Friday, January 11, 2008

Il capo ha sempre ragione

"To me, I confess, [countries] are pieces on a chessboard upon which is being played out a game for dominion of the world."
(Lord Curzon, viceroy of India, speaking about Afghanistan, 1898)
Gli uomini di governo trovano sempre ottime scuse per convincere le masse a finanziare e combattere le guerre “giuste”. In effetti, per lo stato ogni guerra è quella giusta: non si è mai sentito un capo di stato sinceramente confessare, “andiamo a massacrare un po' di gente dall'altra parte del mondo, così da trasferire buona parte della vostra sudata ricchezza nelle tasche degli industriali che mi foraggiano generosamente, decimando nel contempo i più disperati tra voi che non hanno trovato di meglio da fare nella vita che arruolarsi, circostanza questa piuttosto conveniente perché troppi giovani disoccupati in casa sono sempre un bel problema per chi come me vive da parassita.”

No, per quanto questa soltanto sia la verità – proprio perché è la verità – queste parole non le sentirete mai pronunciare da un capo di stato. Quello che invece sentirete, invariabilmente, sono grandi proclami alla sicurezza della patria, alla necessità di salvare questo o quell'altro remoto paese dalla minaccia letale di qualche altro ancor più sconosciuto, o dal regime iniquo e disumano di un qualche dittatore, le cui azioni, a voler indagare appena più approfonditamente, non sono diverse da quelle di colui che lancia l'anatema. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, diceva qualcuno a cui molto spesso proprio questi volenterosi condottieri dicono di ispirarsi, e giù sassate come se piovesse: che moltitudine di immacolati sant'uomini, quale profusione di benefattori dell'umanità, che meravigliosa abbondanza di giustizieri senza macchia e senza peccato!

Davvero, si potrebbe pensare di vivere in paradiso, se non fosse per un curioso inconveniente: nonostante la risolutezza dei nostri valorosi comandanti in capo, il numero di spietati nemici – sempre inequivocabilmente identificabili con il male assoluto, s'intende – non accenna a diminuire, anzi, pare aumentare in numero direttamente proporzionale alla quantità e potenza di armamenti che il nostro lavoro ha contribuito a fornire all'apparato “difensivo” dello stato. E sono così perfidi, così subdolamente astuti, da nascondersi ormai ovunque: amano infatti circondarsi di donne e bambini, si infilano negli ospedali e nelle scuole, a volte sembrano in tutto e per tutto dei civili inermi e insospettabili. Per fortuna le bombe democratiche sono così intelligenti che radono al suolo tutto, rovinando i loro piani.

La guerra giusta, che bella invenzione! Ci si chiede che senso avrebbe, la vita di un uomo, senza la possibilità di combattere in nome del bene. Ben poco, mi vien di dire, considerato che mai mi è capitato di sentir di qualcuno che combatte in nome del male. Poi, certo, gli anni passano e si scopre che qualche causa non era in fondo così giusta e perfetta, che qualche maligna provocazione non c'è neanche mai stata: oggi, per esempio, si scopre che il famoso incidente del Golfo di Tonchino non è mai avvenuto, domani chissà. Magari verrà qualche dubbio anche sull'attacco all'Afghanistan, sarebbe un peccato, in quella occasione gli audaci condottieri avevano coniato un bellissimo nome per l'alleanza dei giusti: “coalizione dei volenterosi,” è molto bello, non trovate?

E invero la volontà non manca mai di fronte alla prospettiva di un'epica impresa bellica. Quasi mi dispiaccio, m'intristisce il mio sospetto che i nostri capi siano sempre volenterosi quando si tratta di gonfiare le loro tasche e aumentare il loro potere. Lo confesso: io non ci credo, non credo ai loro proclami, ai loro alti ideali, ai loro scopi benemeriti. Ma non è colpa mia. È colpa di giornalisti come John Pilger, due volte vincitore del premio di miglior giornalista dell'anno in Gran Bretagna per il suo lavoro in Vietnam e Cambogia, che – ahilui – non si contenta di riportare i dispacci dei governi, ma si cerca le notizie sul posto, parlando con la gente laddove accadono gli eventi. Parla ad esempio con l'Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane, che dal '77 denunciano la condizione delle donne in quella landa desolata:
“Noi donne dell'Afghanistan ci siamo trasformate in una causa per l'occidente soltanto dopo l'11 settembre 2001, quando i taliban sono improvvisamente diventati il nemico ufficiale dell'America. Sì, perseguivano le donne, ma non erano i soli e ci siamo risentiti del silenzio degli occidentali sulla natura atroce dei signori della guerra da loro sostenuti, che non sono diversi. Stuprano e rapinano e terrorizzano, tuttavia occupano posti [Hamid] nel governo di Karzai. Per alcuni versi, eravamo più sicure sotto i taliban. Potevi attraversare l'Afghanistan per strada e sentirti sicura. Ora, prendi la tua vita nelle tue mani.”

