Monday, May 17, 2010

Politica e statistica #1

I grandi romanzi distopici del passato provarono ad avvertirci di come la rinuncia al primato dell'individuo a favore del collettivismo di stato avrebbe portato alla riduzione in semplici numeri degli esseri umani, numeri da calcolare per aggregati come nell'economia keynesiana. Ma quegli avvertimenti non sono stati ascoltati, e le nostre vite sono oggi solo un segno su qualche tabella negli istituti di statistica.

In questo articolo, publicato 50 anni fa (!) su The Quarterly Journal of Economics nel febbraio 1960, Rothbard spiega come il proliferare delle statistiche – oggi praticamente ubique – sia intimamente legato all'aumento del ruolo e dell'intervento del governo nell'economia.

Prima parte di due.

___________________________

Di Murray Rothbard


Durante la sua interessante discussione su “la Politica degli Economisti Politici,” il professor Stigler sfida la presunta opinione del professor Mises per cui “la statistica economica, o più in generale l'economia quantitativa – generano una posizione politica radicale.” [1] Stigler afferma che lo studente empirico acquisisce una “vera sensibilità” per il funzionamento di un sistema economico e “ha le complessità dell'economia impresse a fuoco nella sua anima.” Senza entrare nel merito dell'opinione precisa di Mises sulla questione, penso sia importante notare come Stigler abbia trascurato diverse considerazioni fondamentali.

In primo luogo, le statistiche sono disperatamente necessarie per ogni tipo di pianificazione governativa del sistema economico. In un'economia di mercato, la singola azienda ha poco o nessun bisogno delle statistiche. Deve soltanto conoscere i suoi prezzi e costi. I costi vengono in gran parte scoperti internamente in seno alla ditta e non sono quei dati generali dell'economia che chiamiamo solitamente “statistica.”

Il mercato “automatico,” allora, non richiede virtualmente alcuna collezione di statistiche; l'intervento del governo, dall'altro lato, sia in parte che del tutto socialista, non potrebbe letteralmente far nulla senza una vasta raccolta di mucchi di statistiche. La statistica è l'unica forma di conoscenza dell'economia per il burocrate, e sostituisce la conoscenza intuitiva, “qualitativa” dell'imprenditore, guidato soltanto dal test quantitativo dei profitti e delle perdite. [2] Di conseguenza, la spinta per l'intervento governativo e quella per più statistica, sono andate di pari passo. [3]

L'enorme espansione dell'attività governativa nella raccolta e diffusione di statistiche durante gli ultimi 25 anni non è certo solo per coincidenza correlata alla simile espansione del ruolo del governo nella regolamentazione e nella manipolazione dell'economia. Uno delle principali autorità sulla crescita della spesa pubblica l'ha così descritta:
Il progresso nella scienza economica e statistica ha migliorato la nostra conoscenza delle differenze nei bisogni e nelle potenzialità all'interno degli stati e da uno stato all'altro, e può contribuire a stimolare il sistema delle sovvenzioni statali e federali. Ha rinforzato la fiducia nelle possibilità di occuparsi dei problemi sociali tramite l'azione collettiva. Ha portato ad un aumento nelle attività statistiche e di indagine del governo. [4]
Non dobbiamo qui entrare nel dettaglio del vasto uso che è stato fatto delle statistiche sul reddito nazionale e sul prodotto interno lordo, così come di altre misure statistiche, nei tentativi del governo federale di lottare contro i cicli economici o la disoccupazione.

Né questa è solo una storia contemporanea. Un autorevole lavoro sul governo britannico descrive così il caso:
il ruolo minore del governo durante il diciannovesimo secolo non riflette solo l'assenza di una disgregazione economica violenta; riflette anche l'infanzia delle scienze economiche e sociali. Rispetto agli ultimi decenni, il volume di informazione sistematica sulle condizioni sociali era molto piccolo, il che significava che era difficile stabilire in modo persuasivo l'esistenza di problemi…. Se il volume della disoccupazione è sconosciuto, la gravità del problema è in dubbio.

L'accumulazione di informazioni effettive sulle condizioni sociali e lo sviluppo dell'economia e delle scienze sociali hanno aumentato la pressione per l'intervento del governo…. Inchieste come Life and Labor of the People in London di Charles Booth rivelarono condizioni che scossero l'opinione pubblica verso la fine degli anni 80 e degli anni 90. Con il miglioramento delle statistiche ed il moltiplicarsi degli studenti delle condizioni sociali, la continua esistenza di tali condizioni rimase visibile al pubblico. La crescente conoscenza di esse ridestò cerchie influenti e fornì ai movimenti della classe operaia delle armi efficaci. [5]
Certamente il ruolo degli assidui studi empirici della Fabian Society nella promozione della causa del socialismo in Gran Bretagna è fin troppo nota per approfondirla in questa sede.

