Friday, July 25, 2008

Per molti ma non per tutti

Hans-Hermann Hoppe non è certo il tipo che ha paura di sostenere le idee in cui crede, neanche quando – come in questo caso – queste idee si scontrano come un pugno ben assestato sotto la cintura del politicamente corretto, delle dottrine ufficiali, delle “verità” accettate. Ma che l'egalitarismo sia una perversa ipocrisia che ha ridotto la civiltà ad un simulacro di sé stessa è un fatto sotto gli occhi di tutti – o almeno: di tutti coloro che vogliono vedere.

Hoppe ne spiega le ragioni storiche e sociali in questo breve saggio che ho diviso in tre parti. Vale la pena di leggerlo tutto.
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Le élite naturali, gli intellettuali e lo Stato

Di Hans-Hermann Hoppe


Uno stato è un monopolista territoriale coercitivo, un'agenzia che può dedicarsi a continue violazioni istituzionalizzate dei diritti di proprietà ed allo sfruttamento dei proprietari privati tramite espropriazione, tassazione, e regolamentazione.

Ma come nascono gli stati? Ci sono due teorie sull'origine degli stati. Una è associata a nomi come Franz Oppenheimer, Alexander Ruestow ed Albert Jay Nock e sostiene che gli stati sono nati come il risultato della conquista militare di un gruppo su un altro. Questa è la teoria dell'origine esogena dello stato.

Ma questa opinione è stata severamente criticata su base storica così come teorica dagli etnografi e dagli antropologi come Wilhelm Muehlmann. Questi critici precisano che non tutti gli stati hanno avuto origine con una conquista esterna. Effettivamente, i critici considerano l'opinione che i primissimi stati siano stati il risultato della conquista da parte di mandriani nomadi sui coltivatori come cronologicamente falsa. Inoltre, questa interpretazione soffre teoricamente del problema che la conquista in sé sembra presupporre un'organizzazione di tipo statuale fra i conquistatori. Quindi, l'origine esogena richiede una teoria più fondamentale dell'origine endogena degli stati.

Una tale teoria è stata presentata da Bertrand de Jouvenel. Secondo il suo punto di vista, gli stati sono la conseguenza delle élite naturali: il risultato naturale delle transazioni volontarie fra i proprietari privati è non-egalitario, gerarchico ed elitista. In ogni società, alcuni individui acquistano la condizione di élite con il talento. Grazie ai loro successi in ricchezza, saggezza e valore, questi individui arrivano a possedere un'autorità naturale, ed i loro pareri e giudizi godono di rispetto diffuso. Inoltre, a causa degli accoppiamenti e matrimoni selettivi, e delle leggi dell'eredità civile e genetica, posizioni di autorità naturale è probabile che si trasmettano all'interno di poche famiglie nobili. È verso queste famiglie con una lunga storia di grandi successi, di lungimiranza, e di condotta personale esemplare che gli uomini si rivolgono con i loro conflitti e reclami. Questi capi dell'élite naturale fungono da giudici e pacificatori, spesso gratis, per il senso del dovere che ci si attende da una persona di autorità o per l'interesse per la giustizia civile intesa come “bene pubblico” privatamente prodotto.

Il piccolo ma decisivo passo nella transizione verso lo stato consiste precisamente nella monopolizzazione della funzione del giudice e del pacificatore. Questo è avvenuto quando un singolo membro dell'élite naturale volontariamente riconosciuta fu in grado di ottenere, malgrado l'opposizione di altri membri dell'élite, che tutti i conflitti all'interno di un territorio specifico venissero portati davanti a lui. Le parti in conflitto non poterono più scegliere un altro giudice o pacificatore.


Origine della monarchia

Una volta che l'origine di uno stato è vista come la conseguenza di un ordine anteriore e gerarchicamente strutturato di élite naturali, diventa chiaro perché l'umanità, fintantoché è stata soggetta ad un governo, è stata sotto la monarchia (piuttosto che la democrazia) per la maggior parte della sua storia. Ci sono stati eccezioni, naturalmente: la democrazia ateniese, Roma fino al 31 BC, le repubbliche di Venezia, Firenze e Genova durante il Rinascimento, i cantoni svizzeri dal 1291, le Province Unite (Paesi Bassi) a partire dal 1648 fino al 1673 e l'Inghilterra sotto Cromwell. Ma si trattava di avvenimenti rari e nessuno di loro assomigliava lontanamente ai sistemi democratici moderni, un-uomo-un-voto. Piuttosto, anch'esse erano altamente elitiste. Ad Atene, per esempio, niente più del 5% della popolazione votava ed era eleggibile per le posizioni di comando. Solo dopo la fine della Prima Guerra Mondiale l'umanità abbandonò veramente l'era monarchica.