“Per esperienza, [abbiamo capito] che gli Stati Uniti non desiderano sconfiggere i taliban ed Al-Qaeda, perché allora non avranno giustificazioni per rimanere in Afghanistan e lavorare per la realizzazione dei loro interessi economici, politici e strategici nella regione.”
Che delusione, queste donne afghane mai contente, dopo tutta la fatica fatta dai volenterosi per la loro liberazione, per la loro emancipazione. Ma forse sarà stato solo un incidente di percorso, non è mica uno scherzo la guerra al terrorismo, non dimentichiamo che miliardi di “tax-dollars” sono stati scaricati sull'Afghanistan sotto forma di bombe ad alto potenziale, c'era da catturare il pericolosissimo Bin Laden, cosa ne dice Pilger?
Entro l'inizio del 2001, convinti che la presenza di Osama Bin Laden stava inacidendo il loro rapporto con Washington, i taliban provarono a liberarsene. In base ad un accordo negoziato dai capi dei due partiti islamici del Pakistan, Bin Laden doveva essere tenuto agli arresti domiciliari a Peshawar. Un tribunale religioso allora avrebbe esaminato le prove contro di lui e deciso se processarlo o consegnarlo agli Americani. Prima di sapere se questo sarebbe accaduto o no, Pervez Musharraf del Pakistan mise il veto al programma. Secondo l'allora ministro degli esteri pakistano, Niaz Naik, un alto diplomatico degli Stati Uniti gli disse il 21 luglio 2001 che era stato deciso di ricoprire i taliban “sotto un tappeto di bombe.”
Ahi ahi, Pilger, complottista impenitente!
Applaudita come la prima “vittoria” nella “guerra al terrore,” l'attacco all'Afghanistan dell'ottobre 2001 e il suo effetto onda ha causato la morte di migliaia di civili che, ancor più degli iracheni, rimangono invisibili agli occhi occidentali. La famiglia di Gulam Rasul è un caso tipico. Erano le 7.45 del mattino del 21 ottobre. Rasul, direttore di una scuola nella città di Khair Khana, aveva appena finito di mangiare la prima colazione con la sua famiglia ed era uscito per chiacchierare con un vicino. All'interno della casa c'erano la moglie, Shiekra, i suoi quattro figli, da tre a dieci anni, suo fratello con la sua moglie, sua sorella ed il suo marito. Guardò in alto e vide un velivolo attraversare il cielo, quindi la sua casa esplose in una palla di fuoco dietro lui. Nove persone morirono in questo attacco di un F-16 degli Stati Uniti che sganciò una bomba da 500 libbre. Unico superstite suo figlio di nove anni, Ahmad Bilal. “La maggior parte della gente uccisa in questa guerra non sono taliban; sono innocenti,” mi ha detto Gulam Rasul. “È stato un errore uccidere la mia famiglia? No, non lo è stato. Volano con i loro aerei e ci guardano da lassù, noi, la gente afghana che non ha aerei, e ci bombardano perché siamo nati qui, e ci disprezzano.”