Sul continente ed in America alla fine del 19esimo secolo, è ben noto che i ribelli contro il laissez-faire e l'economia politica classica sollecitarono la loro sostituzione con l'induzione dalla storia economica e dalla statistica. Questo era l'obiettivo della Scuola Storica Tedesca e del suo Verein für Sozialpolitik e degli esponenti giovani e di formazione tedesca della “nuova economia politica” dell'intervento governativo negli anni 70 e 80 dell'ottocento. [6] Uno dei loro leader, Richard T. Ely, che chiamò il nuovo approccio metodo “guarda e vedi,” chiarì che lo scopo della raccolta di fatti era “modellare le forze al lavoro nella società e di migliorare le condizioni attuali”; essi credevano di avere come economisti la responsabilità di “modellare il carattere dell'economia nazionale.” [7]

E non trascuriamo l'eminente sociologo interventista Lester Frank Ward, la cui economia pianificata “scientifica” e “positiva,” sarebbe consistita di una “ingegneria sociale” basata su informazioni statistiche inserite da ogni parte del paese in un ufficio centrale di statistica. [8]

Né erano soltanto speculatori dell'astratto ad esprimere tali opinioni. Gli stessi statistici presero parte a questo movimento. Fin dal 1863, Samuel B. Ruggles, delegato americano al Congresso Statistico Internazionale a Berlino, dichiarava che “le statistiche sono gli occhi stessi dello statista, che gli permettono di esaminare ed esplorare con una visione libera e completa l'intere struttura ed economia del corpo politico.” Uno dei fondatori del Verein für Sozialpolitik era il famoso statistico Ernst Engel, capo dell'Ufficio Statistico Reale di Prussia. [9]

E Carrol D. Wright, uno dei primi commissari del lavoro negli Stati Uniti e uomo notevolmente influenzato da Engel, sollecitò la raccolta delle statistiche sulla disoccupazione perché voleva trovare un rimedio (presumibilmente per mezzo dell'azione governativa). Wright acclamò la nuova scuola tedesca per il suo includere uomini di ogni terra “che cercano, con mezzi legittimi e senza rivoluzioni, di migliorare rapporti industriali e sociali disagiati.” Henry Carter Adams, un allievo di Engel, che istituì l'Ufficio Statistico della Commissione di Commercio Interstatale, credeva che “una sempre crescente attività statistica da parte del governo sia essenziale non solo per il controllo delle industrie naturalmente monopolistiche, ma anche per il funzionamento efficiente della concorrenza ove possibile.” [10] E certamente uno di grandi stimoli verso la costruzione degli indici dei prezzi all'ingrosso e di altro tipo era il desiderio che il governo stabilizzasse il livello dei prezzi. [11]
___________________________


Note

[1] George Stigler, “The Politics of Political Economists,” Quarterly Journal of Economics 73 (novembre 1959): p. 529.

[2] Sul tipo di conoscenza richiesto per un imprenditore nell'economia di mercato, vedi F.A. Hayek, Individualism and the Economic Order (Chicago: University of Chicago Press, 1948), chaps. 4 and 2.

[3] A questo proposito, possiamo notare la distinzione del professor Hutchison fra l'accento di Carl Menger sui fenomeni della società benefici, non pianificati, “non riflettuti” (che, naturalmente, comprendono il mercato libero) e sulla crescita della “auto-coscienza sociale” e della pianificazione di governo. Per Hutchison, una componente prominente della “auto-coscienza sociale” è la statistica sociale ed economica. Terence W. Hutchison, A Review of Economic Doctrines, 1870–1929 (Oxford: Clarendon Press, 1953), pp. 150–51, 427.

[4] Solomon Fabricant, The Trend of Government Activity in the United States since 1900 (Princeton, N.J.: National Bureau of Economic Research, 1952), p. 143.

[5] Moses Abramovitz e Vera F. Eliasberg, The Growth of Public Employment in Great Britain (Princeton, N.J.: National Bureau of Economic Research, 1957), pp. 22–23, 30.

[6] Quindi, la nuova scuola “trovò inadeguato per i suoi scopi il metodo di ragionamento deduttivo. Sostenne il metodo induttivo…. Rifiutato tutti i principi a priori e si rivolse alla storia ed alle statistiche per fornire i fatti di vita economica. Con le informazioni così ottenute, i giovani economisti si avvicinarono ai problemi economici con uno spirito pragmatico, giudicando ogni caso nei suoi diversi meriti. In questo modo, cercarono di impedire alla scienza economica di degenerare in alcune formule astratte, divorziate dalle realtà del tempo.” Sidney Fine, Laissez-Faire and the General-Welfare State (Ann Arbor: University of Michigan Press, 1956), p. 204. Vedi inoltre i principi della nuova scuola presentati da Joseph Dorfman in “The Role of the German Historical School in American Economic Thought,” American Economic Review, Papers and Proceedings 45 (May 1955): p. 21.

