Poche serie televisive possono vantare il successo e l'influenza nella cultura popolare de Il prigioniero (The prisoner '67), creata da McGoohan e George Markstein e citata in numerose altre serie e anche in film come Matrix e The Truman Show. L'irriducibile resistenza del N° 6 alle diverse tecniche di controllo mentale – dalla manipolazione dei sogni all'ipnosi alle droghe allucinogene – a cui viene sottoposto per estorcergli informazioni nel misterioso villaggio sono diventate un'allegoria della lotta dell'individuo contro il sistema collettivista e totalizzante. Un cult nel più vero senso della parola.
Thursday, January 31, 2008
Wednesday, January 30, 2008
Il governo dell'inconscio
“A political order can be stable only if it is united by an external threat . . . .
Following Machiavelli, he maintained that if no external threat exists then one has to be manufactured”
(Shadia B. Drury, about Leo Strauss)
Talvolta mi capita di avere pensieri molto poco rassicuranti. Penso che ciò che intendiamo in genere per realtà oggettiva non sia altro che il rivestimento ideologico di una realtà metafisica che sfugge alla nostra razionalità. Che ad esempio lo stato sia la razionalizzazione di un rituale, il mascheramento gerarchico di un culto. E che ci sia chi opera instancabilmente alla creazione ed al continuo rinnovamento della tela che noi chiamiamo storia e ci sforziamo di interpretare, mentre invece dovremmo guardare oltre per comprenderne il senso. Ma tutto ciò che riusciamo scorgere al di là del velo sono solo delle vaghe ombre, le cui azioni ci appaiono spesso incomprensibili.
Invero, cercando pazientemente i buchi nella trama del grande arazzo della storia, e gettando rapide occhiate al di là di esso, è possibile riconoscere il telaio che lo sorregge, e trarre delle conclusioni, rivelare il disegno sottostante. In fondo, non è forse vero che il nostro comportamento è una traduzione – o, meglio ancora, una “riduzione” – di pulsioni interne più o meno nascoste, spesso inconfessabili? E non è forse indagando queste pulsioni che la psicanalisi cerca di spiegare le ragioni dei comportamenti palesi e dei disagi dell'uomo? Al Tavistock Institute del resto, si studiano proprio questi meccanismi inconsci in relazione al funzionamento dei gruppi, così come il modo di controllarli:
I gruppi, come i sogni, hanno un aspetto manifesto ed evidente ed uno latente e segreto. L'aspetto manifesto è il gruppo di lavoro, un livello di funzionamento al quale i membri perseguono coscientemente obiettivi a cui acconsentono e lavorano per il completamento di un compito. Anche se i membri del gruppo hanno scopi nascosti, contano su controlli interni ed esterni per impedire a questi scopi nascosti di emergere ed interferire con il compito dichiarato del gruppo. Riuniscono il loro pensiero irrazionale e combinano le loro abilità per risolvere problemi e prendere decisioni.Quindi la risultante delle relazioni di gruppo dipende in parte da impulsi inconsci, che pur rimanendo nascosti influenzano le azioni e le reazioni collettive. Ancora più interessante, nel tentativo di comprendere le forze che muovono la storia, è la descrizione della formazione di un gruppo:
In verità, i gruppi non funzionano sempre razionalmente o produttivamente, né sono i diversi membri necessariamente informati dei controlli interni ed esterni su cui contano per mantenere il confine fra le loro intenzioni annunciate ed i loro scopi nascosti. Gli scopi nascosti combinati dei membri del gruppo costituiscono l'aspetto latente della vita del gruppo, il gruppo del presupposto di base. Contrariamente al gruppo razionale, questo gruppo consiste dei desideri, dei timori, delle difese, delle fantasie, degli impulsi e delle proiezioni inconsce. Il gruppo di lavoro è focalizzato fuori da sé, verso il suo compito; il gruppo del presupposto di base è focalizzato verso l'interno, verso la fantasia ed una realtà più primitiva. Esiste sempre una tensione fra i due; è equilibrato da varie strutture comportamentali e psicologiche, inclusi i sistemi di difesa individuali, i principi di base, le aspettative e le norme del gruppo.
Un aggregamento di persone si trasforma in un gruppo quando si ha interazione fra i membri, quando la consapevolezza del loro rapporto comune si sviluppa e quando emerge un compito comune del gruppo. Varie forze possono operare per produrre un gruppo: una minaccia esterna, una minaccia collettiva ed un comportamento regressivo collettivo, o il tentativo di soddisfare esigenze di sicurezza, dipendenza e affetto. Una forza più intenzionale è la scelta cosciente degli individui di legarsi insieme per eseguire un compito.Non è difficile cogliere in questa definizione le affinità con la filosofia di Leo Strauss, l'ispiratore dei neocon, che applica in fondo queste osservazioni su larga scala: per Strauss infatti tali stimoli devono essere fabbricati dai leader – considerati alla stregua di superuomini nicciani – per ottenere una maggiore coesione del popolo e la sua sottomissione all'autorità. Inutile dire che al popolo la verità si deve sempre tenere nascosta. Leggiamo:
La filosofia di Strauss è difficilmente incidentale alla strategia ed alla forma mentis adottati da questi uomini – come è evidente nel saggio del 1999 di Shulsky intitolato “Leo Strauss and the World of Intelligence (By Which We Do Not Mean Nous)” (nella filosofia greca il termine nous denota la più alta forma della razionalità). Come nota Hersh nel suo articolo, Shulsky ed il suo co-autore Schmitt ”criticano la comunità dell'intelligence americana per la sua incapacità di apprezzare la duplice natura dei regimi di cui si occupa, la sua predisposizione per le nozioni di scienze sociali della prova e la sua incapacità fare fronte all'inganno intenzionale.” Hanno argomentato che l'idea di Strauss di significato nascosto, “allarma sulla possibilità che la vita politica possa essere collegata molto strettamente all'inganno. Effettivamente, suggerisce che l'inganno è la norma nella vita politica e la speranza, per non dire l'aspettativa, di stabilire una politica che possa esserne dispensata è l'eccezione.”Consideriamo ad esempio il sostegno crescente accordato a Bush dopo l'undici settembre, quando la sua popolarità era fino al giorno prima tra le più basse mai ottenute da un presidente americano. Un simile repentino cambiamento è spiegabile soltanto analizzando la risposta irrazionale dell'individuo inserito in un gruppo la cui sopravvivenza è improvvisamente minacciata, o percepita come tale. L'apparizione di una minaccia fornisce al gruppo di una coscienza collettiva, e la personificazione di tale minaccia (Bin Laden) spinge il gruppo ad affidarsi al leader designato, al quale si riconoscono le qualità sovrumane necessarie per sconfiggere il nemico la cui potenza appare al di là della portata del singolo individuo.
In questo quadro, la fabbricazione di minacce diventa presto l'attività principale del governo, dal momento che il calo della tensione si tradurrebbe inevitabilmente con un declino del sostegno popolare da un lato, e con il rifiuto di ulteriori espansioni del potere nella sfera delle libertà individuali dall'altro. Le conseguenze di questo modus operandi le possiamo leggere su un recente articolo pubblicato nientemeno che da Rolling Stone (!):
Era la fine novembre del 2006 ed il ventiduenne Derrick Shareef ed il suo amico Jameel stavano gironzolando a Rockford, Illinois, sognando di organizzare un attacco terroristico in America. I due uomini non erano sicuri che genere di assalto avrebbero potuto realizzare. Tutto quello che Shareef sapeva era che voleva causare un grande danno, compiere una vendetta sul paese che giudicava responsabile dell'oppressione universale verso i musulmani. “Far fuori un giudice,” disse Shareef. Forse far esplodere un palazzo del governo.Così, ormai spontaneamente, una quantità sempre maggiore di risorse viene bruciata per il mantenimento dell'arazzo intitolato “terrorismo islamico”, un continuo restauro che sovrappone fresche mani di colore laddove gli strati più vecchi cominciano a screpolarsi, rischiando di esporre la vera natura della gang criminale che occupa il potere e risvegliare così la società che ancora “vive” assorta e compresa nell'ipnosi collettiva, sospesa tra una realtà fittizia ed un'altra che sfugge alla comprensione.
Ma anche se Shareef coltivava violente fantasie, difficilmente era una seria minaccia come jihadista. Americano convertito all'Islam, non aveva addestramento militare né armi. Aveva meno di 100$ in banca. Lavorava come impiegato in un negozio di video-game. Non possedeva un'automobile. Così precarie erano le sue condizioni, che Shareef non aveva un posto in cui vivere. Allora un giorno, Jameel, un collega musulmano, era apparso a EB Games e gli aveva offerto un rifugio. Poche ore dopo essere venuto a contatto con il suo nuovo fratello, Shareef si era trasferito da Jameel e le sue tre mogli e nove bambini. Vivendo insieme, la coppia fantasticava sugli obiettivi a Rockford, una città del Midwest di 150.000 abitanti, con una minuscola popolazione musulmana e famosa unicamente per essere la città natale dei Cheap Trick. [...]
Nonostante tutta la sua furia, Shareef era, sotto ogni profilo obiettivo, un jihadista patetico e disgraziato – uno di quella nuova razza di terroristi domestici che il governo federale ha sfoggiato sui media dal 9/11. La FBI, in un certo senso, ha elevato Shareef, lavorando per trasformarlo da vanaglorioso commesso in bombarolo suicida di centri commerciali. Come molti altri presunti estremisti che sono stati messi in mostra dalle autorità, Shareef non sapeva che il suo nuovo amico – il co-cospiratore volenteroso che lo trascinava ulteriormente in un intreccio di terrore – era in realtà un informatore della FBI. [...]
Il dispendio di tali enormi risorse per trovare potenziali terroristi richiede inevitabilmente dei risultati. Le macchinazioni devono essere scoperte. Le cellule dormienti devono essere infiltrate. Un altro attacco deve essere prevenuto – o almeno, che così sembri. Ma in posti tranquilli come Rockford, gli agenti del JTTF [Joint Terrorism Task Force] non hanno molto da fare. Per trovare le minacce da contrastare, le unità operative sempre più hanno preso l'abitudine di usare informatori pagati per allettare e persuadere con lusinghe obiettivi come Shareef a perseguire i loro piani stravaganti. Nell'affidavit giurato di un agente speciale della FBI a sostegno dell'atto d'accusa contro Shareef, il co-cospiratore che si è fatto chiamare Jameel è conosciuto soltanto come “CS” (fonte cooperante). In effetti, il CS era William Chrisman, un ex spacciatore di crack con una condanna per tentata rapina pagato 8.500 dollari dalla JTTF e spedito specificamente per incastrare Shareef. Come altri informatori in casi di terrorismo, Chrisman era stato “assunto” dagli agenti federali per assecondare e indulge and intensificare le fantasie di Shareef – assicurandosi che Shareef incriminasse sé stesso.
Tuesday, January 29, 2008
Think like an Austrian!
Segnalo una lodevole quanto utile iniziativa dell'Istituto Bruno Leoni:
Un'introduzione all'economia austriaca
All'interno della storia del pensiero economico, la Scuola austriaca occupa una posizione alquanto particolare, specie per coloro che hanno a cuore le ragioni della società di mercato. Grazie alla sua teoria "soggettiva" del valore e alla forte attenzione che essa ha sempre mostrato per le questioni metodologiche, tale corrente di pensiero (inaugurata da Carl Menger nella seconda metà dell'Ottocento e poi variamente rinnovata da studiosi come Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek e Murray N. Rothbard) ha infatti investito molte altre discipline sociali e ha così delineato una riflessione assai articolata sulla società libera. Per questo motivo, la tradizione mengeriana oggi annovera non solo economisti, ma anche storici, scienziati politici, filosofi del diritto e della politica.
Al fine di aiutare quanti volessero avvicinare tali idee, l'IBL ha deciso di pubblicare nel proprio sito - con cadenza settimanale - una serie di quindici lezioni redatte da Pietro Monsurrò ("Un'introduzione all'economia austriaca"), le quali offriranno gli elementi essenziali del pensiero austriaco (su scambio, moneta, valore, monopolio, e via dicendo) e darà anche taluni suggerimenti bibliografici per ulteriori approfondimenti.
Questi testi non hanno alcuna pretesa di completezza, né possono certo esaurire in breve spazio temi di notevole complessità e questioni da tempo molto controverse, ma egualmente sono in condizione di offrire un primo contatto con un'impostazione teorica e metodologica che a lungo è stata marginalizzata all'interno degli studi accademici (specie nei decenni dominati dalle lezioni di Keynes o Sraffa) e che solo da pochi anni sta tornando a ricevere la giusta attenzione.
Un'introduzione all'economia austriaca
All'interno della storia del pensiero economico, la Scuola austriaca occupa una posizione alquanto particolare, specie per coloro che hanno a cuore le ragioni della società di mercato. Grazie alla sua teoria "soggettiva" del valore e alla forte attenzione che essa ha sempre mostrato per le questioni metodologiche, tale corrente di pensiero (inaugurata da Carl Menger nella seconda metà dell'Ottocento e poi variamente rinnovata da studiosi come Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek e Murray N. Rothbard) ha infatti investito molte altre discipline sociali e ha così delineato una riflessione assai articolata sulla società libera. Per questo motivo, la tradizione mengeriana oggi annovera non solo economisti, ma anche storici, scienziati politici, filosofi del diritto e della politica.
Al fine di aiutare quanti volessero avvicinare tali idee, l'IBL ha deciso di pubblicare nel proprio sito - con cadenza settimanale - una serie di quindici lezioni redatte da Pietro Monsurrò ("Un'introduzione all'economia austriaca"), le quali offriranno gli elementi essenziali del pensiero austriaco (su scambio, moneta, valore, monopolio, e via dicendo) e darà anche taluni suggerimenti bibliografici per ulteriori approfondimenti.
Questi testi non hanno alcuna pretesa di completezza, né possono certo esaurire in breve spazio temi di notevole complessità e questioni da tempo molto controverse, ma egualmente sono in condizione di offrire un primo contatto con un'impostazione teorica e metodologica che a lungo è stata marginalizzata all'interno degli studi accademici (specie nei decenni dominati dalle lezioni di Keynes o Sraffa) e che solo da pochi anni sta tornando a ricevere la giusta attenzione.
Monday, January 28, 2008
Il buon samericano
Con martellante ripetitività gli squilibri e i problemi economici attuali vengono da più parti attribuiti all'inefficienza del libero mercato. Siccome però è sempre buona norma, nell'analisi economica e non solo, risalire alle radici del problema, propongo questo articolo di Jeffrey Tucker pubblicato nel '97 da Free Market, in cui l'autore esplica la vera natura del Piano Marshall, ovvero le fondamenta su cui il mercato globale attuale è stato costruito, e le cui conseguenze continuano ad alimentare ingiustizia e oppressione in tutto il mondo.
Come tutti i progetti governativi, il Piano Marshall presenta tutte le caratteristiche della cospirazione: per quanto belle siano le intenzioni dichiarate con cui i governi infiocchettano i loro pacchetti, potete star certi che il vero contenuto non vi sarà mai rivelato, se non quando saranno stati aperti e come il vaso di Pandora avranno liberato nel mondo i loro doni malefici.
___________________________
Il mito del Piano Marshall
Di Jeffrey Tucker
Il cinquantesimo anniversario del Piano Marshall ha fornito ai media un'altra occasione per celebrare le opere buone del governo. Il tuffo a capofitto degli Stati Uniti nello stato sociale globale (quasi 100 miliardi in dollari attuali), hanno detto, salvò le economie europee dopo la seconda guerra mondiale. Un reporter, Garrick Utley della NBC, ha persino teorizzato che gli aiuti di Marshall spiegano perché la Germania orientale era povera e quella occidentale ricca.
Come l'economista Tyler Cowen ha notato, i paesi che ricevettero la maggior parte dei soldi del Piano Marshall (le alleate Gran Bretagna, Svezia e Grecia) si svilupparono più lentamente fra il 1947 e il 1955, mentre quelli che ricevettero meno soldi (le potenze dell'asse Germania, Austria e Italia) si svilupparono di più. In termini di prosperità nel dopoguerra, quindi, alla fine pagò di più essere stati nemici politici degli Stati Uniti anziché “beneficiari” della carità internazionale.
Ma questa verità è una notizia soltanto se pensate che il Piano Marshall fosse stato genuinamente inteso per aiutare i paesi stranieri. Ma come con tutti i programmi di governo, conviene guardare sotto la superficie. Quindi, quale fu esattamente il senso del Piano Marshall, così chiamato dal nome del generale George Marshall? È stato ben descritto nei lavori degli storici William Appleman Williams, Gabriel Kolko, Stephen Ambrose ed Alan Milward.
Marshall stesso ha svolto il ruolo di un burattino, rilasciando discorsi preparati dai giocatori dietro al piano. Il suo lancio iniziale, avvenuto a Harvard, fu che il denaro avrebbe posto termine “alla fame, la povertà, la disperazione e il caos.” Ma il reale esito del Piano Marshall fu una manovra politica atta a saccheggiare i contribuenti americani per mantenere le influenti corporazioni americane con i sussidi di governo. L'eredità del programma fu lo spropositato e perpetuo utilizzo degli aiuti esteri per scopi politici ed economici interni.
Dopo la fine della guerra, la popolarità di Harry Truman nei sondaggi cominciò a scendere, così come il prestigio del governo in generale. Il popolo americano aveva fatto enormi sacrifici per combattere la guerra ed ora voleva un freno al governo, che stava amministrando un'economia centralmente pianificata. Soprattutto, volevano la politica estera raccomandata da George Washington e da Thomas Jefferson: commercio con tutti, intrighi con nessuno.
Nella corrente predominante di pensiero c'era il senatore repubblicano Robert Taft, un eroe di tutti gli attivisti del libero-mercato del tempo. Chiedeva riduzioni di imposta, tagli di spesa e la fine “dell'interferenza in costante aumento nella vita delle famiglie e nel commercio dagli autocratici uffici governativi e capi sindacali.” Il partito repubblicano ottenne una vittoria travolgente nelle elezioni trimestrali del 1946, riprendendosi il congresso su una dura piattaforma contro l'estensione del governo.
Truman doveva fare qualcosa di grande e lo sapeva. Come riporta Charles Mee, aveva bisogno di “qualche grande programma che gli permettesse di riprendere l'iniziativa, qualcosa di abbastanza grande da permettergli di riunire tutte le fazioni tradizionali del partito democratico ed anche alcuni repubblicani a metà strada, ed allo stesso tempo, qualcosa che potesse ostacolare la falange repubblicana,” e lo facesse riconoscere come leader mondiale.
La soluzione era proprio davanti a lui: aiuti esteri, canalizzati attraverso le istituzioni corporative e mascherata dalla retorica dell'opposizione al comunismo straniero (ma non a quello domestico). Cinicamente, avrebbe fatto buon uso della Russia, che soltanto il giorno prima era stato il nostro gagliardo alleato in guerra, trasformandola in un mostro che doveva essere distrutto. Rubando la retorica anti-socialista dei repubblicani, Truman sperava di logorare i suoi avversari e di diventare un eroe sul palcoscenico mondiale.
Truman ebbe un'abbondanza di co-cospiratori, uomini che sono passati alla storia come gli architetti dell'originale Nuovo Ordine Mondiale. I leggendari istituzionalisti Averell Harriman e Charles Kindleberger erano figure centrali. Ma fu Dean Acheson, il sottosegretario di stato e lo statista più minaccioso dell'era dell'immediato dopoguerra, che inventò il programma per rendere permanente l'impero del tempo di guerra. Acheson persuase il segretario della Marina James Forrestal e l'intrallazzatore Clark Clifford a mostrare a Truman come si sarebbe potuta elevare una truffa politica come gli aiuti esteri ad una potente lotta ideologica su base globale.
Un poco noto gruppo di affari, fondato nel 1942 e chiamato Comitato per lo Sviluppo Economico, venne promosso a think-tank per un nuovo ordine internazionale – la controparte economica al Consiglio per le Relazioni Estere. I fondatori del comitato erano i capi delle maggiori industrie dell'acciaio, automobilistiche ed elettriche che avevano tratto beneficio dallo statalismo corporativo del New Deal. L'insieme dei suoi membri coincideva con l'Associazione per la Pianificazione Nazionale della sinistra più estrema, che era sfacciatamente nazional-socialista come orientamento ideologico.