Ci fu la festa di nozze nel villaggio di Niazi Qala, 100 km a sud di Kabul, per celebrare l'unione del figlio di un rispettato coltivatore. Secondo tutti i racconti si trattò di un evento meravigliosamente esuberante, con musica e canti. Il ruggito dei velivoli cominciò quando tutti erano addormentati, circa alle tre di mattina. Secondo le Nazioni Unite, il bombardamento è durato due ore ed ha ucciso 52 persone: 17 uomini, dieci donne e 25 bambini, molti dei quali sono stati trovati a brandelli in uno stagno asciutto in cui avevano cercato disperatamente rifugio. Tale macello non è un evento raro ed attualmente i morti sono descritti come “taliban”; o, se sono bambini, sono considerati parzialmente “colpevoli di trovarsi in un luogo usato dai militanti” – secondo quanto detto da un portavoce dell'esercito degli Stati Uniti parlando alla BBC.
Questi civili imprudenti: chi gli ha detto di circolare in territorio nemico, non sanno che è in corso l'infinita lotta del bene contro il male? Non possiamo che annoverarli tra gli effetti collaterali, un po' come la chemio, che ammazza il cancro, talvolta persino prima del paziente, un bel progresso rispetto al colpo di pistola in fronte come si fa con i cavalli. E poi diciamocelo, in fondo sono musulmani, e tutti i musulmani sono un po' anti-occidentali e anche antisemiti, “ci odiano per le nostre libertà,” quindi alla fin fine si può ben dire che se la sono cercata. La guerra contro il terrore, comunque, non può portare che bene, magari nel lungo periodo, anche se allora saremo ormai tutti morti, e chissà che per una volta il vecchio Keynes non ci abbia azzeccato.
Diverse favole sono state diffuse – “costruire la democrazia” è una di queste. “La guerra alla droga” è la più perversa. Quando gli Americani hanno invaso l'Afghanistan nel 2001 hanno ottenuto un successo notevole. Hanno interrotto bruscamente uno storico divieto della produzione di oppio che il regime dei taliban aveva realizzato. Un funzionario dell'ONU a Kabul mi ha descritto il divieto come un “miracolo moderno.” Il miracolo è stato annullato rapidamente. Come ricompensa per il sostegno alla “democrazia” di Karzai gli americani hanno permesso ai signori della guerra dell'Alleanza del Nord di ripiantare l'intero raccolto di oppio del paese nel 2002. Ventotto sulle 32 province hanno ripreso immediatamente la coltivazione. Oggi, il 90 per cento del commercio mondiale di oppio proviene dall'Afghanistan. Nel 2005, un rapporto del governo britannico ha valutato che 35.000 bambini nel paese usavano l'eroina. Ma mentre i contribuenti britannici pagano un miliardo di sterline per una super-base militare nella provincia di Helmand e per la seconda maggior ambasciata britannica al mondo, a Kabul, solo spiccioli vengono spesi per il recupero dei tossicodipendenti in casa.
Ecco, cattivo Pilger, hai rovinato tutto, hai dissolto la poesia. Come posso credere adesso che sto facendo la mia parte nella giusta crociata dell'occidente buono? Come posso credere al mio governo e ai suoi nobili scopi? Io pensavo che qualche sacrificio a casa nostra si potesse e dovesse sopportare, perché serve a diffondere la felicità in un mondo vessato dai più feroci nemici dell'umanità: devo forse pensare che i nemici dell'umanità siano invece anche qui tra noi, travestiti da paladini della pace? Ma forse la soluzione migliore è un'altra. Obbedire senza pensare, perché il capo ha sempre ragione, anche quando ha torto. E, comincio a sospettare, il capo ha sempre torto.

2 comments:

  1. Ottimo articolo.

    Purtroppo il 9/11 è stato un casus belli talmente "spettacolare", che la gente comune è ben disposta a chiudere un occhio sui "danni collaterali". I video dello "sceicco del terrore" e di tutti i suoi presunti secondi hanno fatto in modo di tenere accesa la fiamma della memoria.
    Sicché oggi mi pare diffusa nell'immaginario collettivo la convinzione che stiamo combattendo una crociata contro l'islamico cattivo.

    Per inciso, sono convinto che il 9/11 non si sarebbe mai potuto realizzare senza almeno la collaborazione delle autorità usa, e che i video siano in gran parte dei falsi.
    Tuttavia devo pure constatare che non si è riusciti a dimostrare in maniera schiacciante niente di tutto ciò, né a dare la giusta visibilità alla cosa.

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  2. Grazie Sintagm.

    Purtroppo è vero ciò che dici, e la cosa triste è che è sempre stato così. Il vero potere rimane sempre fuori dalla nostra portata e per quanto riusciamo – se ci riusciamo – a distinguerne le trame non possiamo far altro che tirare i pomodori ai burattini che ci agitano davanti.

    Pure, non si può smettere di lottare.

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