Saturday, January 31, 2009

Il bambino e l'acqua sporca

“Coloro che vi possono far credere delle assurdità vi possono far commettere delle atrocità.”
(Voltaire)

Ci sono o ci fanno? Non posso fare a meno di chiedermelo, osservando gli stupefacenti sviluppi dell'intervento della Fed nel suo tentativo di “salvare l'economia.” In un recente articolo su MarketWatch, ad esempio, Greg Robb scrive di una Fed che “elimina qualsiasi freno per provare ad interrompere la discesa a spirale dell'economia,” determinata a questo scopo a “sommergere di soldi il sistema finanziario.” Per compiere tale missione, lo strumento selezionato è l'acquisto di buoni del Tesoro a lungo termine.

“La Fed è pronta a comprare qualsiasi cosa venga suggerita da qualcuno come aiuto. Il limite è il cielo,” dice Mike Englund, economista capo della Action Economics, evocando nella mente dei presenti l'immagine di Bernanke in elicottero. A questo punto, verrebbe da dire, potrebbe anche comprare intere tirature di Hustler, per salvare il mercato del porno in crisi come suggerito da Larry Flint. Del resto se alla depressione economica si aggiungesse l'astinenza da pugnette la situazione potrebbe diventare davvero grave.

Qualcuno che ragiona – e quindi si preoccupa – comunque, ancora c'è. Lou Crandall, economista capo a Wrightson ICAP in una nota ai suoi clienti ha scritto:
“Se la Fed si impegna in una politica per diminuire artificialmente i ritorni sui titoli del Ministero del Tesoro per un periodo esteso, spingerà i comitati d'investimento in tutto il mondo a riconsiderare le loro allocazioni di portfolio al mercato del Tesoro degli Stati Uniti come classe di asset.”
Perché al momento la preoccupazione maggiore sarà anche la deflazione – così si dice, almeno – ma prima o poi questo tsunami di carta comincerà a far vedere i suoi effetti sul mercato, e non oso pensare ad una situazione in cui ad un'alta disoccupazione – che già sta facendo registrare i primi numeri da record – si accompagnasse un aumento dei prezzi per non parlare di una diffusa propensione all'azzardo morale coltivato da quest'orgia di bailout.

Ci sono? Ci fanno? La domanda è legittima, perché o questi sono completamente andati, esauriti, fuori di testa, oppure è necessario pensare a quali potrebbero essere gli eventuali possibili profitti politici ottenibili con una simile condotta. Si potrebbe, ad esempio, dare un'occhiata a quello che sta succedendo all'Islanda che, naufragata nella tempesta finanziaria, si appresta ora ad essere salvata dal pronto, prontissimo intervento dell'arca di Bruxelles. La procedura d'ammissione potrebbe essere accelerata per permettere alla piccola isola di diventare membro a tempo di record, entro il 2011, scrive il Guardian.

La spinta definitiva per l'annessione dell'Islanda nella UE è stata ottenuta bruciando la valuta nazionale, la krona. È possibile che la distruzione del dollaro – paventata negli ultimi giorni anche da Ron Paul – possa servire da combustibile per una fusione politica di ben altro spessore? Lo stesso MarketWatch – che non è un sito “complottista” ma fa parte del Network Digitale del Wall Street Journal – comincia a sentire puzza di bruciato:
Le forze deflazionistiche nel mercato sono dominanti e “l'altro lato” della nostra attuale equazione, l'iperinflazione, potrebbe essere ad anni di distanza. Data la magnitudine, l'ampiezza e la velocità dell'epidemia finanziaria globale, tuttavia, dobbiamo esplorare ogni aspetto della perversa situazione.

Anni fa, la Riserva Federale scrisse “un documento di soluzione” riguardo alla necessità di combattere i tassi di interesse azzerati. La preoccupazione era la fuga di capitali dagli Stati Uniti e un'opzione discussa era una valuta a due livelli, una per i cittadini degli Stati Uniti ed una per gli stranieri.

L'economista canadese Herbert Grubel per primo introdusse una potenziale manifestazione di questo concetto nel 1999. La valuta nordamericana – ha chiamata “Amero” in cerchie selezionate – unirebbe efficacemente il dollaro canadese, il dollaro statunitense e il peso messicano.
Le basi per sospettare una pianificazione, allora, una precisa volontà, ci sono tutte. L'alternativa è considerare la gente alla guida delle istituzioni politiche e finanziarie come una mal assortita banda di minorati deliranti, sfuggiti non si sa come dai recinti di qualche istituto di igiene mentale, che tentano di evitare un naufragio aprendo nuove falle nella carena.

Oppure, appunto, lo scopo è ben diverso e quindi i mezzi utilizzati per raggiungerlo non sono affatto così demenziali, ma perfettamente adeguati. In questo caso, altrettanto precise sarebbero allora le parole del primo ministro inglese, Gordon Brown, che ha descritto la recessione come “le difficili doglie del parto di un nuovo ordine globale.”

Non ci resterebbe che sperare di riuscire a buttare il bambino insieme all'acqua sporca.

Friday, January 30, 2009

Guardare e non toccare

Ormai l'11 settembre del 2001 è una data lontana nel tempo, per quanto rilevante per la politica estera americana fino ad oggi, ma le molte domande irrisolte che suscitò fin dai primi istanti dopo gli attentati rimangono a tutt'oggi senza risposta. Una di queste, a pensarci bene davvero sorprendente, è illustrata argutamente in questo post di un anonimo – trovato per caso sul blog di Ace Baker – che descrive un'ipotetica telefonata di una linea aerea alla compagnia di assicurazioni della dopo il 9/11:

CA: “Salve… come posso aiutarla?”

LA: “Sì… Ho 4 aerei assicurati con voi e si sono tutti schiantati l'undici di settembre, e chiamo per sapere quando posso avere i soldi dell'assicurazione per la mia perdita.”

CI: “Ok…. è orribile. Vediamo…. dov'è accaduto?”

CA: “Bene….2 aerei hanno colpito il WTC a New York, un altro aereo ha colpito il Pentagono ed uno si è schiantato in un campo in Pennsylvania. Quando posso avere i miei soldi?”

CI: “Bene qui alle assicurazioni aeroplani Bob vogliamo che riscuotiate appena possibile i vostri soldi. Tutto ciò che dobbiamo fare è controllare e verificare i rottami ed i numeri di identificazione dei 4 aerei così da potervi dare i vostri soldi il più rapidamente possibile. Quali sono i luoghi esatti per mandare i nostri ispettori?”

CA: “Bene ..... quello è un problema. Vedete, non c'è assolutamente nessun rottame di alcun tipo ma abbiamo un sacco di testimoni oculari e un sacco di video e film. Quando posso avere i miei soldi?”

CI: “Capisco, signore. È solo che per pagarvi tutto quel che dobbiamo fare è semplicemente verificare che l'aereo che si è schiantato fosse l'aereo che voi dite. È semplicemente una questione di esaminare una qualsiasi del 3,1 milioni di pezzi di cui è composto un 767 standard. Se se ne sono schiantati 4 questo dovrebbe essere abbastanza facile. Sarebbero quasi 13 milioni di pezzi di aereo. Quando possiamo controllare i rottami?”

CA: “Bene… non potete. Abbiamo i testimoni oculari e i video.

CI: “Signore, io capisco. È solo che non abbiamo mai pagato un reclamo semplicemente sulla base di un testimone oculare o di un video. In tutti i casi abbiamo bisogno dei rottami. Certamente c'erano scatole nere o registratori di dati vocali che potremmo verificare a parte i testimoni o i video?”

CA: “State dando dei bugiardi a tutti i nostri testimoni oculari? State chiamando tutti i nostri video, film e foto dei falsi e delle messinscena? State dicendo che il dolore delle vittime in qualche modo non è reale? Stanno dicendo che Bush ha mentito e che odiate le nostre truppe?”

CI: “Signore… capisco che… il fatto è che state chiedendo di essere pagati milioni di dollari senza un solo pezzo di prova verificabile di qualsiasi tipo. Come ogni società di assicurazioni di linea aerea… che dovete capire che falliremmo in pochi minuti se tutto ciò che fosse necessario per accettare un reclamo sarebbe un testimone oculare, una foto, e nessun rottame. Possiamo controllare o almeno testare i siti?”

CA: “No ..... prendere o lasciare. Tutto ciò che abbiamo è quello che i media ci hanno detto e quello che i nostri testimoni oculari hanno detto che potrebbero aver visto… anche se nessuno di loro era sotto giuramento. Quand'è che possiamo avere i nostri soldi?”

CI: “Signore… con tutto il dovuto rispetto… chiamateci quando potremo controllare un qualsiasi tipo di rottame. Arrivederci.”

Ed ora il mondo reale: al momento della stesura di questo testo non un centesimo è stato pagato ad alcuna delle linee aeree che hanno perso degli aerei l'undici settembre. Perché? Perché le società di assicurazioni che studiano gli incidenti non hanno mai verificato un singolo rottame da uno dei 4 aerei in uno qualsiasi dei 4 siti degli schianti. E pagano solo sulla base dei rottami.
(Le linee aeree ricevettero un bailout da 15 miliardi di dollari dalla Casa Bianca entro 2 settimane dall'undici settembre. American Airlines ricevette 900 milioni di dollari una settimana dopo l'undici settembre.)

La setta pubblica

“Men, it has been well said, think in herds; it will be seen that they go mad in herds, while they only recover their senses slowly, and one by one.”
(Charles Mackay)
Seguendo questa bella inchiesta della ABC sulle condizioni della scuola pubblica in America – forse non così diverse da quelle della scuola italiana – pensare alle parole di John Taylor Gatto è stato praticamente automatico, e giungere alle sue stesse conclusioni praticamente obbligato. Lo scopo della scuola pubblica non è mai stato l'istruzione delle masse, il vero scopo è la formazione di fedeli seguaci di una setta di massa: il culto del Leviatano.
È stato in una tale inutile missione in aprile che mi sono fermato sul canale A&E abbastanza a lungo per sentire che era in programma un documentario sulle sette. Se l'avessi seguito, mi veniva promesso, avrei appreso i sei principi segreti delle sette, come asservire la mente umana oltre il suo potere di evasione, come imprigionare lo spirito, piegandolo alla disciplina della setta. [...]

In uno stato quasi sognante nel motel Howard Johnson di Norwich, New York, ho sentito che il primo modo per riconoscere una setta era che essa “mantiene le proprie vittime inconsapevoli.” ‘Ma come, questo è proprio quello che fanno le scuole istituzionali,’ mi sono detto; ho passato gli ultimi 10 anni della mia vita viaggiando un milione e mezzo di miglia per assistere a quel crimine universale che è l'istruzione forzata di cui ho fatto parte per oltre 30 anni di carriera da insegnante nella “scuola pubblica.”

