“The entrepreneur controls the factors of production; it is this control that brings him either entrepreneurial profit or loss.”Nei commenti al post sul profitto si è sviluppato un interessante mini-dibattito, non privo di colpi di scena, sulla possibile equivalenza tra lavoro salariato e schiavitù. Premesso che non considero tale equivalenza valida in teoria, mi interessa però trovare un punto di sintesi, anche perché a me sembra che la verità stia da ambo le parti, e provo a spiegarne il motivo.
(Ludwig von Mises, Human Action, p. 302)
Un errore che si commette spesso discutendo del sistema capitalista è il non considerare che quello in cui viviamo ha poco a che fare con il sistema regolato dal libero mercato descritto dagli austriaci: lo stato è ovunque, dalla prima tazzina di caffè al bar fino al rapporto con i propri figli, ha invaso e deviato ogni campo dell'attività umana. Non ha molto senso, quindi, né criticare il capitalismo né difenderlo, se il capitalismo a cui si fa riferimento è quello in cui ci troviamo a vivere, in cui i pochi pesci grossi si sono avvalsi della complicità dello stato per imporre la propria legge al mercato.
Nel capitalismo di Mises, ciascuno è libero e ha la possibilità di costruire il suo destino grazie al lavoro e al risparmio (capitale), cioè a quella capacità di operare una scelta temporale nell'impiego delle risorse a sua disposizione. Tant'è vero che per la scuola austriaca l'uomo è soprattutto imprenditore, parola anche questa deformata dalla neolingua ma che in realtà definisce colui che si dedica ad un'impresa, ed è una bella definizione per l'uomo. Chi già possiede le risorse necessarie, quindi, può cominciare la sua impresa, chi ancora no, può fornire il suo lavoro per aiutare le imprese altrui, e accumulare esperienza e risorse per dare il via, a sua volta, alla sua personale avventura. Tutto molto bello, finché ovviamente non appaiono terze parti a reclamare percentuali del frutto del lavoro: per esempio, chi offre le sue prestazioni può decidere di metter su famiglia, e con moglie e figli da mantenere se ne vanno le risorse che avrebbero dovuto sostenere la sua futura impresa, ma questo è un ostacolo risultato di una scelta, di chi preferisce in fondo un'impresa (la famiglia) ad un'altra (professione). L'uomo in questione limita in certo modo la sua libertà, ma lo fa di sua volontà, coscientemente.
Diverso è il caso della terza parte chiamata stato, che pesa come e più di una moglie sul bilancio di ciascuno, senza scaldarti il letto e il cuore. In questo caso, la possibilità di chi non ha risorse in partenza, di chi è povero, di poter un giorno costruirsi un'impresa (anche solo l'impresa “famiglia”) sono praticamente nulle. Alla sottrazione diretta dalle sue risorse di capitale – di per sé già minimo – si aggiunge inoltre la particolare condizione del mercato provocata da tale furto su scala universale: sovrabbondanza di manodopera per le imprese già esistenti, quindi minor potere contrattuale dei salariati e salari più bassi, quindi ancora meno possibilità di veder nascere nuove imprese.
Chi parte da zero, in questa situazione, ha minime speranze di poter intraprendere individualmente, per quanto lo possa desiderare. In questo senso, nel suo prestare la sua opera alle imprese altrui, ha il pieno diritto di considerarsi uno schiavo, anche se non uno schiavo in senso classico: non è stato strappato alla sua terra in catene, può liberarsi in qualsiasi momento dal suo contratto... ma non ha alternative. E le alternative, come ciò che dà un senso all'agire dell'uomo che sceglie liberamente un'impresa piuttosto che un'altra, non sono forse alla base della teoria austriaca?
Ma appunto, il capitalismo attuale ha ben poco a che vedere con tale visione, e chi considera come vero capitalismo quello di Mises dovrebbe estendere la sua critica dallo stato anche al mondo dell'impresa nella sua condizione attuale: perché se è lo stato a decidere la distribuzione del capitale – e su questo mi pare che ci possano essere ben pochi dubbi – allora le imprese di maggior successo sono quelle che dello stato sono o sono state complici, che hanno un qualche accesso alle leve del potere, così come lo stato da parte sua mantiene un controllo sui fattori di produzione che per Mises dovrebbe essere tutto nelle mani dell'imprenditore.
In altre parole, difendere l'idea di impresa è e deve essere ben diverso dal difendere l'impresa così com'è oggi, anche se, è chiaro, non si può per questo condannarne una qualsiasi a prescindere: è possibile che un'impresa riesca ad avere successo pur non essendo complice dello stato e nonostante il salasso continuo da esso praticato. Può riuscirci in due modi: 1) grazie a capacità eccezionali dell'imprenditore e, più probabilmente 2) tagliando i costi finché possibile. Questo penalizza ancor di più i lavoratori, che a questo punto ricevono con favore misure quali il salario minimo, il quale però, come tutte le soluzioni offerte dallo stato, finisce per essere peggiore del male: il risultato che si ottiene, infatti, è la perdita secca dei posti di lavoro.
In conclusione, non c'è nulla di sbagliato nel rapporto tra datore e prestatore di lavoro, ma solo in un mercato e in una società liberi, quindi per il momento solo nella teoria. Alla stessa maniera, tale rapporto attualmente si distingue a fatica dalla schiavitù (una specie di schiavitù piramidale, per gradi), ma non dovrebbe sorprendere visto che la schiavitù è legalizzata, promossa ed imposta in primo luogo dallo stato, subdolamente ma molto efficacemente. Tra le poche cose che allo stato riescono bene, l'eliminazione della libertà è sicuramente tra le prime.