Questi gruppi capirono chei loro margini di guadagno erano dovuti alle sovvenzioni di governo fornite dal New Deal ed ai contributi alla produzione del tempo di guerra. Dovendo affrontare la pace del dopoguerra, temevano un futuro in cui sarebbero stati costretti a competere su una base di libero mercato. La loro sicurezza personale ed istituzionale era in gioco, così si dettero da fare sognando strategie per sostenere un profittevole statalismo in un'economia pacifica.
Gli interessi economici corporativi, quindi, coincisero con gli interessi politici di Truman e fu così che nacque un'empia alleanza fra affaristi e governo. Avrebbero usato le miserie dell'Europa per riempirsi le tasche in nome della “ricostruzione” e della “sicurezza” contro le minacce fabbricate alla sicurezza americana.
Il caso utile venne nel 1947 con gli aiuti alla Grecia, dove il partito comunista stava facendo progressi elettorali. Truman vide la grande occasione e richiese 400 milioni di dollari in sussidi esteri, che il congresso approvò per colpire la Russia. Mentre ancora i soldi stavano venendo indirizzati a gruppi di interesse speciale, tuttavia, i membri del congresso appresero che il “collegamento russo” al partito comunista greco era stato fabbricato. Come si scoprì, la Grecia, come ogni paese europeo, semplicemente voleva i contanti.
Nondimeno, il successo politico della dottrina di Truman degli omaggi globali era stato dimostrato ed il copione per i miliardi in omaggi futuri era stato scritto. Nel corso dei cinque anni successivi, i “soldi di Marshall” avrebbero corrotto quasi ogni partito cristiano-democratico in Europa, trasformandoli in copie carbone del partito democratico degli Stati Uniti. Quei partiti politici a loro volta lavorarono per creare enormi stati sociali e piani regolatori che ancora oggi continuano ad ostacolare lo sviluppo economico europeo.
Sulle ali del successo in Grecia, Dean Acheson formò un comitato ad-hoc per trovare le “situazioni in altre parti del mondo” che “possano richiedere analogo sussidio tecnico e militare da parte nostra.” Senza il minimo sforzo, il comitato ad-hoc fu in grado di classificare la maggior parte dell'Europa come bisognosa di aiuto economico. Il comitato trovò scarsità praticamente di tutto e, in particolare, dei dollari per comprare le merci dell'America corporativa. Una mitica “scarsità di dollari” (come se il commercio fosse possibile soltanto in un mondo inondato di carta) era la crisi del momento.
Ma sotto la superficie, l'obiettivo vero era l'internazionalizzazione del New Deal, il sogno di ogni burocrate. Come disse nelle sue memorie Julius Krug, segretario dell'interno, il Piano Marshall, “essenziale alle nostre continue produttività e prosperità,” era una Tennessee Valley Authority su scala mondiale. “È come se stessimo costruendo un TVA ogni martedì.”
Tuttavia anche dopo il voto sulla Grecia, i sondaggi mostravano una tremenda opposizione pubblica a tutti gli omaggi all'estero. In un meeting, il repubblicano Charles Halleck, capo della maggioranza alla Camera, disse esplicitamente a Truman: “dovete capire che c'è una crescente resistenza a questi programmi. Sono stato fuori in campagna elettorale e lo so. Alla gente non piacciono.”
Il gruppo di Truman ci aveva già pensato. Mesi prima del voto, riunì i direttori delle società più importanti per arruolarli alla causa. I membri di questo comitato organizzativo, raccolti dal Comitato per lo Sviluppo Economico, includevano, tra i principali, Hiland Vatcheller, presidente dell'Allegheny-Ludlum Steel Corporation; W. Randolph Burgess, vice presidente della Banca Nazionale della Città di New York; Paul G. Hoffmann, presidente di Studebaker Corp. (e più tardi amministratore dei fondi del Piano Marshall), così come i tesorieri della segreteria di AFL e CIO.
A guidare la carica corporativa per i profitti sicuri c'era Will Clayton, imprenditore del cotone del Texas il cui commercio stava per sperimentare un notevole boom sovvenzionato dalle tasse. L'ultima guerra mondiale aveva già reso la sua azienda la seconda maggiore azienda commerciale del cotone nel mondo. Diversamente dei suoi competitori durante il New Deal, mentre lavorava con il FDR per rovinare l'economia americana, era stato abbastanza astuto da spostare le sue operazioni in Brasile, Messico, Paraguay ed Egitto. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, era arrivato a vendere il 15 per cento di cotone del mondo.
A guerra conclusa, si riarruolò nella campagna per il fronte interno. Come sottosegretario di stato per gli affari economici nel 1947, anche Clayton vide la grande occasione. “Ammettiamolo apertamente,” disse in difesa dell'idea degli aiuti esteri: “abbiamo bisogno di mercati – grandi mercati – nei quali comprare e vendere.” Questa è la verità centrale di tutti questi aiuti. L'intenzione non è di aiutare i paesi stranieri; è di ricompensare le multinazionali di casa che effettivamente ottengono i contanti mentre il governo acquista influenza politica all'estero.
Niente venne lasciato al caso. Acheson lavorò con le elite corporative stabilite e lo State Department per creare una presunta organizzazione dal basso chiamata “Comitato dei Cittadini per il Piano Marshall.” Qualcosa come mille oratori che rappresentavano il gruppo girarono il paese per stimolare un supporto. Produsse inoltre testimonianze congressuali per conto di altre organizzazioni a sostegno del pacchetto di aiuti. Come Averell Harriman disse a parecchi ambasciatori europei durante una visita all'ambasciata britannica, non avevano mai visto niente di paragonabile al “diluvio di propaganda organizzata che l'amministrazione si prepara a liberare.”
Il compito di sostenere il caso economico venne lasciato a Will Clayton. Perversamente, egli pubblicizzò il Piano Marshall come il trionfo della “ libera impresa.” Inoltre, egli disse, se il comunismo arriva in Europa, “penso che la situazione che affronteremmo in questo paese sarà molto grave.” Dovremmo “riordinare e riadattare la nostra intera economia in questo paese se perdessimo il mercato europeo.”
Nei giorni prima del voto, i proclami diventarono più estremi e, con l'elite governo-media-corporativo-bancaria a bordo, la propaganda divenne sempre più isterica. Ci venne detto che sarebbe arrivata una depressione. Che gli Stati Uniti sarebbero stati bombardati. Saremmo entrati in una nuova guerra se il pacchetto di aiuti avesse fallito. La situazione è brutta come in Francia nel 1938. La vita americana come la conosciamo finirebbe immediatamente.
Quando il programma fu passato, cosa che avvenne facilmente (persino con il voto di Taft), l'inchiostro non si era ancora asciugato sulla legislazione che le navi cariche di merci già navigavano in alto mare. In ogni dato momento nei prossimi mesi, 150 navi trasportavano frumento, farina, cotone, gomme, borace, macchine per perforazioni, trattori, tabacco, parti di velivoli e qualsiasi altra cosa su cui i grandi fornitori domestici potevano mettere le loro mani.
Poiché per la maggior parte delle merci spedite nell'ambito del Piano Marshall, i produttori americani avevano il vantaggio: il 50 per cento doveva essere spedito su vascelli americani. Le esportazioni di petrolio verso l'Europa esplosero anche se le importazioni dall'Europa furono tagliate di un terzo. Nella distribuzione degli aiuti, c'era una preferenza per le merci finite, per impedire alle aziende europee di competere con i produttori americani sulla linea di produzione.
Prendendo una pagina dal manuale di Roosevelt, Truman escluse l'usuale burocrazia e stabilì un nuovo ufficio – l'Amministrazione per la Cooperazione Economica – per distribuire gli aiuti. Anch'essa era composta dai vertici dei maggiori interessi industrial-corporativi che beneficiarono a scapito del pubblico. Paul Hoffman dirigeva il gruppo e passò miliardi alle potenze corporative ben affermate. Come riassume lo storico Anthony Carew, il Piano Marshall “era in tutti gli aspetti principali un'organizzazione di affari guidata da uomini d'affari” (Hoffman più tardi divenne capo della Fondazione Ford, di estrema sinistra).
Soprattutto, gli aiuti vennero usati per acquisti a prezzi distorti per mezzo dei dollari delle tasse americane nelle mani dei governi europei. Il folle parapiglia per i dollari delle tasse fu una vergogna da ricordare, uno dei punti più bassi nella storia economica degli Stati Uniti. Ripetutamente, il congresso intervenne per assegnare all'America corporativa quello che realmente voleva: restrizioni che forzavano gli aiuti del Piano Marshall ad andare in acquisti di petrolio, alluminio, legno, tessile e macchinari americani.
Gli aiuti erano anche usati per sovvenzionare direttamente particolari ditte in paesi beneficiari, che ci fossero o meno mercati potenziali per i loro prodotti. Invece, le ditte ricevevano i soldi perché la loro esistenza continuata avrebbe sostenuto artificialmente le politiche di “piena occupazione.” E poiché i sindacati americani erano intimamente coinvolti nella scelta di chi avrebbe ottenuto i soldi, la parte del leone spettò alle aziende con i contratti subordinati all'iscrizione al sindacato, limitando paradossalmente la capacità dei mercati del lavoro di riadattarsi alle nuove realtà economiche.
Da una prospettiva economica, il Piano Marshall è stato modellato su una visione statica dell'investimento. Ai paesi veniva chiesto quali fossero i loro bisogni attuali e gli Stati Uniti rispondevano. Nemmeno si pensava alla possibilità che il solo sviluppo economico avrebbe potuto provvedere. Alla fine lo fece, ma solo dopo che il welfare del Piano Marshall venne tagliato ed i fornitori domestici poterono trovare dei mercati per i loro prodotti.
Il risultato fu il più grande trasferimento di ricchezza in tempo di pace dai contribuenti alle corporazioni nella storia degli Stati Uniti. E non erano solo dollari ad essere esportati. Con un massiccio “programma di esperienza tecnica” finanziato dalle tasse, le aziende europee vennero negli Stati Uniti a prendere lezioni nelle pratiche di amministrazione, visitando principalmente aziende automobilistiche sindacalizzate, stabilimenti elettrici ed enormi operazioni delle aziende agricole – i settori più socialisti degli Stati Uniti.
In totale, il Piano Marshall ha buttato 13 miliardi di dollari, o quasi 100 miliardi in dollari odierni. Abbastanza per radicare saldamente le aziende americane nei mercati europei, particolarmente in Gran Bretagna, in Francia ed in Germania. Le aziende controllate dagli americani hanno dominato nelle industrie di calzature, latte, cereali, macchine, automobili, merci inscatolate, raffinazione del petrolio, serrature e chiavi, stampa, gomme, sapone, orologi, macchinari per agricoltura e molte altre ancora.
Queste erano pure bolle di prosperità, investimenti forzati generati da affari sottobanco della peggiore specie. Effettivamente, Hoffman lavorò sotto il costante timore che racket venisse scoperto. Temeva che se un qualche giornalista intraprendente avesse esposto l'intera faccenda, udienze ne sarebbero seguite ed il programma sarebbe stato screditato. Ma questo non mai è accaduto.
Un anno dopo che il Piano Marshall ebbe cominciato a succhiare il capitale privato dall'economia, gli Stati Uniti caddero in recessione, precisamente l'opposto di ciò che i suoi fautori avevano predetto. Nel frattempo, i sussidi non avevano aiutato l'Europa. A ricostruire l'Europa sono stati la liberizzazione dei prezzi controllati, il mantenimento dell'inflazione sotto controllo e la limitazione del potere del sindacato del post-Marshall – cioè il mercato libero. Come lo stesso Hoffman ha ammesso nelle sue memorie, gli aiuti non hanno in effetti aiutato le economie europee. Il beneficio primario era “psicologico.” Una terapia davvero costosa.
L'eredità reale del Piano Marshall fu un'ampia espansione del governo nel paese, l'inizio della retorica della guerra fredda che avrebbe sostenuto lo stato sociale-bellico per 40 anni, una presenza globale permanente delle truppe e un intera classe di affaristi dipendente da Washington. Ha inoltre generato nell'elite di governo a Washington la convinzione che avrebbe potuto ingannare il pubblico su qualsiasi cosa, compresa l'idea che il governo ed i suoi gruppi di interesse collegati debbano governare il mondo a spese del contribuente.
Come tutti i progetti governativi, il Piano Marshall presenta tutte le caratteristiche della cospirazione: per quanto belle siano le intenzioni dichiarate con cui i governi infiocchettano i loro pacchetti, potete star certi che il vero contenuto non vi sarà mai rivelato, se non quando saranno stati aperti e come il vaso di Pandora avranno liberato nel mondo i loro doni malefici.
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Il mito del Piano Marshall
Di Jeffrey Tucker
Il cinquantesimo anniversario del Piano Marshall ha fornito ai media un'altra occasione per celebrare le opere buone del governo. Il tuffo a capofitto degli Stati Uniti nello stato sociale globale (quasi 100 miliardi in dollari attuali), hanno detto, salvò le economie europee dopo la seconda guerra mondiale. Un reporter, Garrick Utley della NBC, ha persino teorizzato che gli aiuti di Marshall spiegano perché la Germania orientale era povera e quella occidentale ricca.
Come l'economista Tyler Cowen ha notato, i paesi che ricevettero la maggior parte dei soldi del Piano Marshall (le alleate Gran Bretagna, Svezia e Grecia) si svilupparono più lentamente fra il 1947 e il 1955, mentre quelli che ricevettero meno soldi (le potenze dell'asse Germania, Austria e Italia) si svilupparono di più. In termini di prosperità nel dopoguerra, quindi, alla fine pagò di più essere stati nemici politici degli Stati Uniti anziché “beneficiari” della carità internazionale.
Ma questa verità è una notizia soltanto se pensate che il Piano Marshall fosse stato genuinamente inteso per aiutare i paesi stranieri. Ma come con tutti i programmi di governo, conviene guardare sotto la superficie. Quindi, quale fu esattamente il senso del Piano Marshall, così chiamato dal nome del generale George Marshall? È stato ben descritto nei lavori degli storici William Appleman Williams, Gabriel Kolko, Stephen Ambrose ed Alan Milward.
Marshall stesso ha svolto il ruolo di un burattino, rilasciando discorsi preparati dai giocatori dietro al piano. Il suo lancio iniziale, avvenuto a Harvard, fu che il denaro avrebbe posto termine “alla fame, la povertà, la disperazione e il caos.” Ma il reale esito del Piano Marshall fu una manovra politica atta a saccheggiare i contribuenti americani per mantenere le influenti corporazioni americane con i sussidi di governo. L'eredità del programma fu lo spropositato e perpetuo utilizzo degli aiuti esteri per scopi politici ed economici interni.
Dopo la fine della guerra, la popolarità di Harry Truman nei sondaggi cominciò a scendere, così come il prestigio del governo in generale. Il popolo americano aveva fatto enormi sacrifici per combattere la guerra ed ora voleva un freno al governo, che stava amministrando un'economia centralmente pianificata. Soprattutto, volevano la politica estera raccomandata da George Washington e da Thomas Jefferson: commercio con tutti, intrighi con nessuno.
Nella corrente predominante di pensiero c'era il senatore repubblicano Robert Taft, un eroe di tutti gli attivisti del libero-mercato del tempo. Chiedeva riduzioni di imposta, tagli di spesa e la fine “dell'interferenza in costante aumento nella vita delle famiglie e nel commercio dagli autocratici uffici governativi e capi sindacali.” Il partito repubblicano ottenne una vittoria travolgente nelle elezioni trimestrali del 1946, riprendendosi il congresso su una dura piattaforma contro l'estensione del governo.
Truman doveva fare qualcosa di grande e lo sapeva. Come riporta Charles Mee, aveva bisogno di “qualche grande programma che gli permettesse di riprendere l'iniziativa, qualcosa di abbastanza grande da permettergli di riunire tutte le fazioni tradizionali del partito democratico ed anche alcuni repubblicani a metà strada, ed allo stesso tempo, qualcosa che potesse ostacolare la falange repubblicana,” e lo facesse riconoscere come leader mondiale.
La soluzione era proprio davanti a lui: aiuti esteri, canalizzati attraverso le istituzioni corporative e mascherata dalla retorica dell'opposizione al comunismo straniero (ma non a quello domestico). Cinicamente, avrebbe fatto buon uso della Russia, che soltanto il giorno prima era stato il nostro gagliardo alleato in guerra, trasformandola in un mostro che doveva essere distrutto. Rubando la retorica anti-socialista dei repubblicani, Truman sperava di logorare i suoi avversari e di diventare un eroe sul palcoscenico mondiale.
Truman ebbe un'abbondanza di co-cospiratori, uomini che sono passati alla storia come gli architetti dell'originale Nuovo Ordine Mondiale. I leggendari istituzionalisti Averell Harriman e Charles Kindleberger erano figure centrali. Ma fu Dean Acheson, il sottosegretario di stato e lo statista più minaccioso dell'era dell'immediato dopoguerra, che inventò il programma per rendere permanente l'impero del tempo di guerra. Acheson persuase il segretario della Marina James Forrestal e l'intrallazzatore Clark Clifford a mostrare a Truman come si sarebbe potuta elevare una truffa politica come gli aiuti esteri ad una potente lotta ideologica su base globale.
Un poco noto gruppo di affari, fondato nel 1942 e chiamato Comitato per lo Sviluppo Economico, venne promosso a think-tank per un nuovo ordine internazionale – la controparte economica al Consiglio per le Relazioni Estere. I fondatori del comitato erano i capi delle maggiori industrie dell'acciaio, automobilistiche ed elettriche che avevano tratto beneficio dallo statalismo corporativo del New Deal. L'insieme dei suoi membri coincideva con l'Associazione per la Pianificazione Nazionale della sinistra più estrema, che era sfacciatamente nazional-socialista come orientamento ideologico.
Questi gruppi capirono chei loro margini di guadagno erano dovuti alle sovvenzioni di governo fornite dal New Deal ed ai contributi alla produzione del tempo di guerra. Dovendo affrontare la pace del dopoguerra, temevano un futuro in cui sarebbero stati costretti a competere su una base di libero mercato. La loro sicurezza personale ed istituzionale era in gioco, così si dettero da fare sognando strategie per sostenere un profittevole statalismo in un'economia pacifica.
Gli interessi economici corporativi, quindi, coincisero con gli interessi politici di Truman e fu così che nacque un'empia alleanza fra affaristi e governo. Avrebbero usato le miserie dell'Europa per riempirsi le tasche in nome della “ricostruzione” e della “sicurezza” contro le minacce fabbricate alla sicurezza americana.
Il caso utile venne nel 1947 con gli aiuti alla Grecia, dove il partito comunista stava facendo progressi elettorali. Truman vide la grande occasione e richiese 400 milioni di dollari in sussidi esteri, che il congresso approvò per colpire la Russia. Mentre ancora i soldi stavano venendo indirizzati a gruppi di interesse speciale, tuttavia, i membri del congresso appresero che il “collegamento russo” al partito comunista greco era stato fabbricato. Come si scoprì, la Grecia, come ogni paese europeo, semplicemente voleva i contanti.
Nondimeno, il successo politico della dottrina di Truman degli omaggi globali era stato dimostrato ed il copione per i miliardi in omaggi futuri era stato scritto. Nel corso dei cinque anni successivi, i “soldi di Marshall” avrebbero corrotto quasi ogni partito cristiano-democratico in Europa, trasformandoli in copie carbone del partito democratico degli Stati Uniti. Quei partiti politici a loro volta lavorarono per creare enormi stati sociali e piani regolatori che ancora oggi continuano ad ostacolare lo sviluppo economico europeo.
Sulle ali del successo in Grecia, Dean Acheson formò un comitato ad-hoc per trovare le “situazioni in altre parti del mondo” che “possano richiedere analogo sussidio tecnico e militare da parte nostra.” Senza il minimo sforzo, il comitato ad-hoc fu in grado di classificare la maggior parte dell'Europa come bisognosa di aiuto economico. Il comitato trovò scarsità praticamente di tutto e, in particolare, dei dollari per comprare le merci dell'America corporativa. Una mitica “scarsità di dollari” (come se il commercio fosse possibile soltanto in un mondo inondato di carta) era la crisi del momento.
