Monday, May 31, 2010

Lo Stato sono Loro

Ricevo e pubblico con piacere un nuovo articolo dell'amico Gian Piero de Bellis, del sito panarchy.org, che si occupa stavolta di uno dei più perniciosi dogmi della dottrina democratica: l'identificazione dei sudditi con lo stato che li opprime.
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Di Gian Piero de Bellis


Una delle frasi storiche più famose è quella attribuita al giovane Luigi XIV, ancora sotto la tutela del Cardinal Mazarino, e desideroso di liberarsi da qualsiasi potere che lo limitasse: “L’Etat c’est Moi,” lo Stato sono Io.

Che questa frase sia stata o meno pronunciata da Luigi XIV non ha molta importanza. Quello che invece conta è il fatto che essa raffiguri un dato della realtà tuttora valido e cioè che lo Stato non è altro che l’organizzazione dell’esercizio del potere sugli altri e che colui che ne è al vertice e che gode di un potere assoluto è identificabile con l’entità stessa.

Nei decenni successivi, e soprattutto a partire dalla Rivoluzione Francese, lo Stato è diventato sempre meno una entità personale e sempre più una macchina burocratica. Il tramonto dell’aristocrazia, l’ascesa della borghesia e l’entrata in scena delle masse hanno condotto ad un accrescimento smisurato della struttura statale a tal punto che Bastiat, alla ricerca di una definizione di cosa fosse lo Stato, se ne venne fuori con una frase geniale: “Lo Stato è la grande illusione attraverso la quale tutti sperano di vivere alle spalle di tutti gli altri.”

Lo stato nazionale moderno è quindi un apparato gigantesco che penetra negli animi e nelle menti di tutti, sfruttatori e sfruttati, agli uni concedendo laute pappagioni e agli altri distribuendo semplici illusioni. In sostanza, a partire dall’ottocento, tutti o quasi tutti sembrano essere partecipi di questo mastodonte che è lo stato, foraggiandosi o sperando di foraggiarsi o anche solo illudendosi di essere foraggiati.

Lo stato si intrufola in tutti gli interstizi sociali, in tutte le associazioni e istituzioni messe in piedi da gruppi sociali e le assorbe sotto la sua ala apparentemente protettrice ma in realtà soffocante. Alexis de Tocqueville ha descritto molto bene questa situazione in cui lo Stato, dopo essersi sovrapposto alla società annientandola, appare poi come l’unica forma sociale possibile e immaginabile.

E dal momento che noi tutti, a meno di non soffrire di gravi patologie della psiche, siamo esseri più o meno sociali, e la nostra vita è fatta in gran parte di relazioni sociali, ne deriva che molti hanno cominciato a confondere lo stato con la società o addirittura a pensare che senza lo Stato non esiste la Società.

Il passaggio logico successivo è la formulazione di quella che è diventata una convinzione diffusa: Lo Stato siamo Noi.

Questa convinzione si basa sul seguente sillogismo:
Lo Stato è la Società
Noi facciamo parte della Società
Noi siamo lo Stato o, altrimenti detto, lo Stato siamo noi.
Il problema è che questo strampalato sillogismo poggia su una premessa del tutto fasulla: lo Stato non è la Società. La Società, qualsiasi società, è esistita prima dello Stato che non è altro che una recente forma di organizzazione politica territoriale di tipo monopolistico.

Questa identificazione è resa possibile anche per il fatto che gli intellettuali asserviti allo stato si sono riempiti la bocca della parola astratta: Società, mentre avrebbero fatto meglio a usare al suo posto una locuzione concreta come: gli individui e le loro relazioni sociali. In effetti la Società non esiste se non in quanto esistono gli individui che si relazionano tra di loro. Purtroppo l’uso manipolativo di una astrazione (la Società) fa cadere nella trappola di una realtà concreta (lo Stato) presentata come indispensabile; e questo è il risultato nefasto prodotto dagli intellettuali da strapazzo pagati dallo stato come docenti prezzolati o scribacchini a giornata o manipolatori televisivi.

Se noi usiamo invece realtà concrete come Francesca, Giovanni e Teresa, la prima che lavora a Biandrate al Bar dello Sport, l’altro che è a studiare a Reading in Inghilterra, e la terza che è casalinga a Bollate, e diciamo che essi, assieme molti altri, sono lo Stato Italiano, allora l’imbroglio è presto smascherato e la presa in giro o truffa intellettuale è praticamente impossibile. Se poi ci mettiamo dentro Hassan l’emigrato dal Marocco che fa il muratore a Sesto San Giovanni o Alì in fuga dalle persecuzioni di qualche cricca al potere, e diciamo che lo Stato sono anche loro (quale Stato?), allora l’inganno diventa talmente visibile nella sua indecente e lercia immoralità che anche l’ultimo degli ingenui ci penserebbe due volte prima di dire che lo Stato siamo Noi.

Allora dobbiamo ritornare alla realtà di Luigi XIV, alla sua presunta ma quanto mai vera affermazione e attualizzarla. Ai tempi nostri mentre non è più concepibile che qualcuno possa dire: Lo Stato sono Io, è invece non solo plausibile ma anche estremamente veritiero affermare: Lo Stato sono Loro.

E per loro intendiamo tutti coloro che, basandosi sull’imposizione fiscale e cioè sull’estrazione forzata del pizzo, ricevono il loro reddito dallo Stato (i burocrati, i militari, i docenti universitari, ecc.), ricevono sovvenzioni dallo Stato (i giornalisti, gli industriali delle corporazioni, ecc.) ricevono privilegi dallo Stato in quanto facenti parte di albi professionali riconosciuti dallo Stato (i notai, gli avvocati, i commercialisti, ecc) o di enti riconosciuti dallo Stato (ad es. le banche).

Alcuni di costoro possono essere contro lo Stato e non riconoscersi nello Stato, ma la grande maggioranza di essi sono lo Stato. Loro sono lo Stato.

Questo è il Loro Stato che a molti di noi non interessa minimamente e da cui vogliamo scappare come vuole scappare colui che è tenuto prigioniero da un gruppo di banditi per il pagamento di un riscatto, soggetto ad uno strozzinaggio infinito che nelle intenzioni dei banditi dovrebbe durare tutta la vita.

In sostanza, quando qualcuno vuole inserirti controvoglia nel Loro Stato tirando fuori la bidonata assoluta che lo Stato siamo tutti Noi, allora è bene chiarire, con le buone maniere ma fermamente, che si declina l’invito a fare parte di una organizzazione di magnaccia bancarottieri, guerrafondai e beceri xenofobi e che si hanno invece ambizioni più elevate e di più largo raggio che non quella di far parte di un pollaio nazionale. Al tempo stesso si può far rassicurare l’interlocutore che lui assieme ad altri possono continuare a sostenere e a sentirsi parte del Loro Stato perché lo Stato è in effetti Loro e Loro sono lo Stato. Però si dovrebbe fare gentilmente ma vigorosamente presente che, come nessuno chiede agli altri di pagare le proprie spese condominiali o il proprio conto al ristorante, così è bene che Loro comincino a pagare le spese del Loro Stato perché il tempo dell’estorsione del pizzo sta rapidamente volgendo al termine.

Solo allora si moltiplicheranno gli individui liberi impegnati a sviluppare libere relazioni sociali e le società, cioè le reti volontarie di individui come Teresa, Hassan, Miguel e Peter, potranno finalmente rifiorire.

Sunday, May 30, 2010

La loro Africa

Il colonialismo, nell'era della neolingua, si chiama “aiuto internazionale.” Questa nuova forma di colonialismo calpesta la dignità degli uomini che pretende di aiutare per mascherarsi da solidarietà.

Per questo Dambisa Moyo, l'autrice del libro La carità che uccide, propone l'immediata eliminazione degli aiuti ai cosiddetti paesi in via di sviluppo: gli aiuti ai governi fanno crescere i governi, non le economie. Infatti, nel suo libro The Bottom Billion, Paul Collier mostra come il 40% delle spese militari in Africa siano pagate con gli aiuti stranieri.
La “solidarietà” coloniale alimenta quegli stessi problemi che usa per giustificare sé stessa.

Nel continente africano, tra il 1970 e il 1998, sono stati immessi oltre un trilione di dollari in “aiuti,” e la povertà è aumentata dall'11% al 66%. Un trilione di dollari che, oggi, farebbero comodo anche nel “ricco” occidente. Il risultato non è stata una redistribuzione di ricchezza, ma una diffusione globale della miseria.





Una Modesta Proposta

Incredibile a dirsi, la crisi economica è arrivata fino a Laputa. Tanto che, come ci racconta il nostro corrispondente dall'isola volante, si è dovuto ricorrere all'aiuto di una ditta di consulenze per affrontare l'imprevisto problema.

A giudicare dalla soluzione proposta, però, l'impressione è che la velocità di stampa delle rotative laputiane sia molto lontana dalle prestazioni di quelle terrestri: una semplice tassa sul valore aggiunto per i “produttori di moneta” sarebbe infatti da noi una pallida contromisura per lo tsunami inflattivo in arrivo.
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Di Giovanni Pesce


Anche qui a Laputa i problemi economici finanziari non mancano; la crisi ci ha colpito pesantemente.