Inoltre, la televisione continuava ad elencare, una setta controlla il tempo e l'ambiente delle proprie vittime (a questo punto mi mettevo seduto con la penna ed il quaderno per prendere appunti), genera paura e dipendenza, sopprime le vecchie abitudini, infonde nuove convinzioni e non permette la critica. ‘Ma, ma,’ ho sentito farfugliare la mia coscienza, ‘questa è la formula perfetta per una scuola governativa.’ La scuola è stata strutturata per essere un'espressione di disciplina settaria! La scuola è una setta, non diversa setta omicida di cui era membro la principessa la Grace quando concluse i suoi giorni sulla terra, o dai leggendari Thuggee nell'India britannica che adoravano Kali, la Distruttrice!

Wednesday, January 28, 2009

Il Grande Crimine #3

Di T. Hunt Tooley


La nazionalizzazione del privato

Parte del problema per i tirapiedi dello stato era la questione di come nazionalizzare e sistematizzare un'ampia fascia di aspetti della vita essenzialmente privati. Delle migliaia di casi che potremmo studiare a questo riguardo, i molteplici aspetti dell'istruzione pubblica sono forse i più strettamente connessi con la perdita della privacy. E questi aspetti sono rivelatori quando pensiamo ad essi relativamente alla Grande Guerra. Qui mi concentrerò sugli Stati Uniti, dove il santificato John Dewey dev'essere considerato con attenzione. La complessa visione collettivista di Dewey del ruolo dell'educazione nella società era basata sulla distruzione delle antichi abitudini di mediazione di costumi, tradizione e negoziazione della famiglia e dell'individuo. Come i suoi colleghi progressisti Frederick Taylor ed Edward Mandell House, credeva che la nuova comunità sarebbe stata controllata da amministratori specializzati del “sistema” che capivano i problemi dell'individualismo. Come scrisse Dewey un decennio prima della guerra,
Siamo portati a guardare alla scuola da un punto di vista individualistico, come qualcosa fra l'insegnante e l'allievo, o fra l'insegnante ed il genitore…. E giustamente. Tuttavia la gamma della prospettiva deve essere allargata. Ciò che il migliore e più saggio genitore vuole per il proprio bambino, quello deve volere la comunità per tutti i suoi bambini. Qualunque altro ideale per le nostre scuole è limitato e sgradevole; messo in atto, distrugge la nostra democrazia. [14]
Nella lotta per irreggimentare democraticamente i bambini, Dewey fu sostenuto da un gran numero di fantaccini progressisti. Per esaminarne uno solo, potremmo pensare alla sociologa e giornalista Frances Kellor. Alla guida del movimento per l'Americanizzazione nel periodo prima della guerra, la Kellor collegò le sue predilezioni per il nazionalismo americano, l'efficienza industriale e l'esigenza di indottrinare gli immigranti alle attitudini americane, creando un movimento che decollò con l'inizio della Prima Guerra Mondiale. Entro il 1916, la sempre più influente Kellor reclamava il servizio militare universale, l'attento indottrinamento nei programmi scolastici, e la rivitalizzazione dell'America. Accolse con favore la guerra in arrivo perché avrebbe creato lo “spirito eroico con cui una nazione è infine saldata insieme….” Per la fine della guerra, la Kellor ed altri come lei si presero il merito per il lavoro reale di fare pressione con successo sulle legislature statali per realizzare un nuovo regime di formazione, proscrivendo le scuole in lingua straniera, pubbliche e private, promuovendo le classi di americanizzazione, ed altrimenti usando le scuole per promuovere l'agenda progressista della distruzione della privacy e dell'immersione dell'individuo nelle torbide acque della democrazia. [15]

Un altro caso di studio riguarda i modi in cui gli stati nazionalizzano i villaggi, le famiglie e le regioni in nome del disastro. Il nostro esempio è il villaggio di Vauquois, un villaggio tipico della regione della foresta di Argonne nella Lorena, la sommità di un colle patria di diverse centinaia di pacifici cittadini francesi prima del 1914. Quando la guerra scoppiò, le unità dell'esercito francese si ritirò dalla frontiera a Vauquois nelle prime settimane della guerra e là presero posizione. I tedeschi attaccarono, ma come accadeva spesso, gli eserciti arrivarono ad un punto morto, in questo caso sulla sommità stessa della collina o della cresta oblunga. I due lati si trincerarono nelle proprie posizioni, con entrambe le linee della trincea che passavano attraverso il villaggio, in effetti, alla distanza del lancio di una pietra – o di una granata. Questo segmento del Fronte Occidentale rimase sul posto per quattro anni, eccezion fatta per la distruzione della stretta terra di nessuno con mine sotterranee. Quindi, la collina fu letteralmente scavata fuori dagli esplosivi e disseminata di tunnel. Occasionalmente, i soldati combattevano nel sottosuolo. Occasionalmente, si scambiavano invece tabacco e cioccolato. La Prima Armata americana entrò nelle posizioni francesi nel settembre 1918 e “prese” la posizione tedesca di Vauquois incenerendola con proiettili alla thermite e quindi semplicemente girando intorno a Vauquois. [16]

Ma cosa era accaduto alla strettamente legata comunità dei paesani francesi? Furono evacuati e dislocati molte miglia dietro le linee, dove languirono durante la guerra. Una volta che la guerra fu terminata, la burocrazia militare della ricostruzione francese – famosa per l'arroganza e l'inettitudine – continuò a limitare l'accesso all'area in modo che i lavoratori ufficiali del reclamo potessero “reclamare” il villaggio, nonostante le richieste dei paesani di lasciarli ritornare a prendere possesso delle loro proprietà. Dal momento che non era rimasto, in effetti, alcun villaggio al di là degli enormi crateri e di pochi brandelli di muratura, il governo francese finalmente – anni dopo l'evacuazione e perfino dopo la guerra stessa – decise di dichiarare l'area una “zona rossa.” Il che significava che a nessuno era permesso di rientrarci. La difficile situazione dei paesani di Vauquois alla fine venne privatizzata e diverse collette di carità permisero ai paesani di tornare, comprare un po' di terra poche centianaia di yarde giù dalla collina e di fondare una nuova Vauquois. [17]

Quindi, lo stato portò la guerra che inghiottì le vite private degli abitanti di Vauquois. Lo stato li rimosse per la loro sicurezza e lo stato gli impedì di ritornare a salvare ciò che poteva essere salvato. Questo è un modello così ben radicato novant'anni dopo che potrebbe richiedere un certo sforzo per immaginarlo diversamente: prima quegli individui fossero potuti tornare quando la guerra si spostò oltre la regione nel settembre 1918, maggiori sarebbero state le probabilità di riprendersi qualcosa, di riciclare il rimanente, di salvare quel che poteva essere salvato. Prima si fossero liberati dalla nazionalizzazione e fossero tornati all'esistenza privata piuttosto che vivere come parte del sistema bellico in un'altra città, più l'ordine naturale dell'individuo, della famiglia e del villaggio avrebbe potuto riaffermarsi, anche se sarebbe stato necessario del duro lavoro. Invece, hanno affrontato i ritardi dovuti alle formalità burocratiche mentre il loro governo raccoglieva milioni di franchi in riparazioni dalla Germania e costruiva nuovi palazzi di governo e varie altre addizioni “infrastrutturali” per la Francia (autostrade, ecc.) lontano da Vauquois.

Con disastri come quello di Vauquois e di altre cento città e villaggi francesi, comprendiamo la genesi dell'amministrazione statale dei disastri nel ventunesimo secolo. Gli individui che provano a proteggere le loro proprietà durante un uragano sono considerati nemici dello stato – problemi di cui si deve occupare la polizia. I recenti sfaceli della FEMA sono soltanto la versione ultima e più estrema.

L'indagine in molti altri casi di studio riempirebbe i contorni di questa storia: l'obiezione di coscienza alla guerra, l'arruolamento delle donne in fabbriche di munizioni ultra-tossiche, la propaganda dell'obbligazione verso lo stato che condusse le girl-scout in Inghilterra ad organizzare la consegna di piume bianche agli uomini sani che non si arruolavano nell'esercito, i lavori forzati in Germania, l'internamento dei tedeschi etnici in Australia, il programma per aprire la posta degli Stati Uniti alla ricerca di sabotatori e traditori e molto, molto di più. Ma per sintetizzare una lunga storia, come con il “sequestro” della proprietà privata di Rathenau, e con la “sistematizzazione” dei disastri gestita dallo stato, il risultato della crisi della Grande Guerra, come Robert Higgs potrebbe indicare, fu una profonda trasformazione in tutti i rapporti tra l'individuo e lo stato, e quindi una profonda trasformazione in tutti i rapporti fra gli individui, le famiglie, le chiese e i gruppi non statali.

Come ho suggerito nella mia frase di apertura, non potremo mai contare i costi della Grande Guerra. Possiamo, tuttavia, apprezzare il mondo che è stato perso quando, nel 1914, le luci si spensero in tutta Europa ed altrove da allora in poi. Uno dei costi più importanti è stato l'inizio della nazionalizzazione della vita privata che continua il suo corso fino ad oggi.

Lasciatemi aggiungere che questa contabilità dei costi e tutta la visione della guerra nei suoi aspetti negativi sono appena immaginabili nei moderni sistemi di pensiero statalisti e democratici. Dopotutto, forse la guerra ha reso davvero il mondo sicuro per la democrazia. In effetti, Randolph Bourne, famoso per l'osservazione che la guerra è la salute dello stato, avrebbe potuto andare oltre: la guerra non è solo la salute dello stato, ma anche la salute della democrazia. Non c'è aspetto della guerra che sia sgradita al moderno stato collettivista-democratico. La guerra giustifica ogni misura voluta per l'espansione del potere dello stato; rende necessaria la rimozione di tutti gli intermediari fra lo stato e gli individui, le famiglie, o altre unità umane naturali. La guerra esalta la collettività e tende ad uccidere, mutilare, umiliare, o corrompere l'individuo. La guerra fornisce un'aria di sacralità alla moderna religione civica umanista e positivista. Le nostre feste nazionali relative alla guerra rappresentano giorni santissimi, salvo che il sacrificio celebrato è il sacrificio degli individui nel servizio dello stato (o della “libertà” o di qualsiasi altra parola chiave lo stato decida di usare come sinonimo per i propri poteri). Quindi, da questa prospettiva, i costi della guerra per gli individui sono trasformati in chiari profitti per lo stato.
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Note


[14] John Dewey, The School and Society (Chicago: University of Chicago Press, 1907), 19–44.

