Friday, January 23, 2009

7 fallacie economiche

Scritta nel 1981, questa piccola guida alle fallacie economiche di Lawrence W. Reed, attuale presidente della prestigiosa Foundation for Economic Education, mantiene tutta la sua freschezza e il suo valore per orientarsi nel periglioso labirinto della scienza economica, un luogo frequentato da maghi, stregoni e mostruosità inenarrabili.

Armati di questa arma preziosa lo si può affrontare con meno timore: basta reggerlo davanti a sé per dissolvere all'istante gli spettri dei tenebrosi “economisti defunti.”
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Di Lawrence W. Reed


Un commentatore osservò una volta che “ogni mezza dozzina di economisti normalmente fornirà circa sei diverse descrizioni di una politica.”

Sembra davvero che sia così! Se l'economia è una “scienza,” allora perché essa sfugge alla precisione, alla certezza ed alla relativa unanimità d'opinione che caratterizzano così tante altre scienze – per esempio la fisica, la chimica e la matematica?

Se le leggi dell'economia e dell'azione umana esistono e sono immutabili, perché gli economisti si disperdono in ogni possibile direzione su temi d'importanza critica? L'economista A sostiene un taglio delle tasse mentre l'economista B favorisce un aumento delle tasse. L'economista C parla a favore delle tariffe protezioniste ma l'economista D chiede il libero scambio. Un altro economista propone la socializzazione e gli si oppone un altro ancora che promuove l'economia di mercato. Effettivamente, se c'è qualcosa su cui tutti gli economisti possono essere d'accordo, be', è che non sono d'accordo.

Forse il cinico getterà uno sguardo a questa Torre di Babele economica e condannerà lo studio di qualsiasi cosa riguardi l'economia. Ma questo sarebbe ingiusto per le molte verità eterne che esistono nel campo dell'interazione umana nel mercato. Una simile opinione, inoltre, è quella che qualcuno chiamerebbe “un tirarsi fuori.” Non offre una spiegazione plausibile per la confusione né una guida per distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

Sì, ci sono dei metodi per capire la “follia” degli economisti. Il fatto che non tutti pensano alla stessa maniera si può spiegare. Da dove possiamo cominciare?

In primo luogo, l'economia non è semplicemente fisica, chimica, o matematica. È lo studio dell'azione umana e gli esseri umani non sono robot programmati. Sì, certe leggi della natura immutabili effettivamente esistono, ma una di esse è che gli esseri umani – tutti e ciascuno di essi – sono organismi con motivazioni interiori, creativi ed egocentrici. Variano dal docile all'irascibile, dal mansueto all'audace, dal compiacente all'ambizioso, dallo sveglio al non-così-sveglio. Come notò Adam Smith più di duecento anni fa, “nella grande scacchiera della società umana, ogni pezzo ha un suo principio di movimento, del tutto diverso da quello che la legislatura potrebbe scegliere per imporglielo.”

Questa inerente variabilità può provocare facilmente del dissenso fra coloro che la osservano e può altrettanto facilmente confondere le previsioni di quelli tanto audaci da tradurla in matematica.

Essendo essi stessi degli individui, gli economisti si differenzieranno nei loro giudizi di valore ed etici. Un socialista avrà un'idea diversa da un libertario su una questione politica. Possono persino concordare sul risultato di quella politica pur non essendo d'accordo sul fatto che quel risultato sia un “bene” o un “male.” Persone benintenzionate e in cerca della verità ma operanti dai premesse etiche divergenti arrivano frequentemente a conclusioni divergenti.

In più, gli economisti possono essere in disaccordo perché hanno dati differenti o dati insufficienti o nessun dato certo.

Questi sono alcune, e sono sicuro non tutte, delle ragioni per le quali buoni economisti possono scontrarsi. Lo scopo di questo saggio, tuttavia, è di cercare le ragioni della confusione economica in un'altra direzione. In breve, gli economisti si scontrano perché, come Henry Hazlitt l'ha descritto succintamente, “l'economia è perseguitata da più fallacie di qualunque altro studio noto all'uomo” (enfasi aggiunta).

Esiste una cosa come la “cattiva economia?” Potete scommetterci che esiste, altrettanto certamente come esiste un buon impianto idraulico ed un cattivo impianto idraulico. Se si intende “cattiva economia” la promozione di ragionamenti falsi, presupposti sbagliati e mercanzie intellettuali scadenti, allora il commento di Hazlitt dev'essere tenuto da conto come legge!

Può essere un'eccessiva semplificazione, ma credo che l'essenza della “cattiva economia” possa essere distillata nelle seguenti sette fallacie. Ciascuna di esse è un trabocchetto che il buon economista eviterà con cura.

1. La fallacia dei termini collettivi. Esempi di termini collettivi sono “società,” “comunità,” “nazione,” “classe,” e “noi.” La cosa importante da ricordare è che sono delle astrazioni, prodotti dell'immaginazione, non entità che vivono, respirano, pensano ed agiscono. La fallacia in questione presume che una collettività sia, infatti, un'entità che vive, respira, pensa ed agisce.