L'onorata società che fa capo al Centro di Igiene Mentale ha chiesto la consulenza alla “Peligrosa,” ditta della quale è notoria l'affidabilità, garantita anche dalla presenza in quel consiglio di Amministrazione dell’amante del Governatore Maximo (κυβερνήτης).

Le proposte espresse dallo studio sono fondamentalmente due:
  1. Fare cassa svendendo a poco prezzo il patrimonio pubblico (Il Castello, Vicolo corto, la Centrale Elettrica fino a Parco della Vittoria);
  2. Applicare l’imposizione dell’IVA (20%) ai fabbricanti di denaro.
Qui nel nostro paese siamo un po’ legati alle tradizioni e vedere svenduto il patrimonio di tutti a poco prezzo come è successo in Italia, (1992 ed anni seguenti) metteva una certa tristezza addosso.

Pertanto la soluzione (1) è stata abbandonata.

Ma sull’applicazione dell’IVA ai fabbricanti e spacciatori di denaro ci è sembrata veramente cosa buona e giusta.

L'IVA (l'imposta sul valore aggiunto) è un'imposta che colpisce solo il valore aggiunto di ogni fase della produzione, scambio di beni e servizi; per tale ragione una produzione di biglietti che costano pochi centesimi e valgono molti €uro costituisce la base per un’imposizione fiscale del 19,99% di tutto il denaro che viene prodotto.

Idraulici e Parrucchieri di Laputa sono stati felici di ritrovare banchieri europei in fila con loro presso la sede locale dell’Agenzia dell’Entrate a presentare domande di ravvedimento per il mancato pagamento dell’IVA.

Così con un singolo atto normativo abbiamo risolto in parte i nostri problemi economici.

Certo questa soluzione è meno cruenta di quella proposta a suo tempo da Swift; però è molto semplice ed efficace.

Perche non ci pensate anche voi europei?

Saturday, May 29, 2010

L'oppio dei popoli

Bella riflessione di Gary North sul declino dell'occidente, provocato da una cultura sempre più edonista e ben rappresentata dal sempre più largo consumo di futili spettacoli d'intrattenimento (per inciso, ci rivela anche un particolare della storia della famiglia Roosevelt che non tutti conoscono).

Ma se ad ovest il sole tramonta, è solo per sorgere ad est.
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Di Gary North


Gli asiatici producono televisori e sofisticati sistemi audio per home theater a poco prezzo. Gli americani li comprano. Poi li usiamo, a caro prezzo. Il costo in produttività perduta per guardare la TV è superiore a qualsiasi altro singolo fattore di spreco nell'economia occidentale. L'unica cosa che ci si avvicina sono i media in rete. La TV consuma in media da 4 a 5 ore al giorno della vita di ogni americano. Le statistiche sono davvero stupefacenti.

Il consumo di tempo in rete si sta avvicinando, in particolare fra gli adolescenti. Gli adolescenti passano fra le 7 e le 8 ore al giorno in svaghi mediatici.

Guardo la TV forse un'ora al giorno. Attualmente la guardo di più di quanto abbia fatto per oltre 35 anni. Ho comprato uno grande schermo HDTV e il cavo nel 2008. Guardo forse tre serie drammatiche di un'ora – senza pubblicità (fast forward) – più Sunday Morning (senza pubblicità), e forse un film in chiaro. Cerco di guardare mezz'ora delle repliche di Yes, Minister su Netflix, più almeno un Jeeves & Wooster su Netflix. Quando c'è Foyle's War o il sequel, lo vedo. Questo è tutto. Così stacco dalla mia giornata del lavoro, che comincia alle 4:30 del mattino e finisce – forse – alle 7:30 o alle 8 della sera 6 giorni alla settimana.
Non spreco molto tempo.

SPRECARE TEMPO IN 3D

Per curiosità, sono andato in un negozio Best Buy nel fine settimana per vedere che aspetto ha la nuova TV Panasonic 3D. È impressionante. Ho visto il più piccolo dei 4 modelli: 50 pollici. L'immagine è esattamente come Avatar.

Il prezzo di vendita della Panasonic: 2.500 dollari. Per una nuova tecnologia che è in concorrenza con dei 2D di qualità superiore in vendita per circa 2.000 dollari, non è caro. Dovete comprare un Blu-Ray 3D player. Panasonic ne vende uno per 400 dollari. Vi danno solo un paio di occhiali. Le paia supplementari costano 150 dollari ciascuno. Sono elettriche. È lì che la Panasonic farà il suo profitto iniziale.

Ci sono pochissimi DVD 3D in giro. Ma la qualità 2D dell'apparecchio è eccellente. È una TV al plasma.

Sono un esperto in 3D. Quando avevo dieci anni, la mia nonna mi portò a vedere il Bwana Devil, il primo film moderno in 3D. Entrambi indossammo un paio dei famosi occhiali di carta polarizzata per vedere uno dei film più noiosi di tutti i tempi. Il film fece molti soldi. Questo condusse alla mania del 3D, che durò circa tre anni. Poi il CinemaScope prese il suo posto. Da quel momento in poi, il 3D è rimasto limitato ad Epcot.

Mi sono sempre piaciuti i film in 3D. Pensavo che la tecnologia della polarizzazione fosse primitiva, ma che ne valesse la pena. Non così la versione con gli occhiali rosso-blu.
Il difetto principale dell'esperienza 3D è che la luminosità del film è smorzata dalle lenti. Questo vale anche per la tecnologia della TV Panasonic.

Per come la vedo, c'è una tappa finale per completare l'esperienza della TV: il 3D senza lenti. Lo prevedo entro un decennio. Dopo, c'è il pannello olografico o niente. Abbiamo il sorround 7.1. Le mie antiche orecchie non hanno bisogno d'altro. Se arriviamo ad una visione luminosa in 3D senza lenti, finalmente affronteremo la realtà: non ci sarà miglioramento tecnico per migliorare la TV. La TV dovrà farcela da sola da quel momento in poi. Probabilmente ce la farà.

A meno che colleghino gli elettrodi ai nostri cervelli per interiorizzare le risate delle sitcom, la tecnologia della TV sta per arrivare ad un limite. È andata fin dove poteva arrivare.

Il perché qualcuno dovrebbe voler guardare il 98% di ciò che passa oggi in TV, in 3D o 2D, è una cosa che mi sfugge. Capisco che il grande sport è grandioso in 3D. Ma sono uno spettatore di sport marginale. Come usava dire il mio boss, Leonard E. Read: “Non mi interessa sapere quale squadra sindacalizzata vince.” Per quanto riguarda i reality show in 3D, mi annoierebbero altrettanto completamente che in 2D. Lo stesso vale per i telegiornali.

La televisione è l'incarnazione del commercialismo: qualcosa realizzato magnificamente che non avrebbe dovuto affatto esser realizzato. Tecnologicamente non può che stupire. Tuttavia il contenuto è di valore marginale. Come fuga, la tecnologia funziona. È mascherata come gratuita. Non è gratuita, perché il nostro tempo non è gratis. I venditori della tv hanno implementato una delle due più efficaci frasi del marketing: “è gratis” (l'altra è “tutto quello che riuscite a mangiare”).

IL POTERE DELLE STORIE

Noi amiamo le storie. I nostri genitori le hanno usate per divertirci ed insegnarci. Il Vecchio Testamento è principalmente una serie di storie. La buona pubblicità sono principalmente storie. A volte sono storie di successo. A volte no. Un esempio recente che considero molto efficace promuove un prodotto europeo. Abbiamo lo stesso prodotto negli U.S.A., ma non è presentato in questa maniera. Dopo aver visto questo annuncio, non dimenticherete il prodotto.

Una delle prime storie che ricordo è La piccola locomotiva che poteva. Le madri hanno letto quella storia ai loro bambini per oltre un secolo. Insegna la perseveranza. Anche se ho sempre pensato che la storia fosse falsa, perché metteva gli spinaci tra le cose buone da mangiare, penso che abbia modellato il mio comportamento. L'ottimismo riguardo ai progetti difficili è la base del successo. La piccola locomotiva pensava di poter farcela e ce l'ha fatta. Questo è il cuore dell'attività imprenditoriale. Non riesco a ricordare altra storia della mia infanzia con la stessa chiarezza, tranne Tootle, l'opposto della piccola locomotiva che poteva. Tootle era la locomotiva che usciva dalle rotaie per passare il tempo fra i vicini ranuncoli. Il padrone del treno le faceva un programma di modifica del comportamento per cambiarla. Ho compreso presto il messaggio. Il lavoro duro e rischioso paga. Mentre degli inaffidabili ci si occuperà a parte.

Gli americani hanno passato troppo tempo fra i ranuncoli. Gli asiatici no. Penso che una qualche forma di modifica del comportamento sia imminente. Gli americani dovranno tornare sulle rotaie. Sono andati fuori pista. La concorrenza dell'Asia modificherà il comportamento dei lavoratori americani – quelli che possono mantenere il loro lavoro.

