Ricevo e pubblico con piacere un nuovo articolo dell'amico Gian Piero de Bellis, del sito panarchy.org, che si occupa stavolta di uno dei più perniciosi dogmi della dottrina democratica: l'identificazione dei sudditi con lo stato che li opprime.
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Di Gian Piero de Bellis
Una delle frasi storiche più famose è quella attribuita al giovane Luigi XIV, ancora sotto la tutela del Cardinal Mazarino, e desideroso di liberarsi da qualsiasi potere che lo limitasse: “L’Etat c’est Moi,” lo Stato sono Io.
Che questa frase sia stata o meno pronunciata da Luigi XIV non ha molta importanza. Quello che invece conta è il fatto che essa raffiguri un dato della realtà tuttora valido e cioè che lo Stato non è altro che l’organizzazione dell’esercizio del potere sugli altri e che colui che ne è al vertice e che gode di un potere assoluto è identificabile con l’entità stessa.
Nei decenni successivi, e soprattutto a partire dalla Rivoluzione Francese, lo Stato è diventato sempre meno una entità personale e sempre più una macchina burocratica. Il tramonto dell’aristocrazia, l’ascesa della borghesia e l’entrata in scena delle masse hanno condotto ad un accrescimento smisurato della struttura statale a tal punto che Bastiat, alla ricerca di una definizione di cosa fosse lo Stato, se ne venne fuori con una frase geniale: “Lo Stato è la grande illusione attraverso la quale tutti sperano di vivere alle spalle di tutti gli altri.”
Lo stato nazionale moderno è quindi un apparato gigantesco che penetra negli animi e nelle menti di tutti, sfruttatori e sfruttati, agli uni concedendo laute pappagioni e agli altri distribuendo semplici illusioni. In sostanza, a partire dall’ottocento, tutti o quasi tutti sembrano essere partecipi di questo mastodonte che è lo stato, foraggiandosi o sperando di foraggiarsi o anche solo illudendosi di essere foraggiati.
Lo stato si intrufola in tutti gli interstizi sociali, in tutte le associazioni e istituzioni messe in piedi da gruppi sociali e le assorbe sotto la sua ala apparentemente protettrice ma in realtà soffocante. Alexis de Tocqueville ha descritto molto bene questa situazione in cui lo Stato, dopo essersi sovrapposto alla società annientandola, appare poi come l’unica forma sociale possibile e immaginabile.
E dal momento che noi tutti, a meno di non soffrire di gravi patologie della psiche, siamo esseri più o meno sociali, e la nostra vita è fatta in gran parte di relazioni sociali, ne deriva che molti hanno cominciato a confondere lo stato con la società o addirittura a pensare che senza lo Stato non esiste la Società.
Il passaggio logico successivo è la formulazione di quella che è diventata una convinzione diffusa: Lo Stato siamo Noi.
Questa convinzione si basa sul seguente sillogismo:
Questa identificazione è resa possibile anche per il fatto che gli intellettuali asserviti allo stato si sono riempiti la bocca della parola astratta: Società, mentre avrebbero fatto meglio a usare al suo posto una locuzione concreta come: gli individui e le loro relazioni sociali. In effetti la Società non esiste se non in quanto esistono gli individui che si relazionano tra di loro. Purtroppo l’uso manipolativo di una astrazione (la Società) fa cadere nella trappola di una realtà concreta (lo Stato) presentata come indispensabile; e questo è il risultato nefasto prodotto dagli intellettuali da strapazzo pagati dallo stato come docenti prezzolati o scribacchini a giornata o manipolatori televisivi.
Se noi usiamo invece realtà concrete come Francesca, Giovanni e Teresa, la prima che lavora a Biandrate al Bar dello Sport, l’altro che è a studiare a Reading in Inghilterra, e la terza che è casalinga a Bollate, e diciamo che essi, assieme molti altri, sono lo Stato Italiano, allora l’imbroglio è presto smascherato e la presa in giro o truffa intellettuale è praticamente impossibile. Se poi ci mettiamo dentro Hassan l’emigrato dal Marocco che fa il muratore a Sesto San Giovanni o Alì in fuga dalle persecuzioni di qualche cricca al potere, e diciamo che lo Stato sono anche loro (quale Stato?), allora l’inganno diventa talmente visibile nella sua indecente e lercia immoralità che anche l’ultimo degli ingenui ci penserebbe due volte prima di dire che lo Stato siamo Noi.
Allora dobbiamo ritornare alla realtà di Luigi XIV, alla sua presunta ma quanto mai vera affermazione e attualizzarla. Ai tempi nostri mentre non è più concepibile che qualcuno possa dire: Lo Stato sono Io, è invece non solo plausibile ma anche estremamente veritiero affermare: Lo Stato sono Loro.