[15] Questa discussione è basata sull'eccellente analisi di John Taylor Gatto, The Underground History of American Education (New York: The Oxford Village Press, 2001), 232–36. Le citazioni provengono da Frances Kellor, Straight America (New York: Macmillan, 1916), 19. Vedi anche Murray N. Rothbard, “Origin of the Welfare State in America,” Journal of Libertarian Studies 12 (no. 2, 1996): 221–23.

[16] Elspeth Johnstone, “Vauquois - The Lost Village,” una pagina sulla “Francia in guerra” del sito worldwar1.com.

[17] Vedi Hugh D. Clout, “The Revival of Rural Lorraine After the Great War,” Geografiska Annaler, Series B, Human Geography 75 (1993): 73–91.
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Link alla prima parte.
Link alla seconda parte.

Tuesday, January 27, 2009

Il Grande Crimine #2

Di T. Hunt Tooley


Accelerati trasferimenti di proprietà privata allo stato

Rivolgiamo la nostra attenzione verso alcuni casi che ci danno modo di capire il processo di decivilizzazione – la “migrazione dal progresso” nelle parole di Wilfred Owen. Durante la guerra, la spesa pubblica fra i belligeranti aumentarono di un fattore medio di circa diciotto, i loro redditi dichiarati di un fattore di circa otto. [9] Gli indici del costo della vita raddoppiarono nei migliori dei casi ed quadruplicarono nel peggiore. I governi in tutti i paesi belligeranti intervennero nelle loro economie con controlli dei prezzi e razionamenti, e si affannarono per pagare i costi orrendi della carneficina. Nel far ciò, dovettero sviluppare nuove attitudini verso la proprietà privata, e quindi verso la vita privata stessa.

Walther Rathenau ci fornisce un importante caso di studio. Rathenau, il direttore della Azienda Elettrica Generale tedesca (AEG), lavorò come capo dell'Ufficio Tedesco dei Materiali Bellici a partire dai primi giorni della Prima Guerra Mondiale. Il suo ufficio usò l'autorità statale per spingere con la prepotenza le aziende alla fusione (aziende elettriche incluse), per confiscare le risorse necessarie, per intervenire piuttosto direttamente nelle operazioni di imprese grandi e piccole. Il suo compito, egli rivelò in un rapporto soltanto un anno dopo l'inizio della guerra, era stato scoraggiante, pricipalmente perché la Germania era molto attaccata a concetti antiquati come la norma di legge, o piuttosto la norma di leggi basate su proprietà e volontà privata, come quelle “difettose ed incomplete” leggi di proprietà in vigore dal tempo di Federico il Grande e da ancor prima. [10] Le “misure coercitive” che Rathenau amministrò facevano parte proprio della serie di cambiamenti che “con tutta probabilità sarebbero stati destinati a interessare i tempi futuri.” Effettivamente, Rathenau mostrò precisamente come il processo del cambiamento fu realizzato: per ridefinizione.
Al termine “sequestro” venne data una nuova interpretazione, piuttosto arbitrariamente, lo ammetto, ma sostenuta da determinati passaggi nella nostra legge marziale…. “Sequestro” [ora] non significa che le mercanzie o il materiale sono confiscati dallo stato, ma soltanto che sono limitati, ovvero, che il proprietario non può più disporne a sua volontà ma che devono essere riservati per uno scopo più importante…. Inizialmente molta gente trovò difficile adeguarsi alla nuova dottrina. [11]
Questo genere di ridefinizione ebbe luogo in tutti i paesi belligeranti durante e molto dopo la guerra, e non solo nei regimi totalitari uomini come Rathenau erano sempre pronti a procedere. Le ridefinizioni di parole come confisca e sequestro condussero ai regimi di assistenza sociale ridistribuzionalisti e paternalisti in Gran-Bretagna, in Francia e nell'America di FDR, così come ai governi fascisti e comunisti in Germania, in Italia ed in Russia.

Tali ridefinizioni erano già in corso prima della guerra, ma il tempo di guerra rappresentò l'adempimento. Questo fu in particolare il caso per gli agenti dello stato, e per coloro le cui fortune dipendevano dall'espansione dello stato moderno.

Un altro caso del tempo di guerra che potrebbe aiutarci a capire è l'aspetto relativo del trasferimento della ricchezza privata all'utilizzo dello stato. Esaminiamo l'inflazione del tempo di guerra. Le politiche inflazionistiche della maggior parte dei poteri belligeranti rappresentano, dopo tutto, un'estensione delle erosioni della proprietà privata recentemente ridefinite. Storicamente, l'inflazione è un classico gioco di saccheggio legale, più efficace delle tasse poiché il furto legalizzato è celato. Quindi, nel crescere a passi da gigante, nell'impiegare sempre più tirapiedi ai propri ordini – sia nelle forze militari che regolatrici – i governi della Prima Guerra Mondiale trasferivano corrispondentemente sempre più ricchezza del loro popolo allo stato.

Tutti i belligeranti nella Prima Guerra Mondiale “crearono” valuta o moneta stampandola o immaginandola sotto forma di credito. I pianificatori della Prima Guerra Mondiale aprirono anche la strada per ciò che potremmo chiamare la moderna “etica” dell'inflazione (celebrata da Keynes e più tardi dai tifosi della "curva di Phillips”) ignorando la natura non volontaria di questo trasferimento di ricchezza ed incoraggiando le vittime di questi trasferimenti a considerarli come atti di patriottismo. Il capo della banca centrale tedesca disse al consiglio della banca fin dal 25 settembre 1914, che il migliore modo per coprire i prossimi enormi costi della guerra sarebbe stato “un appello ad un intero popolo,” un appello “a valori etici e non soltanto al profitto personale.” [12]

Dopo il 1918, i governi tesero a recedere in qualche misura dalla più estrema tassazione del tempo di guerra, ma i trasferimenti di proprietà privata verso gli stati continuarono sotto forma d'inflazione. Anche negli Stati Uniti del periodo del dopoguerra, quando non ci fu tecnicamente una grande crescita della quantità di moneta in sé, ci fu un'espansione del credito notevolissima alimentata dal governo federale e promossa dalla Riserva Federale, come Murray Rothbard ha dimostrato molti anni fa nel suo libro America's Great Depression. In generale gli economisti austriaci, da Mises e da Bresciani-Turroni in poi, hanno mostrato abbastanza chiaramente che gli anni 20 rappresentarono una bolla altamente inflazionistica il cui scoppio innescò la Grande Depressione. [13]

Se aggiungiamo a questa “tassa dell'inflazione” nascosta il fatto che l'alta tassazione del tempo di guerra aumentò le tasse di un fattore da tre in su, è chiaro che lo stato oltrepassò una soglia durante la Prima Guerra Mondiale, una soglia ad un trasferimento molto, molto più alto di ricchezza privata verso lo stato. Durante il periodo del dopoguerra, i livelli si ridussero in qualche misura, ma in generale, il terreno era stato preparato per un aumento continuo di tali trasferimenti fino alla fine del ventesimo secolo e oltre.

Sto suggerendo qui che un grande costo della guerra sia stato la degradazione dell'autonomia degli individui e delle famiglie in relazione alla loro proprietà. Potrei aggiungere che le enormi e appariscenti fortune del ventesimo secolo non sono la proprietà privata che ho in mente principalmente, poiché molte di quelle fortune sono basate su associazioni monopolistiche fra i grandi centri di ricchezza ed i governi – l'anima dell'attività speculativa, dello spremere i produttori. Ciò che ho in mente è la giustizia di possedere le cose per cui si ha lavorato, la giustizia inerente in quella meravigliosa facoltà della condizione umana di lavorare duro, programmare e risparmiare per sopravvivere, dare e consumare nei modi scelti dall'individuo e dalla famiglia – in contrasto con l'aggressiva tendenza dello stato a prendersi dei pezzi sempre più grandi.
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Note


[9] Randall Gray with Christopher Argyle, Chronicle of the First World War, 2 vols. (Oxford, New York: Facts on File, 1991), 2: 293.

[10] Federico il Grande, nonostante tutte le sue imprese economiche stataliste, tentò in effetti di mescolare l'antico rispetto prussiano per la legge con il rispetto per l'individuo dell'Illuminismo. La circolazione della storia del “mugnaio di Sans Souci” – una storia in cui il mugnaio si leva di fronte al giovane re indicando il potere della legge – dimostra qualcosa di questa devozione, che la storia sia apocrifa o meno. Il riferimento del Rathenau a Federico il Grande qui è abbastanza specifico.

[11] Vedi “Address of Walther Rathenau on Germany's Provision for Raw Materials,” 20 dicembre 1915, pubblicato in Ralph H. Lutz (ed.), The Fall of the German Empire, 1914–1918 (Stanford, 1932), 2: 77–90 (Hoover War Library Publications, No. 2).

[12] Gerald Feldman, The Great Disorder, 864.

[13] Sul fronte europeo, vedi particolarmente Constantino Bresciani-Turroni, The Economics of Inflation: A Study of Currency Depreciation in Postwar Germany (Northampton, UK: John Dickens & Co. Ltd., 1968 [1937]): 405–57; e Hans F. Sennholz, The Age of Inflation (Boston: Western Islands, 1979). Sul fronte americano, vedi Murray N. Rothbard, The Case Against the Fed (Auburn, AL: Ludwig von Mises Institute, 1994): 118–30; e American's Great Depression, 5th ed. (Auburn, AL: Ludwig von Mises Institute, 2000): 86–179.
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Link alla prima parte.
Link alla terza parte.

Monday, January 26, 2009

Il Grande Crimine #1

Hunt Tooley insegna storia all'Austin College, ed è l'autore di “The Hindenburg Program of 1916: A Central Experiment in Wartime Planning” (pdf). In questo breve saggio analizza uno dei prezzi più cari che l'umanità ha dovuto pagare per la Prima Guerra Mondiale, ovvero il passaggio della vita e della proprietà privata dalle mani dell'individuo a quelle dello stato.

Un prezzo che continuiamo a pagare ancora oggi, e che spiega almeno in parte, se non del tutto, il motivo per cui i governi sono sempre così prolifici nella produzione di giustificazioni per la guerra.