Gli asiatici ci hanno venduti con profitto gli strumenti necessari per uscire dalle rotaie. Gli strumenti sono poco costosi. Sono abbaglianti. Sono costati così poco. Inducono al vizio. Negli anni 50 dell'800, l'occidente usò l'oppio per minare la resistenza politica della Cina all'importazione delle merci occidentali. Così Warren Delano, nonno di Franklin Delano Roosevelt, fece la fortuna della famiglia nel decennio successivo. Gli asiatici ci stanno restituendo il favore. La droga via cavo è nel 99% di tutte le case americane (vi assicuro che posso rinunciarvi in qualunque momento. Sono solo uno spettatore sociale.)

La qualità delle storie in TV non è delle più alte. Quelle che vanno per la maggiore al momento sono le storie di omicidi. Altre storie popolari si occupano di crimini minori. I buoni risolvono i casi. La nostra fede nei risolutori di crimini è ristabilita, episodio dopo episodio. Lavorano per il governo. I ricercatori riservati non sono intorno attualmente. Non c'è l'equivalente di Nick Charles, di Philip Marlowe, o di Mike Hammer. Non c'è un Jim Rockford o un Tom Magnum, e tanto meno uno Sherlock Holmes. C'è stata soltanto una serie, su un cacciatore di taglie: Wanted: vivo o morto. È stata il passaporto di Steve McQueen al grande schermo. Poi passò alla polizia con Bullitt.

Un uomo che si avvicina alla morte non ricorderà la maggior parte delle sue realizzazioni. Si ricorderà alcune buone decisioni ed alcune sbagliate, ma non ricorderà molti spettacoli televisivi. È più probabile che si ricordi di qualche pubblicità davvero ben fatta. Lo spettacolo televisivo è un modo per portare gli spot pubblicitari davanti agli occhi della gente e gli spot, minuto per minuto, richiedono più creatività. Ora noi saltiamo gli spot con il fast-forward. Questo è un altro chiodo nella bara della TV – assumendo che qualcuno usi ancora i chiodi per fare le bare.

Le buone storie ci modellano. Ancora penso in termini di scene di film. Alcuni uomini pensano in termini de Il Padrino. Io penso in termini di western, in particolare Shane. Casablanca è il nostro Amleto. Ma quando riempiamo le nostre vite con storie stereotipate il cui unico messaggio è “non girate quella rotella,” intenso come “non cambiate canale,” non devono essere buone storie. Le storie destinate soltanto ad intrattenere e non a rinforzare i temi morali fondamentali nella vita non sono degne di essere ascoltate, a meno che servano da bicchierino della buonanotte per astemi.

IL TEMPO COME CAPITALE

Come è che l'Asia ha un'enorme surplus commerciale con gli Stati Uniti? Perché il suo popolo lavora di più. Stanno infine ottenendo l'accesso al capitale. Questo capitale aumenta la loro produttività. Gli strumenti di cui hanno bisogno per competere sono resi disponibili con il risparmio. Quindi mettono in uso il capitale in una lunga settimana di lavoro. Hanno poco tempo per lo svago. Lavorano molte ore al giorno.

In contrasto, gli americani stanno perdendo il capitale con il debito al consumo ed il ritiro dalla forza lavoro. Non intendo i disoccupati. Intendo i sottoccupati. Colui che guarda la TV per 4 ore al giorno sta consumando il suo capitale più prezioso: il tempo.

Quando vediamo una società dedicata al lavoro, vediamo una società che ha una base per la crescita economica. Se si lavora duro per andare avanti, si accumula capitale. Il lavoro diventerà più efficiente. Se si lavora soltanto per comprarsi il tempo libero per giocare, non si sperimenta crescita economica.

L'Asia sta crescendo economicamente, a causa dell'orientamento verso il futuro delle persone. Gli Stati Uniti stanno a mala pena crescendo, a causa del suo orientamento al presente. Lo vediamo nella perdita di tempo connessa con l'intrattenimento. Questo è un fenomeno che abbraccia tutta la cultura. In occidente sta accelerando da almeno 85 anni. La nascita della radio ed i film hanno contrassegnato la transizione. La Seconda Guerra Mondiale ha fatto ritardare l'avvento della cultura dell'intrattenimento. Gli anni 50 hanno prodotto la prima subcultura adolescenziale. Aveva i suoi film, la sua musica ed il suo intrattenimento. Come mai? Per il reddito reso disponibile dai genitori e dai lavori part-time. I soldi entrarono nelle nostre tasche. Quella era la mia generazione. Abbiamo speso come spendono i bambini, ma abbiamo speso più soldi di quanto i bambini abbiano mai speso nella storia. Ci siamo abituati all'intrattenimento. La contro-cultura, 1965-70, è stata ancor più dedicata all'intrattenimento. Ha persino trasformato la rivoluzione culturale in intrattenimento.

Questo è accaduto ovunque in occidente. Non è stato un fenomeno unicamente americano. La rivolta degli studenti in Francia nel 1968 fu peggiore che in qualsiasi altro luogo.

Ora viviamo in una nazione che ha sofferto il consumo del capitale. Gli stranieri ci stanno fornendo il capitale. Gli asiatici comprano qualcosa come il 40% del debito del Tesoro venduto al pubblico. Questo non andrà avanti indefinitamente.

Quando abbiamo imparato a sprecare tempo e soldi in gioventù, abbiamo preso delle cattive abitudini. Queste cattive abitudini non si interrompono facilmente. Gli asiatici non hanno mai preso queste cattive abitudini. La gioventù dell'Asia è andata nelle città per ottenere lavoro, non intrattenimento.

CONCLUSIONE

Una volta che la bolla immobiliare della Cina sarà scoppiata, sarà tempo di spostare il capitale nella regione orientata al futuro. Questo popolo non è fatto solo di duri lavoratori. Non sono soltanto lavoratori ad alto rendimento a capitale dato. Sono orientati al futuro in maniera unica. Questa è una cosa nuova in Asia. Fa parte dell'influenza occidentale: socialismo fabiano in India e marxismo in Cina. Entrambi i sistemi limitano la crescita economica, ma sono sia lineari che fortemente rivolti al futuro: il regno della società pianificata centralmente. Quando la pianificazione centrale è abbandonata a causa della sua inefficienza, il concetto della storia lineare rimane.

Questo spostamento dall'occidente all'oriente non sarà invertito senza qualcosa come una trasformazione religiosa nell'occidente. L'Asia sta adottando il concetto occidentale di tempo lineare. Nel frattempo, l'occidente lo sta abbandonando: “mangia, bevi e stai allegro, perché domani moriremo.”

Non mettete tutto il vostro capitale in azioni di una nave che affonda.

Wednesday, May 26, 2010

Il consumo non spinge l'economia

“Il consumo spinge l'economia,” nel rosario keynesiano recitato quotidianamente dai media di regime, è una delle frasi-chiave più ripetute, tanto che un calo nei consumi è subito interpretato come foriero delle peggiori catastrofi, da contrastare immediatamente con consistenti iniezioni di denaro nel mercato.

Mark Skousen, autore del libro The Making of Modern Economics recentemente premiato come miglior testo accademico del 2009, svela in breve la fallacia insita in questo sillogismo.
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Di Mark Skousen


“La spesa di consumo rappresenta più del 70 per cento dell'economia e solitamente spinge la crescita in una ripresa economica.”

“I consumatori spingono l'economia,” New York Times, 1° maggio 2010

Ogni trimestre, quando il governo pubblica i suoi ultimi dati sul P.I.L., sentiamo il solito ritornello:

“Quello che fa il consumatore è vitale per la crescita economica.”

“Se il consumatore comincia a risparmiare e smette di spendere, abbiamo un grosso problema.”

“La spesa di consumo rappresenta il 70 per cento dell'economia.”

Quest'ultimo “fatto” viene ripetuto regolarmente nelle news dalla Associated Press, dal Wall Street Journal e dal New York Times.

La verità è che la spesa di consumo non rappresenta il 70 per cento dell'attività economica e non è il sostegno dell'economia degli Stati Uniti. Ad esserlo sono gli investimenti! La spesa commerciale su beni capitali, la nuova tecnologia, l'attività imprenditoriale e la produttività sono più significativi della spesa di consumo nel sostenere l'economia ed un più alto tenore di vita. Nel ciclo economico, la produzione e l'investimento conducono l'economia dentro e fuori dalle recessioni; la domanda al dettaglio è la componente più stabile dell'attività economica.

Garantito, la spesa di consumo personale rappresenta il 70 per cento del prodotto interno lordo, ma i giornalisti dovrebbero sapere dalla prima lezione di economia che il P.I.L. misura soltanto il valore della produzione finale. Omette deliberatamente un bel pezzo di economia – la produzione intermedia e i beni parziali nelle varie fasi di produzione – per evitare il doppio computo. Ho calcolato che la spesa totale (vendite o ricevute) in tutte le fasi dell'economia è più del doppio del P.I.L. (usando le ricevute commerciali lorde compilate annualmente dall'IRS). Con questa misura – che ho definito spesa interna lorda, o SIL – il consumo rappresenta soltanto il 30 per cento circa dell'economia, mentre l'investimento aziendale (produzione intermedia compresa) rappresenta oltre il 50 per cento.

Quindi la verità è proprio il contrario: la spesa di consumo è l'effetto, non la causa, di una sana economia produttiva.