Ma sotto la superficie, l'obiettivo vero era l'internazionalizzazione del New Deal, il sogno di ogni burocrate. Come disse nelle sue memorie Julius Krug, segretario dell'interno, il Piano Marshall, “essenziale alle nostre continue produttività e prosperità,” era una Tennessee Valley Authority su scala mondiale. “È come se stessimo costruendo un TVA ogni martedì.”
Tuttavia anche dopo il voto sulla Grecia, i sondaggi mostravano una tremenda opposizione pubblica a tutti gli omaggi all'estero. In un meeting, il repubblicano Charles Halleck, capo della maggioranza alla Camera, disse esplicitamente a Truman: “dovete capire che c'è una crescente resistenza a questi programmi. Sono stato fuori in campagna elettorale e lo so. Alla gente non piacciono.”
Il gruppo di Truman ci aveva già pensato. Mesi prima del voto, riunì i direttori delle società più importanti per arruolarli alla causa. I membri di questo comitato organizzativo, raccolti dal Comitato per lo Sviluppo Economico, includevano, tra i principali, Hiland Vatcheller, presidente dell'Allegheny-Ludlum Steel Corporation; W. Randolph Burgess, vice presidente della Banca Nazionale della Città di New York; Paul G. Hoffmann, presidente di Studebaker Corp. (e più tardi amministratore dei fondi del Piano Marshall), così come i tesorieri della segreteria di AFL e CIO.
A guidare la carica corporativa per i profitti sicuri c'era Will Clayton, imprenditore del cotone del Texas il cui commercio stava per sperimentare un notevole boom sovvenzionato dalle tasse. L'ultima guerra mondiale aveva già reso la sua azienda la seconda maggiore azienda commerciale del cotone nel mondo. Diversamente dei suoi competitori durante il New Deal, mentre lavorava con il FDR per rovinare l'economia americana, era stato abbastanza astuto da spostare le sue operazioni in Brasile, Messico, Paraguay ed Egitto. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, era arrivato a vendere il 15 per cento di cotone del mondo.
A guerra conclusa, si riarruolò nella campagna per il fronte interno. Come sottosegretario di stato per gli affari economici nel 1947, anche Clayton vide la grande occasione. “Ammettiamolo apertamente,” disse in difesa dell'idea degli aiuti esteri: “abbiamo bisogno di mercati – grandi mercati – nei quali comprare e vendere.” Questa è la verità centrale di tutti questi aiuti. L'intenzione non è di aiutare i paesi stranieri; è di ricompensare le multinazionali di casa che effettivamente ottengono i contanti mentre il governo acquista influenza politica all'estero.
Niente venne lasciato al caso. Acheson lavorò con le elite corporative stabilite e lo State Department per creare una presunta organizzazione dal basso chiamata “Comitato dei Cittadini per il Piano Marshall.” Qualcosa come mille oratori che rappresentavano il gruppo girarono il paese per stimolare un supporto. Produsse inoltre testimonianze congressuali per conto di altre organizzazioni a sostegno del pacchetto di aiuti. Come Averell Harriman disse a parecchi ambasciatori europei durante una visita all'ambasciata britannica, non avevano mai visto niente di paragonabile al “diluvio di propaganda organizzata che l'amministrazione si prepara a liberare.”
Il compito di sostenere il caso economico venne lasciato a Will Clayton. Perversamente, egli pubblicizzò il Piano Marshall come il trionfo della “ libera impresa.” Inoltre, egli disse, se il comunismo arriva in Europa, “penso che la situazione che affronteremmo in questo paese sarà molto grave.” Dovremmo “riordinare e riadattare la nostra intera economia in questo paese se perdessimo il mercato europeo.”
Nei giorni prima del voto, i proclami diventarono più estremi e, con l'elite governo-media-corporativo-bancaria a bordo, la propaganda divenne sempre più isterica. Ci venne detto che sarebbe arrivata una depressione. Che gli Stati Uniti sarebbero stati bombardati. Saremmo entrati in una nuova guerra se il pacchetto di aiuti avesse fallito. La situazione è brutta come in Francia nel 1938. La vita americana come la conosciamo finirebbe immediatamente.
Quando il programma fu passato, cosa che avvenne facilmente (persino con il voto di Taft), l'inchiostro non si era ancora asciugato sulla legislazione che le navi cariche di merci già navigavano in alto mare. In ogni dato momento nei prossimi mesi, 150 navi trasportavano frumento, farina, cotone, gomme, borace, macchine per perforazioni, trattori, tabacco, parti di velivoli e qualsiasi altra cosa su cui i grandi fornitori domestici potevano mettere le loro mani.
Poiché per la maggior parte delle merci spedite nell'ambito del Piano Marshall, i produttori americani avevano il vantaggio: il 50 per cento doveva essere spedito su vascelli americani. Le esportazioni di petrolio verso l'Europa esplosero anche se le importazioni dall'Europa furono tagliate di un terzo. Nella distribuzione degli aiuti, c'era una preferenza per le merci finite, per impedire alle aziende europee di competere con i produttori americani sulla linea di produzione.
Prendendo una pagina dal manuale di Roosevelt, Truman escluse l'usuale burocrazia e stabilì un nuovo ufficio – l'Amministrazione per la Cooperazione Economica – per distribuire gli aiuti. Anch'essa era composta dai vertici dei maggiori interessi industrial-corporativi che beneficiarono a scapito del pubblico. Paul Hoffman dirigeva il gruppo e passò miliardi alle potenze corporative ben affermate. Come riassume lo storico Anthony Carew, il Piano Marshall “era in tutti gli aspetti principali un'organizzazione di affari guidata da uomini d'affari” (Hoffman più tardi divenne capo della Fondazione Ford, di estrema sinistra).
Soprattutto, gli aiuti vennero usati per acquisti a prezzi distorti per mezzo dei dollari delle tasse americane nelle mani dei governi europei. Il folle parapiglia per i dollari delle tasse fu una vergogna da ricordare, uno dei punti più bassi nella storia economica degli Stati Uniti. Ripetutamente, il congresso intervenne per assegnare all'America corporativa quello che realmente voleva: restrizioni che forzavano gli aiuti del Piano Marshall ad andare in acquisti di petrolio, alluminio, legno, tessile e macchinari americani.
Gli aiuti erano anche usati per sovvenzionare direttamente particolari ditte in paesi beneficiari, che ci fossero o meno mercati potenziali per i loro prodotti. Invece, le ditte ricevevano i soldi perché la loro esistenza continuata avrebbe sostenuto artificialmente le politiche di “piena occupazione.” E poiché i sindacati americani erano intimamente coinvolti nella scelta di chi avrebbe ottenuto i soldi, la parte del leone spettò alle aziende con i contratti subordinati all'iscrizione al sindacato, limitando paradossalmente la capacità dei mercati del lavoro di riadattarsi alle nuove realtà economiche.
Da una prospettiva economica, il Piano Marshall è stato modellato su una visione statica dell'investimento. Ai paesi veniva chiesto quali fossero i loro bisogni attuali e gli Stati Uniti rispondevano. Nemmeno si pensava alla possibilità che il solo sviluppo economico avrebbe potuto provvedere. Alla fine lo fece, ma solo dopo che il welfare del Piano Marshall venne tagliato ed i fornitori domestici poterono trovare dei mercati per i loro prodotti.
Il risultato fu il più grande trasferimento di ricchezza in tempo di pace dai contribuenti alle corporazioni nella storia degli Stati Uniti. E non erano solo dollari ad essere esportati. Con un massiccio “programma di esperienza tecnica” finanziato dalle tasse, le aziende europee vennero negli Stati Uniti a prendere lezioni nelle pratiche di amministrazione, visitando principalmente aziende automobilistiche sindacalizzate, stabilimenti elettrici ed enormi operazioni delle aziende agricole – i settori più socialisti degli Stati Uniti.
In totale, il Piano Marshall ha buttato 13 miliardi di dollari, o quasi 100 miliardi in dollari odierni. Abbastanza per radicare saldamente le aziende americane nei mercati europei, particolarmente in Gran Bretagna, in Francia ed in Germania. Le aziende controllate dagli americani hanno dominato nelle industrie di calzature, latte, cereali, macchine, automobili, merci inscatolate, raffinazione del petrolio, serrature e chiavi, stampa, gomme, sapone, orologi, macchinari per agricoltura e molte altre ancora.
Queste erano pure bolle di prosperità, investimenti forzati generati da affari sottobanco della peggiore specie. Effettivamente, Hoffman lavorò sotto il costante timore che racket venisse scoperto. Temeva che se un qualche giornalista intraprendente avesse esposto l'intera faccenda, udienze ne sarebbero seguite ed il programma sarebbe stato screditato. Ma questo non mai è accaduto.
Un anno dopo che il Piano Marshall ebbe cominciato a succhiare il capitale privato dall'economia, gli Stati Uniti caddero in recessione, precisamente l'opposto di ciò che i suoi fautori avevano predetto. Nel frattempo, i sussidi non avevano aiutato l'Europa. A ricostruire l'Europa sono stati la liberizzazione dei prezzi controllati, il mantenimento dell'inflazione sotto controllo e la limitazione del potere del sindacato del post-Marshall – cioè il mercato libero. Come lo stesso Hoffman ha ammesso nelle sue memorie, gli aiuti non hanno in effetti aiutato le economie europee. Il beneficio primario era “psicologico.” Una terapia davvero costosa.
L'eredità reale del Piano Marshall fu un'ampia espansione del governo nel paese, l'inizio della retorica della guerra fredda che avrebbe sostenuto lo stato sociale-bellico per 40 anni, una presenza globale permanente delle truppe e un intera classe di affaristi dipendente da Washington. Ha inoltre generato nell'elite di governo a Washington la convinzione che avrebbe potuto ingannare il pubblico su qualsiasi cosa, compresa l'idea che il governo ed i suoi gruppi di interesse collegati debbano governare il mondo a spese del contribuente.
Sunday, January 27, 2008
«I'll buy anything if it's enhanced»
Non avete capito la crisi dei mutui subprime? Nessun problema: ve la spiegano due comici inglesi, John Fortune & John Bird al South Bank Show.
Saturday, January 26, 2008
La Habana - Cuba
Come preannunciato, il dispaccio telepatico di questa settimana arriva dai Caraibi: il nostro Giovanni Pesce non si fa davvero mancare nulla! A noi non resta che lasciarci trasportare nelle atmosfere esotiche e avventurose di Cuba, mentre l'inviato speciale da Laputa cerca di dipanare un'intricata matassa di sotterfugi e provocazioni, un balletto di finte e controfinte degne di campioni pallonari di altre epoche.
Militari, spie, capi di governo e capitani d'industria sono i protagonisti di eventi di un passato non troppo lontano che hanno segnato la storia del mondo ma dei quali ancora non sappiamo probabilmente tutta la verità. Il nostro esperto di cospirazioni scopre qualche tessera, ma su quale sia il disegno rappresentato nel mosaico possiamo solo fare supposizioni.
Difficile districarsi tra le false piste e le false bandiere, in compenso la lettura per il week-end è servita, da gustare, è ovvio, con un freschissimo Cuba Libre. Buon fine settimana a tutti!
___________________________
Di Giovanni Pesce
La squadra dei Barbudos ha da poco (1959) conquistato il potere e già si trova a fronteggiare una delle più spettacolari crisi della Guerra Fredda: i Missili Cubani.
Tutto inizia il 14 Ottobre 1962, quando un aereo da ricognizione “evergreen” Lochkeed U2 degli Stati Uniti scatta delle fotografie, nelle quali si può notare la presenza di basi missilistiche sovietiche nel territorio cubano.
A soli 150 Km dal territorio statunitense queste postazioni missilistiche rappresentano una minaccia intollerabile per i contribuenti USA, specialmente dopo che gli stessi erano stati scaldati a puntino con eventi mediatici dai titoli roboanti come “I missili in giardino”.
La tecnologia missilistica in campo è molto simile a quella delle V2 tedesche e degli Honest-John americani, missili tattici.
Osserviamo i Front-Men scesi in campo:
Sulla vostra destra potete ammirare i fratelli John e Bob Kennedy con il loro Gruppo Speciale Allargato composto dal consigliere militare (il generale Maxwell Taylor), dal consigliere per la Sicurezza nazionale (McGeorge Bundy), dal Segretario di stato (Dean Rusk), assistito da un consigliere (Alexis Johnson), dal Segretario alla difesa (Robert McNamara), assistito da un consigliere (Roswell Gilpatric), dal nuovo direttore della CIA (John McCone), dal capo di stato maggiore interforze (il generale Lyman L. Lemnitzer) e dall’ambasciatore Adlai Stevenson .
Schierati sulla vostra sinistra Krusciov assistito da Gromiko, Anatoly Dobrynin, i fratelli Castro ed il comandante “Che” Guevara che presiede l’economia nazionale cubana a mo’ di un Padoa Schioppa.
Da quando Fidel Castro è salito al potere i rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti sono andati via via peggiorando e si sono interrotti totalmente nel 1961.
Un tentativo Usa di far insorgere il popolo cubano era fallito platealmente; questa azione, conosciuta con il fantasioso nome “La Baia dei Porci”, fu un vero spettacolare Smack-Down a favore del Líder Máximo.
“Goal mancato = goal subito” e Krusciov non perde l’opportunità di reagire in contropiede trasferendo in avanti di 12.000 miglia verso i Caraibi i suoi missili tattici.
Dopo la disastrosa azione offensiva, JFK mostra i muscoli, decretando l'embargo a Cuba a partire dal febbraio 1962.
Torniamo sul ring; prima scazzottata diplomatica: l'Uomo della Casa Bianca chiede spiegazioni a “Faccia di Bronzo”; malgrado la presentazione delle fotografie il ministro degli esteri sovietico Andrej Gromiko schiva il colpo negando la presenza di missili sul territorio cubano ed il Pentagono risponde il 22 ottobre con una mossa creativa: “la quarantena” per le navi dirette all'isola.
Non pensate che quest’ultima sia una danza caraibica con figure dinamiche, la quarantena è solo un eufemismo per invocare una mossa internazionalmente proibita classificata sotto la voce “blocco navale”.
Ogni tentativo di forzatura del blocco stesso avrebbe provocato una ritorsione immediata; alla data fatidica del 23 ottobre, Kennedy si rivolge al pubblico e con toni estremamente duri dice che ogni lancio di missili cubani verrà considerato un attacco portato dall'Unione Sovietica verso gli Stati Uniti.
Il 24 inizia la danza operativa della quarantena.
Saltando con eleganza, le corde entra in azione, il 25 ottobre, Adlai Stenveson che mette K.O. l'avversario ed il pubblico ostentando all'ONU una serie di fotografie con rampe di missili a Cuba; anni dopo Colin Powell avrebbe organizzato un remake mediatico.
Mentre il complesso militar-mediatico-industriale incomicia a respirare a pieni polmoni, il mondo trattiene il respiro.
A porre fine a questa situazione di stallo ci pensa l'Uomo Rosso che cede di schianto ed ordina lo smantellamento delle cosiddette rampe missilistiche cubane.
Il giorno dopo tutte le navi sovietiche si allontanano dalla zona del blocco.
Come previsto nelle causole della “resa condizionata”, JFK si impegna pubblicamente affinchè gli Stati Uniti non invadano mai l’isola, né appoggino altri tentativi di invasione.
Il p.r. dell'Uomo Rosso rende pubblica una seconda lettera, nella quale si specifica un'altra clausola: la rinuncia americana ai suoi missili Jupiter installati in Turchia e a Gioia del Colle, vicino Bari.
L'uomo della Casa Bianca telefona privatamente in Puglia e annuncia: “pronto, Gioia, ti dovrei dire una cosa...” ma in pubblico risponde, accettando il contenuto della prima lettera di Krusciov ed aggiungendo una proposta di accordo riguardante altri armamenti, come proposto nella seconda lettera.
Il 28 ottobre, la crisi termina, e così vissero tutti felici e contenti, penserete voi.
Manco nell'anticamera del cervello, direbbe nonna mia.
“Dobbiamo stare attenti a non permettere che uno di questi rifugiati cubani rovini l'affare” fu la frase, pronunciata da JFK a suo fratello RFK la notte del 28 ottobre 1962, che costituì il trampolino di lancio per l’altra operazione di spettacoli caraibici “Cuba-Miami-Dallas-LasVegas”, con eliminazioni di presidenti ed esiliati.
Invece a Milano, lontano dai Caraibi, sotto una triste pioggia, furono organizzati, sabato 27 ottobre, cortei a favore di Cuba e durante gli scontri tra dimostranti e la Celere morì il giovane Giovanni Ardizzone; il giorno prima a Bescapè su un Morane-Saulnier 760 erano morte tre persone: un tal Enrico Mattei, un certo pilota Irnerio Bertuzzi e William McHale giornalista USA.
Uccisi da un improvviso aumento di pressione dovuto all’aggravamento della Guerra Fredda.
Un tempaccio, meglio berci un pò sopra... Bacardi?
Militari, spie, capi di governo e capitani d'industria sono i protagonisti di eventi di un passato non troppo lontano che hanno segnato la storia del mondo ma dei quali ancora non sappiamo probabilmente tutta la verità. Il nostro esperto di cospirazioni scopre qualche tessera, ma su quale sia il disegno rappresentato nel mosaico possiamo solo fare supposizioni.
Difficile districarsi tra le false piste e le false bandiere, in compenso la lettura per il week-end è servita, da gustare, è ovvio, con un freschissimo Cuba Libre. Buon fine settimana a tutti!
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Di Giovanni Pesce
La squadra dei Barbudos ha da poco (1959) conquistato il potere e già si trova a fronteggiare una delle più spettacolari crisi della Guerra Fredda: i Missili Cubani.
Tutto inizia il 14 Ottobre 1962, quando un aereo da ricognizione “evergreen” Lochkeed U2 degli Stati Uniti scatta delle fotografie, nelle quali si può notare la presenza di basi missilistiche sovietiche nel territorio cubano.
A soli 150 Km dal territorio statunitense queste postazioni missilistiche rappresentano una minaccia intollerabile per i contribuenti USA, specialmente dopo che gli stessi erano stati scaldati a puntino con eventi mediatici dai titoli roboanti come “I missili in giardino”.
La tecnologia missilistica in campo è molto simile a quella delle V2 tedesche e degli Honest-John americani, missili tattici.
Osserviamo i Front-Men scesi in campo:
Sulla vostra destra potete ammirare i fratelli John e Bob Kennedy con il loro Gruppo Speciale Allargato composto dal consigliere militare (il generale Maxwell Taylor), dal consigliere per la Sicurezza nazionale (McGeorge Bundy), dal Segretario di stato (Dean Rusk), assistito da un consigliere (Alexis Johnson), dal Segretario alla difesa (Robert McNamara), assistito da un consigliere (Roswell Gilpatric), dal nuovo direttore della CIA (John McCone), dal capo di stato maggiore interforze (il generale Lyman L. Lemnitzer) e dall’ambasciatore Adlai Stevenson .
Schierati sulla vostra sinistra Krusciov assistito da Gromiko, Anatoly Dobrynin, i fratelli Castro ed il comandante “Che” Guevara che presiede l’economia nazionale cubana a mo’ di un Padoa Schioppa.
Da quando Fidel Castro è salito al potere i rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti sono andati via via peggiorando e si sono interrotti totalmente nel 1961.
Un tentativo Usa di far insorgere il popolo cubano era fallito platealmente; questa azione, conosciuta con il fantasioso nome “La Baia dei Porci”, fu un vero spettacolare Smack-Down a favore del Líder Máximo.
“Goal mancato = goal subito” e Krusciov non perde l’opportunità di reagire in contropiede trasferendo in avanti di 12.000 miglia verso i Caraibi i suoi missili tattici.
Dopo la disastrosa azione offensiva, JFK mostra i muscoli, decretando l'embargo a Cuba a partire dal febbraio 1962.
Torniamo sul ring; prima scazzottata diplomatica: l'Uomo della Casa Bianca chiede spiegazioni a “Faccia di Bronzo”; malgrado la presentazione delle fotografie il ministro degli esteri sovietico Andrej Gromiko schiva il colpo negando la presenza di missili sul territorio cubano ed il Pentagono risponde il 22 ottobre con una mossa creativa: “la quarantena” per le navi dirette all'isola.
Non pensate che quest’ultima sia una danza caraibica con figure dinamiche, la quarantena è solo un eufemismo per invocare una mossa internazionalmente proibita classificata sotto la voce “blocco navale”.