In tre parti, questa è la prima.
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I costi della Grande Guerra: la nazionalizzazione della vita privata

Di T. Hunt Tooley


I costi della Grande Guerra furono davvero astronomici. Come per il numero delle stelle, la contabilità finale è nelle mani di Dio. I massacri, il patrimonio, la fede in una certa specie di ordine della società: tutti questi sono stati costi della guerra. Come suggerì Wilfred Owen nella sua terribile poesia “Strange Meeting,” la cultura europea sembrava terribilmente determinata a migrare dal progresso verso qualcosa che lo storico letterario Paul Fussell più tardi chiamò il mondo dei trogloditi: una specie di visione hobbesiana, si potrebbe dire, dipinta con penna ed inchiostro da Otto Dix. [1] Un grande costo, davvero.

Tuttavia questo saggio ha meno a che fare con i numeri di vite finite rispetto a ciò che pertiene le vite alterate, o piuttosto, i cambiamenti nella condizione della vita privata dell'individuo moderno, della famiglia moderna, della comunità moderna. Questo saggio riguarda la proprietà privata, l'autonomia dell'individuo e la tendenza disastrosa dello stato, accelerata dalla Prima Guerra Mondiale, a rivendicare il diritto di prendere a piacere qualsiasi cosa si trovi all'interno del suo territorio.

Un tema secondario è che questo grande cambiamento nella vita privata era già in maturazione prima del 1914. L'agente reale del cambiamento non fu la guerra, ma lo stato ed i suoi appoggi e servi. Tuttavia la guerra come acceleratore del cambiamento fu dannosa a sufficienza. I leader politici ed intellettuali in tutti i paesi accolsero con favore la guerra per i cambiamenti collettivisti che avrebbe inevitabilmente portato. Negli Stati Uniti, una delle figure più importanti ad accogliere favorevolmente la guerra fu John Dewey, un vero dio nel pantheon della nostra moderna religione civile. Dewey vedeva la guerra, giustamente, come l'acceleratore della incombente società industriale: una società positivista gestita, che considerava come la democrazia stessa. (Più su questo sotto.)

Mere statistiche

Le mere statistiche non raccontano l'intera storia, ma possono cominciare a mostrarne i contorni. Cinquanta milioni di uomini in tutto il mondo furono mobilitati per il servizio militare in guerra. Poco più di un quinto di essi morì. [2] Le morti civili sono più difficili da calcolare, ma molti milioni morirono d'inedia (come nel caso della Germania, dove morì per malnutrizione un numero di civili fra il mezzo milione e 700.000), per omicidio di massa intenzionale, ed emigrazione forzata, mentre altri furono uccisi per rappresaglia o come spie, casualmente da fuoco amico o nemico, o vittime della violenza intenzionale di singoli soldati (amici o nemici), ecc. [3]

Oltre alla sua capacità di trasformare individui vivi in individui morti, durante la Prima Guerra Mondiale, lo stato riuscì anche ad inquinare, sconvolgere e distruggere gli ecosistemi delle campagne e delle città in Europa ed altrove – ecosistemi che si erano formati in millenni. L'area di distruzione lungo il Fronte Occidentale è, naturalmente, l'esempio più notevole. Ogni città o paese all'interno di quest'area venne danneggiata; un gran numero è scomparso. Alcune città sopravvissero soltanto come associazioni di raccolta per organizzare riunioni ufficiali degli ex residenti – riunioni tenute necessariamente altrove, poiché nei siti delle città la terra stessa era stata alterata fisicamente, inquinata e disseminata di esplosivi attivi. Effettivamente, le innaturali quantità di materiale organico in decomposizione ed un'enorme distribuzione di prodotti chimici tossici (metalli pesanti compresi), con la rottura semi-totale delle reti fognarie naturali ed artificiali nella maggior parte delle zone, hanno significato che alcuni di quei luoghi sono stati semplicemente irrecuperabili per gli ultimi novant'anni – e per quanto ancora in futuro possiamo soltanto immaginarlo. [4] Delle vite sono state ancora – negli ultimi anni – perdute o minacciate da questi esplosivi e da altri pericoli rimasti indietro. [5]

Su altri fronti, la distruzione tese ad essere meno intensa. Ma ancora, città dopo città furono bombardate e bruciate lungo tutta l'Europa centrale e sud-orientale, così come altrove. All'inizio della Prima Guerra Mondiale, le armate russe “ripulirono” le aree vicino al fronte di milioni di ebrei, tedeschi ed altre persone considerate probabilmente bendisposte verso l'esercito tedesco. Molte centinaia di migliaia morirono nel procedimento. [6] E ci fu il massacro turco degli armeni, degli assiri e dei greci quasi contemporaneamente. In effetti, questi casi di pulizia e omicidi etnici aprirono ancora un altro vaso di Pandora che trasformò la “tecnica” dell'emigrazione forzata violenta in uno dei motivi principali del mondo del ventesimo secolo.

Dovremmo anche pensare ai risultati a lungo termine: la miseria causata da queste morti e dalla brutalità, le vite produttive che il mondo ha perso, il lavoro mai compiuto, le tradizioni familiari che finirono e molto di più. E se estendiamo il nostro pensiero fino ai risultati geopolitici della guerra, vediamo ulteriori miserie scorrere dalle decisioni umane di quel tempo. La rivoluzione russa ed i conflitti che nacquero dal quasi inspiegabile congresso di pace di Parigi provocarono incalcolabile sofferenza, morte e disperazione in problemi che ancor oggi sembrano insolubili.

Civiltà europea e individui

Ma qui voglio concentrarmi non sul tema delle vite, ma della vita privata e della sua estensione, la proprietà privata. In primo luogo, uno degli enormi costi della guerra fu la percentuale di ricchezza o di capacità produttiva trasferita da mani private nei forzieri di stato. Anche il teorico originale del potere dello stato, Niccolò Machiavelli, raccomandò agli aspiranti assolutisti di tenere le mani lontane dalle proprietà (e dalle donne) dei loro contadini e di altri cittadini produttivi. [7]

In effetti, gli assolutisti di Machiavelli lottarono con l'Europa dell'individualismo e del costituzionalismo per trecento anni, fino a che le forze degli individualisti liberali non sembrarono aver conquistato la supremazia sia in Europa che nelle sue appendici. Ma dall'ultimo quarto del diciannovesimo secolo, l'Europa degli imperi, del nazionalismo e del crescente collettivismo voltò le spalle alle realizzazioni ed all'autonomia degli individui e delle famiglie. Nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale, gli europei sempre più cominciavano a definirsi per gruppi – nazionalità, sesso, o classe. Ogni gruppo sviluppò l'abitudine di chiedere al governo di confermarlo o sostenerlo o di dargli privilegi speciali – spesso con la minaccia implicita della violenza.

Tutto questo era in diretto contrasto sia con i valori conservatori che con quelli liberali del diciannovesimo secolo, ma i liberali in Europa e negli Stati Uniti subirono una trasformazione: nati come campioni dell'autonomia individuale, diventarono schiavi della sicurezza di gruppo. In questo scenario, la guerra diventò, come Murray Rothbard ed altri hanno osservato, adempimento. [8] Le politiche sono troppo familiari per enumerarle: intervento economico ovunque, pesante incoraggiamento per unirsi al “sistema” bellico, denuncia continua dei nemici interni, disprezzo della norma di legge, massiccio trasferimento di ricchezza dalle mani degli individui, delle famiglie e di altre fonti private allo stato. Non ultima tra queste tendenze fu la sopraffazione delle vite private e perfino della privacy. Dalla vacua propaganda esaltante il pensiero di gruppo in tutte le società dei belligeranti al disfacimento molto reale delle unità familiari ad opera dei bolscevichi, la guerra fu la copertura per le molteplici incursioni dell'interferenza dello stato nella vita privata.
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Note


[1] Paul Fussell, The Great War and Modern Memory (New York: Oxford University Press, 1975), ch. 2, “The Troglodyte World.”

[2] Leonard P. Ayers, The War With Germany: A Statistical Summary (Washington, D. C., 1919).

[3] In più, l'epidemia d'influenza del 1918-19 si portò via molti altri civili (e più persone universalmente dell'intero tributo di morte della Grande Guerra). Questa epidemia fu in un certo senso un evento naturale, ma completamente a carico della guerra: cominciò apparentemente con un virus che poteva adattarsi a causa del gran numero di uomini nei campi d'addestramento americani del Midwest, dove pare che trovò il mezzo in cui adattarsi e sfuggire da popolazione e forma originarie. In effetti, anche se gli Stati Uniti furono colpiti violentemente (con circa 675.000 morti, compresi 43.000 soldati e marinai), pare che il virus abbia fatto nell'agosto 1918 un altro adattamento che gli permise di muoversi intorno al globo. Gli europei morirono in numeri simili, ma l'enorme quantità di morti in India portò il totale in tutto il mondo a quaranta milioni, circa due o due volte e mezza il numero dei morti per tutte le altre cause nella Prima Guerra Mondiale. Per un breve sommario, vedi Pope e Wheal, Dictionary of the First World War, 104; vedi anche Fred R. Van Hartesveldt, The 1918–1919 Pandemic of Influenza: The Urban Impact in the Western World (New York, 1992); e per un recente studio scientifico, Jeffrey K. Taubenberger, “Seeking the 1918 Spanish Influenza Virus,” American Society for Microbiology News, 65, no. 7 (1999).

[4] Vedi Hunt Tooley, The Western Front: Battleground and Home Front in the First World War (Houdmills, Basingstoke: Palgrave, 2003), esp. Chapter VIII.

[5] Stephen Castle, “Great War explosives dump is unearthed by Belgian farmer,” The Independent, 20 marzo 2001.

[6] Vedi Peter Gattrell, A Whole Empire Walking: Refugees in Russia During World War I (Bloomington and Indianapolis, 1999); e Mark Levene, “Frontiers of Genocide: Jews in the Eastern War Zones, 1914–1920 and 1941,” in Minorities in Wartime, 83–117.

[7] Il principe, capitolo XVII.

[8] Murray N. Rothbard, “World War I as Fulfillment: Power and the Intellectuals,” Journal of Libertarian Studies 9 (Winter 1984): 81–125; e ristampato in John V. Denson (ed.), The Costs of War: America's Pyrrhic Victories, 2nd ed. (New Brunswick, NJ: Transaction Press, 1999).
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Link alla seconda parte.
Link alla terza parte.