L'importanza della legge di Say

Nel mercato prevale questa verità: è l'offerta – non la domanda – a spingere l'economia. Il risparmio, la produzione ed i progressi tecnologici sono le chiavi della crescita economica. Questo principio è stato scoperto e sviluppato dal brillante economista francese Jean-Baptiste Say nel primo diciannovesimo secolo ed è conosciuto come legge di Say. In effetti, egli inventò la parola “imprenditore” per descrivere il principale catalizzatore della performance economica.

La vendita al dettaglio è un indicatore economico guida? Ogni mese il Conference Board rilascia i suoi Indici Economici Guida per gli Stati Uniti ed altri nove paesi. I dieci indici guida degli Stati Uniti sono:
  • nuovi ordini dei fornitori
  • permessi di costruzione
  • dati sulla disoccupazione
  • ore settimanali medie di produzione
  • massa monetaria reale
  • prezzi delle azioni
  • la curva di rendimento
  • nuovi ordini per i beni di investimento al netto degli ordini riguardanti il comparto della difesa
  • prestazione dei venditori
  • indice delle aspettative dei consumatori
Come potete vedere, quasi tutti gli indici sono legati agli stadi iniziali della produzione e dell'attività economica.

L'ingannevole indice della fiducia dei consumatori

Che dire dell'indice della fiducia dei consumatori che i media evidenziano ogni mese? La verità è che il titolo è ingannevole. Le domande poste ai consumatori riguardano più le condizioni del mercato che l'attitudine verso la spesa. Queste sono le domande poste ai consumatori per determinare le loro “aspettative”:
  1. Le attuali condizioni del mercato sono buone, cattive, o normali?
  2. Vi aspettate che le condizioni del mercato saranno buone, cattive, o normali nei prossimi sei mesi?
  3. Attualmente i posti di lavoro sono abbondanti, non così abbondanti, o difficili da ottenere?
  4. Prevedete che i posti di lavori saranno più abbondanti, non così abbondanti, o difficili da ottenere nei prossimi sei mesi?
  5. Progettate di comprare un'auto/casa/elettrodomestico nuovo/usato [nota: questi sono tutti beni di consumo durevoli, non diversi dai beni capitali durevoli] entro i prossimi sei mesi?
  6. Statee progettando una vacanza negli Stati Uniti o all'estero entro i prossimi sei mesi?
In altre parole il molto pubblicizzato indice della fiducia dei “consumatori” è più una previsione dei consumatori sul mercato, l'occupazione ed i beni durevoli che sulla “vendita al dettaglio” e sulla spesa di consumo. Non fa alcuna domanda su cibo, vestiti, intrattenimento ed altri acquisti di breve termine, perché queste spese raramente cambiano da un mese all'altro.

La realtà è che il vero indicatore di tendenza dell'economia e del mercato azionario è la spesa d'investimento e commerciale. Se volete sapere dov'è diretto il mercato azionario, dimenticatevi i grafici della vendita al dettaglio e della spesa di consumo. Osservate la fabbricazione, la spesa per gli investimenti, i profitti corporativi ed i profitti da produzione.

Guardatevi dalla legge di Keynes

Il motivo per cui sentiamo così tanto parlare dei consumatori è perché i media e i commentatori politici vivono ancora sotto l'incantesimo dell'economia keynesiana, che insegna che la domanda crea l'offerta. La legge di Keynes è esattamente l'opposto della legge di Say (l'offerta crea la domanda). Secondo i keynesiani, la spesa di consumo guida l'economia ed il risparmio è un male quando l'economia è in una contrazione di breve termine.

In realtà, l'aumento di risparmio può effettivamente stimolare l'economia, anche se la spesa di consumo è anemica. Un recente studio della Fed di St. Louis ha concluso che a breve scadenza, “un più alto tasso di risparmio nel quarto corrente è associato con una crescita economica più veloce (non più lenta) nei quarti correnti e prossimi” (Daniel L. Thornton, Personal Saving and Economic Growth,” Economic Synopses, St. Louis Fed, 17 dicembre 2009).

Come è possibile questo? Quando la gente risparmia di più, i tassi di interesse scendono e le aziende possono permettersi di sostituire i loro vecchi macchinari con nuovi strumenti, spendere di più su ricerca e sviluppo, o sviluppare nuovi processi produttivi. Così anche se la spesa di consumo può rimanere bassa, la spesa commerciale può compensare quel rallentamento. Ricordate, in un'economia dinamica la decisione delle aziende di spendere più fondi d'investimento ed impiegare più lavoratori è una funzione sia della domanda dei consumatori presente che di quella futura. E non dimenticate che, durante una recessione, i profitti corporativi recuperano spesso per primi, senza un aumento nella domanda dei clienti, perché le aziende possono amplificare i profitti riducendo i costi e le dimensioni.

A lungo termine nuove strategie aziendali e modelli di spesa aumentano la produttività ed abbassano i prezzi al consumo, il che significa che il potere d'acquisto del consumatore aumenta. Come conclude la Fed di St. Louis, “un più alto tasso di risparmio significa meno consumo [a breve scadenza], ma potrebbe anche provocare un maggiore investimento di capitali e, infine, un più alto ritmo di espansione dell'economia…. il tasso di crescita del P.I.L. reale è stato mediamente più alto quando il tasso di risparmio personale è aumentato rispetto a quando è sceso.”

Ve lo garantisco, la funzione definitiva dell'attività economica e imprenditoriale è di soddisfare i bisogni dei consumatori e le aziende di maggior successo sono quelle che soddisfanno i loro clienti. Ma la cosa più importante è: chi scopre i nuovi e migliori prodotti che i consumatori desiderano? Chi è il catalizzatore che determina la quantità, la qualità e la varietà di beni e di servizi? È stato il consumatore ad avere l'idea del personal computer, del SUV, del fax, del telefono cellulare, di Internet e dell'iPhone? No, queste realizzazioni tecniche sono venute dal genio di imprenditori creativi e dei risparmiatori/capitalisti che hanno finanziato le loro invenzioni.

Tuesday, May 25, 2010

Maynard #2

Nuova striscia per Usemlab (a qualcuno parrà strano, ma quella illustrata è davvero la soluzione ultima al problema della disoccupazione proposta da Keynes).

Monday, May 24, 2010

Il pensiero fa marcire la mente!

Niente dà più fastidio alle autorità costituite di tutto ciò che è libero, tanto che ogni crisi, ogni problema che lo stato mostra di non saper risolvere viene regolarmente attribuito a quelle cose che in qualche misura si possono ancora considerare – o anche solo chiamare – libere.

Un esempio recente di questa attitudine è senz'altro la crisi economica, provocata, come i nostri benefattori non si stancano mai di ripetere, dal mercato libero, troppo libero anche se servirebbe un microscopio elettronico per riuscire a misurare i gradi di differenza tra il nostro attuale ambiente economico e quello della fu Unione Sovietica.

Ma se c'è una cosa - tra quelle libere – che fa davvero saltare i nervi ai gestori del potere, è senza dubbio il libero pensiero, quella pervicace attitudine dell'individuo che ogni governante della storia ha sempre cercato di estirpare, o almeno di far appassire negandogli il suo indispensabile nutrimento: il flusso libero dell'informazione. Butler Shaffer ci racconta degli attuali sforzi di Obama in questo senso.
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Di Butler Shaffer



“Senza censura, le cose possono diventare terribilmente confuse nella mente del pubblico.

~Gen. William Westmoreland

“È una fortuna per i governanti che gli uomini non pensino.

~Adolf Hitler


In un recente discorso di inaugurazione, il presidente Obama ha dichiarato che “le informazioni diventano una distrazione, una diversione” che mette “pressione sul nostro paese e sulla nostra democrazia.” Le innovazioni tecnologiche – internet compresa – producono “un ambiente mediatico 24 su 24 che ci bombarda con ogni genere di discussioni, alcune delle quali non si qualificano sempre così in alto sulla scala della verità.” Ha aggiunto che “con tante voci che reclamano attenzione sui blog, sui canali tv, sulle radio, può essere difficile, a volte, setacciare tutto – per sapere a cosa credere, per capire chi dice la verità e chi no.” Hillary Clinton espresse simili preoccupazioni alcuni anni fa quando suggerì di creare un “guardiano“ per internet, per impedire che proprio tutti potessero esprimere le loro opinioni in pubblico.

Un libro che sto attualmente scrivendo tratta della domanda epistemologica: come sappiamo ciò che sappiamo? Questa è senza dubbio la domanda più importante che l'umanità dovrà mai affrontare, una domanda che ciò nonostante non riusciamo a farci perché i nostri custodi mentali istituzionali trovano che una tale indagine sia troppo pericolosa e minacci il mantenimento dei loro interessi nello status quo. Se le istituzioni sono organizzazioni che sono diventate il loro stesso motivo di esistere, la nostra indagine su come siamo arrivati ad accettare un simile pensiero potrebbe essere devastante per questi sistemi.

