Wednesday, May 19, 2010

Politica e statistica #2

Di Murray Rothbard


Uno dei principali fondatori della moderna inchiesta statistica in economia fu sicuramente Wesley C. Mitchell. Non c'è dubbio che Mitchell aspirava a porre le basi per la pianificazione “scientifica” del governo. Così:
[Citando da Mitchell] “il tipo di invenzione sociale più necessario oggi è chiaramente quello che offre tecniche definite con cui il sistema sociale possa essere controllato e manovrato per il vantaggio ottimale dei suoi membri.” A questo scopo [Mitchell] cercò costantemente di estendere, migliorare e raffinare la raccolta e la compilazione dei dati…. Mitchell credeva che l'analisi del ciclo economico… avrebbe potuto indicare il mezzo per il successo dell'ordinato controllo sociale dell'attività economica. [12]
E:
[Mitchell] vedeva il grande contributo che il governo avrebbe potuto dare alla comprensione dei problemi economici e sociali se i dati statistici raccolti indipendentemente da vari enti federali fossero stati sistematizzati e pianificati in modo che le correlazioni fra essi potessero essere studiate. L'idea di sviluppare la statistica sociale, non soltanto come registro ma come base per la pianificazione, emerse presto nel suo lavoro. [13]
Il resoconto dell'aumento degli enti statistici del governo federale differisce poco dagli esempi di cui sopra. L'Ufficio del Budget, durante l'amministrazione non rabbiosamente socialista del presidente Eisenhower, spiegava il continuo aumento delle statistiche federali come segue:
La crescita e la prosperità della nazione hanno richiesto un comportamento illuminato degli affari pubblici con l'aiuto di informazioni fattuali. La responsabilità ultima del governo federale nell'assicurare la salute dell'economia nazionale è stata sempre implicita nel sistema americano. [14]
Quindi, parlando dell'era del New Deal dopo il 1933, l'ufficio aggiunse:
Si cominciò a comprendere nel congresso e nelle alte cerchie dell'amministrazione che proposte sane e positive per combattere la depressione avevano richiesto un'analisi basata su informazioni certe. Di conseguenza… l'espansione statistica venne ripresa ad un passo accelerato. [15]
È sufficiente allora dire che una causa principale della proliferazione delle statistiche governative è il bisogno di dati statistici nella pianificazione economica di governo. Ma il rapporto funziona anche al contrario: lo sviluppo delle statistiche, spesso aumentate in origine nel loro stesso interesse, finisce per moltiplicare le vie di intervento del governo e della pianificazione. In breve, le statistiche non hanno bisogno di essere elaborate originariamente per fini politico-economici; il loro stesso sviluppo autonomo, direttamente o indirettamente, apre nuovi campi da sfruttare per gli interventisti.

Ogni nuova tecnica statistica, che sia flusso di fondi, economia interindustriale, o analisi di attività, in breve acquisterà la propria posizione ed applicazione nel governo. Un esempio particolare è l'analisi input-output, che ebbe inizio come tentativo puramente teorico di fornire contenuto empirico al sistema walrasiano dell'equilibrio generale. È ora arrivata al punto in cui i suoi campioni la acclamano perché fornisce
un'immagine integrata del meccanismo industriale. Credono che possa misurare con buona esattezza i cambiamenti nei rapporti interindustriali che seguirebbero a presupposte variazioni “nel conto finale delle merci…” In pratica, la variazione più importante nel conto delle merci è quello richiesto dal riarmo su grande scala. Non provoca molto stupore, quindi, che la maggior parte dello sviluppo e dell'applicazione degli studi dell'input-output è stata collegata con la mobilizzazione industriale. [16]
Ci sono altre ragioni per le quali l'orientato statisticamente tenderà a diventare interventista. Per prima cosa, lo statistico economico tenderà ad essere insofferente verso ogni teoria considerandole “speculazioni da poltrona,” e quindi tenderà a sostenere il tipo di pianificazione governativa graduale, pragmatica, decidi-ogni-caso-nel-“merito.” È forse vero, come dichiara Stigler, che pochi economisti empirici sono diventati autentici socialisti o comunisti; un tale percorso sarebbe troppo teorico per loro. Ma nemmeno sono diventati aderenti del laissez-faire; invece, il metodo caso-per-caso e ad hoc li guida lungo il percorso di un confuso interventismo governativo.

Non so se, come afferma Stigler, “l'ala più radicale dei sostenitori del New Deal non si era distinta per la propria conoscenza empirica dell'economia americana.” Ma certamente i Tugwell e gli Stuart Chase e i vebleniani proclamarono il loro empirismo abbastanza spesso. E gli storici del New Deal, in genere, lo elogiano molto per il suo metodo elastico e pragmatico.

Un'altra ragione per la quale la statistica ed il pragmatismo politico sono reciprocamente congeniali è che lo stesso marchio di riconoscimento del metodo pragmatico è di cominciare cercando i problemi o i “settori problematici” nella società. Il pragmatista cerca le zone dove l'economia e la società non sono esattamente un giardino dell'Eden e queste, naturalmente, abbondano. Povertà, disoccupazione, anziani con scorbuto, giovani con denti cariati – la lista è effettivamente infinita. E mentre ogni problema si moltiplica sotto le cure della sua volenterosa ricerca, il pragmatista esige in maniera sempre più stridula che il governo faccia qualcosa – rapidamente – per risolvere il problema. Soltanto una severa e deduttiva teoria economica aprioristica può insegnargli qualcosa su mezzi e fini, sulla destinazione delle risorse, sul costo di opportunità e sulle altre rigidità della disciplina economica.