Saturday, January 24, 2009

Premio Caligola - Gennaio '09

Ancora un'appassionante sfida per il Premio Caligola - Il potere gli ha dato alla testa di gennaio, il primo del 2009. Chi ben comincia è già a metà dell'opera, si usa dire, e invero quegli esseri così simili a noi, comuni mortali, ma ormai irrimediabilmente trasfigurati dal terrificante virus del potere, han cominciato a darsi un gran daffare fin dai primi giorni dell'anno, rendendo improbo il lavoro di preselezione della giuria. Ma, alla fine, i tre candidati prescelti per contendersi il prestigioso trofeo sono più che degni della sua augusta tradizione, combinando la tendenza aggressiva e sprezzante di ogni buon detentore di autorità con una demenzialità che non si può non definire artistica.

Come per esempio nel caso del primo concorrente, rappresentante dell'Italia – anzi, no: della Padania – il rubicondo Roberto Calderoli. Il ministro della semplificazione (pensate a che livello siamo!), a furia di semplificare, è riuscito nell'intento di dividere i cittadini in due classi: i pubblici ufficiali, e le bestie. Tale infatti la giusta definizione del semplice cittadino una volta eliminato l'articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale n. 288 (d'oh!), sconosciuto ai più, ma che consentiva alle vittime di abusi polizieschi di difendersi senza essere accusati di oltraggio a pubblico ufficiale. Un piccolo ma decisivo passo verso lo stato di polizia, eseguito quasi senza parere.

Non da meno, comunque, il secondo concorrente, il governo di Seul, che non ha trovato di meglio da fare che accusare della crisi economica un blogger, Park Dae-sung detto Minerva, che è stato arrestato per aver predetto, semplicemente informandosi sulla rete, le sorti della Lehman Brothers e altre cosette, per la serie “non potevamo sapere, non potevamo prevedere.” Da quel che ci risulta, gli analisti economici delle maggiori testate sudcoreane sono invece ancora a piede libero: non avevano previsto nulla di tutto ciò, sono quindi innocenti.

Per chiudere, una piccola chicca arrivata da Israele, mentre la battaglia infuriava sulla Striscia, il capo del partito di estrema destra israeliana Yisrael Beitenu, il parlamentare Avigdor Lieberman, ha proposto una brillante soluzione al problema di Gaza, anzi, la soluzione: una bella atomica come quella di Hiroshima. E qui davvero la demenzialità tracima nel genio, perché in tal modo ci si sbarazzerebbe dei palestinesi subito, e degli israeliani – Lieberman compreso – un po' più lentamente, seguendo il ritmo del fall-out. Chissà, forse ci si dovrebbe fare un pensierino...

Ma a questo punto la parola spetta a voi, a voi il privilegio di scegliere quale tra questi campioni della politica merita il nostro riconoscimento. Un diritto-dovere... fatica-riposo... lavoro-svago... ehm, insomma, ci siamo capiti. Votate!
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Errore nei tagli, diventa reato difendersi dagli abusi degli agenti


MILANO — Lavorare di lima, suggerirebbe il buon senso quando si interviene sul cristallo degli assetti normativo. E invece, a forza di mulinare allegramente l'accetta per disboscare la giungla di leggi stratificatesi nei decenni, e nella foga di troppo vantare la semplificazione normativa, il governo del ministro «semplificatore» Roberto Calderoli ha semplificato troppo. Così tanto da calare per sbaglio la mannaia, con il decreto legge che ha appena «tagliato» 29mila leggi del 1861-1947, anche su un testo del 1944 senza accorgersi che così priva il cittadino di una garanzia di sistema nell'ordinamento democratico contro gli eccessi arbitrari dei funzionari pubblici: e cioè la norma che esime il cittadino dalle ricadute penali di talune sue reazioni ad atti arbitrari o illegali dell'Autorità pubblica, insomma all'uso scorretto del potere discrezionale dei rappresentanti lo Stato.

Senza più questa manciata di righe, e salvo modifiche entro il 20 febbraio nella conversione del decreto legge n. 200 approvato il 22 dicembre scorso, ciascun cittadino — quello che subisca un fermo per motivi infondati, quello che allo stadio si ritrovi vittima di azioni immotivate delle forze dell'ordine, quello che in piazza veda equivocato il proprio ruolo nel parapiglia di una manifestazione politica, quello che in udienza abbia un acceso confronto con un giudice prepotente — si ritrova più indifeso rispetto a potenziali soprusi di Stato. Nel codice penale, infatti, alcuni articoli puniscono la resistenza o minaccia a pubblico ufficiale (fino a 5 anni); la violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (fino a 7 anni); l'oltraggio a pubblico ufficiale (fino a 2 anni), a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (fino a 3 anni), a un magistrato in udienza (fino a 4 anni). Però, grazie all'articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale n. 288 del 14 settembre 1944, i cittadini sono esenti da sanzioni «quando il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio o pubblico impiegato» abbia causato la reazione dei cittadini «eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni».

Norma tutt'altro che desueta, né considerabile (condizione per finire nel trita-leggi varato il 22 dicembre) «estranea ai principi dell'ordinamento giuridico attuale»: non solo è spesso applicata, ma ad esempio la Cassazione l'ha utilizzata nel 2005 per ritenere arbitrario il fermo per accertamenti e l'ammanettamento di una persona infondatamente sospettata d'essersi sottratta alla sorveglianza speciale, poi l'ha di nuovo applicata nel 2006, quindi l'ha trattata nel 2008, senza contare che anche la Consulta l'ha esaminata ancora nel 2007 nell'ordinanza numero 36. Il problema è che il decreto del 22 dicembre, salutato dal ministro Calderoli come una «pulizia legislativa di leggi superate o svuotate di significato dalla legislazione sopravvenuta», ha «ripulito» sbrigativamente anche il testo del 1944, e aperto quindi per sbaglio una falla che nell'ordinamento non trova copertura in qualche altro testo, come invece per fortuna può accadere per l'abrogazione del decreto luogotenenziale n.288 del 1944, che nel codice sostituiva la pena di morte con l'ergastolo, e introduceva le attenuanti generiche. Qui non c'è pericolo, neanche per esercizio di sfizio dialettico, che si considerino la pena di morte ripristinata o le attenuanti scomparse: in un caso la salvezza viene, oltre che dalla Costituzione, dall'abolizione della pena di morte all'art.1 del protocollo addizionale n.6 alla «Convenzione europea dei diritti dell'uomo» (Cedu) ratificato dalla legge n.8 del 2 gennaio 1989; nell'altro caso, soccorrono una legge del 1975 e l'ex Cirielli del 2005.

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Seul, in carcere l'aruspice della finanza


Quando le forze dell'ordine hanno fatto irruzione nel suo appartamento lo hanno sorpreso mentre ordinava online un saggio in materia di finanza. Aveva creato intorno a sé un alone di autorevolezza dispensando vaticini riguardo alle sorti dell'economia sudcoreana, si era nascosto per mesi dietro allo pseudonimo di Minerva. La polizia lo ha arrestato, accusandolo di aver diffuso online informazioni false che hanno agito sul quadro economico del paese.

Minerva si era espresso centinaia di volte sulle pagine dedicate ai dibattiti del popolare portale Daum, i suoi post raccoglievano centinaia di migliaia di visite: aveva previsto le sorti di Lehman Brothers, aveva anticipato il crollo del valore della valuta sudcoreana, aveva tracciato con sufficiente precisione lo scenario che si sarebbe configurato per il suo paese nel momento in cui fosse stato investito dall'impatto della recessione. Non tutti i vaticini di Minerva si sono trasformati in realtà, non tutte le qualifiche che vantava erano realmente in suo possesso. La stampa locale riprendeva pedissequamente le sue predizioni, assecondava timori e alimentava paure. Il mondo della finanza incassava e prestava ascolto all'oracolo. Ed è scivolato in una spirale creata ad arte da un cittadino della rete che non esitava a diffondere notizie che le autorità hanno definito infondate.

Il governo di Seul ha reagito alla congiuntura economica e ha previsto un piano per rialzarsi. Ha inoltre ordinato l'arresto di Minerva, responsabile, a parere del giudice che ha disposto il provvedimento, di “aver influito sul mercato monetario globale e sulla credibilità nazionale” con due post. Avrebbe distorto la realtà e turbato l'andamento dell'economia, avrebbe deliberatamente seminato il panico diffondendo informazioni false, fra cui la notizia di una raccomandazione che il governo avrebbe inviato alle banche per ammonirle a non comprare dollari per consolidare la valuta locale.

Le forze dell'ordine hanno identificato Minerva in Park Dae-sung, 31enne che non ha conseguito alcun titolo di studio negli Stati Uniti né ha mai lavorato per Wall Street. Hanno fatto irruzione nel suo appartamento, lo hanno tratto in arresto. Minerva non si è dichiarato colpevole, né si dimostra disposto a patteggiare: nella maggior parte dei casi si limitava a racimolare informazioni online e ad analizzare la situazione in articoli aggressivi. "Scrivevo articoli per aiutare le persone esasperate dal governo - si è spiegato Park - piccoli commercianti, persone ordinarie su cui si è abbattuta la crisi economica". Qualora venga giudicato colpevole rischia di scontare 5 anni di carcere e una multa che può raggiungere i 50 milioni di won, poco meno di 30mila euro.

Se ci sono membri del governo pronti a giurare che Park non abbia mai mentito, non mancano coloro che si schierano a favore dell'arresto di Park, mentre i dibattiti riguardo all'anonimato online affollano la rete coreana. Sono numerosi i netizen, coreani e non, che denunciano come la Corea del Sud, uno dei paesi più connessi del mondo, abbia iniziato a disporre sequestri e a condannare netizen. Una regolamentazione della rete che ingabbia il diritto ad esprimersi e che riduce al silenzio il dissenso.
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Avigdor Lieberman: 'Hamas va annichilita come gli Usa fecero con i giapponesi'


“Dovremmo comportarci con Hamas così come gli Usa fecero con giapponesi, dovremmo svilire la loro volontà di combattere.” A pronunciare queste parole è Avigdor Lieberman, presidente del partito politico Yisrael Beiteinu, che segue la linea più dura e intransigente nelle questione palestinese. Durante il suo discorso tenuto all'Università di Bar-Illan, Lieberman ha detto che Hamas merita lo stesso trattamento ricevuto dai giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale, “a quel punto - sostiene - non sarebbe più necessaria neanche l'occupazione militare.” Nel 1945 il Giappone si arrese incondizionatamente agli Stati Uniti in seguito al lancio delle due bombe atomiche si Hiroshima e Nagasaki. Sebbene gli statunitensi avessero programmato ancheun'invasione di terra, questa non sirese necessaria a seguito della capitolazione nipponica. Yisrael Beitenu è al momento la quinta forza politica del paese, ma i sondaggi lo danno in crescita per le prossime elezioni di febbraio.