Ogni tentativo di forzatura del blocco stesso avrebbe provocato una ritorsione immediata; alla data fatidica del 23 ottobre, Kennedy si rivolge al pubblico e con toni estremamente duri dice che ogni lancio di missili cubani verrà considerato un attacco portato dall'Unione Sovietica verso gli Stati Uniti.
Il 24 inizia la danza operativa della quarantena.
Saltando con eleganza, le corde entra in azione, il 25 ottobre, Adlai Stenveson che mette K.O. l'avversario ed il pubblico ostentando all'ONU una serie di fotografie con rampe di missili a Cuba; anni dopo Colin Powell avrebbe organizzato un remake mediatico.
Mentre il complesso militar-mediatico-industriale incomicia a respirare a pieni polmoni, il mondo trattiene il respiro.
A porre fine a questa situazione di stallo ci pensa l'Uomo Rosso che cede di schianto ed ordina lo smantellamento delle cosiddette rampe missilistiche cubane.
Il giorno dopo tutte le navi sovietiche si allontanano dalla zona del blocco.
Come previsto nelle causole della “resa condizionata”, JFK si impegna pubblicamente affinchè gli Stati Uniti non invadano mai l’isola, né appoggino altri tentativi di invasione.
Il p.r. dell'Uomo Rosso rende pubblica una seconda lettera, nella quale si specifica un'altra clausola: la rinuncia americana ai suoi missili Jupiter installati in Turchia e a Gioia del Colle, vicino Bari.
L'uomo della Casa Bianca telefona privatamente in Puglia e annuncia: “pronto, Gioia, ti dovrei dire una cosa...” ma in pubblico risponde, accettando il contenuto della prima lettera di Krusciov ed aggiungendo una proposta di accordo riguardante altri armamenti, come proposto nella seconda lettera.
Il 28 ottobre, la crisi termina, e così vissero tutti felici e contenti, penserete voi.
Manco nell'anticamera del cervello, direbbe nonna mia.
“Dobbiamo stare attenti a non permettere che uno di questi rifugiati cubani rovini l'affare” fu la frase, pronunciata da JFK a suo fratello RFK la notte del 28 ottobre 1962, che costituì il trampolino di lancio per l’altra operazione di spettacoli caraibici “Cuba-Miami-Dallas-LasVegas”, con eliminazioni di presidenti ed esiliati.
Invece a Milano, lontano dai Caraibi, sotto una triste pioggia, furono organizzati, sabato 27 ottobre, cortei a favore di Cuba e durante gli scontri tra dimostranti e la Celere morì il giovane Giovanni Ardizzone; il giorno prima a Bescapè su un Morane-Saulnier 760 erano morte tre persone: un tal Enrico Mattei, un certo pilota Irnerio Bertuzzi e William McHale giornalista USA.
Uccisi da un improvviso aumento di pressione dovuto all’aggravamento della Guerra Fredda.
Un tempaccio, meglio berci un pò sopra... Bacardi?
Friday, January 25, 2008
Piccolo Glossario della Neolingua #25
“Thieves respect property. They merely wish the property to become their property that they may more perfectly respect it.”
(G.K. Chesterton)
La proprietà privata è un diritto apparentemente riconosciuto anche dallo stato, ma si tratta in realtà di un riconoscimento puramente teorico nella misura in cui tale diritto è dallo stato limitato. Così come per la libertà, il diritto alla proprietà non deve essere riconosciuto ma, semplicemente, rispettato.
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Proprietà
Significato originario:
3a dir., diritto di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e secondo gli obblighi fissati dalla legge: diritto di p., tutela, violazione della p., vincoli, limiti della p.; acquisto, cessione, trapasso di p.
3b appartenenza, possesso di qcs.: discussero a lungo sulla p. di certi poderi, anche in funz. agg.inv.: un terreno p. del comune
3c estens., ogni bene di cui si goda e si disponga in modo pieno ed esclusivo: p. mobiliare, immobiliare, fondiaria; ereditare una p., amministrare le p. di famiglia | bene immobiliare considerato in sé, senza riferimento a un proprietario: p. estesa, di ingente valore, confini, limiti di p.
4 per meton., proprietario o insieme di proprietari di una società o di un’azienda: soprusi della p. sui braccianti, la p. ha annunciato dei licenziamenti
Che ogni uomo abbia la proprietà di sé stesso, e di nessun altro, è un fatto generalmente accettato. Negare questo assunto è praticamente impossibile – e in verità, almeno esplicitamente, nessuno al giorno d'oggi lo fa – senza giustificare una qualche forma di schiavitù. In effetti, che il proprio corpo sia inalienabile proprietà di ciascuno è rivendicato da tutti, dai capitalisti fino alle femministe e al movimento omosessuale.
Non altrettanto universalmente riconosciuto, nonostante ne sia la conseguenza logica, è il diritto alla proprietà di oggetti esterni all'individuo. Una buona definizione di proprietà la possiamo trovare nel Secondo trattato sul governo di John Locke, dove leggiamo che
Il diritto di chi ha messo a frutto, utilizzando il proprio lavoro, una qualsiasi risorsa, prevale sul diritto di chiunque altro, e solo a lui spetta la decisione, se lo desidera, di cederlo interamente o in parte ad un'altra persona per mezzo di un contratto, ovvero di un accordo reciproco. Questo semplice e lineare ragionamento è però smentito dall'ingerenza dello stato nel momento in cui decide unilateralmente di tassare le proprietà in nome di una più “giusta” ridistribuzione o addirittura, in alcuni casi, di espropriarla per realizzare qualche progetto in nome del “bene comune,” che tanto comune non è perché esclude in partenza la vittima dell'esproprio.
La legittimazione a questo genere di pratiche estortive viene subdolamente inculcata nelle giovani menti già dalla scuola pubblica, e si basa più che altro su motivazioni emozionali, come spiega bene Tibor Machan in questo articolo:
Impedire ad un uomo di recintare il campo che con il suo lavoro da pietraia si è trasformato in coltivazione equivale a riconoscere ad un altro uomo, dotato della forza necessaria, il diritto di servirsene come di uno schiavo. Del resto se il frutto della fatica di ciascuno non è più di sua esclusiva proprietà scompare anche qualsiasi incentivo al lavoro che non sia la minaccia della violenza.
Non altrettanto universalmente riconosciuto, nonostante ne sia la conseguenza logica, è il diritto alla proprietà di oggetti esterni all'individuo. Una buona definizione di proprietà la possiamo trovare nel Secondo trattato sul governo di John Locke, dove leggiamo che
[O]gni uomo ha la proprietà della propria persona. Su questa nessuno ha alcun diritto a parte lui stesso. Il lavoro del suo corpo e delle sue mani, possiamo dire, è propriamente suo. Qualunque cosa allora che egli rimuova dallo stato in cui la natura lo ha fornito, ed in cui lo ha lasciato, e vi abbia mescolato il suo lavoro, ed unito ad esso qualcosa che fosse suo, lo rende quindi di sua proprietà. Il suo esser stata da lui rimossa dal comune stato in cui la natura l'ha disposta, essa ha qualcosa annessa da questo lavoro che esclude il comune diritto di altri uomini.Ovvero, essendo necessario utilizzare il proprio corpo per un determinato lasso di tempo per ottenere dalla natura un qualsiasi oggetto utile alla sopravvivenza, qualsiasi cosa alla quale l'individuo applica il proprio lavoro si deve considerare logicamente di sua esclusiva proprietà, al pari della sua persona. Questo diritto ovviamente esclude il diritto di chiunque altro sullo stesso oggetto, sia esso un pezzo di terra dissodato, così come uno strumento di lavoro.
Il diritto di chi ha messo a frutto, utilizzando il proprio lavoro, una qualsiasi risorsa, prevale sul diritto di chiunque altro, e solo a lui spetta la decisione, se lo desidera, di cederlo interamente o in parte ad un'altra persona per mezzo di un contratto, ovvero di un accordo reciproco. Questo semplice e lineare ragionamento è però smentito dall'ingerenza dello stato nel momento in cui decide unilateralmente di tassare le proprietà in nome di una più “giusta” ridistribuzione o addirittura, in alcuni casi, di espropriarla per realizzare qualche progetto in nome del “bene comune,” che tanto comune non è perché esclude in partenza la vittima dell'esproprio.
La legittimazione a questo genere di pratiche estortive viene subdolamente inculcata nelle giovani menti già dalla scuola pubblica, e si basa più che altro su motivazioni emozionali, come spiega bene Tibor Machan in questo articolo:
Un importante motivo per cui la gente non è fedele al principio del diritto alla proprietà privata – o persino lo rifiuta come mitico – è che ha un'idea sbagliata della sua funzione principale. Molti pensano che ne traggano beneficio soltanto i ricchi. Ed anche se non hanno nulla contro l'essere ricchi, hanno qualcosa contro gli ingiusti vantaggi legali per coloro che lo sono. [...]Giocando sui desideri degli uomini, e sull'invidia provocata da chi possiede di più, facendo leva su un falso senso di giustizia, i sostenitori del collettivismo insinuano l'idea che la proprietà privata non sia un diritto ma un'appropriazione indebita. Così facendo, però, negano effettivamente anche lo stesso diritto alla proprietà del proprio corpo e del proprio lavoro, grazie ai quali le risorse fornite dalla natura allo stato grezzo sono diventate ricchezza, mezzi di sostentamento o di piacere.
Questa idea, a sua volta, è alimentata dalla mentalità del “gioco a somma zero,” la convinzione che se qualcuno guadagna, qualcun'altro deve perdere.
Impedire ad un uomo di recintare il campo che con il suo lavoro da pietraia si è trasformato in coltivazione equivale a riconoscere ad un altro uomo, dotato della forza necessaria, il diritto di servirsene come di uno schiavo. Del resto se il frutto della fatica di ciascuno non è più di sua esclusiva proprietà scompare anche qualsiasi incentivo al lavoro che non sia la minaccia della violenza.
Un Prodi più dimesso del solito
Inabissato il galeone pirata di capitan Frodi, si prospetta la possibilità di un nuovo, inutile, stucchevole show elettorale.
Considerato che l´ammontare del finanziamento per le elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006 è stato di complessivi € 393.147.000, mi permetto di proporre alcuni sistemi alternativi altrettanto validi – ma sicuramente più economici e veloci – per selezionare il nuovo governo:
1) Am bimbò
chi sta sotto non lo so
ma ben presto lo saprò
am bimbò.
2) Pimpereppettenusa
pimpireppetepam.
3) Ale bonbe del canòn
Che fa bin, bun, ban.
Ale bonbe del canòn
de me nono scorezòn
bin, bun, ban.
Considerato che l´ammontare del finanziamento per le elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006 è stato di complessivi € 393.147.000, mi permetto di proporre alcuni sistemi alternativi altrettanto validi – ma sicuramente più economici e veloci – per selezionare il nuovo governo:
1) Am bimbò
chi sta sotto non lo so
ma ben presto lo saprò
am bimbò.
2) Pimpereppettenusa
pimpireppetepam.
3) Ale bonbe del canòn
Che fa bin, bun, ban.
Ale bonbe del canòn
de me nono scorezòn
bin, bun, ban.
Thursday, January 24, 2008
Premio Caligola - Gennaio '08
Riprende il Premio Caligola - Il potere gli ha dato alla testa, con la prima edizione del 2008. Innanzitutto comunico che il vincitore assoluto per l'anno appena trascorso è – invero non sorprendentemente – il presidente dello Zimbabwe Robert “The Curse” Mugabe, grazie al primo posto nell'edizione di agosto e al piazzamento in quella di ottobre. Qua sotto un'immagine dell'elegante pistola spedita a Mugabe, completa di caricatore di scorta (non si sa mai).
Detto questo, passiamo a presentare i candidati di gennaio, mese ricco di avvenimenti tanto da mettere in difficoltà la giuria del Premio: veramente difficile scegliere di fronte a tanta abbondanza di malati di potere. Ma vediamo chi l'ha spuntata. La prima candidatura se l'è aggiudicata il folkloristico caudillo Hugo Chavez, che oltre a rivelarsi insospettato tombeur de femmes scopre un rivoluzionario sistema per combattere l'inflazione: togliere gli zeri. La realtà è quel che sembra, pare suggerire il casanova indio. Infatti lui sembra un panzuto imbroglione, e probabilmente lo è.
Il secondo candidato è ancora una volta un nostro illustre connazionale, l'ineffabile presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro, che condannato a cinque anni per favoreggiamento e rivelazione di segreti d'ufficio non si dimette, anzi, festeggia: la sua reazione all'annuncio della sentenza è riuscita a commuovere profondamente i severi membri della giuria, che fin da ora preconizzano una sua futura affermazione nell'edizione annuale 2008.
Infine, una chicca da oltreoceano. Dallo stato che meglio di altri incarna il sogno americano, per la precisione, quello che tutti sognavano di raggiungere negli spensierati anni sessanta. In questo periodo di tempo parecchie cose sembrano essere cambiate, soprattutto sembra non essere molto più di moda la libertà. In compenso ci si preoccupa molto per il bene comune, tanto che il torrido stato governato da Schwarzy, il Governator, ha deciso di perseguirlo prendendo il controllo del riscaldamento. Non potendo per il momento controllare quello globale, ha pensato bene di occuparsi di quello dei suoi contribuenti: non sia mai che qualcuno pensi di soffrire il caldo – o il freddo – più di qualcun altro!
Non c'è che dire, il nuovo anno nasce sotto i migliori auspici. Votate dunque, ricordate che ogni voto è un piccolo passo verso la perfezione democratica, e che nessuno deve rimanere indietro: salite sul treno in file ordinate e senza spingere!
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Venezuela: Nuova Moneta Per Il Paese, Nasce Il ''Bolivar Fuerte''
Caracas, 2 gen - Con il nuovo anno, il Venezuela ha lanciato una nuova moneta, il ''bolivar fuerte'' (bolivar ''forte''), che toglie tre zeri a quella attualmente utilizzata, nel tentativo di semplificare le operazioni finanziarie e accrescere la facilita' d'uso di una moneta che ha perso moltissimo valore nel tempo a causa dell'alta inflazione che affligge il paese. Da ieri, le banche e gli sportelli automatici sono stati riforniti con la nuova divisa, che potra' essere utilizzata sin da subito insieme alla vecchia, per poi sostituirla gradualmente. Secondo il Governo venezuelano del presidente Hugo Chavez, il ''bolivar fuerte'' rendera' piu' facili le transazioni ed e' parte di un disegno piu' ampio di misure mirate a rafforzare l'economia e a contenere la crescita dell'inflazione. ''Stiamo per dire addio ad un ciclo storico di instabilita' nei prezzi'', ha detto lunedi' scorso il ministro delle Finanze, Rodrigo Cabezas, aggiungendo che la novita' punta a ''riabilitare il bolivar che ha una forte capacita' di acquisto''. In Venezuela i prezzi sono cresciuti ulteriormente da quando Chavez ha impiegato gli introiti derivanti dalla vendita del petrolio in programmi di carattere sociale, il che ha rafforzato pero' il sostegno di cui il presidente gode tra le fasce piu' povere della popolazione, e facendo raggiungere al paese un tasso di crescita, nel 2007, dell'8,4%. La banca centrale venezuelana sta promuovendo la nuova moneta con una campagna d'informazione basata sullo slogan ''un'economia forte, un bolivar forte, un paese forte'', ma non e' stato ancora chiarito quali misure saranno varate per contenere l'inflazione, che nel 2007 ha raggiunto circa il 20%, il tasso piu' alto di tutta l'America latina. Dal febbraio 2003, il Venezuela ha un tasso di cambio fissato per legge. Il Governo di Caracas ha fatto sapere di non avere in programma, nel breve e medio periodo, una svalutazione della moneta. Ma mentre il tasso di cambio ufficiale col dollaro e' fissato a 2,15 bolivar per $, il tasso praticato nel mercato nero gira attualmente intorno a 5,60 bolivar per $.
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Cuffaro: condannato e contento
Il Tribunale di Palermo ha ritenuto il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, colpevole di favoreggiamento semplice e rivelazione di segreto d'ufficio, e per questo lo ha condannato a 5 anni di reclusione.
Basterebbe questo (e a dire il vero, troviamo che sia già troppo) per mettersi una busta di carta in testa e non far vedere in giro, per molto tempo, la propria faccia per la vergogna. E invece no, il Governatore della Sicilia è contento.
A Totò Cuffaro, nel processo alle ''talpe nella Dda di Palermo'', sono stati contestati quattro capi di imputazione: due per il favoreggiamento personale e altri due per la rivelazione e l'utilizzazione di segreti d'ufficio, tutti con l'aggravante di avere favorito la mafia che però non è stata riconosciuta dai giudici della terza sezione del tribunale. Per l'accusa, il Governatore avrebbe appreso nel 2001 dall'ex maresciallo dei carabinieri, Antonio Borzacchelli, poi eletto deputato regionale, dell'esistenza di microspie sistemate dagli investigatori del Ros nell'abitazione del boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. Il salotto del boss, già condannato all'epoca per mafia, era frequentato da un amico di Cuffaro, il medico Domenico Miceli, ex assessore comunale alla sanità, anche lui Udc, condannato nel dicembre 2006 a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Gli inquirenti sostengono che Borzacchelli avrebbe avvisato Cuffaro dell'esistenza delle cimici a casa Guttadauro e che il presidente della Regione lo avrebbe a sua volta comunicato a Miceli. In questo modo il boss di Brancaccio avrebbe scoperto le microspie, bruciando l'inchiesta.
Favoreggiamento semplice e non a con l'aggravante perché diretta a Cosa nostra. Poi, Cosa nostra ha usufruito della ''semplicità del favoreggimaneto'' del presidente della Regione, ma per altre vie. Non è stato lui a favorire direttamente... Quindi, secondo Cuffaro, non c'è nulla di cui vergognarsi, anzi.
Per il presidente quella passata è stata una notte insonne, per via della tensione accumulata in questi giorni e per la commozione provata ieri in tribunale quando ha sentito di essere stato condannato solo a cinque anni. Stamane Cuffaro è apparso più disteso; quando è sceso da casa sua, in strada ha trovato ad attenderlo un gruppo di fedelissimi che lo aspettavano fin dalle prime ore dell'alba. Anche qui Cuffaro non è riuscito a trattenere la commozione, mentre abbracciava a uno a uno amici e conoscenti. "La cosa che mi dà più gioia - ha detto - e quella di avere finalmente riportato la serenità nella mia famiglia".
Dopo avere preso un caffè nel bar vicino casa, davanti a Villa Sperlinga, sempre assediato dai suoi sostenitori Cuffaro ha rilasciato alcune interviste nelle quale avrà manifestato tutta la sua contentezza per essere stato condannato solo a cinque anni di carcere. In mattinata ha già annunciato che si recherà a Palazzo d'Orleans, sede della presidenza della Regione, per "tornare al lavoro", come aveva dichiarato ieri subito dopo avere assistito alla lettura del verdetto che lo scagiona dall'accusa di mafia.
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Chi controllerà il vostro termostato
In California, abbiamo 236 pagine di direttive statali per l'efficienza energetica degli edifici, conosciute come Title 24. Queste prescrivono i metodi per il calcolo del formato delle vostre finestre domestiche, la capacità del vostro condizionatore d'aria e dei termosifoni, lo spessore dell'isolamento nella vostra soffitta. Una piccola industria di villette si è sviluppata per effettuare questi calcoli di ingegneria richiesti per ogni nuova costruzione commerciale o residenziale o cambiamento strutturale. Anche se non sono mai stato coinvolto personalmente in questo ramo di ingegneria professionale al dettaglio, ho avuto colleghi che facevano notte con i calcoli di Title 24. È ormai parte del lavoro di ufficio obbligatorio nel business edilizio nella California di oggi.
Tra le revisioni proposte a Title 24 c'è il requisito di ciò che viene chiamato “termostato comunicante programmabile” o PCT. Per ogni nuova casa o cambiamento alle case esistenti sarà richiesto che il riscaldamento centrale e i sistemi di aria condizionata vengano adattati con un PCT dall'inizio dell'anno prossimo a seguito dell'emissione della revisione. Ogni PCT sarà dotato di una ricevente FM “non removibile” che permetterà alle autorità energetiche di aumentare il valore di temperatura della vostra aria condizionata o diminuire quello del vostro riscaldamento al valore da loro scelto. Durante gli “eventi dei prezzi” quei cambiamenti sono limitati a +/- quattro gradi fahrenheit e potreste escludere manualmente la variazione. Durante gli “eventi di emergenza” i nuovi valori possono essere qualsiasi l'autorità energetica desideri e non potrete alterarli.
