungo termine, perché per eseguirla gli arabi dovrebbero rovesciare tutte le loro stagnanti e reazionarie monarchie e formare una nazione unita pan-araba – perché le spaccature in nazioni-stato nel mondo arabo sono la conseguenza delle artificiose macchinazioni e delle depredazioni dell'imperialismo britannico e francese. Ma nel lungo termine, la minaccia è molto reale.
Israele, quindi, affronta un dilemma di lungo termine che un giorno dovrà affrontare. O continuare nel suo attuale percorso e, dopo anni di reciproche ostilità e di conflitto venir rovesciato dalla guerriglia popolare araba. O cambiare drasticamente direzione, liberarsi completamente dai legami imperiali occidentali e trasformarsi in semplici cittadini ebrei del Medio Oriente. Se lo facesse, allora la pace e l'armonia e la giustizia regnerebbero infine in questa regione tormentata. Ci sono molti precedenti per questa coesistenza pacifica. Per secoli prima dell'imperialismo occidentale del XIX e XX secolo, ebrei e arabi avevano sempre vissuto insieme pacificamente in Medio Oriente. Non ci sono inimicizia o conflitti inerenti fra arabi ed ebrei. Nei grandi secoli della civiltà araba nell'Africa del Nord ed in Spagna, gli ebrei avevano un ruolo felice e prominente – contrariamente alla loro continua persecuzione da parte dei fanatici dell'occidente cristiano. Ripulita dall'influenza e dall'imperialismo occidentale, quell'armonia può tornare a regnare di nuovo.
Rothbard è stato un uomo di questo tipo, indifferente al clamore della folla ed ai diktat dei potenti. Quella che segue è una delle innumerevoli dimostrazioni del suo amore per la giustizia e la verità, un pezzo scritto per Left and Right nel 1967, all'indomani della guerra dei sei giorni in Medio Oriente.
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DI Murray Rothbard
Il problema con i settari, che siano libertari, marxisti, o sostenitori del governo mondiale, è che tendono ad accontentarsi della causa alla radice di ogni problema ed a non preoccuparsi mai delle cause più dettagliate o più prossime. Il migliore, e quasi ridicolo, esempio di settarismo cieco e non intelligente è il Partito Laburista Socialista, un partito venerabile senza effetto alcuno sulla vita americana. A qualsiasi problema che la condizione del mondo potrebbe porre – la disoccupazione, l'automazione, il Vietnam, i test nucleari, o qualsiasi altra cosa – il PLS ripete semplicemente, a pappagallo: “adottare il socialismo.” Poiché il capitalismo si presume essere la causa originaria di tutti questi ed altri problemi, solo il socialismo li spazzerà via, punto. In questo modo il settario, anche se la sua identificazione della causa originaria fosse corretta, si isola da tutti i problemi del mondo reale e, per ulteriore ironia, evita a sé stesso di avere un qualche effetto verso lo scopo finale che serba in cuore.
Alla domanda sulle colpe di una guerra, di qualunque guerra, il settarismo alza la sua brutta e disinformata testa molto al di là della palude in cui affonda il Partito Laburista Socialista. Libertari, marxisti, sostenitori del governo mondiale, ciascuno dalla propria diversa prospettiva, hanno l'insita tendenza di evitare di tediarsi con i pro e i contro dettagliati di ogni dato conflitto. Ciascuno di essi sa che la causa alla radice della guerra è il sistema della nazione-stato; data l'esistenza di questo sistema, le guerre ci saranno sempre e tutti gli stati se ne divideranno la colpa. Il libertario, in particolare, sa che gli stati, senza eccezione, aggrediscono i loro cittadini e sa inoltre che in tutte le guerre ogni stato aggredisce i civili innocenti “appartenenti” all'altro stato.
Ora questo tipo di visione della causa originaria della guerra e dell'aggressione, e della natura dello stato in sé, è cosa buona e giusta ed estremamente necessaria per comprendere lo stato del mondo. Ma il problema è che il libertario tende a fermarsi lì, ed eludendo la responsabilità di conoscere che cosa sta accadendo in ciascuna specifica guerra o conflitto internazionale, tende a saltare ingiustificabilmente alla conclusione che, in qualunque guerra, tutti gli stati sono ugualmente colpevoli, e quindi a continuare a farsi gli affari suoi senza pensarci due volte. In breve, il libertario (e il marxista e il partigiano del governo mondiale) tende a trincerarsi nella comoda posizione di un “Terzo Accampamento,” assegnando uguali colpe a tutte le parti in ogni conflitto, e lasciando perdere. Questa è una posizione comoda da prendere perché in realtà non aliena i partigiani dell'uno o dell'altro lato. Entrambi gli schieramenti in una guerra scarteranno quest'uomo come “idealista” senza speranza e settario, un uomo anche piuttosto amabile perché ripete meccanicamente la sua posizione “pura” senza informarsi o prendere posizione su qualsiasi guerra stia infuriando nel mondo. In breve, entrambi gli schieramenti tollereranno il settario precisamente perché irrilevante, e perché la sua irrilevanza garantisce che non avrà effetto sul corso degli eventi o sull'opinione pubblica su questi eventi.
