In questo periodo di avvicinamento alla Pasqua ortodossa, spero di fare cosa gradita ai lettori cristiani – soprattutto, ma non solo – del Gongoro traducendo questa lezione di Laurence Vance su religione ed economia tenuta all'Austrian Scholars Conference 2008 al Mises Institute (l'audio è scaricabile a questo link).
Essendo molto lunga l'ho divisa in cinque parti, di seguito la prima.
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Di Laurence M. Vance
Il concetto del giusto prezzo è la base di un gran volume di pensiero economico errato che pervade il nostro mercato presunto libero e la società capitalistica. Leggi sull'usura, strozzinaggio, speculazione, bagarinaggio, dumping, affarismo, parità salariale, discriminazione dei prezzi, prestiti e vendita sottocosto, pacchetti di prodotti ed antitrust: sono tutti esempi tipici di questo modo fallace di pensare. Le opinioni espresse su queste pratiche e su cose come i compensi per supermodel, quadri, attori ed atleti, così come i nebulosi concetti di equità, vengono affermate similarmente nella teoria del giusto prezzo – a prescindere se l'opinionista abbia una qualche conoscenza di economia di base o persino abbia mai sentito parlare della teoria del giusto prezzo. I regolamenti che stabiliscono tetti dei prezzi, base dei prezzi, stipendio minimo, stipendio di sussistenza, stipendio familiare, controllo degli affitti, sovvenzioni di governo, sostegni dei prezzi ed in molti casi le tariffe, derivano anch'essi dalla ricerca del giusto prezzo.
Il termine giusto prezzo è mascherato abitualmente con un eufemismo. Così, proprio come lo SCHIP (State Children’s Health Insurance Program, NdT), Medicare e Medicaid non vengono mai chiamati medicina socializzata ed proprio come non ci si riferisce mai ai crediti di imposta rimborsabili come a programmi di trasferimento di reddito, i tentativi di stabilire un giusto prezzo sono solitamente presentati in termini di rimedi agli errori del mercato o di leggi di tutela del consumatore. La menzione della teoria del giusto prezzo o provoca vuoti sguardi o, nel caso di chi sia familiare con il termine, il rigetto della nozione come una screditata dottrina religiosa medioevale.
Non tutti i miti, naturalmente, sono creati uguali. Per esempio: l'uso del termine giusto prezzo è molto diverso da un altro mito ampiamente diffuso: quello della guerra giusta. Il principio della guerra giusta è alla base della nostra prolungata guerra in Iraq, così come della nostra crociata globale contro il terrorismo. Nella sua essenza, la dottrina riguarda l'uso della forza: quando la forza dovrebbe essere usata e che genere di forza è accettabile. Anche se molti ora sosterrebbero che la guerra in Iraq non risponde ai criteri di una guerra giusta, accettano completamente il concetto come legittimo. Infatti, è la norma piuttosto che l'eccezione quando le discussioni sulla guerra si rivolgono alla teoria della guerra giusta. Gli americani che non si considerano particolarmente religiosi, così come coloro che non hanno mai studiato i particolari della teologia e generalmente non partecipano alle discussioni teologiche, hanno cominciato improvvisamente a rivestire le loro posizioni con la retorica della teoria della guerra giusta.
Ma oltre alla conoscenza ed all'uso dei termini, ci sono alcune differenze filosofiche importanti fra i concetti del giusto prezzo e della guerra giusta. Ci sono molti individui che riconoscono il mito del giusto prezzo, tuttavia credono il contrario riguardo a quello della guerra giusta. Il primo è visto come nocivo al funzionamento del capitalismo del libero mercato, mentre il secondo è approvato come modello per la guerra. Una distinzione più significativa è semplicemente e senza mezzi termini questa: anche se l'implementazione completa nella società del concetto del giusto prezzo potrebbe avere come risultato difficoltà economiche, perdita delle libertà ed un'economia pianificata, l'acquiescenza in appena un punto della teoria della guerra giusta potrebbe provocare la morte di migliaia di persone.
