Riporto da Antiwar.com questo articolo molto interessante di tale Thomas Harrington, professore di studi iberici, che offre un'originale e rivelatrice interpretazione della situazione negli Stati Uniti nel mondo post-11 settembre. È proprio vero che la storia si ripete; anzi, a ripetersi sono soprattutto gli errori, e gli orrori.
Del resto, quando diciamo che un impero o una civiltà sono giunti all'apice, possiamo anche correttamente dire che si trovano all'inizio del loro declino.
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Di Thomas Harrington
Con la possibilità di un viaggio all'estero all'orizzonte, il momento di rinnovare il passaporto del mio figlio più giovane era giunto. Preparate le carte richieste, le ho portate all'ufficio postale. Alcune settimane più tardi, l'agognato documento è arrivato.
L'ho aperto, pensando di trovare quello che avevo sempre trovato nei passaporti degli Stati Uniti: un'asciutta declamazione di una pagina dei dati personali seguita da numerose pagine vuote per la registrazione delle entrate e delle uscite del viaggiatore dai vari paesi.
Il momento che i miei occhi si sono posati sulla falda interna, tuttavia, mi sono dovuto ricordare della mia mancanza di immaginazione post-11 settembre. Davvero insensato da parte mia non realizzare che in periodi come questo i passaporti possano, e dovrebbero essere, documenti di assoluta propaganda, pieni delle più trite e scadenti evocazioni di grandiosità nazionale. Pagina 1: una citazione da Star-Spangled Banner in un'immagine tipo litografia della guerra del 1812. Pagina 2: Citazione famosa di Lincoln sul “governo del popolo, dal popolo e per il popolo.” Pagine 3-4: un'immagine multicolore di un'aquila e di una bandiera che torreggiano sulla foto e le informazioni personali del titolare del passaporto. E senza soluzione di continuità per 24 altre pagine con sfondi pittoreschi come il Monte Rushmore, la Campana della Libertà, e sì, anche bufali che vagano attraverso sconfinate pianure.
Quando la maggior parte degli Americani pensano al barocco è probabilmente per associazione con la musica francese o l'architettura dell'America Latina. Non è certamente una cosa sbagliata. Ma è importante ricordarsi che il barocco era, ed è, molto più di questo.
Il termine ha le sue radici nella penisola iberica del tardo XVI e del XVII secolo, un periodo in cui gli imperi spagnoli e portoghesi erano sia enormemente importanti che visibilmente decadenti. Verso la fine dei XV e nel primo XVI secolo, questi due regni relativamente poco sofisticati e poco popolati avevano conquistato il predominio mondiale grazie alla loro ferocia (affilata nella secolare guerra di frontiera contro gli “infedeli” musulmani) ed alla loro precoce conoscenza della tecnologia navale. Fra il 1470 ed il 1550 erano arrivati a controllare gran parte dell'Africa, tutto il centro e sud America e parti sostanziose dell'Europa (la maggior parte dell'Italia del sud, dei Paesi Bassi ed una buona parte delle odierne Germania ed Austria). Ma non troppo tempo dopo aver stabilito il controllo di queste aree, com'era prevedibile, la resistenza al loro governo cominciò a crescere.
Nelle Americhe, la relativa superiorità militare e navale degli iberici aveva permesso loro di sopraffare ogni opposizione fino all'inizio del XIX secolo. In Europa, tuttavia, le cose erano molto più complicate. Lì, particolarmente nelle terre nordiche e dell'Europa centrale, l'opposizione al governo iberico era non solo militare, ma anche ideologica. La riforma, che ora tendiamo ad immaginare quasi interamente in termini teologici, fu in realtà un movimento con un enorme significato geopolitico. Per gli olandesi ed i tedeschi, diventare protestante non era solo una questione di comunicazione più chiara e diretta con dio, ma anche di sbarazzarsi dei signori spagnoli e dei loro agenti ecclesiastici italiani.
Gli spagnoli reagirono alla sfida della riforma e del suo incipiente abbraccio dell'empirismo istituendo la Controriforma, il cui esito fu uno sforzo per impacchettare in una nuova confezione – ma senza in alcun modo alterarne i fondamenti – gli allora logori principi della loro filosofia di egemonia culturale basata sulla Chiesa. Si trattava di quello che oggi potremmo chiamare una campagna di “re-branding” culturale. Come tale, fu in gran parte circoscritta al regno dell'estetica.