No: libertari devono arrivare a capire che ripetere meccanicamente i principi ultimi non è abbastanza per affrontare il mondo reale. Solo perché tutte le parti condividono la colpa ultima degli stati non significa che tutte le parti sono ugualmente colpevoli. Al contrario, virtualmente in ogni guerra, una parte è molto più colpevole dell'altra e a quella parte dev'essere assegnata la responsabilità di base per l'aggressione, la conquista, ecc. Ma per per scoprire quale parte in una guerra è la più colpevole, dobbiamo informarci approfonditamente sulla storia di quel conflitto e questo richiede tempo e riflessione – ed è inoltre necessaria la volontà ultima di diventare rilevanti prendendo posizione e assegnando un maggior grado di colpevolezza su un lato o sull'altro.
Diventiamo quindi rilevanti; e, con questo in mente, esaminiamo le cause storiche alla radice dell'attuale cronica e acuta crisi in Medio Oriente; e facciamolo con lo scopo di scoprire e giudicare il colpevole.
La crisi cronica del Medio Oriente risale – come molte altre crisi – alla Prima Guerra Mondiale. I britannici, in cambio della mobilitazione dei popoli arabi contro i loro oppressori della Turchia imperiale, promisero agli arabi la loro indipendenza alla fine della guerra. Ma, allo stesso tempo, il governo britannico, con un caratteristico gioco su due tavoli, prometteva la Palestina araba come “casa nazionale” per il sionismo organizzato. Queste promesse non erano sullo stesso piano morale: per ché nel primo caso, agli arabi veniva promessa la propria terra liberata dalla dominazione turca; e nel secondo, si prometteva al sionismo mondiale una terra enfaticamente non sua. Quando la guerra mondiale finì, i britannici senza alcuna esitazione scelsero di mantenere la promessa sbagliata, quella al sionismo mondiale. La loro scelta non fu difficile; se avesse mantenuto la propria promessa agli arabi, la Gran Bretagna avrebbe dovuto andarsene gentilmente dal Medio Oriente e consegnare quella terra ai suoi abitanti; ma, per adempiere alla sua promessa ai sionisti, la Gran-Bretagna doveva rimanere come potenza imperiale che governasse la Palestina araba. Che abbia scelto il corso imperiale non sorprende affatto.
Dobbiamo, quindi, tornare ancora più indietro nella storia: a cosa serviva il sionismo mondiale? Prima della Rivoluzione Francese, gli ebrei europei in gran parte erano stati relegati in ghetti, e dalla vita del ghetto era emersa una distinta identità culturale ed etnica (così come religiosa) ebraica, con lo Yiddish come linguaggio comune (essendo l'ebraico soltanto l'antica lingua dei riti religiosi). Dopo la Rivoluzione Francese, gli ebrei dell'Europa occidentale si emanciparono dalla vita del ghetto ed affrontarono la scelta di dove dirigersi. Un gruppo, gli eredi dell'Illuminismo, scelse e sostenne la scelta di uscire dalla cultura ristretta e parrocchiale del ghetto per assimilarsi nella cultura e nell'ambiente del mondo occidentale. Ma se l'assimilazionismo era chiaramente il corso razionale in America ed Europa occidentale, questo percorso non avrebbe potuto esser seguito facilmente in Europa Orientale, dove le mura dei ghetti ancora tenevano. In Europa Orientale, quindi, gli ebrei si rivolsero ai vari movimenti per la conservazione dell'identità etnica e culturale ebraica. Quello prevalente era il Bundismo, la visione del Bund ebraico, che sosteneva l'autodeterminazione nazionale ebraica, fino ad includere uno stato ebraico nelle regioni a predominanza ebrea dell'Europa Orientale (così, secondo il Bundismo, la città di Vilna, in Europa Orientale, con una popolazione a maggioranza ebrea, avrebbe fatto parte di uno stato ebraico di nuova formazione). Un altro gruppo di ebrei, meno potente, il movimento territorialista, disperando per il futuro degli ebrei in Europa Orientale, sosteneva la conservazione dell'identità ebraica Yiddish con la formazione di colonie e comunità ebree (non stati) in varie zone non popolate e vergini del mondo.
Date le condizioni dell'ebraismo europeo alla fine del XIX ed all'inizio del XX secolo, tutti questi movimenti avevano una base razionale. L'unico movimento ebraico privo di senso era il sionismo, un movimento che ebbe inizio all'interno del territorialismo ebraico. Ma mentre i territorialisti volevano semplicemente conservare l'identità ebrea-Yiddish in una terra propria di nuova formazione, il sionismo cominciò ad insistere per una terra ebraica unicamente in Palestina. Il fatto che la Palestina non fosse una terra vergine, ma fosse già occupata da popolazioni di contadini arabi, non significava niente per gli ideologhi del sionismo. Ancora, i sionisti, lungi dallo sperare di conservare la cultura Yiddish del ghetto, voleva seppellirla e sostituirla con una nuova cultura ed una nuova lingua basate su un'artificiale espansione secolare dell'antico ebraico religioso.
Nel 1903, i britannici offrirono un territorio per la colonizzazione ebraica in Uganda ed il rifiuto di questa offerta da parte dei sionisti polarizzò i movimenti territorialista e sionista, che in precedenza erano fusi insieme. Da quel momento in poi, i sionisti si dedicheranno alla mistica terra-e-sangue in Palestina e solo in Palestina, mentre i territorialisti avrebbero cercato una terra vergine in un'altra parte del mondo.