La vita stessa dipende dalla nostra capacità di adattarci creativamente ad un ambiente che cambia. È dalla resilienza – non dalla rigidità – che dipende la vita. Ma per agire per realizzare fini favorevoli alla vita, dobbiamo potere identificare, analizzare ed agire in base alle condizioni che ci troviamo di fronte. Ecco perché la libertà è centrale per la sopravvivenza umana, dato che permette alle persone di rispondere alle circostanze secondo il consiglio del loro giudizio individuale. Ma la loro efficacia dipenderà dalla loro capacità di pensare liberamente, così come dalla natura realistica ed esatta delle informazioni sulla base delle quali devono agire.

Il problema che incontriamo è che l'informazione è molto ambigua, incompleta e di qualità definita soggettivamente. Ciascuno di noi cerca, scopre e valuta le informazioni in accordo con le domande delle nostre precedenti esperienze. Oltre a questo, lo studio del “caos” ci dice che il nostro universo è troppo interconnesso con reti di variabilità per permetterci di conoscere tutto ciò che influenza le nostre decisioni. La nostra capacità di predire risultati richiede una “sensibile dipendenza dalle condizioni iniziali,” che si traduce nel nostro essere in grado non solo di identificare tutti i fattori che influenzano gli eventi, ma anche di misurare il grado preciso della loro influenza (se ne dubitate, provate a predire i precisi eventi che si verificheranno nella vostra vita per i prossimi sette giorni).

Incerta com'è, la qualità delle informazioni a nostra disposizione è un fattore principale nel determinare come dobbiamo vivere. Una delle caratteristiche principali di un imprenditore si trova nella sua capacità di identificare ed agire sulla base di informazioni che gli altri non vedono. Se ho trovato una fonte di gingilli che posso comprare a 10 dollari l'uno e so di un consistente gruppo di persone che (a) non sia informato di questa fonte, (b) è disposto a pagarmi 20 dollari ogni gingillo e (c) i miei costi per farli arrivare a questo mercato ammontano a solo un dollaro l'uno, probabilmente farò un affare.

L'informazione è inoltre al centro del nostro agire sociale e politico. Un capo tribù basava la sua autorità sui nostri più primitivi antenati avvertendoli delle minacce esterne – note solo a lui – e del suo speciale contatto con gli dei che lo avrebbero assistito nel suo comando. Come abbiamo visto più di recente, la paura ci induce a radunarci intorno a coloro che ci promettono protezione. Ciò è dovuto alla nostra innocente credenza che i nostri presunti “protettori” abbiano a disposizione più informazioni di noi.

Nel tempo, le informazioni fornite non solo dagli altri, ma dalle nostre stesse esperienze, ci dicono non solo che coloro ai quali abbiamo affidato il potere non godono di un maggiore accesso alla “verità” ma, in più, che la maggior parte delle paure che ci incutono sono state fabbricate e propagandate dagli stessi cercatori di potere. Ricordate tutte quelle “armi di distruzione di massa” con le quali gli iracheni progettavano di attaccarci? Avete sentito parlare di quell'inventata “glaciazione in arrivo” (oops, “riscaldamento globale,” oops, “cambiamento climatico”) che continua ad essere modificata ed impiegata negli sforzi politici per controllare la nostra vita quotidiana?

Johann Gutenberg dimostrò al mondo che il flusso libero di informazioni è molto liberatorio. La sua invenzione dei caratteri mobili ha consentito ad uomini e donne di leggere ed informare le loro menti, senza bisogno di figure autoritarie che spiegassero loro la natura delle cose. Il lavoro di Gutenberg è responsabile non solo della Riforma, ma di gran parte del Rinascimento, dell'Illuminismo, dell'era scientifica e, infine, del più creativo e liberatorio di tutti i periodi, la Rivoluzione Industriale.

Col passare del tempo, gli esseri umani hanno cominciato a vedere quanto l'informazione fosse personalmente rilevante alla qualità delle loro vite. Allo stesso tempo, gli uomini del racket politico i cui interessi dipendevano dal fatto che le loro vittime rimanessero in una condizione d'ignoranza controllata istituzionalmente, hanno visto minacciato il loro potere. In una forma o nell'altra, i maniaci del controllo hanno abbracciato la censura e il bruciare libri. Furono le menti delle persone, non solo i loro corpi, ad essere bruciate sulle pire. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury mostra fino a che punto uno stato totalitario potrebbe arrivare per conservare il proprio controllo sulla mente delle persone. Mark Twain espresse tale idea in modo più ironico quando disse: “La verità è la cosa di maggior valore che abbiamo. Usiamola con parsimonia.”

Le tecnologie computerizzate continuano ad inventare nuovi sistemi per la creazione e la comunicazione di informazioni, il più familiare dei quali è internet. Creato come rete interna per le agenzie militari, si è diffuso rapidamente – come un genio liberato dalla lampada – nel resto della società. In breve tempo decine di milioni di persone stavano comunicando con innumerevoli altri ogni materiale avessero scelto di trasmettere e ricevere. Il modello del flusso di informazioni strutturato verticalmente che si trova nelle scuole, nelle religioni, nei media e nel governo – basato sull'idea che “vi diremo noi quello che vogliamo che sappiate” è collassato in reti orizzontali gestite da nessuno che abbia un potere monopolista di controllarne i contenuti. Vostro zio Harlow o vostra nipote Marcia possono diventare fonti d'informazione per altri che scegliessero di leggere le loro opinioni.

Ma l'influenza liberatoria dell'informazione a flusso libero è risultata essere un disturbo per i membri dell'establishment dello stato corporativo la cui autorità sugli altri dipende dal mantenimento di una forma mentale subordinata. L'informazione porta le persone a riflettere sulla situazione della loro vita. Cominciano a vedere le bugie, la corruzione, le frodi, la violenza ed il saccheggio che sono stati impiegati – con l'aiuto della propaganda assicurata dalle scuole e dai mass media – per mantenerle nella loro condizione servile. Come gli abitanti disillusi della Fattoria degli Animali, le greggi hanno cominciato a disperdersi. Le pecore stanno abbandonando i loro ovili; il bestiame si precipita verso pascoli più verdi.

Il burattino presidenziale dell'establishment avverte gli americani che le “distrazioni” prodotte dal flusso libero di informazioni ed opinioni creerà più “pressioni.” Un dizionario definisce “pressione” come “l'azione di una forza contro una forza opposta.” Le classi dirigenti non possono tollerare simili influenze compensatrici che rovescerebbero lo status quo che vogliono mantenere. Perché farlo equivarrebbe a riconoscere la legittimità di interessi diversi dai loro. Del resto, lo sforzo per distinguere la “verità” dalla “falsità” impone una grave peso sulla mente individuale. La maggior parte di noi è contenta di permettere che altri sopportino questo peso per noi; di lasciare che le scuole e i media ci forniscano il livello ottimale di conoscenza e di comprensione con il quale possiamo funzionare nelle stalle a noi assegnate come utili servomeccanismi istituzionali. I custodi del nostro pensiero potrebbero riassumerci il loro messaggio con le parole implicite nel discorso del presidente Obama ai neodiplomati: “limitate il vostro pensiero a ciò che è nel nostro interesse farvi sapere. Noi vi terremo informati.”

Saturday, May 22, 2010

Grazie a tutti!

La presentazione della prima raccolta della striscia Collective Hope – Burocrati nello spazio – è andata molto bene. Una bella occasione per incontrare amici vecchi e nuovi, e altri che conoscevo solo per via virtuale.

Ringrazio tutti gli intervenuti e, visto che qualcuno è rimasto senza, ricordo gli indirizzi ai quali è possibile acquistare il libro online:

sul sito del movimento libertario;

sul sito usemlab;

sul sito usemlab, in offerta speciale a 18 euro insieme al libro di Francesco Carbone Prevedibile e Inevitabile, un volume indispensabile per capire la crisi.


Inoltre, ringrazio di tutto cuore gli amici Felice Capretta e Luca F. che sui loro blog – Informazione Scorretta e Io voto Pro Lib3rtarian Iniziative – hanno promosso, in forma assolutamente gratuita, la striscia e il libro.

Politica e statistica #2

Di Murray Rothbard


Uno dei principali fondatori della moderna inchiesta statistica in economia fu sicuramente Wesley C. Mitchell. Non c'è dubbio che Mitchell aspirava a porre le basi per la pianificazione “scientifica” del governo. Così:
[Citando da Mitchell] “il tipo di invenzione sociale più necessario oggi è chiaramente quello che offre tecniche definite con cui il sistema sociale possa essere controllato e manovrato per il vantaggio ottimale dei suoi membri.” A questo scopo [Mitchell] cercò costantemente di estendere, migliorare e raffinare la raccolta e la compilazione dei dati…. Mitchell credeva che l'analisi del ciclo economico… avrebbe potuto indicare il mezzo per il successo dell'ordinato controllo sociale dell'attività economica. [12]
E:
[Mitchell] vedeva il grande contributo che il governo avrebbe potuto dare alla comprensione dei problemi economici e sociali se i dati statistici raccolti indipendentemente da vari enti federali fossero stati sistematizzati e pianificati in modo che le correlazioni fra essi potessero essere studiate. L'idea di sviluppare la statistica sociale, non soltanto come registro ma come base per la pianificazione, emerse presto nel suo lavoro. [13]
Il resoconto dell'aumento degli enti statistici del governo federale differisce poco dagli esempi di cui sopra. L'Ufficio del Budget, durante l'amministrazione non rabbiosamente socialista del presidente Eisenhower, spiegava il continuo aumento delle statistiche federali come segue:
La crescita e la prosperità della nazione hanno richiesto un comportamento illuminato degli affari pubblici con l'aiuto di informazioni fattuali. La responsabilità ultima del governo federale nell'assicurare la salute dell'economia nazionale è stata sempre implicita nel sistema americano. [14]
Quindi, parlando dell'era del New Deal dopo il 1933, l'ufficio aggiunse:
Si cominciò a comprendere nel congresso e nelle alte cerchie dell'amministrazione che proposte sane e positive per combattere la depressione avevano richiesto un'analisi basata su informazioni certe. Di conseguenza… l'espansione statistica venne ripresa ad un passo accelerato. [15]
È sufficiente allora dire che una causa principale della proliferazione delle statistiche governative è il bisogno di dati statistici nella pianificazione economica di governo. Ma il rapporto funziona anche al contrario: lo sviluppo delle statistiche, spesso aumentate in origine nel loro stesso interesse, finisce per moltiplicare le vie di intervento del governo e della pianificazione. In breve, le statistiche non hanno bisogno di essere elaborate originariamente per fini politico-economici; il loro stesso sviluppo autonomo, direttamente o indirettamente, apre nuovi campi da sfruttare per gli interventisti.