Avrebbe potuto funzionare se i reclami tedeschi ed olandesi contro gli spagnoli fossero stati estetici. Invece, erano legati a questioni molto più essenziali di dignità e autodeterminazione. Così ebbe luogo quello che gli Spagnoli al giorno d'oggi chiamano “un dialogo tra sordi.” Da una parte, abbiamo gli spagnoli e i portoghesi (i regni furono uniti fra il 1580 ed il 1640), con l'avanguardia dei loro gesuiti apparentemente sofisticati e mondani, che inventano nuovi modi per vendere il loro vecchio vino imperiale e teologico. Dall'altra, abbiamo le élite ribelli dell'Olanda e di numerosi regni tedeschi che da lungo tempo avevano deciso che non avrebbero mai potuto realizzare i loro sogni sociali e commerciali nel quadro di un impero cattolico guidato da Madrid.
Incapace di tollerare, per non dire di ammettere, la validità dei reclami ideologici o territoriali dei loro indisciplinati sudditi nordici, gli Asburgo spagnoli ed i loro creativi ufficiali fecero ciò che tutti gli ideologi frustrati fanno in tempo di crisi: aumentarono il volume. È in questo atto di disperazione storica che troviamo la logica centrale del barocco. “Se soltanto potessimo dirlo in modo più colorato, più artistico, più ingegnoso, li riconquisteremmo.”
Ma naturalmente, con il pubblico nordico da lungo tempo avvezzo al canto delle sirene del sud, gli unici rimasti ad ascoltare i proclami mai così esagerati di superiorità culturale erano gli stessi cittadini prigionieri della penisola iberica! E così fu.
A partire dal 1580 in poi, precisamente nel momento in cui la facciata dell'onnipotente impero cominciava a mostrare le sue prime crepe, la classe politica ed intellettuale spagnola ingozzò il popolo con un'incessante dieta di auto-magnificazione, interrotta soltanto dalla lacerante ironia di Miguel de Cervantes. Questo flusso costante di propaganda clerico-statale mantenne i viceré e le loro armate ben motivati per molto tempo. Ma non fece niente per preparare la Spagna alle sfide della modernità. Effettivamente, l'implicita richiesta che persino i migliori pensatori spagnoli lavorassero e creassero all'interno dei vicoli sempre più stretti dell'auto-affermazione patriottica e teologica (in contrasto con i vasti spazi della libera ricerca), assicurò virtualmente la relegazione del paese nella discarica della storia.
C'è stato un momento in un passato non molto lontano in cui la classe dirigente degli Stati Uniti ha creduto nella essenziale vitalità dell'eredità politica e culturale degli Stati Uniti. Ma giudicando dal disegno del nuovo passaporto di mio figlio, non si fida più della sua capacità di parlare per sé stessa. Ora sembriamo anche noi abitanti del nuovo barocco, destinati, come gli spagnoli prima di noi, a vivere il nostro declino in un inferno propagandistico progettato (così ci dicono) a beneficio di altri.
Del resto, quando diciamo che un impero o una civiltà sono giunti all'apice, possiamo anche correttamente dire che si trovano all'inizio del loro declino.
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Di Thomas Harrington
Con la possibilità di un viaggio all'estero all'orizzonte, il momento di rinnovare il passaporto del mio figlio più giovane era giunto. Preparate le carte richieste, le ho portate all'ufficio postale. Alcune settimane più tardi, l'agognato documento è arrivato.
L'ho aperto, pensando di trovare quello che avevo sempre trovato nei passaporti degli Stati Uniti: un'asciutta declamazione di una pagina dei dati personali seguita da numerose pagine vuote per la registrazione delle entrate e delle uscite del viaggiatore dai vari paesi.
Il momento che i miei occhi si sono posati sulla falda interna, tuttavia, mi sono dovuto ricordare della mia mancanza di immaginazione post-11 settembre. Davvero insensato da parte mia non realizzare che in periodi come questo i passaporti possano, e dovrebbero essere, documenti di assoluta propaganda, pieni delle più trite e scadenti evocazioni di grandiosità nazionale. Pagina 1: una citazione da Star-Spangled Banner in un'immagine tipo litografia della guerra del 1812. Pagina 2: Citazione famosa di Lincoln sul “governo del popolo, dal popolo e per il popolo.” Pagine 3-4: un'immagine multicolore di un'aquila e di una bandiera che torreggiano sulla foto e le informazioni personali del titolare del passaporto. E senza soluzione di continuità per 24 altre pagine con sfondi pittoreschi come il Monte Rushmore, la Campana della Libertà, e sì, anche bufali che vagano attraverso sconfinate pianure.
Quando la maggior parte degli Americani pensano al barocco è probabilmente per associazione con la musica francese o l'architettura dell'America Latina. Non è certamente una cosa sbagliata. Ma è importante ricordarsi che il barocco era, ed è, molto più di questo.