A causa degli arabi residenti in Palestina, il sionismo dovette trasformarsi in pratica in un'ideologia di conquista. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Gran Bretagna prese il controllo della Palestina ed usò il suo potere sovrano di promuovere, incoraggiare e favorire l'espropriazione delle terre arabe per l'uso e per l'immigrazione sionista. I vecchi titoli di proprietà terriera turchi venivano spesso raccolti e comprati a poco prezzo, espropriando così i contadini arabi in nome dell'immigrazione sionista europea. Nel cuore del mondo arabo agricolo e nomade del Medio Oriente arrivava così, sulle spalle e sulle baionette dell'imperialismo britannico, un popolo di colonizzatori in gran parte europeo.
Anche se il sionismo era ora impegnato per una Palestina come casa nazionale ebraica, non lo era ancora nell'allargamento di uno stato ebraico indipendente in Palestina. Effettivamente, soltanto una minoranza dei sionisti favoriva uno stato ebraico e molti di questi avevano rotto con il sionismo ufficiale, sotto l'influenza di Vladimir Jabotinsky, e avevano formato il movimento sionista-revisionista per mobilitarsi perché uno stato ebraico governasse l'antica Palestina storica su entrambe le rive del fiume Giordano. Non è sorprendente che Jabotinsky abbia espresso grande ammirazione per il militarismo e la filosofia sociale del fascismo di Mussolini.
All'altra ala del sionismo stavano i sionisti culturali, che si opponevano all'idea di stato politico ebraico. In particolare, il movimento del Ihud (Unità), raccolto intorno a Martin Buber e ad un gruppo di distinti intellettuali ebrei dell'università ebraica di Gerusalemme, sosteneva, quando i britannici se ne fossero andati, uno stato ebreo-arabo bi-nazionale in Palestina, in cui né l'uno né l'altro gruppo religioso dominasse l'altro, ma che lavorassero in pace ed armonia per costruire la terra della Palestina.
Ma la logica interna del sionismo non l'avrebbe tollerato. Nella tumultuoso congresso del Sionismo Mondiale all'Hotel Biltmore di New York nel 1942, il sionismo, per la prima volta, adottò l'obiettivo di uno stato ebraico in Palestina, e niente di meno. Gli estremisti avevano vinto. Da quel momento in poi, ci sarebbe stata una crisi permanente in Medio Oriente.
Pressati da lati opposti dai sionisti ansiosi di ottenere uno stato ebraico e dagli arabi che volevano una Palestina indipendente, i britannici decisero infine di andarsene dopo la Seconda Guerra Mondiale e di passare il problema alle Nazioni Unite. Con l'intensificarsi delle spinte per uno stato ebraico condizione, il riverito dott. Judah Magnes, presidente dell'Università Ebraica di Gerusalemme e capo del movimento del Ihud, denunciò amaramente il “totalitarismo sionista,” che, accusava, sta cercando di portare “l'intero popolo ebreo sotto la propria influenza con la forza e la violenza. Ancora non ho visto chiamare i terroristi sionisti con il loro giusto nome: assassini – che hanno brutalizzato uomini e donne. … Tutti gli ebrei in America condividono tale colpa, persino quelli che non sono d'accordo con le attività di questa nuova leadership pagana, ma che rimangono comodamente seduti con le mani incrociate….” Poco tempo dopo, il dott. Magnes ritenne necessario l'esilio dalla Palestina ed emigrò negli Stati Uniti.
Sotto la pressione incredibilmente intensa dagli Stati Uniti, nel novembre del 1947 l'ONU – compresi gli entusiasti Stati Uniti e l'URSS – approvò riluttante un programma di partizione della Palestina, un programma che costituì la base dell'uscita britannica e della dichiarazione dell'esistenza di Israele il 15 maggio dell'anno seguente. Il programma di partizione garantì agli ebrei, che possedevano una frazione trascurabile della terra palestinese, quasi metà dell'area territoriale del paese. Il sionismo era riuscito a ritagliare uno stato ebraico europeo in territorio arabo nel Medio Oriente. Ma non era affatto finita qui. L'accordo dell'ONU aveva permesso (a) che Gerusalemme venisse internazionalizzata secondo la regola dell'ONU e (b) che ci fosse un'unione economica fra i nuovi stati ebraico e arabo della Palestina. Queste erano le condizioni di base con cui l'ONU approvò la partizione. Entrambe vennero subito e bruscamente disattese da Israele – che cominciarono così una crescente serie di aggressioni contro gli arabi in Medio Oriente.