Ogni nuova tecnica statistica, che sia flusso di fondi, economia interindustriale, o analisi di attività, in breve acquisterà la propria posizione ed applicazione nel governo. Un esempio particolare è l'analisi input-output, che ebbe inizio come tentativo puramente teorico di fornire contenuto empirico al sistema walrasiano dell'equilibrio generale. È ora arrivata al punto in cui i suoi campioni la acclamano perché fornisce
un'immagine integrata del meccanismo industriale. Credono che possa misurare con buona esattezza i cambiamenti nei rapporti interindustriali che seguirebbero a presupposte variazioni “nel conto finale delle merci…” In pratica, la variazione più importante nel conto delle merci è quello richiesto dal riarmo su grande scala. Non provoca molto stupore, quindi, che la maggior parte dello sviluppo e dell'applicazione degli studi dell'input-output è stata collegata con la mobilizzazione industriale. [16]
Ci sono altre ragioni per le quali l'orientato statisticamente tenderà a diventare interventista. Per prima cosa, lo statistico economico tenderà ad essere insofferente verso ogni teoria considerandole “speculazioni da poltrona,” e quindi tenderà a sostenere il tipo di pianificazione governativa graduale, pragmatica, decidi-ogni-caso-nel-“merito.” È forse vero, come dichiara Stigler, che pochi economisti empirici sono diventati autentici socialisti o comunisti; un tale percorso sarebbe troppo teorico per loro. Ma nemmeno sono diventati aderenti del laissez-faire; invece, il metodo caso-per-caso e ad hoc li guida lungo il percorso di un confuso interventismo governativo.

Non so se, come afferma Stigler, “l'ala più radicale dei sostenitori del New Deal non si era distinta per la propria conoscenza empirica dell'economia americana.” Ma certamente i Tugwell e gli Stuart Chase e i vebleniani proclamarono il loro empirismo abbastanza spesso. E gli storici del New Deal, in genere, lo elogiano molto per il suo metodo elastico e pragmatico.

Un'altra ragione per la quale la statistica ed il pragmatismo politico sono reciprocamente congeniali è che lo stesso marchio di riconoscimento del metodo pragmatico è di cominciare cercando i problemi o i “settori problematici” nella società. Il pragmatista cerca le zone dove l'economia e la società non sono esattamente un giardino dell'Eden e queste, naturalmente, abbondano. Povertà, disoccupazione, anziani con scorbuto, giovani con denti cariati – la lista è effettivamente infinita. E mentre ogni problema si moltiplica sotto le cure della sua volenterosa ricerca, il pragmatista esige in maniera sempre più stridula che il governo faccia qualcosa – rapidamente – per risolvere il problema. Soltanto una severa e deduttiva teoria economica aprioristica può insegnargli qualcosa su mezzi e fini, sulla destinazione delle risorse, sul costo di opportunità e sulle altre rigidità della disciplina economica.

Tenendo conto degli argomenti di cui sopra, non meraviglia che i membri conservatori del Congresso, prima che venissero indottrinati nelle moderne delicatezze economiche dal Comitato Misto sul Rapporto Economico, sospettavano molto dell'espansione apparentemente inoffensiva delle attività statistiche federali. Quindi, nel 1945, il rappresentante Frank Keefe, membro repubblicano conservatore del Congresso dal Wisconsin, procedeva all'interrogazione del dott. A. Ford Hinrichs, capo dell'Ufficio delle Statistiche del Lavoro, sulla richiesta di quest'ultimo di un aumento di stanziamenti. Nel corso dell'interrogazione, i dubbi di Keefe circa le statistiche di governo emersero come un grido dal suo cuore – non sofisticato forse, ma almeno di sano istinto conservatore:
Non c'è dubbio che sarebbe bello avere un sacco di statistiche…. Mi sto solo chiedendo se non ci stiamo imbarcando in un programma pericoloso continuando ad aggiungere ed aggiungere ed aggiungere a questa cosa.

Stiamo pianificando e raccogliendo statistiche fin dal 1932 per provare ad affrontare una situazione di carattere interno, ma non siamo mai stati in grado nemmeno di affrontare quella questione…. Ora siamo coinvolti in una questione internazionale…. A me pare che stiamo passando una quantità tremenda di tempo con i grafici e le tabelle e le statistiche e la pianificazione. Quello che interessa alla mia gente è, cos'è tutto ciò? Dove stiamo andando e dove state andando? [17]
Penso che possiamo concludere che la principale differenza fra Stigler e me è questa: per lui un radicale o un non conservatore è essenzialmente un socialista o un comunista. Per me, un non conservatore è qualcuno che predica l'intervento piuttosto che il laissez-faire. La differenza è sostanziale. Se definiamo il conservatorismo come Stigler, allora è vero che la maggior parte degli economisti sono conservatori; se lo definiamo come credere nel laissez-faire, allora la conclusione dev'essere molto diversa. Perché la chiave allora diventa non tanto l'economia e la non economia quanto teoria contro empirismo. Gli empirici tenderanno meno ad essere socialisti completi, ma anch'essi seguiranno generalmente una deriva verso l'intervento. [18]

Eppure, alla fine, è probabilmente vero che persino la percentuale di chi crede nel laissez-faire è molto maggiore fra gli economisti che in altre discipline accademiche, e che il punto “medio” sulla scala ideologica in economia è considerevolmente “sulla destra” della media in altri campi di studio. Sembra che la disciplina economica, di per sé, imponga una variazione verso destra nella fede ideologica. E questa, dopo tutto, è la questione principale dell'articolo di Stigler.

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Note

[12] Joseph Dorfman, The Economic Mind in American Civilization (New York: Viking Press, 1949), 4, pp. 376, 361.

[13] Lucy Sprague Mitchell, Two Lives (New York: Simon e Schuster, 1953), p. 363. Corsivo mio.

[14] Dichiarazione dell'Ufficio del Budget, in Economic Statistics, Udienze di Fronte al Sottocomitato sulle Statistiche Economiche del Comitato Misto per il Rapporto Economico, ottantatreesimo Cong., 2d sess., 12 luglio 1954 (Washington, DC: Ufficio per la Stampa degli Stati Uniti, 1954), pp. 10-12.

[15] Ibid.

[16] Raymond W. Goldsmith, “Introduction,” in Input–Output Analysis, An Appraisal (Princeton, NJ.: National Bureau of Economic Research, 1955), p. 5. Come affermano Hoffenberg ed Evans: “È a causa della necessità di fare un lavoro migliore nell'analisi della mobilizzazione industriale… che sono in corso la maggior parte degli attuali sviluppi nel campo dell'economia interindustriale.” W. Duane Evans e Marvin Hoffenberg, "The Nature and Uses of Interindustry-Relations: Data and Methods," ibid., p. 102. Inoltre vedi ibid., pp. 116ff e le critiche dell'analisi input/output di Clark Warburton e Milton Friedman, ibid., pp. 127, 174.

Un altro esempio dell'analisi input/output come stimolo per la raccolta di statistiche e la pianificazione di governo: “mentre ci può essere un pensiero sistematico fra gli economisti sull'analisi economica applicata a regioni, essi possono offrire pochi consigli ai politici a meno che gli ultimi siano preparati a rendere più facile l'ottenere la materia prima statistica” A.T. Peacock e D.G.M. Dosser, "Regional Input–Output Analysis and Government Spending," Scottish Journal of Political Economy (novembre 1959): p. 236.

[17] Ministero del Lavoro - Legge di Stanziamento FSA per il 1945. Udienze di fronte al Sottocomitato del Comitato della Camera sugli Stanziamenti. settantottesimo Cong., 2d sess., pt. 1 (Washington, DC: Ufficio per la Stampa degli Stati Uniti, 1945), pp. 258ff, 276ff.