Non penso che ci sia qualcosa di cui io scriva o parli con più fervore delle fallacie bibliche, economiche e politiche delle persone religiose. Che si tratti di sostegno cristiano ai crimini senza vittime, di buoni scolastici, di forza militare e guerra preventiva, o dello pseudo-cristianesimo e del socialismo fideistico del presidente Bush, ho sempre cercato di proclamare “l'intero consiglio di Dio” ed a distruggere la fiducia cristiana nella difesa dello stato. Come sa chiunque abbia una conoscenza delle mie riscritture da una prospettiva bellicista del Salmo Ventitrè, delle Beatitudini, e della Padre Nostro, ho adottato sempre un metodo radicalmente biblico nel debunking degli errori religiosi e nel detronizzare il grande Stato-dio. E poiché non c'è motivo di fermarsi adesso, posso quindi dire appassionato del mio soggetto che, in assenza di frode, non soltanto ogni prezzo su cui acconsentano un aspirante compratore ed un aspirante venditore è il giusto prezzo, ma questo soltanto è ciò che rende giusto il prezzo.
È mio desiderio in questo colloquio non soltanto di spezzare il mito del giusto prezzo, ma di presentare inoltre l'argomento biblico per il “laissez faire”. Ma perché il caso biblico? La verità è la verità, non è così? “Due più due fanno quattro” è vero sia che lo scriva un apostolo su di una pergamena sia che lo faccia un insegnante su una lavagna. D'accordo. Ma poiché il concetto del giusto prezzo ha dei tratti religiosi, è essenziale che il caso biblico sia presentato. E non solo, dato che per il cristiano le Scritture non soltanto contengono la verità, sono la verità. La Bibbia è la nostra autorità finale in tutti gli argomenti – secolari e sacri – non la legge naturale, non le dottrine confessionali, non le decisioni dei consigli della chiesa, non le encicliche papali e non l'Azione Umana, per quanto alta sia la considerazione dei cristiani – com'è giusto che sia – per il pensiero economico di Ludwig von Mises. L'imperativo per il cristiano è “così ha detto il Signore,” non i trattati di teologia, non le confessioni di fede, non le tradizioni religiose, non un sistema filosofico, e non “così dice Man, Economy, and State,” anche se molti cristiani sono in debito verso Murray Rothbard per l'approfondimento della nostra comprensione del potenziale del libero mercato e della perniciosità dell'intervento statale in quel mercato.
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Link all'articolo originale.
Seconda parte: Il concetto biblico del giusto.
Terza parte: Interventismo
Quarta parte: L'argomento biblico per il laissez faire
Quinta parte: Conclusione
Essendo molto lunga l'ho divisa in cinque parti, di seguito la prima.
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Di Laurence M. Vance
Il concetto del giusto prezzo è la base di un gran volume di pensiero economico errato che pervade il nostro mercato presunto libero e la società capitalistica. Leggi sull'usura, strozzinaggio, speculazione, bagarinaggio, dumping, affarismo, parità salariale, discriminazione dei prezzi, prestiti e vendita sottocosto, pacchetti di prodotti ed antitrust: sono tutti esempi tipici di questo modo fallace di pensare. Le opinioni espresse su queste pratiche e su cose come i compensi per supermodel, quadri, attori ed atleti, così come i nebulosi concetti di equità, vengono affermate similarmente nella teoria del giusto prezzo – a prescindere se l'opinionista abbia una qualche conoscenza di economia di base o persino abbia mai sentito parlare della teoria del giusto prezzo. I regolamenti che stabiliscono tetti dei prezzi, base dei prezzi, stipendio minimo, stipendio di sussistenza, stipendio familiare, controllo degli affitti, sovvenzioni di governo, sostegni dei prezzi ed in molti casi le tariffe, derivano anch'essi dalla ricerca del giusto prezzo.
Il termine giusto prezzo è mascherato abitualmente con un eufemismo. Così, proprio come lo SCHIP (State Children’s Health Insurance Program, NdT), Medicare e Medicaid non vengono mai chiamati medicina socializzata ed proprio come non ci si riferisce mai ai crediti di imposta rimborsabili come a programmi di trasferimento di reddito, i tentativi di stabilire un giusto prezzo sono solitamente presentati in termini di rimedi agli errori del mercato o di leggi di tutela del consumatore. La menzione della teoria del giusto prezzo o provoca vuoti sguardi o, nel caso di chi sia familiare con il termine, il rigetto della nozione come una screditata dottrina religiosa medioevale.