Mentre i Britannici erano ancora in Palestina, le forze paramilitari sioniste iniziarono a schiacciare le forze armate arabe palestinesi in una serie di scontri di guerra civile. Ma, cosa più fatidica, il 9 aprile 1948, i fanatici terroristi sionisti-revisionisti raggruppati nell'organizzazione Irgun Zvai Leumi massacrarono cento donne e bambini nel villaggio arabo di Deir Yassin. Dall'avvento dell'indipendenza di Israele il 15 maggio gli arabi palestinesi, demoralizzati, fuggivano in preda al panico dalle loro case e dalla minaccia del massacro. I vicini stati arabi mandarono allora le loro truppe. Gli storici sono soliti descrivere la guerra che seguì come invasione di Israele da parte degli stati arabi, eroicamente respinta da Israele, ma poiché tutti i combattimenti ebbero luogo su territorio arabo, questa interpretazione è chiaramente errata. Ciò che accadde, infatti, è che Israele riuscì ad occupare grossi pezzi dei territori assegnati agli arabi palestinesi dall'accordo di partizione, comprese le zone arabe della Galilea occidentale, della Palestina araba centro-occidentale come “corridoio” per Gerusalemme e delle città arabe di Jaffa e di Beersheba. Anche il grosso di Gerusalemme – la città nuova – fu occupata da Israele ed il programma di internazionalizzazione dell'ONU venne scartato. Gli eserciti arabi furono ostacolati dalla loro stessa inefficienza e disunità e da una serie di tregue imposte dall'ONU rotte solo per il tempo bastante a Israele per occupare più territorio arabo.
Prima dell'accordo di armistizio permanente del 24 febbraio 1949, allora, 600.000 ebrei avevano creato uno stato che in origine aveva alloggiato 850.000 arabi (da una popolazione araba palestinese totale di 1,2 milioni). Di questi arabi, tre quarti di milione erano stati cacciati dalle loro terre e case ed il resto sottoposto ad una dura regola militare che, dopo due decadi, è ancora in vigore. Le case, le terre ed i conti bancari dei rifugiati arabi fuggiti furono subito confiscati da Israele e consegnati agli immigranti ebrei. Israele a lungo ha sostenuto che i tre quarti di milione di arabi non furono cacciati con la forza ma piuttosto dal loro stesso ingiustificato panico indotto dai leader arabi – ma il punto chiave è che tutti conoscono il risoluto rifiuto di Israele a lasciare che questi rifugiati tornino e reclamino le proprietà a loro sottratte. Da quel giorno a oggi, per due decadi, questi sfortunati rifugiati arabi, le loro fila ora gonfiate per aumento naturale a 1,3 milioni, hanno continuato a vivere in assoluta indigenza nei campi profughi intorno ai confini israeliani, a mala pena mantenuti in vita dagli scarni fondi dell'ONU e dai pacchi CARE, vivendo soltanto per il giorno in cui potranno tornare alle loro legittime case.
Nelle regioni della Palestina originariamente assegnate agli arabi, non è rimasto nessun governo arabo palestinese. Il capo riconosciuto degli arabi palestinesi, il loro Grand Mufti Haj Amin el-Husseini, fu deposto sommariamente dallo strumento britannico di vecchia data, il re Abdullah della Trans-Giordania, che confiscò semplicemente le regioni arabe della Palestina centro-orientale, così come la città vecchia di Gerusalemme (la Legione Araba del re Abdullah era stata costruita, armata, provvista di uomini e perfino guidata da ufficiali colonialisti britannici come Glubb Pasha).
Per quanto riguarda i rifugiati arabi, Israele si aspetta che i contribuenti del mondo (ovvero, in gran parte i contribuenti degli Stati Uniti) si inseriscano e finanzino un ampio programma per risistemarli in qualche luogo in Medio Oriente – cioè, in qualche luogo lontano da Israele. I rifugiati, tuttavia, non hanno naturalmente interesse nella risistemazione; rivogliono le loro case e proprietà, punto.
L'accordo di armistizio del 1949 si presumeva fosse sorvegliato da una serie di Commissioni Miste di Armistizio, composta da Israele e dai suoi vicini arabi. Molto presto, tuttavia, Israele sciolse le Commissioni Miste di Armistizio e cominciò ad invadere sempre più territori arabi. Quindi, la zona ufficialmente demilitarizzata di El Auja venne sommariamente occupata da Israele.
Da quando il Medio Oriente era ancora tecnicamente in uno stato di guerra (c'era un armistizio ma nessun trattato di pace), l'Egitto, dal 1949 in poi, aveva continuato a bloccare lo stretto di Tiran – l'entrata al golfo di Aqaba – a tutti i trasporti israeliani e a tutto il commercio con Israele. In considerazione dell'importanza del blocco del golfo di Aqaba nella guerra del 1967, è importante ricordare che nessuno protestò per questa azione egiziana: nessuno disse che l'Egitto stava violando il diritto internazionale chiudendo questo “pacifico canale internazionale” (rendere qualsiasi canale aperto a tutte le nazioni, secondo il diritto internazionale, richiede due condizioni: (a) consenso delle potenze che si affacciano sul canale e (b) che non esista stato di guerra fra qualsiasi delle potenze che si affacciano sul canale. Nessuna di queste condizioni valevano per il golfo di Aqaba: l'Egitto non acconsentì mai ad un tale accordo e Israele era in uno stato di guerra con l'Egitto dal 1949, di modo che l'Egitto poté bloccare il golfo ai trasporti israeliani senza contestazioni dal 1949 in poi).