[18] Ci sono inoltre profondi motivi epistemologici per l'empirismo nelle “scienze sociali” che tendono verso lo statalismo. Questo coinvolge l'intero problema del positivismo e dello “scientismo.” Su questo, vedi F.A. Hayek, The Counter-Revolution of Science (Glencoe, ifi.: The Free Press, 1952).
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Link alla prima parte.

Monday, May 17, 2010

Politica e statistica #1

I grandi romanzi distopici del passato provarono ad avvertirci di come la rinuncia al primato dell'individuo a favore del collettivismo di stato avrebbe portato alla riduzione in semplici numeri degli esseri umani, numeri da calcolare per aggregati come nell'economia keynesiana. Ma quegli avvertimenti non sono stati ascoltati, e le nostre vite sono oggi solo un segno su qualche tabella negli istituti di statistica.

In questo articolo, publicato 50 anni fa (!) su The Quarterly Journal of Economics nel febbraio 1960, Rothbard spiega come il proliferare delle statistiche – oggi praticamente ubique – sia intimamente legato all'aumento del ruolo e dell'intervento del governo nell'economia.

Prima parte di due.

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Di Murray Rothbard


Durante la sua interessante discussione su “la Politica degli Economisti Politici,” il professor Stigler sfida la presunta opinione del professor Mises per cui “la statistica economica, o più in generale l'economia quantitativa – generano una posizione politica radicale.” [1] Stigler afferma che lo studente empirico acquisisce una “vera sensibilità” per il funzionamento di un sistema economico e “ha le complessità dell'economia impresse a fuoco nella sua anima.” Senza entrare nel merito dell'opinione precisa di Mises sulla questione, penso sia importante notare come Stigler abbia trascurato diverse considerazioni fondamentali.

In primo luogo, le statistiche sono disperatamente necessarie per ogni tipo di pianificazione governativa del sistema economico. In un'economia di mercato, la singola azienda ha poco o nessun bisogno delle statistiche. Deve soltanto conoscere i suoi prezzi e costi. I costi vengono in gran parte scoperti internamente in seno alla ditta e non sono quei dati generali dell'economia che chiamiamo solitamente “statistica.”

Il mercato “automatico,” allora, non richiede virtualmente alcuna collezione di statistiche; l'intervento del governo, dall'altro lato, sia in parte che del tutto socialista, non potrebbe letteralmente far nulla senza una vasta raccolta di mucchi di statistiche. La statistica è l'unica forma di conoscenza dell'economia per il burocrate, e sostituisce la conoscenza intuitiva, “qualitativa” dell'imprenditore, guidato soltanto dal test quantitativo dei profitti e delle perdite. [2] Di conseguenza, la spinta per l'intervento governativo e quella per più statistica, sono andate di pari passo. [3]

L'enorme espansione dell'attività governativa nella raccolta e diffusione di statistiche durante gli ultimi 25 anni non è certo solo per coincidenza correlata alla simile espansione del ruolo del governo nella regolamentazione e nella manipolazione dell'economia. Uno delle principali autorità sulla crescita della spesa pubblica l'ha così descritta:
Il progresso nella scienza economica e statistica ha migliorato la nostra conoscenza delle differenze nei bisogni e nelle potenzialità all'interno degli stati e da uno stato all'altro, e può contribuire a stimolare il sistema delle sovvenzioni statali e federali. Ha rinforzato la fiducia nelle possibilità di occuparsi dei problemi sociali tramite l'azione collettiva. Ha portato ad un aumento nelle attività statistiche e di indagine del governo. [4]
Non dobbiamo qui entrare nel dettaglio del vasto uso che è stato fatto delle statistiche sul reddito nazionale e sul prodotto interno lordo, così come di altre misure statistiche, nei tentativi del governo federale di lottare contro i cicli economici o la disoccupazione.

Né questa è solo una storia contemporanea. Un autorevole lavoro sul governo britannico descrive così il caso:
il ruolo minore del governo durante il diciannovesimo secolo non riflette solo l'assenza di una disgregazione economica violenta; riflette anche l'infanzia delle scienze economiche e sociali. Rispetto agli ultimi decenni, il volume di informazione sistematica sulle condizioni sociali era molto piccolo, il che significava che era difficile stabilire in modo persuasivo l'esistenza di problemi…. Se il volume della disoccupazione è sconosciuto, la gravità del problema è in dubbio.

L'accumulazione di informazioni effettive sulle condizioni sociali e lo sviluppo dell'economia e delle scienze sociali hanno aumentato la pressione per l'intervento del governo…. Inchieste come Life and Labor of the People in London di Charles Booth rivelarono condizioni che scossero l'opinione pubblica verso la fine degli anni 80 e degli anni 90. Con il miglioramento delle statistiche ed il moltiplicarsi degli studenti delle condizioni sociali, la continua esistenza di tali condizioni rimase visibile al pubblico. La crescente conoscenza di esse ridestò cerchie influenti e fornì ai movimenti della classe operaia delle armi efficaci. [5]
Certamente il ruolo degli assidui studi empirici della Fabian Society nella promozione della causa del socialismo in Gran Bretagna è fin troppo nota per approfondirla in questa sede.

Sul continente ed in America alla fine del 19esimo secolo, è ben noto che i ribelli contro il laissez-faire e l'economia politica classica sollecitarono la loro sostituzione con l'induzione dalla storia economica e dalla statistica. Questo era l'obiettivo della Scuola Storica Tedesca e del suo Verein für Sozialpolitik e degli esponenti giovani e di formazione tedesca della “nuova economia politica” dell'intervento governativo negli anni 70 e 80 dell'ottocento. [6] Uno dei loro leader, Richard T. Ely, che chiamò il nuovo approccio metodo “guarda e vedi,” chiarì che lo scopo della raccolta di fatti era “modellare le forze al lavoro nella società e di migliorare le condizioni attuali”; essi credevano di avere come economisti la responsabilità di “modellare il carattere dell'economia nazionale.” [7]

E non trascuriamo l'eminente sociologo interventista Lester Frank Ward, la cui economia pianificata “scientifica” e “positiva,” sarebbe consistita di una “ingegneria sociale” basata su informazioni statistiche inserite da ogni parte del paese in un ufficio centrale di statistica. [8]

Né erano soltanto speculatori dell'astratto ad esprimere tali opinioni. Gli stessi statistici presero parte a questo movimento. Fin dal 1863, Samuel B. Ruggles, delegato americano al Congresso Statistico Internazionale a Berlino, dichiarava che “le statistiche sono gli occhi stessi dello statista, che gli permettono di esaminare ed esplorare con una visione libera e completa l'intere struttura ed economia del corpo politico.” Uno dei fondatori del Verein für Sozialpolitik era il famoso statistico Ernst Engel, capo dell'Ufficio Statistico Reale di Prussia. [9]

E Carrol D. Wright, uno dei primi commissari del lavoro negli Stati Uniti e uomo notevolmente influenzato da Engel, sollecitò la raccolta delle statistiche sulla disoccupazione perché voleva trovare un rimedio (presumibilmente per mezzo dell'azione governativa). Wright acclamò la nuova scuola tedesca per il suo includere uomini di ogni terra “che cercano, con mezzi legittimi e senza rivoluzioni, di migliorare rapporti industriali e sociali disagiati.” Henry Carter Adams, un allievo di Engel, che istituì l'Ufficio Statistico della Commissione di Commercio Interstatale, credeva che “una sempre crescente attività statistica da parte del governo sia essenziale non solo per il controllo delle industrie naturalmente monopolistiche, ma anche per il funzionamento efficiente della concorrenza ove possibile.” [10] E certamente uno di grandi stimoli verso la costruzione degli indici dei prezzi all'ingrosso e di altro tipo era il desiderio che il governo stabilizzasse il livello dei prezzi. [11]
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Note

[1] George Stigler, “The Politics of Political Economists,” Quarterly Journal of Economics 73 (novembre 1959): p. 529.

[2] Sul tipo di conoscenza richiesto per un imprenditore nell'economia di mercato, vedi F.A. Hayek, Individualism and the Economic Order (Chicago: University of Chicago Press, 1948), chaps. 4 and 2.

[3] A questo proposito, possiamo notare la distinzione del professor Hutchison fra l'accento di Carl Menger sui fenomeni della società benefici, non pianificati, “non riflettuti” (che, naturalmente, comprendono il mercato libero) e sulla crescita della “auto-coscienza sociale” e della pianificazione di governo. Per Hutchison, una componente prominente della “auto-coscienza sociale” è la statistica sociale ed economica. Terence W. Hutchison, A Review of Economic Doctrines, 1870–1929 (Oxford: Clarendon Press, 1953), pp. 150–51, 427.

[4] Solomon Fabricant, The Trend of Government Activity in the United States since 1900 (Princeton, N.J.: National Bureau of Economic Research, 1952), p. 143.

[5] Moses Abramovitz e Vera F. Eliasberg, The Growth of Public Employment in Great Britain (Princeton, N.J.: National Bureau of Economic Research, 1957), pp. 22–23, 30.