Il buon economista riconosce che l'unica entità che vive, respira, pensa ed agisce è l'individuo. La fonte di ogni azione umana è l'individuo. Altri possono acconsentire all'azione di qualcuno o persino parteciparvi, ma tutto ciò che accada come conseguenza può essere fatto risalire ad individui particolari e identificabili.

Considerate questo: potrebbe mai esserci un'astrazione chiamata la “società” se tutti gli individui scomparissero? Ovviamente no. Un termine collettivo, in altre parole, non ha in realtà un'esistenza indipendente dalle persone specifiche che ne fanno parte.

È assolutamente essenziale per determinare origini e responsabilità e perfino causa e effetto che gli economisti evitino la fallacia dei termini collettivi. Chi non lo farà si impantanerà in orrende generalizzazioni. Assegnerà credito o colpa ad entità inesistenti. Ignorerà azioni molto reali (azioni individuali) che si verificano nel dinamico mondo intorno a lui. Potrà persino parlare “dell'economia” quasi che fosse un grand'uomo che gioca a tennis e mangia fiocchi d'avena per la prima colazione.

2. La fallacia della generalizzazione. Anche questo errore riguarda gli individui. Sostiene che ciò che è vero per un individuo sarà vero per tutti gli altri.

Un esempio che si fa spesso è quello di uno che si alzi in piedi durante una partita di football. È vero, potrà vederci meglio, ma se anche tutti gli altri si alzassero, la visuale di molti diversi spettatori probabilmente peggiorerebbe.

Un falsario che stampa un milione di dollari di sicuro ne otterrà beneficio (se non viene beccato) ma se tutti diventassimo falsari ed ognuno stampasse un milione di dollari, un effetto alquanto diverso sarebbe piuttosto ovvio.

Molti testi di economia parlano dell'agricoltore che è più ricco perché ottiene un raccolto abbondante ma potrebbe non essere più ricco se l'ottenesse ogni agricoltore. Questo suggerisce un diffuso riconoscimento della fallacia della generalizzazione, tuttavia è un fatto che tale fallacia ancora abbondi in molti luoghi.

Il buon economista né vede gli alberi ignorando la foresta né vede la foresta ignorando gli alberi; è cosciente dell'intero “quadro.”

3. La fallacia “i soldi sono ricchezza.” I mercantilisti del 1600 innalzarono questa fallacia al vertice della politica nazionale. Sempre intenti ad ammucchiare scorte d'oro e d'argento, facevano la guerra con i loro vicini e saccheggiavano i loro tesori. Se l'Inghilterra era più ricca della Francia, secondo i mercantilisti era perché l'Inghilterra aveva più metalli preziosi in suo possesso, che significava di solito nei forzieri del re.

Fu Adam Smith, ne La ricchezza delle nazioni, a screditare questa sciocca nozione. Un popolo è prospero nella misura in cui possiede beni e servizi, non soldi, dichiarò Smith. Tutti i soldi nel mondo – di carta o di metallo – non impediranno di morire di fame se beni e servizi non sono disponibili.

La fallacia “i soldi sono ricchezza” è la malattia dei patiti della valuta. Da John Law a John Maynard Keynes, grandi popolazioni si sono iperinflazionate fino alla rovina inseguendo questa chimera. Anche oggi sentiamo gridare “abbiamo bisogno di più soldi” mentre le autorità monetarie dei governi ne sfornano a tassi in doppia cifra.

Il buon economista riconoscerà che la creazione di denaro non è una scorciatoia per la ricchezza. Soltanto la produzione di beni e servizi di valore in un mercato che rifletta i desideri dei consumatori può alleviare la povertà e promuovere la prosperità.

4. La fallacia della produzione per sé stessa. Anche se la produzione è essenziale per il consumo, non mettiamo il proverbiale carro davanti ai buoi. Produciamo per poter consumare, non il contrario.

Mi piace scrivere ed insegnare ma ancora di più mi piace prendere il sole ad Acapulco. Ho lavorato per produrre questo pezzo ed insegnare i suoi principi nelle mie classi invece di andare ad Acapulco in primo luogo perché so che è l'unico modo per uscire dal Michigan. La scrittura e l'insegnamento sono i mezzi; prendere il sole ad Acapulco è il fine.

Un'economia libera è un'economia dinamica. È il luogo di ciò che l'economista Joseph Schumpeter chiamò “la distruzione creativa.” Le nuove idee soppiantano le vecchie idee, i nuovi prodotti e metodi sostituiscono i vecchi prodotti e metodi ed intere nuove industrie rendono le vecchie industrie obsolete.

Ciò accade perché la produzione deve costantemente cambiare forma per conformarsi al cambiamento della domanda dei consumatori. Come ha scritto Henry Hazlitt, “è tanto necessario per la salute di un'economia dinamica che alle industrie morenti sia permesso di morire quanto che alle industrie in sviluppo sia permesso di svilupparsi.”

Un cattivo economista che cadesse preda di questa antica fallacia è come il leggendario faraone che pensava che la costruzione di piramidi fosse buona cosa di per sé; o come il politico che promuove il rastrellamento di foglie dove non ci sono foglie da rastrellare, solo per mantenere la gente “occupata.”