La storia della continua aggressione israeliana era appena cominciata. Sette anni più tardi, nel 1956, Israele, alleato agli eserciti imperialisti britannici e francesi, invase l'Egitto. E – oh, con quale fierezza Israele imitò coscientemente le tattiche naziste del blitzkrieg e dell'attacco a sorpresa! E – oh, che ironia che proprio lo stesso establishment americano che per anni aveva denunciato i blitzkrieg e gli attacchi a sorpresa nazisti fosse improvvisamente pieno d'ammirazione per esattamente le stesse tattiche impiegate da Israele! Ma in questo caso, gli Stati Uniti, abbandonando momentaneamente la loro devozione intensa e continua alla causa israeliana, si unirono alla Russia nell'obbligare gli aggressori a lasciare il territorio egiziano. Ma Israele non ha acconsentì a ritirare le proprie forze dalla penisola del Sinai finché l'Egitto non avesse acconsentito a permettere che una Forza Speciale d'Emergenza dell'ONU avesse amministrato la fortezza di Sharm-El Sheikh che controlla lo stretto di Tiran. Tipicamente, Israele rifiutò sdegnoso all'UNEF il permesso di pattugliare il proprio lato del confine. Soltanto l'Egitto acconsentì a permettere l'accesso alle forze dell'ONU, e fu a causa di questo che il golfo di Aqaba è rimasto aperto ai trasporti israeliani dal 1956 in poi.
La crisi del 1967 nacque dal fatto che, nel corso degli ultimi anni, i rifugiati arabi palestinesi avevano cominciato ad abbandonare la loro precedente disperazione triste e passiva ed a formare movimenti guerriglieri che si sono infiltrati nei confini israeliani per portare la loro lotta nella regione delle loro case perdute. Dall'anno scorso, la Siria è stata sotto il controllo del più militante governo anti-imperialista che il Medio Oriente abbia visto da anni. L'incoraggiamento siriano ai guerriglieri palestinesi ha spinto i forsennati capi di Israele a minacciare la Siria con la guerra e la conquista di Damasco – minacce punteggiate da severe incursioni di rappresaglia contro i villaggi siriani e giordani. A questo punto il primo ministro egiziano, Gamal Abdel Nasser, che era stato uno sbruffone anti-israeliano per anni, ma che si era concentrato preferibilmente su misure demagogiche e stataliste che rovinarono l'economia interna dell'Egitto, fu sfidato dai siriani a fare qualcosa di concreto per aiutare: in particolare, a metter fine al controllo dell'UNEF – e quindi al continuo passaggio israeliano – nel golfo di Aqaba. Da qui, la richiesta di Nasser perché l'UNEF se ne andasse. Le proteste pro-israeliane alla rapida acquiescenza di U Thant sono grottesche, quando consideriamo che le forze dell'ONU erano là soltanto su richiesta egiziana e che Israele ha sempre rifiutato risolutamente di avere le forze dell'ONU sul proprio lato del confine. Fu a quel punto, con la chiusura dello stretto di Tiran, che Israele ha cominciato evidentemente a prepararsi per il proprio prossimo blitzkrieg.
Mentre apparentemente approvava le trattative di pace, il governo israeliano alla fine cedeva alle pressioni dei “falchi” all'interno del paese e la nomina di un noto guerrafondaio, il generale Moshe Dayan, a ministro della difesa era ovviamente il segnale per il blitz israeliano avvenuto dopo pochi giorni. Le incredibilmente rapide vittorie israeliane; la glorificazione della stampa delle tattiche e della strategia israeliane; la chiara impreparazione delle forze arabe a dispetto della gran fanfara; tutto ciò dimostra a tutti tranne ai più ingenui il fatto che Israele lanciò la guerra del 1967 – un fatto che l'Israele a malapena si preoccupa di negare.
Uno degli aspetti più repellenti del macello del 1967 è l'aperta ammirazione per la conquista israeliana da parte di quasi tutti gli americani, ebrei e non ebrei. Sembra esserci una malattia nel profondo dell'animo americano che causa la sua identificazione con l'aggressione e l'omicidio di massa – più rapido e più brutale è, meglio è. Nell'ondata di ammirazione per la marcia israeliana, quanti si addolorarono per le migliaia di civili arabi innocenti assassinati con l'uso israeliano del napalm? E per quanto riguarda lo sciovinismo ebraico fra il cosiddetto popolo “pacifista” della sinistra, non c'è dimostrazione più nauseabonda di una totale mancanza di umanità che quella mostrata da Margot Hentoff nel liberal Village Voice:
“C'è qualche guerra che ti piace? In caso affermativo, sei ebreo? Fortunato te. Che gran momento per essere ebreo. Avete mai conosciuto dei pacifisti ebrei? Ne avete conosciuto qualcuno la settimana scorsa? … Del resto, questa era una guerra differente – un vecchio genere di guerra, un genere di guerra in cui la morte era portatrice di vita e le morti arabe non contavano. Che piacere essere, ancora una volta, a favore di una guerra. Che bella sensazione, sana e pulita, acclamare quelle jeep che attraversavano lo schermo televisivo piene di soldati EBREI duri, magri, risoluti, armati.Che “bella sensazione pulita” davvero, quando “le morti arabe non contano!” C'è qualche differenza fra questo tipo di atteggiamento e quello dei nazisti persecutori di ebrei che la nostra stampa attacca, giorno dopo giorno, da ben più di vent'anni?