E per loro intendiamo tutti coloro che, basandosi sull’imposizione fiscale e cioè sull’estrazione forzata del pizzo, ricevono il loro reddito dallo Stato (i burocrati, i militari, i docenti universitari, ecc.), ricevono sovvenzioni dallo Stato (i giornalisti, gli industriali delle corporazioni, ecc.) ricevono privilegi dallo Stato in quanto facenti parte di albi professionali riconosciuti dallo Stato (i notai, gli avvocati, i commercialisti, ecc) o di enti riconosciuti dallo Stato (ad es. le banche).
Alcuni di costoro possono essere contro lo Stato e non riconoscersi nello Stato, ma la grande maggioranza di essi sono lo Stato. Loro sono lo Stato.
Questo è il Loro Stato che a molti di noi non interessa minimamente e da cui vogliamo scappare come vuole scappare colui che è tenuto prigioniero da un gruppo di banditi per il pagamento di un riscatto, soggetto ad uno strozzinaggio infinito che nelle intenzioni dei banditi dovrebbe durare tutta la vita.
In sostanza, quando qualcuno vuole inserirti controvoglia nel Loro Stato tirando fuori la bidonata assoluta che lo Stato siamo tutti Noi, allora è bene chiarire, con le buone maniere ma fermamente, che si declina l’invito a fare parte di una organizzazione di magnaccia bancarottieri, guerrafondai e beceri xenofobi e che si hanno invece ambizioni più elevate e di più largo raggio che non quella di far parte di un pollaio nazionale. Al tempo stesso si può far rassicurare l’interlocutore che lui assieme ad altri possono continuare a sostenere e a sentirsi parte del Loro Stato perché lo Stato è in effetti Loro e Loro sono lo Stato. Però si dovrebbe fare gentilmente ma vigorosamente presente che, come nessuno chiede agli altri di pagare le proprie spese condominiali o il proprio conto al ristorante, così è bene che Loro comincino a pagare le spese del Loro Stato perché il tempo dell’estorsione del pizzo sta rapidamente volgendo al termine.
Solo allora si moltiplicheranno gli individui liberi impegnati a sviluppare libere relazioni sociali e le società, cioè le reti volontarie di individui come Teresa, Hassan, Miguel e Peter, potranno finalmente rifiorire.
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Di Gian Piero de Bellis
Una delle frasi storiche più famose è quella attribuita al giovane Luigi XIV, ancora sotto la tutela del Cardinal Mazarino, e desideroso di liberarsi da qualsiasi potere che lo limitasse: “L’Etat c’est Moi,” lo Stato sono Io.
Che questa frase sia stata o meno pronunciata da Luigi XIV non ha molta importanza. Quello che invece conta è il fatto che essa raffiguri un dato della realtà tuttora valido e cioè che lo Stato non è altro che l’organizzazione dell’esercizio del potere sugli altri e che colui che ne è al vertice e che gode di un potere assoluto è identificabile con l’entità stessa.
Nei decenni successivi, e soprattutto a partire dalla Rivoluzione Francese, lo Stato è diventato sempre meno una entità personale e sempre più una macchina burocratica. Il tramonto dell’aristocrazia, l’ascesa della borghesia e l’entrata in scena delle masse hanno condotto ad un accrescimento smisurato della struttura statale a tal punto che Bastiat, alla ricerca di una definizione di cosa fosse lo Stato, se ne venne fuori con una frase geniale: “Lo Stato è la grande illusione attraverso la quale tutti sperano di vivere alle spalle di tutti gli altri.”
Lo stato nazionale moderno è quindi un apparato gigantesco che penetra negli animi e nelle menti di tutti, sfruttatori e sfruttati, agli uni concedendo laute pappagioni e agli altri distribuendo semplici illusioni. In sostanza, a partire dall’ottocento, tutti o quasi tutti sembrano essere partecipi di questo mastodonte che è lo stato, foraggiandosi o sperando di foraggiarsi o anche solo illudendosi di essere foraggiati.
Lo stato si intrufola in tutti gli interstizi sociali, in tutte le associazioni e istituzioni messe in piedi da gruppi sociali e le assorbe sotto la sua ala apparentemente protettrice ma in realtà soffocante. Alexis de Tocqueville ha descritto molto bene questa situazione in cui lo Stato, dopo essersi sovrapposto alla società annientandola, appare poi come l’unica forma sociale possibile e immaginabile.
E dal momento che noi tutti, a meno di non soffrire di gravi patologie della psiche, siamo esseri più o meno sociali, e la nostra vita è fatta in gran parte di relazioni sociali, ne deriva che molti hanno cominciato a confondere lo stato con la società o addirittura a pensare che senza lo Stato non esiste la Società.