Pare che ogni volta che un'industria va in difficoltà, certa gente urli che dev'essere salvata “a tutti i costi.” Verserebbero milioni o miliardi di dollari in sovvenzioni all'industria per impedire che il verdetto del mercato venga udito. Il cattivo economista si unirà al coro ed ignorerà l'effetto deleterio che ricadrebbe sul consumatore.

Il buon economista, d'altro canto, non confonde i fini con i mezzi. Capisce che la produzione è importante soltanto perché il consumo lo è ancor di più.

Volete un esempio di questa fallacia all'opera? Che ne dite delle molte proposte per impedire ai consumatori di acquistare automobili giapponesi per “proteggere” l'industria automobilistica americana dalla concorrenza?

5. La fallacia del “pasto gratis.” Il giardino dell'Eden è una cosa lontana nel passato tuttavia qualcuno (sì, persino qualche economista) occasionalmente pensa e agisce come se i beni economici potessero arrivare senza costo allegato. Milton Friedman è un economista che ha avvertito ripetutamente, tuttavia, che “non esiste una cosa come un pasto gratis!”

Ogni programma “qualcosa per niente” e la maggior parte dei piani “diventa ricco velocemente” possiedono qualche elemento di questa fallacia. Non si ammettono errori su questo: se l'economia è implicata, qualcuno paga!

Qui una nota importante riguarda la spesa pubblica. Il buon economista capisce che il governo, per natura, non può dare altro di ciò che prima ha preso. Un parco “gratis” per Midland nel Michigan è in realtà un parco pagato da milioni di contribuenti americani (Midlandesi compresi).

Un mio amico una volta mi ha detto che tutto ciò che c'è da sapere sull'economia è “quanto costerà e chi lo pagherà?” Queste poche parole contengono un prezioso consiglio per l'economista: non essere superficiale nel tuo pensiero!

6. La fallacia del breve termine. In un certo senso, questa fallacia è un sommario delle cinque che la precedono.

Alcune azioni sembrano favorevoli a breve termine ma producono disastri a lungo termine: bere troppo, guidare veloce, spendere alla cieca e stampare soldi, per nominarne alcuni. Per citare ancora il venerabile Henry Hazlitt, “il cattivo economista vede soltanto ciò che colpisce l'occhio immediatamente; il buon economista guarda anche oltre. Il cattivo economista vede soltanto le conseguenze dirette di un percorso proposto; il buon economista scruta anche le conseguenze più lontane ed indirette.”

I politici che cercano di vincere le prossime elezioni sostengono frequentemente politiche che generino benefici a breve termine a scapito dei costi futuri. È una vergogna che talvolta godano dell'approvazione di economisti che dovrebbero saperne di più.

Il buon economista non soffre di visione limitata o di miopia. Il periodo che considera è lungo ed elastico, non breve e fisso.

7. La fallacia dell'economia della coercitizione. Duecento anni dopo Adam Smith, alcuni economisti ancora non hanno imparato ad applicare i principi di base della natura umana. Questi economisti parlano di “aumentare la produzione” ma prescrivono il bastone piuttosto che la carota per ottenere il lavoro fatto.

Gli esseri umani sono esseri sociali che progrediscono se cooperano tra loro. La cooperazione implica un clima di libertà affinché ogni essere umano individuale possa perseguire pacificamente il proprio interesse personale senza timore di rappresaglia. Mettete un essere umano in uno zoo o in una camicia di forza e le sue energie creative si dissipano.

Perché Thomas Edison ha inventato la lampadina? Non certo perché glielo ha ordinato qualche pianificatore!

Perché gli schiavi non producono grandi opere d'arte, orologi svizzeri, o aviogetti? È piuttosto evidente, non è così?

Date oggi uno sguardo intorno al mondo e vedrete dove voglio arrivare. Paragonate la Corea del Nord alla Corea del Sud, la Cina rossa con Taiwan o Hong Kong, o la Germania dell'Est con la Repubblica Federale Tedesca.

Si penserebbe, con tale prova schiacciante contro i risultati della coercizione, che la coercizione abbia pochi aderenti. Tuttavia ci sono molti economisti qui e all'estero che strepitano per la nazionalizzazione dell'industria, per i controlli dei salari e dei prezzi, per tasse di confisca e perfino per una vera e propria abolizione della proprietà privata. Un prominente ex senatore degli Stati Uniti ha dichiarato che “quello di cui questo paese ha bisogno è un esercito, una marina e un'aeronautica nell'economia.”

C'è un vecchio adagio che sta godendo recentemente di nuova pubblicità. Esso dice, “se incoraggiate qualcosa, ne ottenete di più; se scoraggiate qualcosa, ne ottenete di meno.” Il buon economista capisce che se volete che il panettiere cuocia una torta più grande, non dovete picchiarlo e rubare la sua farina.

Bene, ora ci siamo – non sarà la risposta finale per la confusione nell'economia, ma è almeno un inizio. Sono convinto che la buona economia sia più che possibile. È imperativa, e realizzarla comincia con la conoscenza di cosa sia la cattiva economia.

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