Friday, January 25, 2008

Piccolo Glossario della Neolingua #25

“Thieves respect property. They merely wish the property to become their property that they may more perfectly respect it.”
(G.K. Chesterton)
La proprietà privata è un diritto apparentemente riconosciuto anche dallo stato, ma si tratta in realtà di un riconoscimento puramente teorico nella misura in cui tale diritto è dallo stato limitato. Così come per la libertà, il diritto alla proprietà non deve essere riconosciuto ma, semplicemente, rispettato.
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Proprietà
Significato originario:
3a dir., diritto di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e secondo gli obblighi fissati dalla legge: diritto di p., tutela, violazione della p., vincoli, limiti della p.; acquisto, cessione, trapasso di p.
3b appartenenza, possesso di qcs.: discussero a lungo sulla p. di certi poderi, anche in funz. agg.inv.: un terreno p. del comune
3c estens., ogni bene di cui si goda e si disponga in modo pieno ed esclusivo: p. mobiliare, immobiliare, fondiaria; ereditare una p., amministrare le p. di famiglia | bene immobiliare considerato in sé, senza riferimento a un proprietario: p. estesa, di ingente valore, confini, limiti di p.
4 per meton., proprietario o insieme di proprietari di una società o di un’azienda: soprusi della p. sui braccianti, la p. ha annunciato dei licenziamenti
Che ogni uomo abbia la proprietà di sé stesso, e di nessun altro, è un fatto generalmente accettato. Negare questo assunto è praticamente impossibile – e in verità, almeno esplicitamente, nessuno al giorno d'oggi lo fa – senza giustificare una qualche forma di schiavitù. In effetti, che il proprio corpo sia inalienabile proprietà di ciascuno è rivendicato da tutti, dai capitalisti fino alle femministe e al movimento omosessuale.

Non altrettanto universalmente riconosciuto, nonostante ne sia la conseguenza logica, è il diritto alla proprietà di oggetti esterni all'individuo. Una buona definizione di proprietà la possiamo trovare nel Secondo trattato sul governo di John Locke, dove leggiamo che

[O]gni uomo ha la proprietà della propria persona. Su questa nessuno ha alcun diritto a parte lui stesso. Il lavoro del suo corpo e delle sue mani, possiamo dire, è propriamente suo. Qualunque cosa allora che egli rimuova dallo stato in cui la natura lo ha fornito, ed in cui lo ha lasciato, e vi abbia mescolato il suo lavoro, ed unito ad esso qualcosa che fosse suo, lo rende quindi di sua proprietà. Il suo esser stata da lui rimossa dal comune stato in cui la natura l'ha disposta, essa ha qualcosa annessa da questo lavoro che esclude il comune diritto di altri uomini.
Ovvero, essendo necessario utilizzare il proprio corpo per un determinato lasso di tempo per ottenere dalla natura un qualsiasi oggetto utile alla sopravvivenza, qualsiasi cosa alla quale l'individuo applica il proprio lavoro si deve considerare logicamente di sua esclusiva proprietà, al pari della sua persona. Questo diritto ovviamente esclude il diritto di chiunque altro sullo stesso oggetto, sia esso un pezzo di terra dissodato, così come uno strumento di lavoro.

Il diritto di chi ha messo a frutto, utilizzando il proprio lavoro, una qualsiasi risorsa, prevale sul diritto di chiunque altro, e solo a lui spetta la decisione, se lo desidera, di cederlo interamente o in parte ad un'altra persona per mezzo di un contratto, ovvero di un accordo reciproco. Questo semplice e lineare ragionamento è però smentito dall'ingerenza dello stato nel momento in cui decide unilateralmente di tassare le proprietà in nome di una più “giusta” ridistribuzione o addirittura, in alcuni casi, di espropriarla per realizzare qualche progetto in nome del “bene comune,” che tanto comune non è perché esclude in partenza la vittima dell'esproprio.

La legittimazione a questo genere di pratiche estortive viene subdolamente inculcata nelle giovani menti già dalla scuola pubblica, e si basa più che altro su motivazioni emozionali, come spiega bene
Tibor Machan in questo articolo:
Un importante motivo per cui la gente non è fedele al principio del diritto alla proprietà privata – o persino lo rifiuta come mitico – è che ha un'idea sbagliata della sua funzione principale. Molti pensano che ne traggano beneficio soltanto i ricchi. Ed anche se non hanno nulla contro l'essere ricchi, hanno qualcosa contro gli ingiusti vantaggi legali per coloro che lo sono. [...]

Questa idea, a sua volta, è alimentata dalla mentalità del “gioco a somma zero,” la convinzione che se qualcuno guadagna, qualcun'altro deve perdere.
Giocando sui desideri degli uomini, e sull'invidia provocata da chi possiede di più, facendo leva su un falso senso di giustizia, i sostenitori del collettivismo insinuano l'idea che la proprietà privata non sia un diritto ma un'appropriazione indebita. Così facendo, però, negano effettivamente anche lo stesso diritto alla proprietà del proprio corpo e del proprio lavoro, grazie ai quali le risorse fornite dalla natura allo stato grezzo sono diventate ricchezza, mezzi di sostentamento o di piacere.

Impedire ad un uomo di recintare il campo che con il suo lavoro da pietraia si è trasformato in coltivazione equivale a riconoscere ad un altro uomo, dotato della forza necessaria, il diritto di servirsene come di uno schiavo. Del resto se il frutto della fatica di ciascuno non è più di sua esclusiva proprietà scompare anche qualsiasi incentivo al lavoro che non sia la minaccia della violenza.

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