Non tutti i miti, naturalmente, sono creati uguali. Per esempio: l'uso del termine giusto prezzo è molto diverso da un altro mito ampiamente diffuso: quello della guerra giusta. Il principio della guerra giusta è alla base della nostra prolungata guerra in Iraq, così come della nostra crociata globale contro il terrorismo. Nella sua essenza, la dottrina riguarda l'uso della forza: quando la forza dovrebbe essere usata e che genere di forza è accettabile. Anche se molti ora sosterrebbero che la guerra in Iraq non risponde ai criteri di una guerra giusta, accettano completamente il concetto come legittimo. Infatti, è la norma piuttosto che l'eccezione quando le discussioni sulla guerra si rivolgono alla teoria della guerra giusta. Gli americani che non si considerano particolarmente religiosi, così come coloro che non hanno mai studiato i particolari della teologia e generalmente non partecipano alle discussioni teologiche, hanno cominciato improvvisamente a rivestire le loro posizioni con la retorica della teoria della guerra giusta.
Ma oltre alla conoscenza ed all'uso dei termini, ci sono alcune differenze filosofiche importanti fra i concetti del giusto prezzo e della guerra giusta. Ci sono molti individui che riconoscono il mito del giusto prezzo, tuttavia credono il contrario riguardo a quello della guerra giusta. Il primo è visto come nocivo al funzionamento del capitalismo del libero mercato, mentre il secondo è approvato come modello per la guerra. Una distinzione più significativa è semplicemente e senza mezzi termini questa: anche se l'implementazione completa nella società del concetto del giusto prezzo potrebbe avere come risultato difficoltà economiche, perdita delle libertà ed un'economia pianificata, l'acquiescenza in appena un punto della teoria della guerra giusta potrebbe provocare la morte di migliaia di persone.
Non penso che ci sia qualcosa di cui io scriva o parli con più fervore delle fallacie bibliche, economiche e politiche delle persone religiose. Che si tratti di sostegno cristiano ai crimini senza vittime, di buoni scolastici, di forza militare e guerra preventiva, o dello pseudo-cristianesimo e del socialismo fideistico del presidente Bush, ho sempre cercato di proclamare “l'intero consiglio di Dio” ed a distruggere la fiducia cristiana nella difesa dello stato. Come sa chiunque abbia una conoscenza delle mie riscritture da una prospettiva bellicista del Salmo Ventitrè, delle Beatitudini, e della Padre Nostro, ho adottato sempre un metodo radicalmente biblico nel debunking degli errori religiosi e nel detronizzare il grande Stato-dio. E poiché non c'è motivo di fermarsi adesso, posso quindi dire appassionato del mio soggetto che, in assenza di frode, non soltanto ogni prezzo su cui acconsentano un aspirante compratore ed un aspirante venditore è il giusto prezzo, ma questo soltanto è ciò che rende giusto il prezzo.
È mio desiderio in questo colloquio non soltanto di spezzare il mito del giusto prezzo, ma di presentare inoltre l'argomento biblico per il “laissez faire”. Ma perché il caso biblico? La verità è la verità, non è così? “Due più due fanno quattro” è vero sia che lo scriva un apostolo su di una pergamena sia che lo faccia un insegnante su una lavagna. D'accordo. Ma poiché il concetto del giusto prezzo ha dei tratti religiosi, è essenziale che il caso biblico sia presentato. E non solo, dato che per il cristiano le Scritture non soltanto contengono la verità, sono la verità. La Bibbia è la nostra autorità finale in tutti gli argomenti – secolari e sacri – non la legge naturale, non le dottrine confessionali, non le decisioni dei consigli della chiesa, non le encicliche papali e non l'Azione Umana, per quanto alta sia la considerazione dei cristiani – com'è giusto che sia – per il pensiero economico di Ludwig von Mises. L'imperativo per il cristiano è “così ha detto il Signore,” non i trattati di teologia, non le confessioni di fede, non le tradizioni religiose, non un sistema filosofico, e non “così dice Man, Economy, and State,” anche se molti cristiani sono in debito verso Murray Rothbard per l'approfondimento della nostra comprensione del potenziale del libero mercato e della perniciosità dell'intervento statale in quel mercato.
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Link all'articolo originale.
Seconda parte: Il concetto biblico del giusto.
Terza parte: Interventismo
Quarta parte: L'argomento biblico per il laissez faire
Quinta parte: Conclusione
Ma chi ha tradotto queste righe usa qualche traduttore automatico?
ReplyDeleteOvviamente sì, poi è chiaro che correggo ma il risultato non sempre è perfetto, dipende dal tempo a disposizione. Del resto meglio una traduzione imperfetta che nessuna traduzione, in altre parole a caval donato non si guarda in bocca.
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