In altre parole, la temperatura della vostra casa non sarà più sotto il vostro controllo. I vostri desideri e bisogni potranno essere e saranno superati dallo stato della California con le sue organizzazioni pubbliche e private. Tutto questo, naturalmente, è per il bene comune.
Detto questo, passiamo a presentare i candidati di gennaio, mese ricco di avvenimenti tanto da mettere in difficoltà la giuria del Premio: veramente difficile scegliere di fronte a tanta abbondanza di malati di potere. Ma vediamo chi l'ha spuntata. La prima candidatura se l'è aggiudicata il folkloristico caudillo Hugo Chavez, che oltre a rivelarsi insospettato tombeur de femmes scopre un rivoluzionario sistema per combattere l'inflazione: togliere gli zeri. La realtà è quel che sembra, pare suggerire il casanova indio. Infatti lui sembra un panzuto imbroglione, e probabilmente lo è.
Il secondo candidato è ancora una volta un nostro illustre connazionale, l'ineffabile presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro, che condannato a cinque anni per favoreggiamento e rivelazione di segreti d'ufficio non si dimette, anzi, festeggia: la sua reazione all'annuncio della sentenza è riuscita a commuovere profondamente i severi membri della giuria, che fin da ora preconizzano una sua futura affermazione nell'edizione annuale 2008.
Infine, una chicca da oltreoceano. Dallo stato che meglio di altri incarna il sogno americano, per la precisione, quello che tutti sognavano di raggiungere negli spensierati anni sessanta. In questo periodo di tempo parecchie cose sembrano essere cambiate, soprattutto sembra non essere molto più di moda la libertà. In compenso ci si preoccupa molto per il bene comune, tanto che il torrido stato governato da Schwarzy, il Governator, ha deciso di perseguirlo prendendo il controllo del riscaldamento. Non potendo per il momento controllare quello globale, ha pensato bene di occuparsi di quello dei suoi contribuenti: non sia mai che qualcuno pensi di soffrire il caldo – o il freddo – più di qualcun altro!
Non c'è che dire, il nuovo anno nasce sotto i migliori auspici. Votate dunque, ricordate che ogni voto è un piccolo passo verso la perfezione democratica, e che nessuno deve rimanere indietro: salite sul treno in file ordinate e senza spingere!
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Venezuela: Nuova Moneta Per Il Paese, Nasce Il ''Bolivar Fuerte''
Caracas, 2 gen - Con il nuovo anno, il Venezuela ha lanciato una nuova moneta, il ''bolivar fuerte'' (bolivar ''forte''), che toglie tre zeri a quella attualmente utilizzata, nel tentativo di semplificare le operazioni finanziarie e accrescere la facilita' d'uso di una moneta che ha perso moltissimo valore nel tempo a causa dell'alta inflazione che affligge il paese. Da ieri, le banche e gli sportelli automatici sono stati riforniti con la nuova divisa, che potra' essere utilizzata sin da subito insieme alla vecchia, per poi sostituirla gradualmente. Secondo il Governo venezuelano del presidente Hugo Chavez, il ''bolivar fuerte'' rendera' piu' facili le transazioni ed e' parte di un disegno piu' ampio di misure mirate a rafforzare l'economia e a contenere la crescita dell'inflazione. ''Stiamo per dire addio ad un ciclo storico di instabilita' nei prezzi'', ha detto lunedi' scorso il ministro delle Finanze, Rodrigo Cabezas, aggiungendo che la novita' punta a ''riabilitare il bolivar che ha una forte capacita' di acquisto''. In Venezuela i prezzi sono cresciuti ulteriormente da quando Chavez ha impiegato gli introiti derivanti dalla vendita del petrolio in programmi di carattere sociale, il che ha rafforzato pero' il sostegno di cui il presidente gode tra le fasce piu' povere della popolazione, e facendo raggiungere al paese un tasso di crescita, nel 2007, dell'8,4%. La banca centrale venezuelana sta promuovendo la nuova moneta con una campagna d'informazione basata sullo slogan ''un'economia forte, un bolivar forte, un paese forte'', ma non e' stato ancora chiarito quali misure saranno varate per contenere l'inflazione, che nel 2007 ha raggiunto circa il 20%, il tasso piu' alto di tutta l'America latina. Dal febbraio 2003, il Venezuela ha un tasso di cambio fissato per legge. Il Governo di Caracas ha fatto sapere di non avere in programma, nel breve e medio periodo, una svalutazione della moneta. Ma mentre il tasso di cambio ufficiale col dollaro e' fissato a 2,15 bolivar per $, il tasso praticato nel mercato nero gira attualmente intorno a 5,60 bolivar per $.
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Cuffaro: condannato e contento
Il Tribunale di Palermo ha ritenuto il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, colpevole di favoreggiamento semplice e rivelazione di segreto d'ufficio, e per questo lo ha condannato a 5 anni di reclusione.
Basterebbe questo (e a dire il vero, troviamo che sia già troppo) per mettersi una busta di carta in testa e non far vedere in giro, per molto tempo, la propria faccia per la vergogna. E invece no, il Governatore della Sicilia è contento.
A Totò Cuffaro, nel processo alle ''talpe nella Dda di Palermo'', sono stati contestati quattro capi di imputazione: due per il favoreggiamento personale e altri due per la rivelazione e l'utilizzazione di segreti d'ufficio, tutti con l'aggravante di avere favorito la mafia che però non è stata riconosciuta dai giudici della terza sezione del tribunale. Per l'accusa, il Governatore avrebbe appreso nel 2001 dall'ex maresciallo dei carabinieri, Antonio Borzacchelli, poi eletto deputato regionale, dell'esistenza di microspie sistemate dagli investigatori del Ros nell'abitazione del boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. Il salotto del boss, già condannato all'epoca per mafia, era frequentato da un amico di Cuffaro, il medico Domenico Miceli, ex assessore comunale alla sanità, anche lui Udc, condannato nel dicembre 2006 a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Gli inquirenti sostengono che Borzacchelli avrebbe avvisato Cuffaro dell'esistenza delle cimici a casa Guttadauro e che il presidente della Regione lo avrebbe a sua volta comunicato a Miceli. In questo modo il boss di Brancaccio avrebbe scoperto le microspie, bruciando l'inchiesta.
Favoreggiamento semplice e non a con l'aggravante perché diretta a Cosa nostra. Poi, Cosa nostra ha usufruito della ''semplicità del favoreggimaneto'' del presidente della Regione, ma per altre vie. Non è stato lui a favorire direttamente... Quindi, secondo Cuffaro, non c'è nulla di cui vergognarsi, anzi.
Per il presidente quella passata è stata una notte insonne, per via della tensione accumulata in questi giorni e per la commozione provata ieri in tribunale quando ha sentito di essere stato condannato solo a cinque anni. Stamane Cuffaro è apparso più disteso; quando è sceso da casa sua, in strada ha trovato ad attenderlo un gruppo di fedelissimi che lo aspettavano fin dalle prime ore dell'alba. Anche qui Cuffaro non è riuscito a trattenere la commozione, mentre abbracciava a uno a uno amici e conoscenti. "La cosa che mi dà più gioia - ha detto - e quella di avere finalmente riportato la serenità nella mia famiglia".
Dopo avere preso un caffè nel bar vicino casa, davanti a Villa Sperlinga, sempre assediato dai suoi sostenitori Cuffaro ha rilasciato alcune interviste nelle quale avrà manifestato tutta la sua contentezza per essere stato condannato solo a cinque anni di carcere. In mattinata ha già annunciato che si recherà a Palazzo d'Orleans, sede della presidenza della Regione, per "tornare al lavoro", come aveva dichiarato ieri subito dopo avere assistito alla lettura del verdetto che lo scagiona dall'accusa di mafia.
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Chi controllerà il vostro termostato
In California, abbiamo 236 pagine di direttive statali per l'efficienza energetica degli edifici, conosciute come Title 24. Queste prescrivono i metodi per il calcolo del formato delle vostre finestre domestiche, la capacità del vostro condizionatore d'aria e dei termosifoni, lo spessore dell'isolamento nella vostra soffitta. Una piccola industria di villette si è sviluppata per effettuare questi calcoli di ingegneria richiesti per ogni nuova costruzione commerciale o residenziale o cambiamento strutturale. Anche se non sono mai stato coinvolto personalmente in questo ramo di ingegneria professionale al dettaglio, ho avuto colleghi che facevano notte con i calcoli di Title 24. È ormai parte del lavoro di ufficio obbligatorio nel business edilizio nella California di oggi.
Tra le revisioni proposte a Title 24 c'è il requisito di ciò che viene chiamato “termostato comunicante programmabile” o PCT. Per ogni nuova casa o cambiamento alle case esistenti sarà richiesto che il riscaldamento centrale e i sistemi di aria condizionata vengano adattati con un PCT dall'inizio dell'anno prossimo a seguito dell'emissione della revisione. Ogni PCT sarà dotato di una ricevente FM “non removibile” che permetterà alle autorità energetiche di aumentare il valore di temperatura della vostra aria condizionata o diminuire quello del vostro riscaldamento al valore da loro scelto. Durante gli “eventi dei prezzi” quei cambiamenti sono limitati a +/- quattro gradi fahrenheit e potreste escludere manualmente la variazione. Durante gli “eventi di emergenza” i nuovi valori possono essere qualsiasi l'autorità energetica desideri e non potrete alterarli.
In altre parole, la temperatura della vostra casa non sarà più sotto il vostro controllo. I vostri desideri e bisogni potranno essere e saranno superati dallo stato della California con le sue organizzazioni pubbliche e private. Tutto questo, naturalmente, è per il bene comune.
«Stiamo inguaiati»
Dopo trent'anni, come se fosse ieri. Un bellissimo sketch di Troisi (segnalato da Vincenzo) per meglio comprendere i progressi della democrazia: anche il livello dei comici è peggiorato.
Wednesday, January 23, 2008
Il nemicificatore
Il recente giro del Medio Oriente del presidente Bush, che aveva lo scopo abbastanza palese di raccogliere consensi per un eventuale aggressione all'Iran, pare abbia sortito l'effetto contrario. Se da una parte le sue assicurazioni agli israeliani di esser pronto ad un'azione militare sono state accolte con il prevedibile entusiasmo, dall'altra le reazioni anche di alleati storici come i sauditi non sono state, diciamo, molto condiscendenti.
Anzi: al secondo giorno della sua visita in Arabia Saudita Arab News, quotidiano di Jeddah in lingua inglese, che per inciso è stato offerto al presidente Bush ed ai suoi accompagnatori insieme al breakfast, ha pubblicato un editoriale dal titolo “Peace Now,” tanto duro da esser definito dall'ambasciatore americano a Ryad Chas Freeman “una notevole... rottura dell'abituale etichetta araba,” che tradotto dal linguaggio diplomatico significa più o meno: “questa volta gli abbiamo veramente rotto i coglioni!”
Di seguito il testo dell'articolo.
Anzi: al secondo giorno della sua visita in Arabia Saudita Arab News, quotidiano di Jeddah in lingua inglese, che per inciso è stato offerto al presidente Bush ed ai suoi accompagnatori insieme al breakfast, ha pubblicato un editoriale dal titolo “Peace Now,” tanto duro da esser definito dall'ambasciatore americano a Ryad Chas Freeman “una notevole... rottura dell'abituale etichetta araba,” che tradotto dal linguaggio diplomatico significa più o meno: “questa volta gli abbiamo veramente rotto i coglioni!”
Di seguito il testo dell'articolo.
“La nostra regione non è a corto di massacri e di instabilità. L'Iraq, il Libano, i territori palestinesi occupati e l'Afghanistan sono tutti scenari di conflitti passati e presenti dove sangue in gran parte innocente è stato versato in abbondanza. Non abbiamo bisogno di ancora un altro pericoloso conflitto.Parole durissime – gli hanno dato del folle! – che gli arabi con diplomatica scaltrezza hanno affidato alle colonne di un giornale. Bush è riuscito in un'impresa davvero ardua, quella di trasformare degli amici storici come i sauditi se non in nemici, in alleati non più a prescindere. L'attacco all'Iran che ha promesso agli israeliani sta isolando gli USA in Medio Oriente, e rischia di diventare una trappola mortale. Chissà se qualcuno a Washington se ne rende conto.
Ecco perché è stato così triste, persino deprimente, vedere usare dal Presidente degli Stati Uniti George W. Bush la sua visita nel Golfo per continuare i suoi preparativi di battaglia contro gli Iraniani – e sulla base di un programma di armi nucleari che i suoi stessi capi dell'intelligence dicono esser stato abbandonato cinque anni fa da Tehran. Per ogni osservatore spassionato, un'azione militare degli Stati Uniti contro l'Iran è impensabile. Purtroppo i precedenti dell'amministrazione Bush dal 9/11 non solo hanno raggiunto l'impensabile ma, pericolosamente, lo hanno raggiunto in modo impensabile.
Continuare con tali infausti avvertimenti è stato sconsiderato dato che Bush era ospite di stati del Golfo che stanno sul gradino della porta dell'Iran. Tali avvertimenti non sono quello che desideravamo sentire. Come ha detto questa settimana il ministro degli esteri principe Saud Al-Faisal alla sua controparte canadese Maxime Bernier in un messaggio che ha poi ripetuto al ministro degli esteri francese Bernard Kouchner, il comportamento polemico di Washington verso l'Iran non era la risposta giusta. Se l'Arabia Saudita ed altri stati del Golfo avessero un problema con l'Iran riguardo al suo programma nucleare, allora parlerebbero con Tehran come dovrebbero fare i vicini .
Prima della visita in Medio Oriente di Bush, incaricati della Casa Bianca dicevano ai corrispondenti che il presidente avrebbe spinto gli israeliani ad un accordo con i palestinesi in cambio dell'appoggio arabo di una posizione dura con l'Iran. È stato suggerito che Israele sarebbe più malleabile se la “minaccia nucleare iraniana” venisse rimossa. Ma il collegamento semplicemente non c'è. È a causa delle perduranti ingiustizie subite dai Palestinesi, con la connivenza degli Stati Uniti, che il mondo arabo, non ultima l'Arabia Saudita, che a lungo è stata un alleato degli Stati Uniti, è così deluso dall'omissione di ricompensare la lealtà e l'amicizia con un accordo palestinese promosso da Washington .
Ed ancora, è perché lsraele – ancora con la connivenza degli Stati Uniti – ha acquistato un arsenale nucleare che l'Iran e, prima di esso, l'Iraq di Saddam hanno pensato di acquisire un proprio deterrente nucleare.
Le politiche miopi degli Stati Uniti e il reiterato e disperato fallimento di Washington nell'ascoltare i consigli e la guida dei suoi amici arabi nella regione ci ha portato a questo nuovo momento di tensione con l'Iran. Non abbiamo più bisogno di minacce di guerra. Il bellicismo ha già generato il livello più alto di instabilità regionale degli ultimi 60 anni. Le minacce incendiarie di Bush contro l'Iran sono passate incuranti sopra i consigli di pace che ha ascoltato da ogni governo arabo nella sua visita in Medio Oriente.
Qualsiasi minaccia l'Iran possa costituire, ora o in avvenire, deve essere affrontata pacificamente e con le trattative. Le conseguenze di un'ulteriore guerra nella regione sono spaventose, anche perché incalcolabili.
Anche Bush, con la rovina di Iraq davanti a lui, deve certamente vederlo. Tuttavia nelle sue polemiche critiche all'Iran, non offre carota, nessun incentivo, nessun compromesso – soltanto il grande bastone degli Stati Uniti. Questa non è diplomazia alla ricerca della pace. È follia alla ricerca della guerra.”
Tuesday, January 22, 2008
Il “pasto gratis” di Adolf
Internet è una bella invenzione, che permette di aver accesso ad una quantità di conoscenze fino a pochi anni fa impensabile. Ma non è privo di pecche, e una delle peggiori è la sua capacità di diffondere in tempi molto brevi false rivelazioni, vere e proprie leggende metropolitane, spacciate come verità storiche tenute nascoste perché pericolose per l'establishment.
Insomma, si tratta di ipotesi cospirazioniste completamente false che finiscono per squalificare agli occhi dei lettori meno attenti altre ipotesi più solide e circostanziate: non v'è dubbio, infatti, che per una comprensione più oggettiva della storia sia necessario ricorrere ad un sano revisionismo, che tenga conto del filtro imposto da chi occupa il potere ed ha ogni interesse che dalla storia ufficiale scompaia ogni riferimento che possa incrinare l'apparente legittimità della loro posizione.
In realtà, un esame appena approfondito di queste ipotesi false rivela in genere piuttosto chiaramente, facendo ricorso alla ben nota domanda cui prodest, che lo scopo perseguito non è affatto lo smascheramento della vera essenza del potere e della sua propaganda – il suo essere null'altro che una struttura coercitiva – ma al contrario la sua giustificazione, perpetrando l'inganno del potere “buono” opposto a quello “cattivo.” Ovvero, lo stesso assioma sostenuto dalla storia “ufficiale,” solo scambiando i ruoli di buoni e cattivi.
Così, ecco fare la sua comparsa anche tra i commenti in questo blog la leggenda del “miracolo economico di Hitler,” che sarebbe la vera ragione per cui le altre potenze, sotto la guida dei grandi capitalisti e dei banchieri internazionali, scatenarono la Seconda Guerra Mondiale. Secondo questa leggenda, Hitler risollevò la Germania dalla crisi seguita alla Grande Guerra stampandosi denaro e finanziando con esso grandi opere pubbliche. Ora, bisognerebbe notare che, ad esempio, il New Deal keynesiano di Roosevelt non fu granché diverso, e che entrambe queste politiche hanno portato ad una forte militarizzazione della società e ad un drenaggio di risorse dalla società civile al complesso militar-industriale. Il segreto di queste politiche – come di quelle attuali a base di iniezioni di liquidità – consisteva essenzialmente nel differire nel tempo i suoi effetti deleteri: nessun pasto è gratis, e ad un certo punto qualcuno dovrà pagarne il conto, o finire in cucina a lavare i piatti.
Il regime nazista ricorse allora ad un sistema ingegnoso quanto poco originale per evitare di pagare il conto: far “lavare i piatti” ad alcune sezioni di popolazione, quelle con il sangue non sufficientemente ariano. Come scrive George L. Mosse:
Niente di particolarmente rivoluzionario, quindi, nessun “miracolo economico.” Ma è bene sottolineare anche un altro punto, quello secondo cui il nazismo avrebbe disturbato i “poteri forti,” ovvero i grandi capitalisti. Sempre Adam Young:
È davvero incredibile che si giunga a sostenere ipotesi tanto scellerate quanto questa della miracolose prestazioni economiche della Germania nazista (tra l'altro essendo possibile esaminarne la versione riveduta e corretta nell'attuale evoluzione della crisi statunitense) pur di mantenere viva l'illusione che possa esistere uno stato “buono” e un interesse comune che non sia la risultante della miriade di interessi individuali presenti nella società, e che questo debba venir imposto con la forza per il bene di tutti. Ma forse si tratta solo della comprensibile tentazione di imporre agli altri la propria personale visione della vita, o dell'ancor più comprensibile ambizione di liberarsi dalla condizione di sfruttati passando tra i privilegiati sfruttatori. Chi non vorrebbe mangiare a gratis?
Insomma, si tratta di ipotesi cospirazioniste completamente false che finiscono per squalificare agli occhi dei lettori meno attenti altre ipotesi più solide e circostanziate: non v'è dubbio, infatti, che per una comprensione più oggettiva della storia sia necessario ricorrere ad un sano revisionismo, che tenga conto del filtro imposto da chi occupa il potere ed ha ogni interesse che dalla storia ufficiale scompaia ogni riferimento che possa incrinare l'apparente legittimità della loro posizione.