Tenendo conto degli argomenti di cui sopra, non meraviglia che i membri conservatori del Congresso, prima che venissero indottrinati nelle moderne delicatezze economiche dal Comitato Misto sul Rapporto Economico, sospettavano molto dell'espansione apparentemente inoffensiva delle attività statistiche federali. Quindi, nel 1945, il rappresentante Frank Keefe, membro repubblicano conservatore del Congresso dal Wisconsin, procedeva all'interrogazione del dott. A. Ford Hinrichs, capo dell'Ufficio delle Statistiche del Lavoro, sulla richiesta di quest'ultimo di un aumento di stanziamenti. Nel corso dell'interrogazione, i dubbi di Keefe circa le statistiche di governo emersero come un grido dal suo cuore – non sofisticato forse, ma almeno di sano istinto conservatore:
Non c'è dubbio che sarebbe bello avere un sacco di statistiche…. Mi sto solo chiedendo se non ci stiamo imbarcando in un programma pericoloso continuando ad aggiungere ed aggiungere ed aggiungere a questa cosa.

Stiamo pianificando e raccogliendo statistiche fin dal 1932 per provare ad affrontare una situazione di carattere interno, ma non siamo mai stati in grado nemmeno di affrontare quella questione…. Ora siamo coinvolti in una questione internazionale…. A me pare che stiamo passando una quantità tremenda di tempo con i grafici e le tabelle e le statistiche e la pianificazione. Quello che interessa alla mia gente è, cos'è tutto ciò? Dove stiamo andando e dove state andando? [17]
Penso che possiamo concludere che la principale differenza fra Stigler e me è questa: per lui un radicale o un non conservatore è essenzialmente un socialista o un comunista. Per me, un non conservatore è qualcuno che predica l'intervento piuttosto che il laissez-faire. La differenza è sostanziale. Se definiamo il conservatorismo come Stigler, allora è vero che la maggior parte degli economisti sono conservatori; se lo definiamo come credere nel laissez-faire, allora la conclusione dev'essere molto diversa. Perché la chiave allora diventa non tanto l'economia e la non economia quanto teoria contro empirismo. Gli empirici tenderanno meno ad essere socialisti completi, ma anch'essi seguiranno generalmente una deriva verso l'intervento. [18]

Eppure, alla fine, è probabilmente vero che persino la percentuale di chi crede nel laissez-faire è molto maggiore fra gli economisti che in altre discipline accademiche, e che il punto “medio” sulla scala ideologica in economia è considerevolmente “sulla destra” della media in altri campi di studio. Sembra che la disciplina economica, di per sé, imponga una variazione verso destra nella fede ideologica. E questa, dopo tutto, è la questione principale dell'articolo di Stigler.

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Note

[12] Joseph Dorfman, The Economic Mind in American Civilization (New York: Viking Press, 1949), 4, pp. 376, 361.

[13] Lucy Sprague Mitchell, Two Lives (New York: Simon e Schuster, 1953), p. 363. Corsivo mio.

[14] Dichiarazione dell'Ufficio del Budget, in Economic Statistics, Udienze di Fronte al Sottocomitato sulle Statistiche Economiche del Comitato Misto per il Rapporto Economico, ottantatreesimo Cong., 2d sess., 12 luglio 1954 (Washington, DC: Ufficio per la Stampa degli Stati Uniti, 1954), pp. 10-12.

[15] Ibid.

[16] Raymond W. Goldsmith, “Introduction,” in Input–Output Analysis, An Appraisal (Princeton, NJ.: National Bureau of Economic Research, 1955), p. 5. Come affermano Hoffenberg ed Evans: “È a causa della necessità di fare un lavoro migliore nell'analisi della mobilizzazione industriale… che sono in corso la maggior parte degli attuali sviluppi nel campo dell'economia interindustriale.” W. Duane Evans e Marvin Hoffenberg, "The Nature and Uses of Interindustry-Relations: Data and Methods," ibid., p. 102. Inoltre vedi ibid., pp. 116ff e le critiche dell'analisi input/output di Clark Warburton e Milton Friedman, ibid., pp. 127, 174.

Un altro esempio dell'analisi input/output come stimolo per la raccolta di statistiche e la pianificazione di governo: “mentre ci può essere un pensiero sistematico fra gli economisti sull'analisi economica applicata a regioni, essi possono offrire pochi consigli ai politici a meno che gli ultimi siano preparati a rendere più facile l'ottenere la materia prima statistica” A.T. Peacock e D.G.M. Dosser, "Regional Input–Output Analysis and Government Spending," Scottish Journal of Political Economy (novembre 1959): p. 236.

[17] Ministero del Lavoro - Legge di Stanziamento FSA per il 1945. Udienze di fronte al Sottocomitato del Comitato della Camera sugli Stanziamenti. settantottesimo Cong., 2d sess., pt. 1 (Washington, DC: Ufficio per la Stampa degli Stati Uniti, 1945), pp. 258ff, 276ff.

[18] Ci sono inoltre profondi motivi epistemologici per l'empirismo nelle “scienze sociali” che tendono verso lo statalismo. Questo coinvolge l'intero problema del positivismo e dello “scientismo.” Su questo, vedi F.A. Hayek, The Counter-Revolution of Science (Glencoe, ifi.: The Free Press, 1952).
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Link alla prima parte.

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