Friday, January 23, 2009

7 fallacie economiche

Scritta nel 1981, questa piccola guida alle fallacie economiche di Lawrence W. Reed, attuale presidente della prestigiosa Foundation for Economic Education, mantiene tutta la sua freschezza e il suo valore per orientarsi nel periglioso labirinto della scienza economica, un luogo frequentato da maghi, stregoni e mostruosità inenarrabili.

Armati di questa arma preziosa lo si può affrontare con meno timore: basta reggerlo davanti a sé per dissolvere all'istante gli spettri dei tenebrosi “economisti defunti.”
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Di Lawrence W. Reed


Un commentatore osservò una volta che “ogni mezza dozzina di economisti normalmente fornirà circa sei diverse descrizioni di una politica.”

Sembra davvero che sia così! Se l'economia è una “scienza,” allora perché essa sfugge alla precisione, alla certezza ed alla relativa unanimità d'opinione che caratterizzano così tante altre scienze – per esempio la fisica, la chimica e la matematica?

Se le leggi dell'economia e dell'azione umana esistono e sono immutabili, perché gli economisti si disperdono in ogni possibile direzione su temi d'importanza critica? L'economista A sostiene un taglio delle tasse mentre l'economista B favorisce un aumento delle tasse. L'economista C parla a favore delle tariffe protezioniste ma l'economista D chiede il libero scambio. Un altro economista propone la socializzazione e gli si oppone un altro ancora che promuove l'economia di mercato. Effettivamente, se c'è qualcosa su cui tutti gli economisti possono essere d'accordo, be', è che non sono d'accordo.

Forse il cinico getterà uno sguardo a questa Torre di Babele economica e condannerà lo studio di qualsiasi cosa riguardi l'economia. Ma questo sarebbe ingiusto per le molte verità eterne che esistono nel campo dell'interazione umana nel mercato. Una simile opinione, inoltre, è quella che qualcuno chiamerebbe “un tirarsi fuori.” Non offre una spiegazione plausibile per la confusione né una guida per distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

Sì, ci sono dei metodi per capire la “follia” degli economisti. Il fatto che non tutti pensano alla stessa maniera si può spiegare. Da dove possiamo cominciare?

In primo luogo, l'economia non è semplicemente fisica, chimica, o matematica. È lo studio dell'azione umana e gli esseri umani non sono robot programmati. Sì, certe leggi della natura immutabili effettivamente esistono, ma una di esse è che gli esseri umani – tutti e ciascuno di essi – sono organismi con motivazioni interiori, creativi ed egocentrici. Variano dal docile all'irascibile, dal mansueto all'audace, dal compiacente all'ambizioso, dallo sveglio al non-così-sveglio. Come notò Adam Smith più di duecento anni fa, “nella grande scacchiera della società umana, ogni pezzo ha un suo principio di movimento, del tutto diverso da quello che la legislatura potrebbe scegliere per imporglielo.”

Questa inerente variabilità può provocare facilmente del dissenso fra coloro che la osservano e può altrettanto facilmente confondere le previsioni di quelli tanto audaci da tradurla in matematica.

Essendo essi stessi degli individui, gli economisti si differenzieranno nei loro giudizi di valore ed etici. Un socialista avrà un'idea diversa da un libertario su una questione politica. Possono persino concordare sul risultato di quella politica pur non essendo d'accordo sul fatto che quel risultato sia un “bene” o un “male.” Persone benintenzionate e in cerca della verità ma operanti dai premesse etiche divergenti arrivano frequentemente a conclusioni divergenti.

In più, gli economisti possono essere in disaccordo perché hanno dati differenti o dati insufficienti o nessun dato certo.

Questi sono alcune, e sono sicuro non tutte, delle ragioni per le quali buoni economisti possono scontrarsi. Lo scopo di questo saggio, tuttavia, è di cercare le ragioni della confusione economica in un'altra direzione. In breve, gli economisti si scontrano perché, come Henry Hazlitt l'ha descritto succintamente, “l'economia è perseguitata da più fallacie di qualunque altro studio noto all'uomo” (enfasi aggiunta).

Esiste una cosa come la “cattiva economia?” Potete scommetterci che esiste, altrettanto certamente come esiste un buon impianto idraulico ed un cattivo impianto idraulico. Se si intende “cattiva economia” la promozione di ragionamenti falsi, presupposti sbagliati e mercanzie intellettuali scadenti, allora il commento di Hazlitt dev'essere tenuto da conto come legge!

Può essere un'eccessiva semplificazione, ma credo che l'essenza della “cattiva economia” possa essere distillata nelle seguenti sette fallacie. Ciascuna di esse è un trabocchetto che il buon economista eviterà con cura.

1. La fallacia dei termini collettivi. Esempi di termini collettivi sono “società,” “comunità,” “nazione,” “classe,” e “noi.” La cosa importante da ricordare è che sono delle astrazioni, prodotti dell'immaginazione, non entità che vivono, respirano, pensano ed agiscono. La fallacia in questione presume che una collettività sia, infatti, un'entità che vive, respira, pensa ed agisce.

Il buon economista riconosce che l'unica entità che vive, respira, pensa ed agisce è l'individuo. La fonte di ogni azione umana è l'individuo. Altri possono acconsentire all'azione di qualcuno o persino parteciparvi, ma tutto ciò che accada come conseguenza può essere fatto risalire ad individui particolari e identificabili.

Considerate questo: potrebbe mai esserci un'astrazione chiamata la “società” se tutti gli individui scomparissero? Ovviamente no. Un termine collettivo, in altre parole, non ha in realtà un'esistenza indipendente dalle persone specifiche che ne fanno parte.

È assolutamente essenziale per determinare origini e responsabilità e perfino causa e effetto che gli economisti evitino la fallacia dei termini collettivi. Chi non lo farà si impantanerà in orrende generalizzazioni. Assegnerà credito o colpa ad entità inesistenti. Ignorerà azioni molto reali (azioni individuali) che si verificano nel dinamico mondo intorno a lui. Potrà persino parlare “dell'economia” quasi che fosse un grand'uomo che gioca a tennis e mangia fiocchi d'avena per la prima colazione.

2. La fallacia della generalizzazione. Anche questo errore riguarda gli individui. Sostiene che ciò che è vero per un individuo sarà vero per tutti gli altri.

Un esempio che si fa spesso è quello di uno che si alzi in piedi durante una partita di football. È vero, potrà vederci meglio, ma se anche tutti gli altri si alzassero, la visuale di molti diversi spettatori probabilmente peggiorerebbe.

Un falsario che stampa un milione di dollari di sicuro ne otterrà beneficio (se non viene beccato) ma se tutti diventassimo falsari ed ognuno stampasse un milione di dollari, un effetto alquanto diverso sarebbe piuttosto ovvio.

Molti testi di economia parlano dell'agricoltore che è più ricco perché ottiene un raccolto abbondante ma potrebbe non essere più ricco se l'ottenesse ogni agricoltore. Questo suggerisce un diffuso riconoscimento della fallacia della generalizzazione, tuttavia è un fatto che tale fallacia ancora abbondi in molti luoghi.

Il buon economista né vede gli alberi ignorando la foresta né vede la foresta ignorando gli alberi; è cosciente dell'intero “quadro.”

3. La fallacia “i soldi sono ricchezza.” I mercantilisti del 1600 innalzarono questa fallacia al vertice della politica nazionale. Sempre intenti ad ammucchiare scorte d'oro e d'argento, facevano la guerra con i loro vicini e saccheggiavano i loro tesori. Se l'Inghilterra era più ricca della Francia, secondo i mercantilisti era perché l'Inghilterra aveva più metalli preziosi in suo possesso, che significava di solito nei forzieri del re.

Fu Adam Smith, ne La ricchezza delle nazioni, a screditare questa sciocca nozione. Un popolo è prospero nella misura in cui possiede beni e servizi, non soldi, dichiarò Smith. Tutti i soldi nel mondo – di carta o di metallo – non impediranno di morire di fame se beni e servizi non sono disponibili.

La fallacia “i soldi sono ricchezza” è la malattia dei patiti della valuta. Da John Law a John Maynard Keynes, grandi popolazioni si sono iperinflazionate fino alla rovina inseguendo questa chimera. Anche oggi sentiamo gridare “abbiamo bisogno di più soldi” mentre le autorità monetarie dei governi ne sfornano a tassi in doppia cifra.

Il buon economista riconoscerà che la creazione di denaro non è una scorciatoia per la ricchezza. Soltanto la produzione di beni e servizi di valore in un mercato che rifletta i desideri dei consumatori può alleviare la povertà e promuovere la prosperità.

4. La fallacia della produzione per sé stessa. Anche se la produzione è essenziale per il consumo, non mettiamo il proverbiale carro davanti ai buoi. Produciamo per poter consumare, non il contrario.

Mi piace scrivere ed insegnare ma ancora di più mi piace prendere il sole ad Acapulco. Ho lavorato per produrre questo pezzo ed insegnare i suoi principi nelle mie classi invece di andare ad Acapulco in primo luogo perché so che è l'unico modo per uscire dal Michigan. La scrittura e l'insegnamento sono i mezzi; prendere il sole ad Acapulco è il fine.

Un'economia libera è un'economia dinamica. È il luogo di ciò che l'economista Joseph Schumpeter chiamò “la distruzione creativa.” Le nuove idee soppiantano le vecchie idee, i nuovi prodotti e metodi sostituiscono i vecchi prodotti e metodi ed intere nuove industrie rendono le vecchie industrie obsolete.

Ciò accade perché la produzione deve costantemente cambiare forma per conformarsi al cambiamento della domanda dei consumatori. Come ha scritto Henry Hazlitt, “è tanto necessario per la salute di un'economia dinamica che alle industrie morenti sia permesso di morire quanto che alle industrie in sviluppo sia permesso di svilupparsi.”

Un cattivo economista che cadesse preda di questa antica fallacia è come il leggendario faraone che pensava che la costruzione di piramidi fosse buona cosa di per sé; o come il politico che promuove il rastrellamento di foglie dove non ci sono foglie da rastrellare, solo per mantenere la gente “occupata.”

Pare che ogni volta che un'industria va in difficoltà, certa gente urli che dev'essere salvata “a tutti i costi.” Verserebbero milioni o miliardi di dollari in sovvenzioni all'industria per impedire che il verdetto del mercato venga udito. Il cattivo economista si unirà al coro ed ignorerà l'effetto deleterio che ricadrebbe sul consumatore.