[6] Quindi, la nuova scuola “trovò inadeguato per i suoi scopi il metodo di ragionamento deduttivo. Sostenne il metodo induttivo…. Rifiutato tutti i principi a priori e si rivolse alla storia ed alle statistiche per fornire i fatti di vita economica. Con le informazioni così ottenute, i giovani economisti si avvicinarono ai problemi economici con uno spirito pragmatico, giudicando ogni caso nei suoi diversi meriti. In questo modo, cercarono di impedire alla scienza economica di degenerare in alcune formule astratte, divorziate dalle realtà del tempo.” Sidney Fine, Laissez-Faire and the General-Welfare State (Ann Arbor: University of Michigan Press, 1956), p. 204. Vedi inoltre i principi della nuova scuola presentati da Joseph Dorfman in “The Role of the German Historical School in American Economic Thought,” American Economic Review, Papers and Proceedings 45 (May 1955): p. 21.

[7] Fine, Laissez-Faire and the General-Welfare State, p. 207. Potremmo aggiungere che l'economista francese del laissez-faire Maurice Block attaccò la scuola storica tedesca ed i suoi seguaci come “empirici” che cercavano di sostituire il principio con il sentimento e che sostenevano che “lo stato… dovrebbe condurre tutto, dirigere tutto, decidere tutto.” Dorfman, “The Role of the German Historical School in American Economic Thought,” p. 20. E recentemente il professor Hildebrand ha commentato, sull'enfasi induttiva della scuola tedesca, che “forse c'è, allora, un certo collegamento fra questo genere di insegnamento e la popolarità delle idee grezze della pianificazione territoriale nei periodi più recenti.” George H. Hildebrand, "International Flow of Economic Ideas — Discussion," American Economic Review, Papers and Proceedings 45 (May 1955): p. 37. Vedi inoltre di F.A. Hayek, “History and Politics,” in Capitalism and the Historians, F.A. Hayek, ed. (Chicago: University of Chicago Press, 1954), p. 23.

[8] Fine, Laissez-Faire and the General-Welfare State, p. 258.

[9] “The Role of the German Historical School in American Economic Thought,” p. 18.

[10] Joseph Dorfman, The Economic Mind in American Civilization (New York: Viking Press, 1949), 3, pp. 172, 123. Dorfman nota che il sistema contabile dell'Ufficio inventato da Adams “è servito da modello per la regolamentazione delle utilità pubbliche qui e nel mondo intero.” Dorfman, “The Role of the German Historical School in American Economic Thought,” p. 23. Potremmo anche aggiungere che il primo professore di statistica negli Stati Uniti, Roland P. Falkner, era un allievo devoto di Engel e un traduttore dei testi dell'assistente di Engel, August Meitzen.

[11] “Uno di più grandi ostacoli che allora ostacolavano la stabilizzazione era l'idea prevalente che gli indici numerici non fossero affidabili. Finché questa difficoltà non avesse potuto essere superata, difficilmente ci si sarebbe potuti aspettare che la stabilizzazione si trasformasse in una realtà. Per fare la mia parte nella soluzione di questo problema, ho scritto The Making of Index Numbers.” Irving Fisher, Stabilized Money (London: George Allen and Unwin, 1935), p. 383.
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Link alla seconda parte.

Sunday, May 16, 2010

Anche i gongori mangiano

È passato un anno da quando lanciai la raccolta di fondi a favore del Gongoro, all'epoca non pensavo che la mia situazione economica già disastrosa potesse peggiorare. Ma,a quanto pare, non si riescono mai a predire abbastanza sventure, ed ecco che, proprio quando le cose sembravano migliorare, la crisi greca – seppur non troppo inattesa – ha deciso di scoppiare, azzerando le mie entrate (spero solo temporaneamente, ma con questi levantini c'è poco da stare tranquilli...).

Mi affido quindi ancora una volta al buon cuore dei lettori, e se anche per voi questo non è un buon momento, ricordo che il pulsante per le donazioni è sempre attivo e presente nella colonna di destra.
Ogni offerta è gradita, anche il prezzo di un caffè, dacché al di là dell'aiuto economico, l'offerta è un incoraggiamento ed uno stimolo a continuare, un segno tangibile di apprezzamento per il servizio offerto.






Saturday, May 15, 2010

Robin (No) Tax

Dalla recensione del New York Times del nuovo Robin Hood di Ridley Scott:
“Questo Robin non è un bandito socialista che pratica, da freelance, la redistribuzione della ricchezza, ma piuttosto un ribelle libertario che combatte contro le tasse alte ed il programma del grande governo di abbattere le antiche libertà dei proprietari e dei nobili locali. Non calpestatelo!”
Grazie NYT, credo proprio che andrò a vederlo!


Friday, May 14, 2010

Il ruolo del governo nella crisi finanziaria

“È colpa del mercato, dagli allo speculatore, è la deregulation,” questa la litania di scuse recitata dai veri responsabili della crisi ormai quotidianamente. Purtroppo, a causa del noto principio “ripeti abbastanza a lungo una bugia e si trasformerà in verità,” il concetto è piuttosto diffuso ad ogni livello, come se l'intervento di governi e enti sovranazionali non permeasse profondamente ogni anfratto dell'economia condizionando ogni piccola azione umana.

È incredibile se ci pensate: basta aprire un giornale a caso o accendere la tv per trovarsi investiti da un turbine di banchieri centrali che stampano moneta, finanziarie, piani di salvataggio, ministri del tesoro e dell'economia, politiche economiche e sociali, grandi opere, sussidi, sovvenzioni, incentivi, strabilioni di euro e di dollari che si spostano ad un gesto del legislatore come le acque del Mar Rosso di fronte a Mosè, e tutto quello che ci sanno dire – che non hanno vergogna di dire – è che la colpa è del mercato sregolato!

Ecco allora un significativo contributo di Kevin Carson per cercare di riportare un po' di verità e buonsenso nel dibattito e fare così luce sulle responsabilità primarie di una delle più gravi recessioni della storia.
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Di Kevin Carson


George Soros sta progettando di aprire un istituto di economia all'Università di Oxford – con lo scopo, apparentemente, “di allontanare la disciplina dai campioni del mercato libero e della deregulation che, così crede il finanziere miliardario, hanno la colpa della crisi economica globale.” È frustrato “dal modo in cui i mercati finanziari globali lavorano sulla premessa che i mercati possono essere lasciati ai loro meccanismi.”

Ian Goldin, direttore della James Martin 21st Century School, ha applaudito questa mossa considerando che “avrebbe allargato il dibattito.”

Dobbiamo allargare il dibattito, benissimo. In particolare, dobbiamo allargarlo oltre i due lati – i neoliberali e i “progressisti” – secondo i quali il capitalismo finanziario globale che abbiamo avuto negli ultimi decenni era “un mercato libero.”

Tanto per cominciare, il mercato delle assicurazioni sui mutui è quasi interamente una creazione del governo federale. Prima che i federali creassero Freddie Mac per garantire i MBS (Mortgage-Backed Securities), questi erano evitati come troppo rischiosi dalla vasta maggioranza degli investitori. Sino a quel momento, i derivati erano pricipalmente obsoleti investimenti in futures di materie prime usati dagli agricoltori come forma di assicurazione contro un crollo catastrofico dei prezzi.

Ai sensi dell'accordo di Basilea II, che è entrato in effetto nel 2004, un mutuo ipotecario diretto di una banca locale per un cliente con una soddisfacente stima del credito comporta una valutazione di rischio del 35%. Un'assicurazione su un mutuo, dall'altro lato, comporta una valutazione di rischio di soltanto il 20%. Così i requisiti di riserva erano fissati più in alto per i mutui in mano all'originaria banca di emissione (che ha “richiedeva conoscenza locale,” come precisa Sheldon Richman) rispetto ai MBS comprate da altre banche. Il minore requisito di riserva per i MBS significava che una maggiore quantità di denaro era disponibile per essere prestata contro una riserva data, il che ha fornito alle banche un forte incentivo a vendere i propri mutui il più rapidamente possibile ed investire sui MBS. Per dirla con Les Antman, “Basilea II ha virtualmente imposto alle banche di vendere i loro prestiti se volevano rimanere competitive.”

Ma il ruolo del governo è molto più a monte. Comprende l'intervento del governo per imporre il diritti di proprietà artificiali che hanno reso la terra e il capitale artificialmente limitati e costosi relativamente alla forza lavoro e quindi l'indebolimento del potere contrattuale del lavoro. Comprende politiche di governo per incoraggiare la produzione di massa centralizzata e onerosa per mezzo di costosi macchinari specifici piuttosto che una produzione decentralizzata che integrasse versatili macchinari elettrici con i metodi dell'artigianato. Comprende politiche che promuovono l'iper-accumulazione di capitale e la cartellizzazione dei mercati, al punto che l'industria della produzione di massa non riesce a smaltire i propri prodotti in un mercato libero.

È stato a causa di questi precedenti interventi che abbiamo una classe plutocratica con enormi quantità di denaro investito, ed una scarsità di opportunità d'investimento vantaggiose. In un'economia con una più larga distribuzione della ricchezza ed una capacità produttiva decentralizzata, dove la capacità della produzione è stata determinata dalla richiesta locale e da un più alto livello di potere d'acquisto per i lavoratori, la maggior parte delle precondizioni per la nostra FIRE (Finance, Insurance, and Real Estate: Finanza, Assicurazioni, Beni Immobili, ndt) economy gonfiata non sarebbero neppure esistite.