Il potere monopolizzato

Dal momento in cui un singolo membro dell'élite naturale riuscì a monopolizzare la funzione di giudice e pacificatore, la legge e l'applicazione di legge sono diventate più costose. Invece di essere offerte gratis o in cambio di un pagamento volontario, sono finanziate con la tassazione obbligatoria. Allo stesso tempo, la qualità della legge si è deteriorata. Invece di sostenere le antiche leggi della proprietà privata ed applicare i principi universali ed invariabili della giustizia, un giudice monopolistico, che non deve temere di perdere i clienti come risultato dell'essere meno che imparziale, pervertirà la legge attuale a suo proprio vantaggio.

Come è stato possibile questo piccolo ma decisivo passo della monopolizzazione della legge e dell'ordine da parte di un re, che com'era prevedibile ha condotto a prezzi più elevati e ad una qualità inferiore della giustizia? Certamente, altri membri dell'élite naturale si sarebbero opposti a qualsiasi simile tentativo. Tuttavia ecco perché gli eventuali re si sono allineati tipicamente con “la gente” o “l'uomo comune.” Facendo appello al sentimento sempre popolare dell'invidia, i re hanno promesso alla gente una giustizia migliore e meno costosa in cambio e a carico della tassazione dei loro uomini migliori (i competitori del re) riducendone la dimensione. In secondo luogo, i re hanno chiamato in aiuto la classe degli intellettuali.


Il ruolo degli intellettuali

Ci si poteva aspettare che la domanda di servizi intellettuali sarebbe cresciuta con l'aumento della qualità della vita. Tuttavia, la maggior parte delle persone si preoccupa di affari piuttosto terreni e mondani e fa scarso uso delle attività intellettuali. Oltre alla Chiesa, le uniche persone con una domanda dei servizi degli intellettuali erano membri dell'élite naturale – come insegnanti per i loro bambini, consiglieri personali, segretari e bibliotecari. L'occupazione per gli intellettuali era rischiosa e la paga generalmente bassa. Ancora, mentre i membri dell'élite naturale erano solo raramente essi stessi intellettuali (cioè, persone che spendono tutto il loro tempo in occupazioni da studioso), ma erano invece persone interessate del comportamento delle imprese terrene, erano in genere intelligenti almeno quanto i loro impiegati intellettuali, così che la stima per i successi dei “loro” intellettuali era piuttosto modesta.

Non sorprende, quindi, che gli intellettuali, soffrendo di un'immagine di sé notevolmente gonfiata, si risentissero di questo fatto. Quanto era ingiusto che quelli – le élite naturali – a cui loro insegnavano, fossero realmente i loro superiori e conducessero una vita comoda mentre loro – gli intellettuali – erano comparativamente poveri e dipendenti. Non desta inoltre meraviglia che gli intellettuali potessero essere conquistati facilmente da un re nel suo tentativo di stabilirsi come monopolista della giustizia. In cambio della loro giustificazione ideologica del governo monarchico, il re poteva non solo offrir loro un'occupazione migliore e di condizione più elevata, ma come intellettuali della corte reale potevano finalmente far pagare alle élite naturali la loro mancanza di rispetto.

Eppure, il miglioramento della posizione della classe intellettuale fu soltanto moderato. Sotto un governo monarchico, c'era una distinzione definita fra il governante (il re) ed il governato, ed il governato sapeva che non avrebbe potuto mai trasformarsi in governante. Di conseguenza, c'era una considerevole resistenza non solo delle élite naturali ma anche della gente comune contro qualsiasi aumento nel potere del re. Era così estremamente difficile per il re riscuotere le tasse e le possibilità d'impiego per gli intellettuali rimanevano altamente limitate. In più, una volta ben trincerato, il re non curava molto meglio i suoi intellettuali di quanto facessero le élite naturali. E dato che un re controllava territori molto più grandi di quanto avessero fatto mai le élite naturali, perdere il suo favore era ancora più pericoloso, e ciò rese la posizione degli intellettuali per alcuni versi più precaria.

Un'ispezione delle biografie dei principali intellettuali – da Shakespeare a Goethe, da Cartesio a Locke, da Marx a Spencer – mostra più o meno lo stesso modello: fino a gran parte del diciannovesimo secolo, il loro lavoro era patrocinato da donatori privati, da membri dell'élite naturale, da principi, o da re. Conquistando o perdendo il favore dei loro garanti, cambiavano di frequente occupazione ed erano geograficamente molto mobili. Se da un lato questo significava spesso insicurezza finanziaria, ha contribuito non solo ad un cosmopolitismo unico degli intellettuali (come indicato dalla loro competenza nelle numerose lingue), ma anche ad un'insolita indipendenza intellettuale. Se un donatore o garante non li sosteneva più, ne esistevano molti altri che avrebbero colmato felicemente la lacuna. In effetti, la vita intellettuale e culturale fioriva maggiormente, e più grande era l'indipendenza degli intellettuali, dove la posizione del re o dell'amministrazione centrale era relativamente debole e quella delle élite naturali era rimasta relativamente forte.
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Hans-Hermann Hoppe è professore di economia all'Università del Nevada a Las Vegas. È l'autore di The Economics and Ethics of Private Property. Mandagli una mail. Vedi i suoi articoli. Commenta sul blog.
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Link alla seconda parte.
Link alla terza parte.

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