Il buon economista, d'altro canto, non confonde i fini con i mezzi. Capisce che la produzione è importante soltanto perché il consumo lo è ancor di più.

Volete un esempio di questa fallacia all'opera? Che ne dite delle molte proposte per impedire ai consumatori di acquistare automobili giapponesi per “proteggere” l'industria automobilistica americana dalla concorrenza?

5. La fallacia del “pasto gratis.” Il giardino dell'Eden è una cosa lontana nel passato tuttavia qualcuno (sì, persino qualche economista) occasionalmente pensa e agisce come se i beni economici potessero arrivare senza costo allegato. Milton Friedman è un economista che ha avvertito ripetutamente, tuttavia, che “non esiste una cosa come un pasto gratis!”

Ogni programma “qualcosa per niente” e la maggior parte dei piani “diventa ricco velocemente” possiedono qualche elemento di questa fallacia. Non si ammettono errori su questo: se l'economia è implicata, qualcuno paga!

Qui una nota importante riguarda la spesa pubblica. Il buon economista capisce che il governo, per natura, non può dare altro di ciò che prima ha preso. Un parco “gratis” per Midland nel Michigan è in realtà un parco pagato da milioni di contribuenti americani (Midlandesi compresi).

Un mio amico una volta mi ha detto che tutto ciò che c'è da sapere sull'economia è “quanto costerà e chi lo pagherà?” Queste poche parole contengono un prezioso consiglio per l'economista: non essere superficiale nel tuo pensiero!

6. La fallacia del breve termine. In un certo senso, questa fallacia è un sommario delle cinque che la precedono.

Alcune azioni sembrano favorevoli a breve termine ma producono disastri a lungo termine: bere troppo, guidare veloce, spendere alla cieca e stampare soldi, per nominarne alcuni. Per citare ancora il venerabile Henry Hazlitt, “il cattivo economista vede soltanto ciò che colpisce l'occhio immediatamente; il buon economista guarda anche oltre. Il cattivo economista vede soltanto le conseguenze dirette di un percorso proposto; il buon economista scruta anche le conseguenze più lontane ed indirette.”

I politici che cercano di vincere le prossime elezioni sostengono frequentemente politiche che generino benefici a breve termine a scapito dei costi futuri. È una vergogna che talvolta godano dell'approvazione di economisti che dovrebbero saperne di più.

Il buon economista non soffre di visione limitata o di miopia. Il periodo che considera è lungo ed elastico, non breve e fisso.

7. La fallacia dell'economia della coercitizione. Duecento anni dopo Adam Smith, alcuni economisti ancora non hanno imparato ad applicare i principi di base della natura umana. Questi economisti parlano di “aumentare la produzione” ma prescrivono il bastone piuttosto che la carota per ottenere il lavoro fatto.

Gli esseri umani sono esseri sociali che progrediscono se cooperano tra loro. La cooperazione implica un clima di libertà affinché ogni essere umano individuale possa perseguire pacificamente il proprio interesse personale senza timore di rappresaglia. Mettete un essere umano in uno zoo o in una camicia di forza e le sue energie creative si dissipano.

Perché Thomas Edison ha inventato la lampadina? Non certo perché glielo ha ordinato qualche pianificatore!

Perché gli schiavi non producono grandi opere d'arte, orologi svizzeri, o aviogetti? È piuttosto evidente, non è così?

Date oggi uno sguardo intorno al mondo e vedrete dove voglio arrivare. Paragonate la Corea del Nord alla Corea del Sud, la Cina rossa con Taiwan o Hong Kong, o la Germania dell'Est con la Repubblica Federale Tedesca.

Si penserebbe, con tale prova schiacciante contro i risultati della coercizione, che la coercizione abbia pochi aderenti. Tuttavia ci sono molti economisti qui e all'estero che strepitano per la nazionalizzazione dell'industria, per i controlli dei salari e dei prezzi, per tasse di confisca e perfino per una vera e propria abolizione della proprietà privata. Un prominente ex senatore degli Stati Uniti ha dichiarato che “quello di cui questo paese ha bisogno è un esercito, una marina e un'aeronautica nell'economia.”

C'è un vecchio adagio che sta godendo recentemente di nuova pubblicità. Esso dice, “se incoraggiate qualcosa, ne ottenete di più; se scoraggiate qualcosa, ne ottenete di meno.” Il buon economista capisce che se volete che il panettiere cuocia una torta più grande, non dovete picchiarlo e rubare la sua farina.

Bene, ora ci siamo – non sarà la risposta finale per la confusione nell'economia, ma è almeno un inizio. Sono convinto che la buona economia sia più che possibile. È imperativa, e realizzarla comincia con la conoscenza di cosa sia la cattiva economia.

Thursday, January 22, 2009

La cura

“To act on the belief that we possess the knowledge and the power which enable us to shape the processes of society entirely to our liking, knowledge which in fact we do not possess, is likely to make us do much harm.”
(Friedrich August von Hayek)

Si racconta che a papa Innocenzo VIII, nel 1492, vecchio e malato, fu dato da bere il sangue di tre giovani, ricompensati con un ducato a testa, quale rimedio per il suo male. Il risultato fu la morte sua e degli incauti donatori, mentre il segaossa che aveva prescritto la cura si dileguò. Questa edificante storiella ricorda molto da vicino quella ben più attuale degli strabilioni di godzilliardi di meraviglioni di svariate valute iniettati a forza nelle vene di un'economia agonizzante senza che si sia potuto apprezzare il minimo miglioramento.

Nonostante ciò, gli aspiranti ricettori di tali sostanziose flebo di liquidità si moltiplicano, fanno la fila fuori dalla porta del dottore, come i tossici per la dose di metadone. I contribuenti salassati, d'altro canto, appaiono molto meno entusiasti, sarà perché il ducato di prammatica ancora non si vede, o perché non è del tutto chiaro in che modo tali punturoni dovrebbero risolvere la costipazione. Tuttavia anch'essi sposano la diagnosi del dottore: il malato ha difficoltà di assimilazione, colpa del mercato sregolato.

L'eccessiva libertà del mercato, questo quindi è il problema, individuato dai più titolati dottori in economia. Eppure, a ben guardare, di tutta questa libertà, di questa assenza di regole nei mercati non c'è traccia. E queste regole, caso strano, sono state stabilite dagli stessi dottori di cui sopra, che ne garantivano l'applicazione, affidata a organismi di controllo come quella SEC (Securities and Exchange Commission) che ha chiuso entrambi gli occhi di fronte al più grande schema di Ponzi della storia, quello dell'ex direttore del Nasdaq Bernard Madoff.

Il problema fondamentale di queste regole è che si tratta di interventi arbitrari e invasivi, fondati su una arrogante presunzione di conoscenza, che impediscono al mercato di sviluppare i propri efficaci anticorpi contro gli effetti di eccessi e sregolatezza. Come ci ricorda Michael Rozeff,
Nel 1975, la SEC creò una designazione per le agenzie di valutazione del credito: l'Organizzazione Statistica di Valutazione Nazionalmente Riconosciuta (NRSRO). Questa regolazione della SEC ha generato un cartello di 3 ditte: la Standard & Poor's Credit Market Services, la Moody's Investors Service, e la Fitch, Inc. – queste sono le uniche ditte che si sono qualificate per essere utilizzate dagli operatori per soddisfare un'altra delle regole della SEC sul capitale netto.
In altre parole, l'intervento regolatore ha impedito la concorrenza in un campo fondamentale per il corretto funzionamento del mercato, quello dell'informazione e del controllo. In più, ha minato le basi stesse del mercato, fondate sulla fiducia, e sulla responsabilità personale. Scrive a questo proposito Philip Booth, ricordando la lezione di Hayek:
La crisi ci mostra con molti indizi che Freidrich Hayek aveva ragione. Hayek sosteneva che i mercati non regolati sviluppano istituzioni che assicurano che la fiducia e la reputazione si trasformino in merci di valore. Ma chi si preoccupa della fiducia e della reputazione quando crediamo che di tutto ciò si occuperanno i regolatori o le assicurazioni sui depositi?
Già, chi si preoccupa più di riflettere sulle proprie azioni, se sull'intero mercato vegliano i regolatori del governo? Se la fiducia non è conquistata sul campo e garantita dall'esperienza, è una fiducia mal riposta, una mera emanazione dell'autorità e come tale non sottoposta a giudizio. Non è una sorpresa, allora, quando poi si scopre che almeno un funzionario del Tesoro americano ha permesso alla banca fallita IndyMac – e con ogni probabilità anche altri istituti – di falsificare i suoi registri finanziari per nasconderne le insalubri condizioni.

Le cronache raccontano che Darrel Dochow, direttore regionale della Costa Ovest all'Ufficio di Controllo del Risparmio, aiutò IndyMac a retrodatare un'iniezione di capitale di 18 milioni ricevuta in maggio in un rapporto che descriveva lo stato finanziario della banca alla fine di marzo. Dochow è stato rimosso dalla sua posizione ma continua a ricevere 230.000 dollari l'anno dal governo. La fiducia ciecamente riposta nel regolatore, ancora una volta, è stata tradita.

Questo è il vero male del mercato: non una fantomatica assenza di regole, che al contrario abbondano, ma il contagio del virus del malaffare che impesta gli uffici governativi.

La cura? A questo punto, l'amputazione, prima che si estenda la cancrena.


Wednesday, January 21, 2009

La bolla del credito in un'immagine sola



Enormi quantità di auto invendute – risultato della bolla inflazionistica e del malinvestment (gli errori imprenditoriali) che esso produce – si stanno accumulando in tutti i porti commerciali del mondo. Questo nella foto è il porto di Valencia.

Tuesday, January 20, 2009

Ho visto un re

Oggi, 20 gennaio 2009, 2 o più milioni di persone assisteranno a Washington alla cerimonia d'investitura del nuovo imperatore americano. Altri innumerevoli milioni seguiranno lo show dai loro teleschermi.

Il
costo della cerimonia dovrebbe aggirarsi intorno ai 150 milioni di dollari, ma considerata anche l'inflazione, questi ultimi milioni impressionano molto meno dei primi: dà un po' di capogiro, infatti, pensare a queste folle sterminate di persone pronte a lasciarsi trascinare nel gorgo emozionale attivato dalla glorificazione del capo, in un remake hollywoodiano di ancestrali comportamenti tribali.