Il passaggio logico successivo è la formulazione di quella che è diventata una convinzione diffusa: Lo Stato siamo Noi.
Questa convinzione si basa sul seguente sillogismo:
Lo Stato è la SocietàIl problema è che questo strampalato sillogismo poggia su una premessa del tutto fasulla: lo Stato non è la Società. La Società, qualsiasi società, è esistita prima dello Stato che non è altro che una recente forma di organizzazione politica territoriale di tipo monopolistico.
Noi facciamo parte della Società
Noi siamo lo Stato o, altrimenti detto, lo Stato siamo noi.
Questa identificazione è resa possibile anche per il fatto che gli intellettuali asserviti allo stato si sono riempiti la bocca della parola astratta: Società, mentre avrebbero fatto meglio a usare al suo posto una locuzione concreta come: gli individui e le loro relazioni sociali. In effetti la Società non esiste se non in quanto esistono gli individui che si relazionano tra di loro. Purtroppo l’uso manipolativo di una astrazione (la Società) fa cadere nella trappola di una realtà concreta (lo Stato) presentata come indispensabile; e questo è il risultato nefasto prodotto dagli intellettuali da strapazzo pagati dallo stato come docenti prezzolati o scribacchini a giornata o manipolatori televisivi.
Se noi usiamo invece realtà concrete come Francesca, Giovanni e Teresa, la prima che lavora a Biandrate al Bar dello Sport, l’altro che è a studiare a Reading in Inghilterra, e la terza che è casalinga a Bollate, e diciamo che essi, assieme molti altri, sono lo Stato Italiano, allora l’imbroglio è presto smascherato e la presa in giro o truffa intellettuale è praticamente impossibile. Se poi ci mettiamo dentro Hassan l’emigrato dal Marocco che fa il muratore a Sesto San Giovanni o Alì in fuga dalle persecuzioni di qualche cricca al potere, e diciamo che lo Stato sono anche loro (quale Stato?), allora l’inganno diventa talmente visibile nella sua indecente e lercia immoralità che anche l’ultimo degli ingenui ci penserebbe due volte prima di dire che lo Stato siamo Noi.
Allora dobbiamo ritornare alla realtà di Luigi XIV, alla sua presunta ma quanto mai vera affermazione e attualizzarla. Ai tempi nostri mentre non è più concepibile che qualcuno possa dire: Lo Stato sono Io, è invece non solo plausibile ma anche estremamente veritiero affermare: Lo Stato sono Loro.
E per loro intendiamo tutti coloro che, basandosi sull’imposizione fiscale e cioè sull’estrazione forzata del pizzo, ricevono il loro reddito dallo Stato (i burocrati, i militari, i docenti universitari, ecc.), ricevono sovvenzioni dallo Stato (i giornalisti, gli industriali delle corporazioni, ecc.) ricevono privilegi dallo Stato in quanto facenti parte di albi professionali riconosciuti dallo Stato (i notai, gli avvocati, i commercialisti, ecc) o di enti riconosciuti dallo Stato (ad es. le banche).
Alcuni di costoro possono essere contro lo Stato e non riconoscersi nello Stato, ma la grande maggioranza di essi sono lo Stato. Loro sono lo Stato.
Questo è il Loro Stato che a molti di noi non interessa minimamente e da cui vogliamo scappare come vuole scappare colui che è tenuto prigioniero da un gruppo di banditi per il pagamento di un riscatto, soggetto ad uno strozzinaggio infinito che nelle intenzioni dei banditi dovrebbe durare tutta la vita.
In sostanza, quando qualcuno vuole inserirti controvoglia nel Loro Stato tirando fuori la bidonata assoluta che lo Stato siamo tutti Noi, allora è bene chiarire, con le buone maniere ma fermamente, che si declina l’invito a fare parte di una organizzazione di magnaccia bancarottieri, guerrafondai e beceri xenofobi e che si hanno invece ambizioni più elevate e di più largo raggio che non quella di far parte di un pollaio nazionale. Al tempo stesso si può far rassicurare l’interlocutore che lui assieme ad altri possono continuare a sostenere e a sentirsi parte del Loro Stato perché lo Stato è in effetti Loro e Loro sono lo Stato. Però si dovrebbe fare gentilmente ma vigorosamente presente che, come nessuno chiede agli altri di pagare le proprie spese condominiali o il proprio conto al ristorante, così è bene che Loro comincino a pagare le spese del Loro Stato perché il tempo dell’estorsione del pizzo sta rapidamente volgendo al termine.
Solo allora si moltiplicheranno gli individui liberi impegnati a sviluppare libere relazioni sociali e le società, cioè le reti volontarie di individui come Teresa, Hassan, Miguel e Peter, potranno finalmente rifiorire.