[7] Fine, Laissez-Faire and the General-Welfare State, p. 207. Potremmo aggiungere che l'economista francese del laissez-faire Maurice Block attaccò la scuola storica tedesca ed i suoi seguaci come “empirici” che cercavano di sostituire il principio con il sentimento e che sostenevano che “lo stato… dovrebbe condurre tutto, dirigere tutto, decidere tutto.” Dorfman, “The Role of the German Historical School in American Economic Thought,” p. 20. E recentemente il professor Hildebrand ha commentato, sull'enfasi induttiva della scuola tedesca, che “forse c'è, allora, un certo collegamento fra questo genere di insegnamento e la popolarità delle idee grezze della pianificazione territoriale nei periodi più recenti.” George H. Hildebrand, "International Flow of Economic Ideas — Discussion," American Economic Review, Papers and Proceedings 45 (May 1955): p. 37. Vedi inoltre di F.A. Hayek, “History and Politics,” in Capitalism and the Historians, F.A. Hayek, ed. (Chicago: University of Chicago Press, 1954), p. 23.

[8] Fine, Laissez-Faire and the General-Welfare State, p. 258.

[9] “The Role of the German Historical School in American Economic Thought,” p. 18.

[10] Joseph Dorfman, The Economic Mind in American Civilization (New York: Viking Press, 1949), 3, pp. 172, 123. Dorfman nota che il sistema contabile dell'Ufficio inventato da Adams “è servito da modello per la regolamentazione delle utilità pubbliche qui e nel mondo intero.” Dorfman, “The Role of the German Historical School in American Economic Thought,” p. 23. Potremmo anche aggiungere che il primo professore di statistica negli Stati Uniti, Roland P. Falkner, era un allievo devoto di Engel e un traduttore dei testi dell'assistente di Engel, August Meitzen.

[11] “Uno di più grandi ostacoli che allora ostacolavano la stabilizzazione era l'idea prevalente che gli indici numerici non fossero affidabili. Finché questa difficoltà non avesse potuto essere superata, difficilmente ci si sarebbe potuti aspettare che la stabilizzazione si trasformasse in una realtà. Per fare la mia parte nella soluzione di questo problema, ho scritto The Making of Index Numbers.” Irving Fisher, Stabilized Money (London: George Allen and Unwin, 1935), p. 383.
___________________________

Link alla seconda parte.

4 comments:

  1. "In un'economia di mercato, la singola azienda ha poco o nessun bisogno delle statistiche."

    Ah, il capitalismo dei bei tempi andati! Mi scende una lacrimuccia. :-D

    "Con il miglioramento delle statistiche ed il moltiplicarsi degli studenti delle condizioni sociali, la continua esistenza di tali condizioni rimase visibile al pubblico. La crescente conoscenza di esse ridestò cerchie influenti e fornì ai movimenti della classe operaia delle armi efficaci."

    Non ho capito: con questa citazione Rothbard auspica che non ci fossero mai state indagini statistiche sulle condizioni della popolazione? Ossia: sta dicendo che sarebbe stato meglio un bel "occhio non vede cuore non duole"? Non è una domanda retorica, può darsi (spero) che io abbia capito male.

    ReplyDelete
  2. Ah, il capitalismo dei bei tempi andati! Mi scende una lacrimuccia.

    Mah, ti dirò, è vero che ora anche nelle aziende si fa largo uso delle statistiche, ma io, per l'esperienza che ho, dubito molto che servano realmente a qualcosa. Le ho sempre considerate una gran perdita di tempo e uno spreco di risorse.

    Ossia: sta dicendo che sarebbe stato meglio un bel "occhio non vede cuore non duole"? Non è una domanda retorica, può darsi (spero) che io abbia capito male.

    Non credo lo intendesse in questo senso. Intanto, il cuore dovrebbe dolere anche senza vedere, ma a parte questo, se si pensa che il mercato, libero dall'intervento coercitivo statale possa migliorare progressivamente le condizioni di tutti, è ovvio che la statistica non serve a nulla se non come strumento per chi vuole usarla per far leva sul sentimento e raggiungere i suoi scopi politici.

    ReplyDelete
  3. "Ah, il capitalismo dei bei tempi andati! Mi scende una lacrimuccia."

    Pensa che ora si conducono persino le guerre con l' uso di statistiche!
    Forse è per questo che le guerre moderne sono imprese complicatissime e inestricabili, oltre che molto più sanguinose del necessario.
    Probabilmente i talebani in Afghanistan stanno vincendo perchè non usano statistiche.

    Ecco un articolo che spiega in maniera esemplare il concetto:
    http://www.warfare.it/colonnina_infame/guerra_formato_ppt.html

    ReplyDelete
  4. «Gli statistici sono come i francesi: se si parla con loro, traducono nella loro lingua, e [il discorso] diventa subito qualcosa di diverso.»

    ReplyDelete