“‘Guarda come vanno! WOW! ZAP! Niente li fermerà adesso!’ ha detto un vecchio pacifista radicale. ‘Questo è un esercito di ebrei!’
“Un altro (il cui contributo principale al giudaismo finora è stato di scrivere articoli che ripudiano Israele e che annunciano che il giudaismo ha fallito e se lo merita) ha passato la settimana a dissimulare la sua nazionalità. ‘Come stiamo?’ Continuava a chiedere. ‘Dove arriveremo adesso?’”
Quando ebbe inizio questa guerra, i capi israeliani affermarono che non erano interessati nemmeno in un “pollice” di territorio; la loro lotta era puramente difensiva. Ma ora che Israele siede sulle sue conquiste, dopo ripetute violazioni dei cessate il fuoco dell'ONU, spira un'aria molto diversa. Le sue forze occupano ancora tutta la penisola del Sinai; tutto il Giordano palestinese è stato occupato, spingendo altri quasi 200.000 sfortunati profughi arabi ad unirsi a centinaia di migliaia di loro compagni dimenticati; ha strappato un bel pezzo di Siria; e Israele afferma arrogante che non restituirà mai, mai, la città vecchia di Gerusalemme e non la internazionalizzerà; l'occupazione israeliana dell'intera Gerusalemme è semplicemente “non negoziabile.”
Se Israele è stato l'aggressore in Medio Oriente, il ruolo degli Stati Uniti in tutto questo è stato ancor più sgradevole. L'ipocrisia della posizione degli Stati Uniti è quasi incredibile – o lo sarebbe se non sapessimo qual è stata la politica estera degli Stati Uniti per decenni. Quando la guerra è cominciata, e per un momento è apparso come se Israele fosse in pericolo, gli Stati Uniti sono accorsi velocemente per dichiarare la propria dedizione “all'integrità nazionale del Medio Oriente” – come se i confini del 1949-67 fossero in qualche modo imbalsamati per sacro decreto e debbano essere conservati a tutti i costi. Ma – non appena è stato chiaro che Israele aveva vinto e conquistato ancora una volta, l'America si è rapidamente liberata dei propri presunti cari “principi.” Ora non si parla più “dell'integrità nazionale del Medio Oriente”; ora tutto è “realismo” e l'assurdità di tornare agli obsoleti confini dello status quo ed alla necessità che gli arabi accettino un accordo generale in Medio Oriente, ecc. Di quante altre prove abbiamo bisogno per sapere che gli Stati Uniti hanno approvato dall'inizio, pronti ad accorrere in soccorso di Israele se necessario? Di quante altre prove abbiamo bisogno per sapere che Israele è ora l'alleato ed il satellite degli Stati Uniti, che in Medio Oriente come in tante altre zone del mondo hanno indossato il mantello portato un tempo dall'imperialismo britannico?
La cosa più importante che gli americani non devono essere spinti a credere è che Israele sia un “piccolo” “derelitto” contro i suoi potenti vicini arabi. Israele è una nazione europea con uno standard tecnologico europeo che combatte un nemico primitivo e non sviluppato; ancora, Israele ha dietro di sé la forza concentrata di innumerevoli americani e europei occidentali che lo alimentano e lo finanziano, così come i governi leviatanici degli Stati Uniti e dei suoi numerosi alleati e stati clientelari. Israele non è un “prode derelitto” a causa dell'inferiorità numerica più di quanto lo fosse l'imperialismo britannico quando conquistava terre molto più popolate in India, in Africa ed in Asia.
E così, Israele ora si siede, occupando il proprio aumentato territorio, polverizzando case e villaggi che contengono cecchini, mettendo al bando gli arabi, uccidendo giovani arabi in nome del controllo del terrorismo. Ma questa stessa occupazione, questa stessa elefantiasi di Israele, fornisce agli arabi una potente occasione a lungo raggio. In primo luogo, come i regimi anti-imperialisti militanti di Siria e Algeria ora vedono, gli arabi possono spostare la loro enfasi strategica dalla disperata guerra convenzionale con un nemico molto meglio armato ad una prolungata e totale guerriglia popolare. Armato con armi leggere, il popolo arabo potrebbe mettere in atto un altro “Vietnam,” un'altra “Algeria” – un'altra guerriglia popolare contro un esercito d'occupazione pesantemente armato. Naturalmente, questa è una minaccia soltanto a lungo termine, perché per eseguirla gli arabi dovrebbero rovesciare tutte le loro stagnanti e reazionarie monarchie e formare una nazione unita pan-araba – perché le spaccature in nazioni-stato nel mondo arabo sono la conseguenza delle artificiose macchinazioni e delle depredazioni dell'imperialismo britannico e francese. Ma nel lungo termine, la minaccia è molto reale.