16 comments:
concordo con la tua analisi, il capitalismo di oggi è indifendibile perché capitalismo non è. Sarebbe più corretto parlare di coporativismo.
Siamo schiavi, una peculiare categoria di schiavi a cui ogni tanto è concesso qualche diritto. Ma siamo schiavi dello stato e non delle imprese perchè anche il nostro rapporto con i datori di lavoro è condizionato dal nostro essere schiavi dello stato.
Quello che a me pare paradossale è invocare lo stato affinché ci liberi, dato che per la sua stessa sussistenza esso ha bisogno di tenerci in catene.
ed infatti basta vedere la differenza tra lordo e netto in busta paga e fare due conti.
Infatti, è proprio quello il mio punto: anche il lavoro salariato è diventato una forma di schiavitù, nella gran parte dei casi, almeno.
Ma bisogna capire chi è il vero padrone, e in genere non è quello – o non solo quello – che versa lo stipendio. Eventuali "colpe" dell'imprenditore, semmai, sono da ricercarsi nella sua collusione con l'altro padrone, altrimenti non può essere accusato di schiavizzare nessuno: non è lui ad aver chiuso tutte le altre porte.
E ovviamente sì, è assurdo aspettarsi che il padrone promulghi leggi che liberano gli schiavi...
basta vedere la differenza tra lordo e netto in busta paga e fare due conti.
E magari sottrarre l'IVA da ogni scontrino di ciò che acquistiamo, giusto per farsi un'idea più precisa.
X-(
Il servo della gleba medioevale, lo schiavo per antonomasia nel mondo occidentale, avrebbe in teoria potuto fuggire dalla terra che lavorava in qualsiasi momento.
Non lo faceva per un ovvio motivo: quella terra gli dava sostentamento, e riparo.
In questo senso la nostra condizione di stipendiati è simile a quella del servo della gleba.
Come Pax sa in greco lavoro si chiama "doulià", che tradotto letteralmente significa schiavitù.
Le parole hanno sempre un significato profondo, e i greci le usano sempre a proposito.
Fu la rivoluzione protestante a "nobilitare" il lavoro, prima di allora essere liberi significava non dover lavorare.
L'aristocratico decaduto che faceva la fame era comunque un uomo libero dal momento che non lavorava.
Blessed be
In questo senso la nostra condizione di stipendiati è simile a quella del servo della gleba.
Motivo per cui il "risparmio" stranamente non viene incoraggiato, "tanto poi c'è la pensione". Strano, vero?
Strano, vero?
Buongiooorno!
Il signorino s'è finalmente degnato di passare da queste parti...
:-)
Già...
Concordo in pieno.
Ma far capire agli italiani che il capitalismo non è quello che c'è in Italia è dura...
E comunque, non so se il tipo con cui ho polemizzato giudicava schiavitù il lavoro dipendente di un manager con un netto in busta di 5/10 mila euro..
Credo che avesse molte idee confuse
,E comunque, non so se il tipo con cui ho polemizzato giudicava schiavitù il lavoro dipendente di un manager con un netto in busta di 5/10 mila euro..
Io sono arrivato ad un netto di 2.500, e sai cosa? Non mi sono mai sentito meno libero. Certo, quando ho voluto me ne sono andato, ma solo per ritrovarmi letteralmente sul lastrico nel giro di qualche anno, nonostante un'esperienza bidecennale nel mio campo.
Per questo, basandomi sulla mia esperienza personale, credo di aver interpretato correttamente il pensiero di Pike riguardo alla schiavitù in cui il lavoro dipendente si traduce a causa dell'assenza di alternative praticabili: si tratta solo di chiarire chi le ha eliminate, e come.
Il perché è evidente: limitare l'indipendenza economica ad un gruppo ristretto, e concentrare così il potere in poche mani.
Il perché è evidente: limitare l'indipendenza economica ad un gruppo ristretto, e concentrare così il potere in poche mani.
Bene, dico io, così dobbiamo fare meno strada per andarli a prendere tutti e risparmiamo benzina col pickup!
Io sono arrivato ad un netto di 2.500, e sai cosa? Non mi sono mai sentito meno libero.
Succede quando leggi il lordo...
Succede quando leggi il lordo...
HAHAHA, Linucs hai proprio ragione: non avrei mai dovuto farlo, it changed my life in a deep and profound way, from that day forward!
:D
Ehehe
Effettivamente leggere il lordo fa male alla salute.
Comunque come fai notare il problema è nella carenza di opportunità lavorative creata da Stato et Sindacati....
Ma vallo a spiegare agli italioti cazzoni....
Il mio netto è 1900.
Nonostante tutto, riesco a non morire.
ciao
Sirpaint
Ciao Gianni, che piacere vederti da queste parti!
Ad occhio i tuoi contributi mensili dovrebbero bastare per la coca e le puttane di Mele...
:)
io prendo invece il lordo! Ma fuori busta, potrebbe benissimo essermi negato non essendo coperto dalla "garanzia" statale. E se dovessi lavorare per il netto, allora, dalle mie parti si dice:"meglio lanciare pietre in acqua!"
Poi ci si chiede come mai c'è un'economia parallela di colore nero. Oplà
Io VORREI lavorare in nero..
Ma qui i capi sono un pò restii.
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