In realtà, un esame appena approfondito di queste ipotesi false rivela in genere piuttosto chiaramente, facendo ricorso alla ben nota domanda cui prodest, che lo scopo perseguito non è affatto lo smascheramento della vera essenza del potere e della sua propaganda – il suo essere null'altro che una struttura coercitiva – ma al contrario la sua giustificazione, perpetrando l'inganno del potere “buono” opposto a quello “cattivo.” Ovvero, lo stesso assioma sostenuto dalla storia “ufficiale,” solo scambiando i ruoli di buoni e cattivi.
Così, ecco fare la sua comparsa anche tra i commenti in questo blog la leggenda del “miracolo economico di Hitler,” che sarebbe la vera ragione per cui le altre potenze, sotto la guida dei grandi capitalisti e dei banchieri internazionali, scatenarono la Seconda Guerra Mondiale. Secondo questa leggenda, Hitler risollevò la Germania dalla crisi seguita alla Grande Guerra stampandosi denaro e finanziando con esso grandi opere pubbliche. Ora, bisognerebbe notare che, ad esempio, il New Deal keynesiano di Roosevelt non fu granché diverso, e che entrambe queste politiche hanno portato ad una forte militarizzazione della società e ad un drenaggio di risorse dalla società civile al complesso militar-industriale. Il segreto di queste politiche – come di quelle attuali a base di iniezioni di liquidità – consisteva essenzialmente nel differire nel tempo i suoi effetti deleteri: nessun pasto è gratis, e ad un certo punto qualcuno dovrà pagarne il conto, o finire in cucina a lavare i piatti.
Il regime nazista ricorse allora ad un sistema ingegnoso quanto poco originale per evitare di pagare il conto: far “lavare i piatti” ad alcune sezioni di popolazione, quelle con il sangue non sufficientemente ariano. Come scrive George L. Mosse:
Persino il trattamento dei polacchi sotto il regime nazista non mirava al loro sterminio, anzi essi dovevano diventare un popolo di schiavi; i massacri avvenuti durante la conquista nazista della Polonia nel 1939 furono per lo più perpetrati ai danni dell'intellighentzia polacca perché in tal modo i polacchi, privati dei loro intellettuali, preti ed educatori, si sarebbero più docilmente prestati, secondo quanto sostenevano i nazisti, a diventare degli schiavi della razza superiore. È stato ritenuto che il razzismo abbia portato alla rinascita della schiavitù, non solo negli imperi d'oltremare, ma nella stessa Europa. Infatti la schiavitù fu messa in pratica nei confronti di alcuni polacchi, e anche di molti ebrei, che furono " dati " ai comandanti dei campi di concentramento nazisti e alle loro famiglie perché li facessero lavorare come meglio credevano. È stato anche affermato non a torto che le centinaia di migliaia di ebrei che lavoravano nelle fabbriche belliche o tessili installate nei ghetti abbiano costituito una mano d'opera schiavizzata, perché essi non erano pagati e ricevevano solo un po' più di cibo degli altri. Tale lavoro nelle fabbriche, o per il vantaggio privato dei comandanti delle SS, sembrò offrire almeno una vaga speranza di sopravvivenza. Per gli ebrei (ma non per i polacchi) tale speranza si rivelò illusoria.Analizzare l'economia della Germania nazista senza prendere in considerazione le misure coercitive grazie alle quali essa si reggeva non è concepibile. E queste misure non si limitavano agli slavi ed agli ebrei. Leggiamo ad esempio cosa scrive Adam Young a proposito della riforma agraria di Hitler:
Hitler nominò Direttore del Ministero per l'Alimentazione e l'Agricoltura Walther Darre, che nel 1929 aveva pubblicato un libro, "I contadini come la Fonte di Vita della Razza Nordica."Quindi la furia regolatrice del Reich non potè evitare l'aumento dei prezzi delle derrate alimentari al consumo, pur legando indissolubilmente i contadini alla terra, in maniera non dissimile dall'antica servitù della gleba. Per garantire l'autarchia del popolo tedesco, la geniale soluzione non fu altro che obbligare i contadini a produrre, senza nemmeno poter decidere cosa e quanto. L'unico risultato visibile, a parte la perdita della libertà da parte dei coltivatori, fu un aumento generalizzato dei generi alimentari, evidentemente provocato dalla continua stampa di denaro fresco (ad un certo punto circolavano in Germania 237 valute diverse). Una situazione sufficiente a far crollare l'economia tedesca su se stessa anche prima dell'inizio della guerra, evento rimandato grazie soltanto ai beni confiscati agli ebrei ed alla schiavitù degli slavi.
Darre voleva “riformare” la produzione e l'introduzione sul mercato degli alimenti ed aumentare i prezzi per i coltivatori. L'intero programma di Darre fu progettato con un obiettivo in mente: isolare il coltivatore agricolo dal mercato. Per questo scopo, Darre promulgò la Legge Ereditaria delle Fattorie nel 1933, che aveva lo scopo di impedire la preclusione del diritto ipotecario o la vendita del terreno a scapito della libertà dei coltivatori. Questa “legge" stabiliva che soltanto i tedeschi ariani in grado di dimostrare la purezza del loro sangue fino al 1800 potevano possedere un podere.
Ogni podere fino a 308 acri fu dichiarato proprietà ereditaria: non poteva essere venduto, diviso, ipotecato o precluso per debito. Con la morte del suo proprietario, sarebbe passato al suo parente maschio più vicino, che a sua volta sarebbe stato costretto a fornire un reddito e una formazione ai suoi parenti. Il coltivatore agricolo venne denominato bauer o contadino, un "titolo onorifico" di cui sarebbe stato privato se avesse rotto "il codice d'onore agricolo," ovvero, se avesse smesso di coltivare.
A complemento venne stabilita la Proprietà Alimentare del Reich è per regolare gli stati e la produzione dei coltivatori. La sua ampia burocrazia imponeva regolamenti che toccavano tutti i campi della vita del coltivatore e la sua produzione, elaborazione e vendita di alimentari. Era comandata da Darre stesso come "Capo del Contadini del Reich."
La Proprietà Alimentare del Reich aveva due obiettivi: aumentare i prezzi agricoli e rendere la Germania "autosufficiente negli alimenti." Darre fissò arbitrariamente i prezzi dei prodotti agricoli: nei primi due anni del regime, i prezzi all'ingrosso aumentarono del 20 per cento e per il bestiame, le verdure e i latticini, l'aumento fu ancora più ripido. Ma il settore dell'agricoltura non era esente; i costi supplementari di questi prezzi artificiali si riversarono su tutti i consumatori.
Niente di particolarmente rivoluzionario, quindi, nessun “miracolo economico.” Ma è bene sottolineare anche un altro punto, quello secondo cui il nazismo avrebbe disturbato i “poteri forti,” ovvero i grandi capitalisti. Sempre Adam Young:
Nel 1936, il programma quadriennale di Göring venne inaugurato. Questo fece di Göring, che era ignorante di economia quasi quanto Hitler, il dittatore economico della Germania. Spingendo per un'economia totale di guerra, il protezionismo venne decretato e l'autarchia chiamata la cosiddetta "battaglia della produzione." Le importazioni di consumo vennero quasi eliminate, il controllo di salari e prezzi promulgati e vaste opere pubbliche costruite per lavorare le materie prime.In pratica ancora un trasferimento di ricchezza dalla società tutta in poche, potenti mani: niente di diverso insomma dalla situazione che si sta delineando attualmente nella nostra economia, facendo quindi presagire lugubri scenari per il futuro prossimo.
La burocratizzazione dell'economia seguì necessariamente. Walther Funk, che sostituì Walther Schacht come ministro dell'economia nel 1937, ammise che "le comunicazioni ufficiali oggi compongono più della metà dell'intera corrispondenza dell'industria tedesca" e che "le esportazioni della Germania coinvolgono giornalmente 40.000 transazioni separate; tuttavia per ogni singola transazione quaranta moduli differenti devono essere compilati."
Gli uomini d'affari e gli imprenditori furono soffocati dal nastro rosso, veniva detto loro dallo stato cosa e quanto potevano produrre ed a che prezzo, erano oberati dalle tasse e furono costretti a dare "contributi speciali" al partito. Le società sotto una capitalizzazione di $40.000 si dissolsero e fondarne di nuove con capitalizzazione inferiore a $2.000.000 venne proibito, cosa che eliminò un quinto di tutte le aziende tedesche.
È davvero incredibile che si giunga a sostenere ipotesi tanto scellerate quanto questa della miracolose prestazioni economiche della Germania nazista (tra l'altro essendo possibile esaminarne la versione riveduta e corretta nell'attuale evoluzione della crisi statunitense) pur di mantenere viva l'illusione che possa esistere uno stato “buono” e un interesse comune che non sia la risultante della miriade di interessi individuali presenti nella società, e che questo debba venir imposto con la forza per il bene di tutti. Ma forse si tratta solo della comprensibile tentazione di imporre agli altri la propria personale visione della vita, o dell'ancor più comprensibile ambizione di liberarsi dalla condizione di sfruttati passando tra i privilegiati sfruttatori. Chi non vorrebbe mangiare a gratis?
Monday, January 21, 2008
La rosa recisa
Saturday, January 19, 2008
Cose Cinesi
Il nostro corrispondente da Laputa ci ha preso gusto, e con la sua capsula temporale è risalito fino alla prima metà dell'ottocento, nel pieno dell'avventurosa epopea coloniale. Il dispaccio telepatico di questa settimana arriva infatti avvolto di aromi esotici di droghe e di spezie pregiate, affascinante e misterioso come un'avventura di Corto Maltese (chissà se l'ha incontrato), e introduce tra l'altro un argomento finora soltanto sfiorato, ma che mi riprometto di investigare al più presto: le guerre per la droga.
Già che c'era, l'inviato Giovanni Pesce, pilotando abilmente la sua capsula, sorvola i mari del sud fino al 1937, e rivive per noi anche un remoto episodio piuttosto sospetto, che mostra tutti i segni di un modus operandi a noi ormai ben noto.
Insomma, ancora un'ottima lettura, che mi riporta a certi lontani (ahimè!) pomeriggi passati divorando avidamente qualche libro di Salgari. Come sempre, buon fine settimana a tutti.
___________________________
Di Giovanni Pesce
La Compagnia delle Indie Orientali, prima grande Corporation, gestiva un sistema di traffici commerciali globali: Tè Indiano, Cotone grezzo Indiano, Canapa Indiana (!), Oppio Indiano, Seta Cinese, Tessuti Inglesi, Argenti americani.
Molti scienziati e studiosi collaborarono con la Compagnia Inglese; tra questi troviamo Malthus, John Stuart Mills e Maynard Keynes.
Nella prima metà dell’800 il bilancio delle attività commerciali della Compagnia pendeva a favore dei mercanti cinesi che vendevano essenze di mandarino cinese per l’Earl Grey Thea e pregiate sete cinesi senza nulla comprare dagli inglesi.
Il disavanzo commerciale fu talmente alto da impensierire l’amministrazione inglese, che cercò di rimediare introducendo in Cina l’uso dell’oppio indiano per sbancare il celeste Impero Cinese sotto tutti i punti di vista, economico politico e sociale.
Il governo cinese cercò di impedire la commercializzazione dell’oppio, ma dopo una serie di incidenti scaramucce e vere guerre, gli inglesi di George Elliot occuparono Canton, ottennero l’affitto della zona di Hong Kong ed un riconoscimento economico per danni di guerra.
Nel trattato di pace a favore del Regno Unito, diplomaticamente “il miglior partner economico”, fu inserita la concessione del diritto di navigazione nei fiumi interni cinesi, diritto poi esteso anche alla Francia ed agli Usa.
Questa fu la Prima Guerra dell’Oppio 1839-1842, alla quale seguì una Seconda Guerra dell'Oppio (1856-1860) con ulteriori perdite cinesi, sia in territori che in diritti commerciali.
Grande sceneggiatore delle due guerre fu il gran maestro della massoneria di rito scozzese Lord Palmerston coadiuvato dal suo ministro degli esteri Lord John Russell, nonno di Bertrand Russell.
Il Primo Ministro Lord Palmerston, che abbiamo già visto aiutare l’avventurosa carriera di Garibaldi, organizzò il trasferimento dell’attività di gestione delle Compagnie delle Indie sotto il diretto controllo della Corona Inglese nel 1859, integrando così a monte e a valle l'attività militare con quella commerciale.
Anche nel suo piccolo il Regno di Sardegna e poi d’Italia organizzava traffici “speziali” tramite il suo agente/console Dent; alla fine dell’800 il governo italiano dispiegò navi e fanti di mare a Canton a difesa degli interessi nazionali.
In conseguenza dei trattati di pace le cannoniere Usa iniziarono a pattugliare i fiumi cinesi e il 12 dicembre 1937 la cannoniera Panay fu oggetto, assieme ad alcuni battelli della “Standard Oil” sul Fiume Azzurro, di un attacco da parte di alcuni aerei siluranti giapponesi.
In pratica somma una piccola Pearl Harbor, ante–litteram.
Sulla nave erano presenti due giornalisti italiani, Luigi Barzini jr. e Sandro Sandri ed un cameraman americano che con la sua 16 mm riprese la scena per poi produrre un filmato destinato alle sale cinematografiche.
E’ mia opinione che questo fatto d’armi sia stato pre-organizzato ad arte.
In quegli anni era impossibile per i giapponesi poter bombardare le navi USA, per ovvi motivi di distanze da coprire; l’unica opportunità derivava dalla disponibilità di navi Usa in zone raggiungibili dai velivoli giapponesi; la cannoniera Panay era la nave giusta al posto giusto.
Il fatto d’armi fu chiuso come “spiacevole incidente” e non venne impostata alcuna ritorsione nei confronti del governo nipponico.
Cui prodest? Il governo giapponese poteva testare la volontà di reazione degli USA (ballon d’essay) e il governo Usa, da parte sua, poteva impressionare (strategia della tensione) il contribuente americano mostrandogli “in plane sight/in plane site” le capacità offensive nipponiche.
Questa seconda metodologia politica fu ripresa durante la guerra fredda con la famosa sceneggiata dei “Missili in giardino” e la successiva Crisi di Cuba dell’Ottobre 1962.
Arrivederci e... prossima fermata, La Havana!! Preparatevi un (virtual) Cuba Libre!!!
Già che c'era, l'inviato Giovanni Pesce, pilotando abilmente la sua capsula, sorvola i mari del sud fino al 1937, e rivive per noi anche un remoto episodio piuttosto sospetto, che mostra tutti i segni di un modus operandi a noi ormai ben noto.
Insomma, ancora un'ottima lettura, che mi riporta a certi lontani (ahimè!) pomeriggi passati divorando avidamente qualche libro di Salgari. Come sempre, buon fine settimana a tutti.
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Di Giovanni Pesce
La Compagnia delle Indie Orientali, prima grande Corporation, gestiva un sistema di traffici commerciali globali: Tè Indiano, Cotone grezzo Indiano, Canapa Indiana (!), Oppio Indiano, Seta Cinese, Tessuti Inglesi, Argenti americani.
Molti scienziati e studiosi collaborarono con la Compagnia Inglese; tra questi troviamo Malthus, John Stuart Mills e Maynard Keynes.
Nella prima metà dell’800 il bilancio delle attività commerciali della Compagnia pendeva a favore dei mercanti cinesi che vendevano essenze di mandarino cinese per l’Earl Grey Thea e pregiate sete cinesi senza nulla comprare dagli inglesi.
Il disavanzo commerciale fu talmente alto da impensierire l’amministrazione inglese, che cercò di rimediare introducendo in Cina l’uso dell’oppio indiano per sbancare il celeste Impero Cinese sotto tutti i punti di vista, economico politico e sociale.
Il governo cinese cercò di impedire la commercializzazione dell’oppio, ma dopo una serie di incidenti scaramucce e vere guerre, gli inglesi di George Elliot occuparono Canton, ottennero l’affitto della zona di Hong Kong ed un riconoscimento economico per danni di guerra.
Nel trattato di pace a favore del Regno Unito, diplomaticamente “il miglior partner economico”, fu inserita la concessione del diritto di navigazione nei fiumi interni cinesi, diritto poi esteso anche alla Francia ed agli Usa.
Questa fu la Prima Guerra dell’Oppio 1839-1842, alla quale seguì una Seconda Guerra dell'Oppio (1856-1860) con ulteriori perdite cinesi, sia in territori che in diritti commerciali.
Grande sceneggiatore delle due guerre fu il gran maestro della massoneria di rito scozzese Lord Palmerston coadiuvato dal suo ministro degli esteri Lord John Russell, nonno di Bertrand Russell.
Il Primo Ministro Lord Palmerston, che abbiamo già visto aiutare l’avventurosa carriera di Garibaldi, organizzò il trasferimento dell’attività di gestione delle Compagnie delle Indie sotto il diretto controllo della Corona Inglese nel 1859, integrando così a monte e a valle l'attività militare con quella commerciale.
Infatti: “Il Garibaldi successivamente, il 10 gennaio del 1852 si recò, con un carico di quello sterco, a Canton (Cina), dove riempì la Carmen di schiavi cinesi che scaricò nelle isole Cinchas(Perù, ndr), dove quei poveri coolies venivano brutalmente utilizzati per la raccolta del guano.”C’era da aspettarselo che la Corona ed il Governo ed alcuni avventurieri avrebbero, prima o poi, messo in piedi un bestiale commercio “speziale”. (“L’oppio non uccide più dell’alcool” era una tipica espressione di Palmerston).
Anche nel suo piccolo il Regno di Sardegna e poi d’Italia organizzava traffici “speziali” tramite il suo agente/console Dent; alla fine dell’800 il governo italiano dispiegò navi e fanti di mare a Canton a difesa degli interessi nazionali.
In conseguenza dei trattati di pace le cannoniere Usa iniziarono a pattugliare i fiumi cinesi e il 12 dicembre 1937 la cannoniera Panay fu oggetto, assieme ad alcuni battelli della “Standard Oil” sul Fiume Azzurro, di un attacco da parte di alcuni aerei siluranti giapponesi.
In pratica somma una piccola Pearl Harbor, ante–litteram.
Sulla nave erano presenti due giornalisti italiani, Luigi Barzini jr. e Sandro Sandri ed un cameraman americano che con la sua 16 mm riprese la scena per poi produrre un filmato destinato alle sale cinematografiche.
E’ mia opinione che questo fatto d’armi sia stato pre-organizzato ad arte.
In quegli anni era impossibile per i giapponesi poter bombardare le navi USA, per ovvi motivi di distanze da coprire; l’unica opportunità derivava dalla disponibilità di navi Usa in zone raggiungibili dai velivoli giapponesi; la cannoniera Panay era la nave giusta al posto giusto.
Il fatto d’armi fu chiuso come “spiacevole incidente” e non venne impostata alcuna ritorsione nei confronti del governo nipponico.
Cui prodest? Il governo giapponese poteva testare la volontà di reazione degli USA (ballon d’essay) e il governo Usa, da parte sua, poteva impressionare (strategia della tensione) il contribuente americano mostrandogli “in plane sight/in plane site” le capacità offensive nipponiche.
Questa seconda metodologia politica fu ripresa durante la guerra fredda con la famosa sceneggiata dei “Missili in giardino” e la successiva Crisi di Cuba dell’Ottobre 1962.
Arrivederci e... prossima fermata, La Havana!! Preparatevi un (virtual) Cuba Libre!!!
Friday, January 18, 2008
Got money?
Doppio post sull'inflazione: per prima cosa un nuovo articolo di Marco Bollettino (Ashoka) pubblicato su Luogo Comune, e come bonus la traduzione di un articolo del 1999 – scovato, manco a dirlo, su Mises.org – che già allora avvertiva dei pericoli connessi al passaggio all'euro e suggeriva il ritorno al gold standard.
Chissà quanto bisognerà aspettare per vedere esposta la spiegazione austriaca dell'inflazione sui quotidiani nazionali: evidentemente la capacità di prevedere gli eventi economici non è un requisito sufficiente per venir pubblicati. Non quanto la capacità di stendersi a zerbino, senza dubbio.
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Cos'è veramente l'“inflazione”?
di Marco Bollettino
Quante volte avete sentito parlare di “pericolo inflazione” nelle ultime settimane? Moltissime, vero?
E se qualcuno vi chiedesse che cos’è, esattamente, l’inflazione?
Probabilmente la risposta sarebbe questa:
“L’inflazione è l’aumento continuo e generalizzato del livello dei prezzi”
Questa è la definizione più accettata e diffusa al giorno d’oggi ma, come vedremo, è ingannevole ed imprecisa.