Israele, quindi, affronta un dilemma di lungo termine che un giorno dovrà affrontare. O continuare nel suo attuale percorso e, dopo anni di reciproche ostilità e di conflitto venir rovesciato dalla guerriglia popolare araba. O cambiare drasticamente direzione, liberarsi completamente dai legami imperiali occidentali e trasformarsi in semplici cittadini ebrei del Medio Oriente. Se lo facesse, allora la pace e l'armonia e la giustizia regnerebbero infine in questa regione tormentata. Ci sono molti precedenti per questa coesistenza pacifica. Per secoli prima dell'imperialismo occidentale del XIX e XX secolo, ebrei e arabi avevano sempre vissuto insieme pacificamente in Medio Oriente. Non ci sono inimicizia o conflitti inerenti fra arabi ed ebrei. Nei grandi secoli della civiltà araba nell'Africa del Nord ed in Spagna, gli ebrei avevano un ruolo felice e prominente – contrariamente alla loro continua persecuzione da parte dei fanatici dell'occidente cristiano. Ripulita dall'influenza e dall'imperialismo occidentale, quell'armonia può tornare a regnare di nuovo.
9 comments:
"I vecchi titoli di proprietà terriera turchi venivano spesso raccolti e comprati a poco prezzo, espropriando così i contadini arabi in nome dell'immigrazione sionista europea."
ma l'ha scritta veramente rothbard sta roba?
Mi sembra un'analisi storica abbastanza tranquilla ed aderente ai fatti.
a me oltre a sembrare un'analisi dui parte (voi direte ma rothbard è ebreo, infatti non so di quale parte, forse voleva fa l'anticorfomista ai tempi, magari se era italiano la faceva opposta) mi pare che non applichi assolutamente un prisma libertario confonde ebrei e stato di israele per esempio, oppure come nel passo che ho citato parla come un comunista che depreca i capitalisti di aver licenziato i lavoratori, un'analisi libertaria interessante sarebbe stata analizzare al legittimità dei titoli di proprietà, ma tutto questo non c'è; se non spieghi per quale motivo i titoli di proprietà turchi non andavano bene la ragione va agli israeliani, se invece dimostri che sono titoli non validi la ragione va ai palestinesi, ma il torto ai turchi.
la conclusione finale invece la appoggio, anche se parla di israeliani e non di governo israeliano e col senno di poi alla fine lo stato di isreale ha restituito gran parte dei territori occupati salvo vederseli usare come basi missilistiche da hamas.
in effetti penso che se israele tornasse alla risoluzione del 48 avrebbe molti meno problemi coi palestinesi, rimarrebbero quelli con l'iran l'arabia saudita eccetera.
Quando il conformismo è rappresentato dalle Margot Hentoff, allora viva l'anticonformismo.
A parte questo, il punto è che a gestire le proprietà è stata una potenza estera che nessun diritto aveva su quella terra. E da un punto di vista libertario neanche le scartoffie ottomane ne avevano, per dirla tutta.
Il diritto alla terra ce l'ha chi ci abita e la mette a frutto. Si chiama homesteading.
anche quando il conformismo è rappresentato da giuliana sgrena evviva l'anticonformismo.
"E da un punto di vista libertario neanche le scartoffie ottomane ne avevano, per dirla tutta."
Si ma da uno dei massimi ideologi del libertarismo mi sarei aspettato che spiegasse anche il motivo di questa invalidità.
quello che dici te sull'homesteading non credo sia corretto, l'homesteading si ha solo quando si mette a frutto una res nullius, ma dal momento che la palestina e la giudea sono arate e zappate da migliaia di anni non sono res nullius da un pezzo (almeno, non è detto, se uno si mette ad arare nel desrato ok, quella è res nullius), l'usucapione non è previsto dal libertarismo alla rothbard, quindi di ogni proprietà bisogna andare a vedere l'ultimo proprietario noto e vedere se tutti i passaggi di proprietà seguono la norma del titolo valido, tale onere dovrebbe gravare su chi contesta la legittimità della proprietà, dato che vale il principio di innocenza presunta.
ero: i titoli di proprietà dei turchi sono da considerarsi validi fino a prova contraria.
inoltre portando alle estreme conseguenza questi principi, che sono poi dello stesso rothbard, si avrebbe per esempio che la zona dove sorge la cupola della roccia appartiene al rabbinato, dal momento che mai è stata venduta, vuol dire che mai ha cambiato proprietà, e ci sono prove a volontà che lì un tempo sorgesse il tempio centrale.
insomma morale della favola, analizzare queste cose da un punto di vista libertario è sempre assai interessante, ma mi sembra che piuttosto difficile ottenere risposte semplici e nette come fa rothbard in questo articolo.
Per esempio una parte complicata dell'applicazione sarebbe riguardo le vicende recenti a gaza. le vittime civili, considerato che erano utilizzate dai membri di hamas quasi come scudi umani, sono da ascrivere al governo israeliano o ad hamas?
la Rand avrebbe sicuramente detto ad hamas, rothbard credo all'esercito. Io credo che neanche qui la risposta è semplice.
quello che dici te sull'homesteading non credo sia corretto, l'homesteading si ha solo quando si mette a frutto una res nullius, ma dal momento che la palestina e la giudea sono arate e zappate da migliaia di anni non sono res nullius da un pezzo
Ma sono proprio i palestinesi ad averle arate e zappate per migliaia di anni! Gli ebrei – intesi come popolo – è dalla diaspora che non si vedevano più da quelle parti.
Tra l'altro, in buona parte gli stessi palestinesi sono discendenti di alcuni di quegli ebrei, e infatti sono semiti.
Non si può risalire a duemila anni fa. Allora perché noi italiani non dovremmo riprenderci la Gallia o la Britannia, tanto più che portammo loro la civiltà quando loro non erano che rozzi barbari?