Il termine ha le sue radici nella penisola iberica del tardo XVI e del XVII secolo, un periodo in cui gli imperi spagnoli e portoghesi erano sia enormemente importanti che visibilmente decadenti. Verso la fine dei XV e nel primo XVI secolo, questi due regni relativamente poco sofisticati e poco popolati avevano conquistato il predominio mondiale grazie alla loro ferocia (affilata nella secolare guerra di frontiera contro gli “infedeli” musulmani) ed alla loro precoce conoscenza della tecnologia navale. Fra il 1470 ed il 1550 erano arrivati a controllare gran parte dell'Africa, tutto il centro e sud America e parti sostanziose dell'Europa (la maggior parte dell'Italia del sud, dei Paesi Bassi ed una buona parte delle odierne Germania ed Austria). Ma non troppo tempo dopo aver stabilito il controllo di queste aree, com'era prevedibile, la resistenza al loro governo cominciò a crescere.
Nelle Americhe, la relativa superiorità militare e navale degli iberici aveva permesso loro di sopraffare ogni opposizione fino all'inizio del XIX secolo. In Europa, tuttavia, le cose erano molto più complicate. Lì, particolarmente nelle terre nordiche e dell'Europa centrale, l'opposizione al governo iberico era non solo militare, ma anche ideologica. La riforma, che ora tendiamo ad immaginare quasi interamente in termini teologici, fu in realtà un movimento con un enorme significato geopolitico. Per gli olandesi ed i tedeschi, diventare protestante non era solo una questione di comunicazione più chiara e diretta con dio, ma anche di sbarazzarsi dei signori spagnoli e dei loro agenti ecclesiastici italiani.
Gli spagnoli reagirono alla sfida della riforma e del suo incipiente abbraccio dell'empirismo istituendo la Controriforma, il cui esito fu uno sforzo per impacchettare in una nuova confezione – ma senza in alcun modo alterarne i fondamenti – gli allora logori principi della loro filosofia di egemonia culturale basata sulla Chiesa. Si trattava di quello che oggi potremmo chiamare una campagna di “re-branding” culturale. Come tale, fu in gran parte circoscritta al regno dell'estetica.
Avrebbe potuto funzionare se i reclami tedeschi ed olandesi contro gli spagnoli fossero stati estetici. Invece, erano legati a questioni molto più essenziali di dignità e autodeterminazione. Così ebbe luogo quello che gli Spagnoli al giorno d'oggi chiamano “un dialogo tra sordi.” Da una parte, abbiamo gli spagnoli e i portoghesi (i regni furono uniti fra il 1580 ed il 1640), con l'avanguardia dei loro gesuiti apparentemente sofisticati e mondani, che inventano nuovi modi per vendere il loro vecchio vino imperiale e teologico. Dall'altra, abbiamo le élite ribelli dell'Olanda e di numerosi regni tedeschi che da lungo tempo avevano deciso che non avrebbero mai potuto realizzare i loro sogni sociali e commerciali nel quadro di un impero cattolico guidato da Madrid.
Incapace di tollerare, per non dire di ammettere, la validità dei reclami ideologici o territoriali dei loro indisciplinati sudditi nordici, gli Asburgo spagnoli ed i loro creativi ufficiali fecero ciò che tutti gli ideologi frustrati fanno in tempo di crisi: aumentarono il volume. È in questo atto di disperazione storica che troviamo la logica centrale del barocco. “Se soltanto potessimo dirlo in modo più colorato, più artistico, più ingegnoso, li riconquisteremmo.”
Ma naturalmente, con il pubblico nordico da lungo tempo avvezzo al canto delle sirene del sud, gli unici rimasti ad ascoltare i proclami mai così esagerati di superiorità culturale erano gli stessi cittadini prigionieri della penisola iberica! E così fu.
A partire dal 1580 in poi, precisamente nel momento in cui la facciata dell'onnipotente impero cominciava a mostrare le sue prime crepe, la classe politica ed intellettuale spagnola ingozzò il popolo con un'incessante dieta di auto-magnificazione, interrotta soltanto dalla lacerante ironia di Miguel de Cervantes. Questo flusso costante di propaganda clerico-statale mantenne i viceré e le loro armate ben motivati per molto tempo. Ma non fece niente per preparare la Spagna alle sfide della modernità. Effettivamente, l'implicita richiesta che persino i migliori pensatori spagnoli lavorassero e creassero all'interno dei vicoli sempre più stretti dell'auto-affermazione patriottica e teologica (in contrasto con i vasti spazi della libera ricerca), assicurò virtualmente la relegazione del paese nella discarica della storia.
C'è stato un momento in un passato non molto lontano in cui la classe dirigente degli Stati Uniti ha creduto nella essenziale vitalità dell'eredità politica e culturale degli Stati Uniti. Ma giudicando dal disegno del nuovo passaporto di mio figlio, non si fida più della sua capacità di parlare per sé stessa. Ora sembriamo anche noi abitanti del nuovo barocco, destinati, come gli spagnoli prima di noi, a vivere il nostro declino in un inferno propagandistico progettato (così ci dicono) a beneficio di altri.
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