La cosa è evidente non appena ci si domanda quali siano le cause dell’inflazione.
Secondo quanto hanno riportato i giornali ad ottobre il rischio inflazione era dettato dall’aumento del prezzo del pane e della pasta., a novembre era invece la benzina. a “far correre” l’inflazione mentre a dicembre il governatore della Banca Centrale Europea, ...
... Claude Trichet, avvertiva di un pericolo di inflazione in caso di aumento dei salari
A gennaio, infine, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, fa un bilancio del 2007 e spiega che la causa dell’inflazione sarebbe da ricercarsi “soprattutto negli aumenti dei prezzi internazionali del greggio e dei beni agricoli”.
L’inflazione sarebbe quindi l’aumento dei prezzi ed i prezzi in aumento… causerebbe l’inflazione!
Corollario di questo ragionamento circolare è che i rincari spesso avvengano a causa di comportamenti opportunistici e speculativi da parte dei negozianti e dei distributori e che quindi il governo possa combattere l’inflazione istituendo un garante, il cosiddetto Mr. Prezzi.
Inflazione monetaria
Ma in un mondo in cui progressivamente le parole si sono svuotate del loro significato (si pensi al termine “missione di pace” per indicare gli interventi militari in Iraq ed Afghanistan) anche il termine “inflazione” ha seguito un simile destino.
Se vogliamo quindi comprendere che cosa sia realmente l’inflazione ed in quale modo causi l’aumento continuativo e generalizzato dei prezzi, dobbiamo tornare alla sua definizione originaria, ovvero quella utilizzata dalla scuola austriaca di economia e qui enunciata da Mises:
“L'inflazione, per come questo termine è sempre stato usato ovunque e specialmente in questo paese, sta ad indicare l'incremento della quantità di moneta e di banconote in circolazione e nei conti correnti. Ma la gente oggi usa il termine inflazione per indicare il fenomeno che non è nient'altro che una conseguenza dell'inflazione stessa, ovvero la tendenza di tutti i prezzi e dei salari di aumentare.”
Insomma, come diceva Ugo Tognazzi, “Inflazione significa essere povero con tanti soldi in tasca”
Vediamo ora per quale motivo, in caso di aumento della quantità di moneta in circolazione, i prezzi tendono a salire:
Immaginiamo che Giorgio l'ortolano si rechi al mercato rionale per vendere le sue patate. Dall'esperienza delle settimane passate sa che fissando il prezzo a 2 euro il Kg riuscirà a vendere tutti e 15 i Kg di patate che ha portato con sé.
In piazza ci sono Anna, Beatrice e Carla che sono scese per fare la spesa: ognuna ha deciso di destinare 10 euro all'acquisto di patate dall'ortolano. Passa prima Anna e ne compra 5 kg, poi Beatrice fa lo stesso ed infine, nella tarda mattinata è il turno di Carla, che acquista gli ultimi 5 kg.
La settimana seguente il prezzo delle patate è sempre di 2 euro ma nel frattempo è successo qualcosa. Anna ha infatti sposato un bravissimo falsario ed ora può destinare all'acquisto di patate 20 euro, di cui 10 falsi.
All'apertura del mercato Anna acquista subito 10 Kg di patate e se ne va. Quando poco dopo giunge Beatrice e compra gli ultimi 5 chili Giorgio si ritrova senza più mercanzia. Siamo solo a metà mattinata e le patate sono già state tutte vendute: non c'è più nulla per Carla, che torna a casa a mani vuote.
Nei giorni seguenti Giorgio ragiona tra sé e sé: “Poiché non posso portare al mercato più di 15 chili di patate e dal momento che a 2 euro le ho vendute tutte subito, potrei provare ad aumentare il prezzo!”
Detto, fatto. La settimana successiva il prezzo delle patate è di 2 euro e cinquanta al chilo.
Come al solito passa Anna con i suoi 20 euro, con i quali ora può acquistare solo 8 kg di patate, seguita da Beatrice e Carla, le quali si dividono a metà gli ultimi 7 chili, pagando 8 euro e 75 centesimi a testa.
Giorgio l'ortolano se ne torna a casa con 37.5 euro, sette e mezzo in più della settimana precedente.
Che cosa ci insegna questo breve aneddoto esemplificativo?
- I primi a ricevere la moneta nuova incrementano il loro reddito a spese di chi la moneta non la riceve:
Anna riesce in un primo tempo ad acquistare i prodotti al “prezzo vecchio” ed anche dopo l’adeguamento dei prezzi può comprare più patate di quanto riuscisse a fare in partenza (+3 Kg), il tutto a spese di Carla e Beatrice (-1,5 Kg a testa).
- Il prezzo aumenta in seguito ad un incremento della domanda
Giorgio non aumenta il prezzo delle patate perché è un negoziante cattivo e speculatore ma lo fa in seguito ad un aumento della domanda di patate innescata dai dieci euro falsi di Anna. Un eventuale intervento governativo volto a calmierare il prezzo non farebbe altro che peggiorare la situazione (nel cap. XII dei Promessi Sposi Manzoni ne dà una splendida descrizione).
- I prezzi non vengono adeguati in modo istantaneo ed uniforme
Trascorre del tempo tra l’introduzione della moneta nuova e l’aumento effettivo dei prezzi e questi ultimi non aumentano in modo uniforme. Vediamo perché:
Siamo sempre al mercato e stavolta ci occupiamo di Dario il macellaio.
Anna è vegetariana, Carla e Beatrice spendono ogni settimana 10 euro per comprare del filetto ed a fine giornata Giorgio l’ortolano destina un terzo dei suoi ricavi (10 euro) all’acquisto di carne.
Immaginiamo che la prima settimana il prezzo della carne sia di 10 euro al Kg e che Dario abbia in negozio 3 Kg di carne, che vengono tutti venduti. Per tre settimane tutto continua come prima fino alla sera della quarta settimana, quando Giorgio arriva in negozio con 13 euro (ne ha incassati 37,5) e vorrebbe acquistare della carne che però non c'è.
Che cosa accadrà la settimana seguente al prezzo della carne?
Dario lo aumenta ad 11 euro al chilogrammo! Tra l'altro sua moglie Laura sì era lamentata con lui per l’"immotivato" aumento del prezzo delle patate....
Col passare del tempo, man mano che la nuova moneta “circola” nell'economia, vi sono adeguamenti nei prezzi di tutti i beni (ed eventualmente anche nei salari), ma in tempi ed in modalità diverse: la settimana successiva all'introduzione dei 10 euro falsi il prezzo delle patate è aumentato del 25% mentre quella seguente è toccato alla carne rincarare del 10%.
L’effetto globale è proprio quello di un aumento continuo e generalizzato dei prezzi e dei salari accompagnato da un trasferimento di ricchezza reale dagli ultimi a “ricevere la moneta nuova” (i salariati il cui stipendio aumenta solo alla fine) verso i primi ad utilizzarla.
Ma nel mondo reale chi è il falsario e soprattutto chi è Anna?
Banca Centrale, il falsario “a norma di legge”
Nessuno avrebbe dubbi nel definire furto l’attività di un falsario, anche quando i lestofanti sono interpretati da Totò e Peppino, come nel film “La banda degli onesti”.
Quando invece il “falsario” è monopolista e svolge la sua attività per legge ecco che la sua attività cessa di essere furto e diventa “politica monetaria” mentre l’immissione in circolazione di nuove banconote create dal nulla viene salutata come “iniezione di liquidità per stimolare l’economia”.
Il meccanismo con cui vengono messe in circolazione le nuove banconote non è semplice: la Banca Centrale Europea non va come Totò a far compere dal tabacchino
Quello che fa è invece regolare il sistema delle banche commerciali stabilendone i requisiti di riserva obbligatoria, ovvero la percentuale dei titoli e soprattutto dei depositi che deve essere depositata presso la Banca Centrale, fissando il tasso di interesse per i propri prestiti ed intervenendo come “prestatore di ultima istanza” ogni volta che le banche si trovano in difficoltà.
Ecco ad esempio i dati pubblicati a dicembre dalla Banca Centrale Europea:
Il broad monetary aggregate M3, ovvero la stima di tutta la moneta circolante e creditizia presente nel sistema, ha registrato un aumento dell'11,5% rispetto allo stesso mese del 2006.
Scordatevi la figura dell’usuraio violento e senza cuore: se siete “Anna” ovvero le banche commerciali, la BCE e la Fed saranno sempre pronte a prestarvi del denaro fresco di stampa!
Non sono le “patate” però l’obiettivo privilegiato degli investimenti bancari. Gli istituti di credito, sicuri di avere le spalle coperte dalla Banca Centrale, si comportano piuttosto come un giocatore d’azzardo che punta su investimenti sempre più rischiosi senza preoccuparsi delle conseguenze.
Così nascono le bolle speculative e così si determinano le crisi che seguono.
Come dite? Sono aumentati i prezzi di latte e uova? Chissà perché!
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Euroinflazione
Di Jeffrey M. Herbener
I membri dell'Unione Economica e Monetaria non hanno potuto nemmeno aspettare l'avvento ufficiale dell'euro il 1 gennaio 1999 per rivelare il suo futuro. Il taglio del tasso di interesse in tutta la UEM nel dicembre del 1998, un tentativo in stile Keynes di anticipare una recessione, era il vero presagio delle cose a venire. Inflazione monetaria ed espansione del credito sono il destino che attendono gli europei e la loro nuova valuta.
Dietro la facciata pubblica dei benefici di una singola moneta, i funzionari della UEM vogliono l'euro allo scopo di coordinare una politica monetaria allentata su tutto il continente. Una singola valuta di carta può essere inflazionata senza il dolore della svalutazione che ne consegue nell'Europa delle molte valute. Come gli asiatici orientali, i russi ed i brasiliani sanno, la svalutazione può essere effettivamente dolorosa. E perfino nei casi in cui l'inflazione monetaria precedente non è sufficiente per causare tale trauma finanziario, la svalutazione contrasta le politiche fiscali e monetarie dei governi.
Se la spinta per la singola valuta interessasse soltanto i benefici dell'eliminazione dei costi e delle incertezze inerenti agli scambi di valuta, allora l'Unione Europea avrebbe optato per una parità aurea pura. L'euro si fa per questi benefici quanto il Nafta per il libero scambio.
Nella sua spinta per il potere politico sul mercato, l'UE ha adottato una strategia pericolosa con l'euro. Perché diversamente dal ristabilire una parità aurea, per partorire l'euro l'UE affronta un rischio della legge economica.
Ogni istituzione che introduce una nuova moneta deve riscattarla con i soldi attuali ad un tasso fisso. Solo allora la gente conoscerà il potere d'acquisto della nuova moneta negli scambi del mercato. Senza prezzi definiti nella nuova moneta per tutte le merci e i fattori allo stesso tempo l'oggetto non può trasformarsi in denaro.
Questa legge regge anche per una valuta iper-gonfiata quale il marco tedesco degli anni '20. Subito dopo che la Reichsbank ebbe azionato le presse tipografiche, i prezzi in Germania cominciarono a salire. Per la fine del 1922, i prezzi erano 1.475 volte il loro livello prebellico. Un anno più tardi, i prezzi erano un trilione di volte più su.
Alla conclusione della prima guerra mondiale ci volevano quattro marchi per comprare un dollaro nei mercati di cambio. Nel luglio del 1922, 493 marchi erano necessari comprare un dollaro, entro il gennaio del 1923 il marco aveva svalutato a 17.792 contro il dollaro ed al picco iper-inflazionistico del novembre 1923 i tedeschi dovevano pagare 4,2 trilioni di marchi per comprare un dollaro.
L'iper-inflazione si concluse il 20 novembre 1923 quando il governo tedesco sostituì il vecchio marco con il nuovo rentenmark ad un tasso ufficiale di 4,2 marchi per dollaro o un nuovo marco per i vecchi marchi da un trilione.
Nel novembre del 1923, il prezzo di un francobollo tedesco era 500 miliardi di marchi (era 20 pfennigs prima dell'iper-inflazione). Ad un tasso di cambio di un trilione di vecchi marchi per un nuovo marco, un cliente sapeva di pagare 50 pfennigs per un francobollo. Se lo stipendio orario di un operaio di fabbrica era di 4 trilioni di vecchi marchi, un imprenditore sapeva di dover pagare 4 nuovi marchi. Senza aver fissato il tasso di cambio fra i vecchi ed i nuovi soldi, la gente non avrebbe potuto stimare i prezzi nella nuova valuta e non avrebbe quindi potuto usarli come denaro.
Quando i tedeschi sostituiscono per la seconda volta in questo secolo il loro marco, l'euro deve essere denaro non soltanto per i tedeschi ma per tutti gli europei. Cominciando in gennaio, l'euro sarà introdotto in ciascuno degli undici paesi della UE che hanno soddisfatto le condizioni per la partecipazione alla UEM. Il 2 maggio di quest'anno, i rappresentanti dei 15 stati membri dell'UE hanno deciso i tassi fissi di cambio fra ciascuna delle valute domestiche degli undici paesi della UEM e l'euro. Un euro sarà equivalente a 1,98 marchi tedeschi, a 13,91 schillings austriaci, a 6,33 franchi francesi, a 168,20 pesetas spagnole, a 202,70 escudos portoghesi, a 1958,0 lire italiane, a 40,78 franchi belgi, a 2,23 fiorini olandesi, a 6,01 marchi finlandesi, a 0,80 punt irlandesi ed a 40,78 franchi lussemburghesi.
Per rendere l'euro moneta, la Banca Centrale Europea (BCE) o la banca centrale di ogni Stato membro o entrambe devono redimere gli euro per ogni valuta domestica al relativo tasso fisso. Ma fissando il tasso di cambio di ogni valuta domestica contro l'euro, i paesi della UEM fissano il tasso di cambio di ogni valuta domestica contro ogni altra valuta domestica. Se scambio 1,98 marchi per un euro e così 13,91 schillings, devo quindi cambiare 7.025 schillings per un marco. Quando la BCE acconsente per redimere 1,98 marchi per un euro e 13,91 schillings per un euro, sta acconsentendo a redimere 7.025 schillings per un marco.
Per tre anni dopo la sua introduzione, fino a gennaio 2002, l'euro verrà usato dai governi e dalle istituzioni finanziarie. Assetti finanziari saranno denominati, conti saranno tenuti, debito verrà emesso e le riserve saranno tenute in euro. I primi rapporti hanno sostenuto che l'euro verrà scambiato contro altre valute nei mercati internazionali di cambio. Ma la recente agitazione finanziaria sembra avere sciolto questa ambizione. Per ora, le dichiarazioni pubbliche implicano che l'euro sarà soltanto un ECU glorificato, l'attuale "unità di conto" del paniere dell'UE.
Questa ritirata è comprensibile poiché, sui mercati valutari internazionali, i tassi di cambio sono in perpetua fluttuazione. Ed i tassi di cambio europei in particolare hanno una storia di volatilità. Ogni variazione del tasso di cambio del mercato fra due valute ed il tasso fisso di redenzione genererà vantaggiose possibilità di arbitraggio per gli speculatori di valuta.
Per esempio, se lo schilling svaluta contro il marco nei mercati internazionali a 10 - 1 mentre la BCE riacquista gli schillings a 7.025 - 1, allora gli speculatori di valuta venderanno un marco per 10 schillings sul mercato di valuta estero, porteranno i 10 schillings alla BCE e li cambieranno con 1,42 marchi per un guadagno del 42%. Quello che gli speculatori guadagnano, la BCE perde, e alla fine la BCE esaurirebbe la propria riserva di marchi.
Le sue riserve potrebbero essere riempite soltanto tramite i contributi degli stati membri dell'UE. Ma questo richiederebbe tassazione domestica o inflazione monetaria. L'inflazione di una valuta domestica eserciterà soltanto la pressione su di essa a svalutarsi contro altre valute aggravando il problema originale. Tasse addizionali provocherebbero invece risentimento e resistenza.
Neppure la conversione completa della prestazione economica e l'armonizzazione perfetta della politica fiscale e monetaria fra gli undici paesi dell'UE assicurerebbero il mantenimento dei tassi di cambio fisso fra le loro valute. Le svalutazioni e gli apprezzamenti delle valute fuori del blocco dell'euro possono rompere i collegamenti fissi. La svalutazione russa del rublo ha il potenziale di esercitare molta più pressione a cambiare il valore del marco che della peseta poiché la banca tedesca ha investito pesantemente nel debito russo.
Se i fallimenti bancari in Germania inducono la massa monetaria a restringersi o crescere meno velocemente del tasso armonizzato che mantiene il tasso di cambio del marco contro la peseta, allora il marco si apprezzerebbe contro la peseta. L'unico modo di impedirlo è che la Bundesbank neutralizzi la deflazione monetaria con un'inflazione monetaria più veloce. Ma questo disturberebbe l'armonizzazione della politica monetaria fra i paesi.
L'UE non può eludere per sempre la legge economica usando l'euro soltanto come "unità di conto." Se deve transformarsi in moneta, alla fine l'UE deve consentire il commercio nazionale ed internazionale dell'euro a tassi di estinzione fissi. Il programma corrente è di avere un semestre, dopo la fine dell'introduzione triennale il 1 gennaio 2002, dove l'euro sarà usato dalla gente negli undici paesi della UEM, insieme alle loro valute domestiche, per comprare e vendere le merci. Il 1 luglio 2002, secondo il programma, ogni valuta domestica perderà la sua condizione di moneta a corso legale e sarà ritirata dall'uso.
Le prospettive per questo schema sono dubbi nel migliore dei casi. E non sono necessarie se l'UE è seria nel dare ai popoli europei i benefici della moneta comune. Il raggiungimento del quell'obiettivo richiede soltanto di abbandonare l'invenzione di una nuova moneta artificiale e controllata dal governo e di ristabilire la vecchia e naturale moneta del mercato: l'oro.
Ritornare alla parità aurea non presenterebbe il problema che la UE affronterà con l'introduzione dell'euro. Ogni Stato membro semplicemente renderebbe la propria scorta di denaro redimibile in oro ad un tasso fisso che esaurisca le proprie riserve di oro. Se la Germania ha 100 milioni di marchi in moneta e 50 milioni di once in riserve d'oro, allora dovrebbe promettere di riacquistare un marco per la metà di un'oncia d'oro. Se la Francia ha 500 milioni di franchi in moneta e 25 milioni di once in riserve d'oro, allora dovrebbe fissare il tasso di cambio di un franco per un ventesimo di un'oncia d'oro. Se ogni paese facesse lo stesso allora l'oro si trasformerebbe nella moneta comune in tutta l'Europa.
I prezzi di tutte le merci sarebbero definiti, fondamentalmente, in oro e le valute domestiche sarebbero accettate dappertutto. La gente saprebbe che se il prezzo di una bottiglia di vino francese a Parigi è di un franco allora potrebbe essere comprato per 10 pfennigs poiché ciascuno di questi prezzi in valuta è un ventesimo di un'oncia d'oro. E finché le valute saranno al cento per cento sostenute dall'oro, il venditore di vino francese potrà accettare il pagamento in franchi o in marchi poiché sta ricevendo, in entrambi i casi, la proprietà della stessa quantità di oro. Alla stessa maniera, a tutti gli operai sarebbero pagati gli stipendi in oro.
Una parità aurea pura offrirebbe i benefici della valuta comune: eliminando sia la necessità di commerciare le valute per comprare e vendere merci internazionalmente, sia l'incertezza delle fluttuazioni del tasso di cambio. E, diversamente dall'euro, il denaro in una parità aurea non può essere manipolato dai funzionari di governo. Significherebbe la fine dell'inflazione dei prezzi e dei cicli delle bolle che derivano dall'inflazione della banca centrale e dall'espansione del credito monetario.
Ma perchè aspettare l'Europa? L'America ha l'economia principale e la valuta più importante del mondo. Sarebbe bene per una riforma monetaria internazionale cominciare a rendere il dollaro di nuovo buono quanto l'oro.
Chissà quanto bisognerà aspettare per vedere esposta la spiegazione austriaca dell'inflazione sui quotidiani nazionali: evidentemente la capacità di prevedere gli eventi economici non è un requisito sufficiente per venir pubblicati. Non quanto la capacità di stendersi a zerbino, senza dubbio.
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Cos'è veramente l'“inflazione”?
di Marco Bollettino
Quante volte avete sentito parlare di “pericolo inflazione” nelle ultime settimane? Moltissime, vero?