Guarda, io voglio fare una considerazione che è un po' che mi gira per la testa. Sai che sono stato in Grecia per 20 anni, quando sono partito avevo altre cose per la testa e non sapevo granché della situazione in Palestina, non me n'ero mai interessato più di tanto, e politicamente mi consideravo un anarco-individualista, quasi misantropo.
Della cosa ho iniziato ad informarmi mentre ero laggiù, dove la simpatia per i palestinesi è più diffusa che da noi. Personalmente non ho particolari simpatie né per gli uni né per gli altri, e davvero ciò che mi interessa è avvicinarmi il più possibile alla verità e capire meglio che posso dove sta la giustizia. Ho letto molto, da entrambe le parti, e un'idea me la sono fatta, credo sufficientemente obiettiva.
Disapprovo Hamas ma capisco come e perché ha ottenuto il potere. Non ho agende politiche da seguire né credo che abbracciare una visione o l'altra possa inficiare i miei principi se non nella misura in cui la scelta è operata pregiudizialmente.
Ora, tutto questo per dirti che tornato in Italia mi sono sorpreso (relativamente) di scoprire che qui la questione è invece estremamente polarizzata e influenzata dalla posizione politica di ciascuno. Ho visto persone esprimere sulla questione opinioni tanto assolute quanto le loro conoscenze erano approssimative, da una parte e dell'altra. C'è chi giustifica qualsiasi azione da parte di Israele, rinunciando ad ogni barlume di umanità, e chi arriva a glorificare le azioni di Hamas, quasi sempre senza un'analisi approfondita alle spalle, ma solo perché quella è la linea del loro partito di riferimento.
Ovviamente non sto parlando di te, che per quanto ti conosco mi sembri tutt'altro genere di persona, ma non posso fare a meno di pensare che nessuno, in un simile “ambiente ideologico,” possa considerarsi del tutto immune dalla propaganda, che qui in Italia, ad esclusione dell'estrema sinistra (e di parte dell'estrema destra), pende decisamente dalla parte di Israele: ogni volta che ho espresso la mia idea in proposito, infatti, m'è toccato prendermi di "rosso," quando non di "antisemita," e dire che ho pure dei quarti ebrei e un nonno passato per i campi!
Insomma, ho dovuto scoprire mio malgrado che, in Italia, esporre le colpe di Israele – anche senza assegnargliele tutte, peraltro! – ti identifica come appartenente ad una determinata area politica e che è quindi un tabù per chi a quell'area non appartiene indagare tale possibilità senza pregiudizi. Come se fosse la questione mediorientale il metro di giudizio delle diverse teorie politiche. Non lo è.
Ecco, ho scritto quasi più di Rothbard e non so se mi sono espresso chiaramente, ma era un po' che 'sta cosa mi rimaneva sul gozzo. Spero che ti possa servire per una riflessione, almeno non avrei buttato via del tempo, poi se la tua opinione non ne sarà mutata pazienza, di diversità d'opinioni non è mai morto nessuno.
Trovo davvero interessante, ma forse irrisolvibile, la questione del "homestanding".
Alla fine, l'unica legge accettata è quella della forza; tutte le nazioni del mondo sono fondate su una serie di guerre che ad un certo punto hanno portato un popolo ad imporsi sull'altro.
Per alcuni la questione risale a pochi anni fa, per altri occorre andare indietro di secoli, ma sempre in qualche scontro violento tra popoli ci si imbatte, e da lì in poi si può risalire a dei passaggi di proprietà "legali".
Probabilmente l'errore sta nel farne una questione di "popoli", e non di persone.
In Palestina, ad esempio, ci sono stati diversi invasori, ma in fondo le famiglie palestinesi in conflitto con i sionisti sono in gran parte discendenti degli stessi ebrei di cui parla la bibbia (come diceva Pax), rimasti in quella terra e convertitesi all'islam.
(se no, seguendo l'esempio di Pax, anche la Grecia potrebbe rivendicare Napoli, a questo punto, anche se non so quanto ci converrebbe, ora come ora..)
Altra questione è quella della proprietà della terra.
In Europa essa non era contemplata fino al XVI secolo.
I vari sovrani e signori infatti la "amministravano" per conto di Dio.
Differenza apparentemente di poco conto, ma sostanziale per quanto riguarda il diritto.
La stessa disciplina dell'estimo, nata per stabilire il valore dei fabbricati, fino al XVII non si occupa del valore dei terreni in cui i fabbricati stessi sorgevano, dal momento che calcolare il valore della terra era considerato alla stregua di calcolare il valore dell'aria che si respirava.
E' una questione complicatissima, insomma.
A presto
se no, seguendo l'esempio di Pax, anche la Grecia potrebbe rivendicare Napoli
E ci mancherebbe solo Napoli adesso... :-)
mi sono proposta di capirci di più, specie dopo i fatti recenti. Ringrazio quindi gli autori; l' analisi non sarà stata completa ma come potrebbe esserci un'analisi completa e oggettiva su un argomento così scivolo e mutevole (e anche millenario!) ?
Ma sono convinta che bisogna essere all'altezza degli eventi con la massima obiettività possibile, altrimenti saremo solo orecchianti da salotto.
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