È così ogni volta, in questo caso la differenza sta nei numeri mai così alti, ma la volontaria prostrazione di fronte all'uomo investito del potere è sempre quella, la stessa che, circa 560 anni fa Étienne de La Boétie disprezzava nel suo famoso Discorso sulla servitù volontaria. E dopo più di cinque secoli, il suo discorso è ancora perfettamente attuale ed intatta è la sua importanza. Nella sua esegesi dell'opera, Rothbard scriveva:
Il Discourse di La Boétie ha un'importanza basilare per il lettore moderno – un'importanza che va oltre il puro piacere di leggere una grande e fondamentale opera sulla filosofia politica, o, per il libertario, di leggere il primo filosofo politico libertario nel mondo occidentale. Perché La Boétie parla in modo molto acuto del problema che tutti i libertari – in effetti, tutti gli avversari del dispotismo – trovano particolarmente difficile: il problema della strategia. Di fronte al potere devastante ed apparentemente schiacciante dello Stato moderno, come si può realizzare un mondo libero e molto diverso? Come possiamo andare da qui a lì, da un mondo di tirannia ad un mondo di libertà? Precisamente a causa della sua metodologia astratta e senza tempo, La Boétie offre intuizioni vitali per questo eterno problema.
E non c'è dubbio, tali intuizioni continuano ad essere valide. La brutta notizia è che dopo così tanto tempo, non solo nessuno è riuscito a trasformarle in azioni concrete ed efficaci, ma il potere stesso ha raggiunto un tale grado di sviluppo che si può supporre la sua fine solo dopo – e a causa de – la morte dell'organismo su cui prospera parassiticamente. Per questo, quale antidoto all'ebbrezza perversa dell'odierno sabba democratico, consiglio la lettura del Discorso di La Boétie da cui ho tratto i due brani che seguono.
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Di
Étienne de La Boétie


Vi sono tre tipi di tiranni: alcuni ottengono il potere in base alla scelta del popolo; altri con la forza delle armi; gli ultimi infine per successione dinastica.

Coloro che l'hanno avuto per diritto di guerra si comportano nel modo che tutti ben conoscono, trovandosi, come si usa dire, in terra di conquista.

Chi invece nasce re non è certo migliore, anzi essendo nato e cresciuto in seno alla tirannia la natura di despota l'ha succhiata con il latte: considera infatti i popoli che gli sono sottomessi alla stregua di servi avuti in eredità e, secondo l'inclinazione che si ritrova, tratta il regno da avaro o da scialacquatore come fosse cosa sua propria.

Infine per quanto riguarda colui che ha ricevuto il potere dal popolo, mi sembra che dovrebbe essere più sopportabile e credo lo sarebbe se non fosse per il fatto che una volta vistosi innalzato sopra tutti gli altri, gonfiato da un sentimento che non saprei definire ma che tutti chiamano senso di grandezza, decide di non scenderne più.

Di solito poi costui fa conto di lasciare ai figli il potere che il popolo gli ha affidato; e dal momento che essi si mettono in testa questa idea è uno spettacolo tremendo osservare come sanno superare in ogni tipo di vizi e perfino in crudeltà gli altri tiranni, non trovando altro metodo per rafforzare la nuova tirannia se non quello di accrescere la schiavitù e di sradicare la libertà dall'animo dei loro sudditi a tal punto che, per quanto l'abbiano ben presente nella memoria, riescono a fargliela perdere.

Così, a dir la verità, vedo che tra i vari tipi di tirannide vi è qualche differenza ma non noto che vi sia la possibilità di una scelta, poiché pur essendo diverse le vie per arrivare al potere il modo di regnare è sempre più o meno lo stesso.

Coloro che sono eletti dal popolo lo trattano come un toro da domare; chi ha conquistato il regno pensa di avere su di lui il diritto di preda; chi infine lo ha ereditato considera i sudditi come suoi schiavi naturali.

...

Chi pensa che le alabarde, le sentinelle, le squadre di ronda proteggano il tiranno secondo me si sbaglia di grosso. Credo che gli siano d'aiuto più come cerimoniale o come spauracchio che non per la fiducia che dovrebbe avere in tutto questo apparato di difesa. Gli arcieri impediscono di entrare a palazzo agli sprovveduti senza mezzi, non a chi è ben armato e agli uomini d'azione.

Tra gli imperatori romani è facile contare quei pochi che sono riusciti a salvarsi da qualche pericolo per l'aiuto dei loro soldati più fedeli, al contrario di tutti coloro, e sono la maggior parte, che sono stati uccisi dalle loro stesse guardie del corpo. Non sono gli squadroni a cavallo, non sono le schiere di fanti, non sono insomma le armi a difendere il tiranno; capisco che al primo momento è difficile crederlo ma è così.

Sono sempre cinque o sei persone che lo mantengono al potere e gli tengono tutto il paese in schiavitù. E' sempre stato così: questi cinque o sei hanno avuto la fiducia del tiranno e, sia perché si son fatti avanti da soli sia perché il tiranno stesso li ha chiamati, sono diventati complici delle sue crudeltà, compagni dei suoi divertimenti, ruffiani dei suoi piaceri, soci nello spartirsi il frutto delle ruberie.

Questi sei personaggi inoltre tengono vicino a sé seicento uomini dei quali approfittano facendo di loro quel che han fatto del tiranno. I seicento a loro volta ne hanno seimila sotto di sé ai quali conferiscono onori e cariche, fanno assegnare loro il governo delle province oppure l'amministrazione del denaro pubblico così da ottenerne valido sostegno alla propria avarizia e crudeltà, una volta che costoro abbiano imparato a mettere in atto le varie malefatte al momento opportuno; d'altra parte facendone di ogni sorta questi seimila possono mantenersi solo sotto la protezione dei primi e sfuggire così alle leggi e alla forca.

E dopo tutti questi la fila prosegue senza fine: chi volesse divertirsi a dipanare questa matassa si accorgerebbe che non seimila ma centomila, anzi milioni formano questa trafila e stanno attaccati al tiranno, proprio come afferma Giove che nel racconto di Omero si vanta di poter tirare a sé tutti gli dei dando uno strattone alla catena.

Da qui venne l'aumento di potere al senato sotto Giulio Cesare, l'istituzione di nuove funzioni e la creazione dei vari incarichi; a ben vedere non certo per riorganizzare la giustizia ma per dare nuovi punti di appoggio alla tirannia. Insomma tra favori e protezioni, guadagni e colpi messi a segno, quanti traggono profitto dalla tirannia son quasi pari a coloro che preferirebbero la libertà.

E' come quando, dicono i medici, in una parte del nostro corpo c'è qualcosa di infetto: se in un altro punto si manifesta un piccolo male subito si congiunge alla parte malata.

Così appena il re diventa tiranno tutta la feccia del regno, e non intendo con questa un branco di ladruncoli conosciuti da tutti che in una repubblica possono fare ben poco, sia in bene che in male, bensì tutti coloro che sono posseduti da un'ambizione senza limiti e da un'avidità sfrenata, si raggruppano attorno a lui e lo sostengono in tutti i modi per aver parte al bottino e diventare essi stessi tanti piccoli tiranni sotto quello grande.

Allo stesso modo si comportano i grandi ladri e i famosi corsari: gli uni fanno scorribande per il territorio, gli altri pedinano i viaggiatori; i primi tendono imboscate, i secondi stanno in agguato; questi trucidano e quelli spogliano; e pur essendoci tra loro vari ranghi in ordine d'importanza, i primi semplici esecutori, gli altri capi della banda, alla fine però non c'è nessuno di loro che non abbia avuto la sua parte, se non proprio al bottino principale, almeno a qualche frutto delle rapine.

Si racconta che i pirati della Cilicia si raccolsero una volta in così gran numero che si rese necessario mandare contro di loro Pompeo il grande; non solo, ma riuscirono perfino a trascinare nella loro alleanza molte città tra le più belle e popolose; nei loro porti trovavano rifugio dopo le varie scorribande e come ricompensa vi lasciavano una parte del bottino che quelle città si erano impegnate a custodire.

Così il tiranno opprime i suoi sudditi, gli uni per mezzo degli altri, e viene difeso proprio da chi, se non fosse un buono a nulla, dovrebbe temere di essere attaccato; secondo il detto che per spaccare la legna ci vogliono dei cunei dello stesso legno.

Ed ecco i suoi arcieri, le sue guardie, i suoi alabardieri; certo qualche volta anch'essi sono trattati male dal tiranno, ma questi miserabili abbandonati da Dio e dagli uomini sono contenti di sopportare dei danni pur di rifarsi non già su colui che ne è la causa ma su tutti quelli che come loro sopportano senza poter far nulla.

Eppure vedendo questa gente che striscia ai piedi del despota per trarre profitto dalla sua tirannia e dalla servitù del popolo, spesso mi stupisce la loro malvagità, altre volte invece è la loro stupidità che mi fa pena.

Perché, diciamo la verità, che altro può significare avvicinarsi al tiranno se non allontanarsi dalla propria libertà e abbracciare anzi, per meglio dire, tenersi stretta la servitù?

Mettano un momento da parte la loro ambizione, lascino perdere un poco la loro avarizia, poi guardino e considerino attentamente se stessi: vedranno chiaramente che questi contadini e paesani che essi mettono sotto i piedi appena possono e trattano peggio dei galeotti e degli schiavi, benché maltrattati in questo modo, al loro confronto sono tuttavia più felici e in un certo senso più liberi.

Il contadino e l'artigiano, per quanto siano asserviti, una volta fatto quanto è stato loro ordinato sono a posto; ma quelli che il tiranno vede vicino a sé, veri e propri birbanti sempre a mendicare i suoi favori, sono obbligati non solo a fare quello che dice ma anche a pensare come lui vuole e spesso per accontentarlo devono sforzarsi di indovinare i suoi desideri.

Non è sufficiente che gli obbediscano: devono compiacerlo in tutto faticando e distruggendosi fino alla morte nel curare i suoi interessi; inoltre devono godere dei suoi piaceri, abbandonare i propri gusti per i suoi, andar contro il proprio temperamento fino a spogliarsene del tutto.

Sono obbligati a misurare le parole, la voce, i gesti, gli sguardi; devono avere occhi, piedi, mani sempre all'erta a spiare ogni suo desiderio e scoprire ogni suo pensiero.

E questo sarebbe un vivere felice? Si può chiamare vita codesta? C'è al mondo qualcosa che risulti essere più insopportabile di una simile situazione non dico per una persona di nobili origini ma semplicemente per chiunque abbia un po' di buon senso o quantomeno un'ombra di umanità?

Quale condizione è più miserabile di questa, in cui non si ha niente di proprio ma tutto, benessere, libertà, perfino, la vita stessa, viene ricevuto da altri?

Discorso sulla servitù volontaria su Scribd.