E se qualcuno vi chiedesse che cos’è, esattamente, l’inflazione?
Probabilmente la risposta sarebbe questa:
“L’inflazione è l’aumento continuo e generalizzato del livello dei prezzi”
Questa è la definizione più accettata e diffusa al giorno d’oggi ma, come vedremo, è ingannevole ed imprecisa.
La cosa è evidente non appena ci si domanda quali siano le cause dell’inflazione.
Secondo quanto hanno riportato i giornali ad ottobre il rischio inflazione era dettato dall’aumento del prezzo del pane e della pasta., a novembre era invece la benzina. a “far correre” l’inflazione mentre a dicembre il governatore della Banca Centrale Europea, ...
... Claude Trichet, avvertiva di un pericolo di inflazione in caso di aumento dei salari
A gennaio, infine, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, fa un bilancio del 2007 e spiega che la causa dell’inflazione sarebbe da ricercarsi “soprattutto negli aumenti dei prezzi internazionali del greggio e dei beni agricoli”.
L’inflazione sarebbe quindi l’aumento dei prezzi ed i prezzi in aumento… causerebbe l’inflazione!
Corollario di questo ragionamento circolare è che i rincari spesso avvengano a causa di comportamenti opportunistici e speculativi da parte dei negozianti e dei distributori e che quindi il governo possa combattere l’inflazione istituendo un garante, il cosiddetto Mr. Prezzi.
Inflazione monetaria
Ma in un mondo in cui progressivamente le parole si sono svuotate del loro significato (si pensi al termine “missione di pace” per indicare gli interventi militari in Iraq ed Afghanistan) anche il termine “inflazione” ha seguito un simile destino.
Se vogliamo quindi comprendere che cosa sia realmente l’inflazione ed in quale modo causi l’aumento continuativo e generalizzato dei prezzi, dobbiamo tornare alla sua definizione originaria, ovvero quella utilizzata dalla scuola austriaca di economia e qui enunciata da Mises:
“L'inflazione, per come questo termine è sempre stato usato ovunque e specialmente in questo paese, sta ad indicare l'incremento della quantità di moneta e di banconote in circolazione e nei conti correnti. Ma la gente oggi usa il termine inflazione per indicare il fenomeno che non è nient'altro che una conseguenza dell'inflazione stessa, ovvero la tendenza di tutti i prezzi e dei salari di aumentare.”
Insomma, come diceva Ugo Tognazzi, “Inflazione significa essere povero con tanti soldi in tasca”
Vediamo ora per quale motivo, in caso di aumento della quantità di moneta in circolazione, i prezzi tendono a salire:
Immaginiamo che Giorgio l'ortolano si rechi al mercato rionale per vendere le sue patate. Dall'esperienza delle settimane passate sa che fissando il prezzo a 2 euro il Kg riuscirà a vendere tutti e 15 i Kg di patate che ha portato con sé.
In piazza ci sono Anna, Beatrice e Carla che sono scese per fare la spesa: ognuna ha deciso di destinare 10 euro all'acquisto di patate dall'ortolano. Passa prima Anna e ne compra 5 kg, poi Beatrice fa lo stesso ed infine, nella tarda mattinata è il turno di Carla, che acquista gli ultimi 5 kg.
La settimana seguente il prezzo delle patate è sempre di 2 euro ma nel frattempo è successo qualcosa. Anna ha infatti sposato un bravissimo falsario ed ora può destinare all'acquisto di patate 20 euro, di cui 10 falsi.
All'apertura del mercato Anna acquista subito 10 Kg di patate e se ne va. Quando poco dopo giunge Beatrice e compra gli ultimi 5 chili Giorgio si ritrova senza più mercanzia. Siamo solo a metà mattinata e le patate sono già state tutte vendute: non c'è più nulla per Carla, che torna a casa a mani vuote.
Nei giorni seguenti Giorgio ragiona tra sé e sé: “Poiché non posso portare al mercato più di 15 chili di patate e dal momento che a 2 euro le ho vendute tutte subito, potrei provare ad aumentare il prezzo!”
Detto, fatto. La settimana successiva il prezzo delle patate è di 2 euro e cinquanta al chilo.
Come al solito passa Anna con i suoi 20 euro, con i quali ora può acquistare solo 8 kg di patate, seguita da Beatrice e Carla, le quali si dividono a metà gli ultimi 7 chili, pagando 8 euro e 75 centesimi a testa.
Giorgio l'ortolano se ne torna a casa con 37.5 euro, sette e mezzo in più della settimana precedente.
Che cosa ci insegna questo breve aneddoto esemplificativo?
- I primi a ricevere la moneta nuova incrementano il loro reddito a spese di chi la moneta non la riceve:
Anna riesce in un primo tempo ad acquistare i prodotti al “prezzo vecchio” ed anche dopo l’adeguamento dei prezzi può comprare più patate di quanto riuscisse a fare in partenza (+3 Kg), il tutto a spese di Carla e Beatrice (-1,5 Kg a testa).
- Il prezzo aumenta in seguito ad un incremento della domanda
Giorgio non aumenta il prezzo delle patate perché è un negoziante cattivo e speculatore ma lo fa in seguito ad un aumento della domanda di patate innescata dai dieci euro falsi di Anna. Un eventuale intervento governativo volto a calmierare il prezzo non farebbe altro che peggiorare la situazione (nel cap. XII dei Promessi Sposi Manzoni ne dà una splendida descrizione).
- I prezzi non vengono adeguati in modo istantaneo ed uniforme
Trascorre del tempo tra l’introduzione della moneta nuova e l’aumento effettivo dei prezzi e questi ultimi non aumentano in modo uniforme. Vediamo perché:
Siamo sempre al mercato e stavolta ci occupiamo di Dario il macellaio.
Anna è vegetariana, Carla e Beatrice spendono ogni settimana 10 euro per comprare del filetto ed a fine giornata Giorgio l’ortolano destina un terzo dei suoi ricavi (10 euro) all’acquisto di carne.
Immaginiamo che la prima settimana il prezzo della carne sia di 10 euro al Kg e che Dario abbia in negozio 3 Kg di carne, che vengono tutti venduti. Per tre settimane tutto continua come prima fino alla sera della quarta settimana, quando Giorgio arriva in negozio con 13 euro (ne ha incassati 37,5) e vorrebbe acquistare della carne che però non c'è.
Che cosa accadrà la settimana seguente al prezzo della carne?
Dario lo aumenta ad 11 euro al chilogrammo! Tra l'altro sua moglie Laura sì era lamentata con lui per l’"immotivato" aumento del prezzo delle patate....
Col passare del tempo, man mano che la nuova moneta “circola” nell'economia, vi sono adeguamenti nei prezzi di tutti i beni (ed eventualmente anche nei salari), ma in tempi ed in modalità diverse: la settimana successiva all'introduzione dei 10 euro falsi il prezzo delle patate è aumentato del 25% mentre quella seguente è toccato alla carne rincarare del 10%.
L’effetto globale è proprio quello di un aumento continuo e generalizzato dei prezzi e dei salari accompagnato da un trasferimento di ricchezza reale dagli ultimi a “ricevere la moneta nuova” (i salariati il cui stipendio aumenta solo alla fine) verso i primi ad utilizzarla.
Ma nel mondo reale chi è il falsario e soprattutto chi è Anna?
Banca Centrale, il falsario “a norma di legge”
Nessuno avrebbe dubbi nel definire furto l’attività di un falsario, anche quando i lestofanti sono interpretati da Totò e Peppino, come nel film “La banda degli onesti”.
Quando invece il “falsario” è monopolista e svolge la sua attività per legge ecco che la sua attività cessa di essere furto e diventa “politica monetaria” mentre l’immissione in circolazione di nuove banconote create dal nulla viene salutata come “iniezione di liquidità per stimolare l’economia”.
Il meccanismo con cui vengono messe in circolazione le nuove banconote non è semplice: la Banca Centrale Europea non va come Totò a far compere dal tabacchino
Quello che fa è invece regolare il sistema delle banche commerciali stabilendone i requisiti di riserva obbligatoria, ovvero la percentuale dei titoli e soprattutto dei depositi che deve essere depositata presso la Banca Centrale, fissando il tasso di interesse per i propri prestiti ed intervenendo come “prestatore di ultima istanza” ogni volta che le banche si trovano in difficoltà.
Ecco ad esempio i dati pubblicati a dicembre dalla Banca Centrale Europea:
Il broad monetary aggregate M3, ovvero la stima di tutta la moneta circolante e creditizia presente nel sistema, ha registrato un aumento dell'11,5% rispetto allo stesso mese del 2006.
Scordatevi la figura dell’usuraio violento e senza cuore: se siete “Anna” ovvero le banche commerciali, la BCE e la Fed saranno sempre pronte a prestarvi del denaro fresco di stampa!
Non sono le “patate” però l’obiettivo privilegiato degli investimenti bancari. Gli istituti di credito, sicuri di avere le spalle coperte dalla Banca Centrale, si comportano piuttosto come un giocatore d’azzardo che punta su investimenti sempre più rischiosi senza preoccuparsi delle conseguenze.
Così nascono le bolle speculative e così si determinano le crisi che seguono.
Come dite? Sono aumentati i prezzi di latte e uova? Chissà perché!
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Euroinflazione
Di Jeffrey M. Herbener
I membri dell'Unione Economica e Monetaria non hanno potuto nemmeno aspettare l'avvento ufficiale dell'euro il 1 gennaio 1999 per rivelare il suo futuro. Il taglio del tasso di interesse in tutta la UEM nel dicembre del 1998, un tentativo in stile Keynes di anticipare una recessione, era il vero presagio delle cose a venire. Inflazione monetaria ed espansione del credito sono il destino che attendono gli europei e la loro nuova valuta.
Dietro la facciata pubblica dei benefici di una singola moneta, i funzionari della UEM vogliono l'euro allo scopo di coordinare una politica monetaria allentata su tutto il continente. Una singola valuta di carta può essere inflazionata senza il dolore della svalutazione che ne consegue nell'Europa delle molte valute. Come gli asiatici orientali, i russi ed i brasiliani sanno, la svalutazione può essere effettivamente dolorosa. E perfino nei casi in cui l'inflazione monetaria precedente non è sufficiente per causare tale trauma finanziario, la svalutazione contrasta le politiche fiscali e monetarie dei governi.
Se la spinta per la singola valuta interessasse soltanto i benefici dell'eliminazione dei costi e delle incertezze inerenti agli scambi di valuta, allora l'Unione Europea avrebbe optato per una parità aurea pura. L'euro si fa per questi benefici quanto il Nafta per il libero scambio.
Nella sua spinta per il potere politico sul mercato, l'UE ha adottato una strategia pericolosa con l'euro. Perché diversamente dal ristabilire una parità aurea, per partorire l'euro l'UE affronta un rischio della legge economica.
Ogni istituzione che introduce una nuova moneta deve riscattarla con i soldi attuali ad un tasso fisso. Solo allora la gente conoscerà il potere d'acquisto della nuova moneta negli scambi del mercato. Senza prezzi definiti nella nuova moneta per tutte le merci e i fattori allo stesso tempo l'oggetto non può trasformarsi in denaro.
Questa legge regge anche per una valuta iper-gonfiata quale il marco tedesco degli anni '20. Subito dopo che la Reichsbank ebbe azionato le presse tipografiche, i prezzi in Germania cominciarono a salire. Per la fine del 1922, i prezzi erano 1.475 volte il loro livello prebellico. Un anno più tardi, i prezzi erano un trilione di volte più su.
Alla conclusione della prima guerra mondiale ci volevano quattro marchi per comprare un dollaro nei mercati di cambio. Nel luglio del 1922, 493 marchi erano necessari comprare un dollaro, entro il gennaio del 1923 il marco aveva svalutato a 17.792 contro il dollaro ed al picco iper-inflazionistico del novembre 1923 i tedeschi dovevano pagare 4,2 trilioni di marchi per comprare un dollaro.
L'iper-inflazione si concluse il 20 novembre 1923 quando il governo tedesco sostituì il vecchio marco con il nuovo rentenmark ad un tasso ufficiale di 4,2 marchi per dollaro o un nuovo marco per i vecchi marchi da un trilione.
Nel novembre del 1923, il prezzo di un francobollo tedesco era 500 miliardi di marchi (era 20 pfennigs prima dell'iper-inflazione). Ad un tasso di cambio di un trilione di vecchi marchi per un nuovo marco, un cliente sapeva di pagare 50 pfennigs per un francobollo. Se lo stipendio orario di un operaio di fabbrica era di 4 trilioni di vecchi marchi, un imprenditore sapeva di dover pagare 4 nuovi marchi. Senza aver fissato il tasso di cambio fra i vecchi ed i nuovi soldi, la gente non avrebbe potuto stimare i prezzi nella nuova valuta e non avrebbe quindi potuto usarli come denaro.
Quando i tedeschi sostituiscono per la seconda volta in questo secolo il loro marco, l'euro deve essere denaro non soltanto per i tedeschi ma per tutti gli europei. Cominciando in gennaio, l'euro sarà introdotto in ciascuno degli undici paesi della UE che hanno soddisfatto le condizioni per la partecipazione alla UEM. Il 2 maggio di quest'anno, i rappresentanti dei 15 stati membri dell'UE hanno deciso i tassi fissi di cambio fra ciascuna delle valute domestiche degli undici paesi della UEM e l'euro. Un euro sarà equivalente a 1,98 marchi tedeschi, a 13,91 schillings austriaci, a 6,33 franchi francesi, a 168,20 pesetas spagnole, a 202,70 escudos portoghesi, a 1958,0 lire italiane, a 40,78 franchi belgi, a 2,23 fiorini olandesi, a 6,01 marchi finlandesi, a 0,80 punt irlandesi ed a 40,78 franchi lussemburghesi.
Per rendere l'euro moneta, la Banca Centrale Europea (BCE) o la banca centrale di ogni Stato membro o entrambe devono redimere gli euro per ogni valuta domestica al relativo tasso fisso. Ma fissando il tasso di cambio di ogni valuta domestica contro l'euro, i paesi della UEM fissano il tasso di cambio di ogni valuta domestica contro ogni altra valuta domestica. Se scambio 1,98 marchi per un euro e così 13,91 schillings, devo quindi cambiare 7.025 schillings per un marco. Quando la BCE acconsente per redimere 1,98 marchi per un euro e 13,91 schillings per un euro, sta acconsentendo a redimere 7.025 schillings per un marco.
Per tre anni dopo la sua introduzione, fino a gennaio 2002, l'euro verrà usato dai governi e dalle istituzioni finanziarie. Assetti finanziari saranno denominati, conti saranno tenuti, debito verrà emesso e le riserve saranno tenute in euro. I primi rapporti hanno sostenuto che l'euro verrà scambiato contro altre valute nei mercati internazionali di cambio. Ma la recente agitazione finanziaria sembra avere sciolto questa ambizione. Per ora, le dichiarazioni pubbliche implicano che l'euro sarà soltanto un ECU glorificato, l'attuale "unità di conto" del paniere dell'UE.
Questa ritirata è comprensibile poiché, sui mercati valutari internazionali, i tassi di cambio sono in perpetua fluttuazione. Ed i tassi di cambio europei in particolare hanno una storia di volatilità. Ogni variazione del tasso di cambio del mercato fra due valute ed il tasso fisso di redenzione genererà vantaggiose possibilità di arbitraggio per gli speculatori di valuta.
Per esempio, se lo schilling svaluta contro il marco nei mercati internazionali a 10 - 1 mentre la BCE riacquista gli schillings a 7.025 - 1, allora gli speculatori di valuta venderanno un marco per 10 schillings sul mercato di valuta estero, porteranno i 10 schillings alla BCE e li cambieranno con 1,42 marchi per un guadagno del 42%. Quello che gli speculatori guadagnano, la BCE perde, e alla fine la BCE esaurirebbe la propria riserva di marchi.
Le sue riserve potrebbero essere riempite soltanto tramite i contributi degli stati membri dell'UE. Ma questo richiederebbe tassazione domestica o inflazione monetaria. L'inflazione di una valuta domestica eserciterà soltanto la pressione su di essa a svalutarsi contro altre valute aggravando il problema originale. Tasse addizionali provocherebbero invece risentimento e resistenza.
Neppure la conversione completa della prestazione economica e l'armonizzazione perfetta della politica fiscale e monetaria fra gli undici paesi dell'UE assicurerebbero il mantenimento dei tassi di cambio fisso fra le loro valute. Le svalutazioni e gli apprezzamenti delle valute fuori del blocco dell'euro possono rompere i collegamenti fissi. La svalutazione russa del rublo ha il potenziale di esercitare molta più pressione a cambiare il valore del marco che della peseta poiché la banca tedesca ha investito pesantemente nel debito russo.
Se i fallimenti bancari in Germania inducono la massa monetaria a restringersi o crescere meno velocemente del tasso armonizzato che mantiene il tasso di cambio del marco contro la peseta, allora il marco si apprezzerebbe contro la peseta. L'unico modo di impedirlo è che la Bundesbank neutralizzi la deflazione monetaria con un'inflazione monetaria più veloce. Ma questo disturberebbe l'armonizzazione della politica monetaria fra i paesi.
L'UE non può eludere per sempre la legge economica usando l'euro soltanto come "unità di conto." Se deve transformarsi in moneta, alla fine l'UE deve consentire il commercio nazionale ed internazionale dell'euro a tassi di estinzione fissi. Il programma corrente è di avere un semestre, dopo la fine dell'introduzione triennale il 1 gennaio 2002, dove l'euro sarà usato dalla gente negli undici paesi della UEM, insieme alle loro valute domestiche, per comprare e vendere le merci. Il 1 luglio 2002, secondo il programma, ogni valuta domestica perderà la sua condizione di moneta a corso legale e sarà ritirata dall'uso.
Le prospettive per questo schema sono dubbi nel migliore dei casi. E non sono necessarie se l'UE è seria nel dare ai popoli europei i benefici della moneta comune. Il raggiungimento del quell'obiettivo richiede soltanto di abbandonare l'invenzione di una nuova moneta artificiale e controllata dal governo e di ristabilire la vecchia e naturale moneta del mercato: l'oro.
Ritornare alla parità aurea non presenterebbe il problema che la UE affronterà con l'introduzione dell'euro. Ogni Stato membro semplicemente renderebbe la propria scorta di denaro redimibile in oro ad un tasso fisso che esaurisca le proprie riserve di oro. Se la Germania ha 100 milioni di marchi in moneta e 50 milioni di once in riserve d'oro, allora dovrebbe promettere di riacquistare un marco per la metà di un'oncia d'oro. Se la Francia ha 500 milioni di franchi in moneta e 25 milioni di once in riserve d'oro, allora dovrebbe fissare il tasso di cambio di un franco per un ventesimo di un'oncia d'oro. Se ogni paese facesse lo stesso allora l'oro si trasformerebbe nella moneta comune in tutta l'Europa.
I prezzi di tutte le merci sarebbero definiti, fondamentalmente, in oro e le valute domestiche sarebbero accettate dappertutto. La gente saprebbe che se il prezzo di una bottiglia di vino francese a Parigi è di un franco allora potrebbe essere comprato per 10 pfennigs poiché ciascuno di questi prezzi in valuta è un ventesimo di un'oncia d'oro. E finché le valute saranno al cento per cento sostenute dall'oro, il venditore di vino francese potrà accettare il pagamento in franchi o in marchi poiché sta ricevendo, in entrambi i casi, la proprietà della stessa quantità di oro. Alla stessa maniera, a tutti gli operai sarebbero pagati gli stipendi in oro.
Una parità aurea pura offrirebbe i benefici della valuta comune: eliminando sia la necessità di commerciare le valute per comprare e vendere merci internazionalmente, sia l'incertezza delle fluttuazioni del tasso di cambio. E, diversamente dall'euro, il denaro in una parità aurea non può essere manipolato dai funzionari di governo. Significherebbe la fine dell'inflazione dei prezzi e dei cicli delle bolle che derivano dall'inflazione della banca centrale e dall'espansione del credito monetario.
Ma perchè aspettare l'Europa? L'America ha l'economia principale e la valuta più importante del mondo. Sarebbe bene per una riforma monetaria internazionale cominciare a rendere il dollaro di nuovo buono quanto l'oro.