Jesús Huerta de Soto è professore di economia alla Complutense University of Madrid, ed è il princiaple economista spagnolo di scuola austriaca. E' tra i principali ambasciatori del liberalismo classico, e autore di Money, Bank Credit, and Economic Cycles. In questo articolo analizza alle radici la crisi finanziaria mondiale.
Dello stesso autore da non perdere il corso di economia pubblicato su usemlab.com.
___________________________
Di Jesus Huerta de Soto
Gli anni dell’esuberanza irrazionale che hanno caratterizzato l’attuale ciclo economico sono culminati in una profonda crisi del sistema bancario e finanziario, che minaccia di generare una acuta e globale recessione. Una delle principali caratteristiche del periodo di espansione è stata la corruzione dei principi tradizionali della contabilità praticati nei secoli precedenti.
Nello specifico, l’accettazione dello Standard Internazionale di Contabilità (IAS) e la sua incorporazione nelle leggi di diversi paesi ha significato l’abbandono del principio di prudenza ed il fatto che la valutazione degli asset a bilancio (soprattutto finanziari) viene basata sul valore di mercato e non sui costi effettivamente sostenuti.
La decisione di abbandonare il principio di prudenza è stata influenzata dall’azione di analisti, banche d’investimento, ed in generale di tutte le parti interessate a gonfiare i valori contabili per avvicinarli al valore di mercato, che era cresciuto notevolmente nel clima di generale euforia finanziaria degli ultimi tempi.
Infatti, negli ultimi anni della bolla speculativa, i valori crescenti delle azioni venivano subito registrati come attività, col risultato che i bilanci risultavano migliori di quanto fossero in realtà, il che spingeva ad un ulteriore aumento del valore di mercato delle azioni, nel più tipico processo di loop.
Questa corsa selvaggia all’abbandono dei principi tradizionali di contabilità in favore di principi più in linea coi tempi correnti, ha significato che le aziende sono state valutate secondo supposizioni e criteri soggettivi, che hanno sostituito il criterio tradizionale basato sui costi storici. Successivamente il collasso dei mercati finanziari e la perdita di fiducia nel sistema bancario e nelle sue nuove pratiche hanno reso evidenti gli errori creati dall’applicazione dello IAS e dall’applicazione dei criteri creativi di valutazione.
Stati Uniti ed Europa hanno intrapreso azioni correttive per ridurre l’impatto delle decisioni precedenti, ma le nuove misure, seppur indirizzate correttamente, sono di breve respiro e sono state prese per i motivi sbagliati.
E’ certo che si sta cercando di chiudere il recinto dopo che i buoi sono scappati: la caduta di valore dei titoli tossici o inesigibili ha danneggiato la solvenza di molte istituzioni; queste erano però felici di applicare il nuovo IAS, che negli anni nei quali i valori di azioni e prodotti finanziari erano sopravalutati ha permesso loro di ottenere profitti elevati, dai quali erano spinti a prendere decisioni sempre più rischiose con l’impressione di non correre rischio alcuno.
Quindi vediamo che i nuovi standard agiscono in modo da esagerare gli effetti positivi durante la fase di prosperità del ciclo economico, creando un effetto di falsa ricchezza che spinge gli investitori a prendere rischi troppo elevati; ma quando gli errori si presentano nella loro evidenza, la perdita di valore degli asset fa perdere capitalizzazione alle aziende, che sono obbligate a vendere le proprie risorse per ricapitalizzarsi; ciò avviene però nel momento peggiore, quello in cui gli asset hanno perduto valore ed il mercato finanziario è fermo, quindi molte aziende non possono rimediare alla situazione e rischiano il fallimento.
Principi come lo IAS sono così perniciosi che devono essere immediatamente abbandonati, non solo per risolvere il prima possibile la crisi attuale, ma soprattutto perchè, nei periodi di prosperità, ci si attenga al principio di prudenza, che è stato utilizzato dai tempi di Luca Pacioli all’inizio del XV° secolo fino all’adozione del falso idolo IAS.
In breve, il più grande errore della riforma della contabilità è stato buttare a mare centinaia di anni di esperienza e di sostituirlo con il principio di valore atteso, che è una valutazione basata su una situazione momentanea sottoposta a distorsioni di tipo finanziario. Questa rivoluzione copernicana minaccia le solide fondamenta dell’economia di mercato per diversi motivi:
1.
Violare il tradizionale principio di prudenza e basare la valutazione degli asset sul valore attuale di mercato genera, a secondo delle condizioni del ciclo economico in cui ci si trova, surplus nei bilanci che non hanno (e in molti casi non avranno mai) corrispondenza a beni reali; il conseguente effetto di falsa ricchezza produce, specialmente durante la fase di boom del ciclo economico, la creazione di profitti esistenti solo sulla carta, l’assunzione di rischi non giustificati, la generazione di errori decisionali da parte degli imprenditori ed il consumo del capitale di una nazione a spese della struttura produttiva e della crescita di lungo periodo.
2.
Bisogna che sia chiaro che lo scopo principale della contabilità non è di riflettere i valori reali, che sono comunque soggettivi ed in parte dipendenti dall’andamento del mercato. Lo scopo principale è di consentire una prudente gestione delle risorse aziendali e prevenire il consumo di capitale, applicando standard conservativi e rigorosi, che assicurino la distribuzione dei profitti e la futura capitalizzazione dell’azienda.
3.
Dobbiamo ricordare che il valore di mercato non è oggettivo: nel mercato non esistono prezzi di equilibrio determinati da osservatori esterni indipendenti; anzi, la realtà è l’opposto, cioè il valore di mercato varia continuamente ed anche in modo esteso, quindi utilizzare il valore di mercato nei bilanci aziendali significa eliminare la chiarezza delle informazioni garantite in passato. I bilanci attuali sono diventati incomprensibili ed inutili agli agenti economici. Inoltre la volatilità dei mercati non permette ai bilanci redatti secondo i nuovi principi di essere strumenti di guida per i dirigenti aziendali che rischiano di commettere più errori che in passato.
4.
Gli standard tradizionali riportavano già nelle note del report annuale il valore di mercato dei principali asset, senza che ciò influenzasse la valutazione complessiva delle varie voci del bilancio. Inoltre questi standard erano anticiclici e permettevano una visione più a lungo periodo di quella fornita dai nuovi standard. E' adesso più difficile per gli investitori, non solo per i dirigenti aziendali, interpretare i bilanci in maniera corretta e capire quali sono le imprese realmente in condizione di creare ricchezza.
Conclusione
Come la guerra è troppo seria per farla fare ai generali, la contabilità è troppo vitale perché sia lasciata ad esperti, siano essi professori visionari, analisti, investitori o membri di commissioni internazionali. Tutti costoro hanno difeso in modo arrogante la loro falsa scienza e hanno recitato il ruolo dell’apprendista stregone, provocando la più grave crisi finanziaria mondiale dal 1929.
___________________________
Traduzione di Massimiliano “El Pasador” Belloni
Dello stesso autore da non perdere il corso di economia pubblicato su usemlab.com.
___________________________
Di Jesus Huerta de Soto
Gli anni dell’esuberanza irrazionale che hanno caratterizzato l’attuale ciclo economico sono culminati in una profonda crisi del sistema bancario e finanziario, che minaccia di generare una acuta e globale recessione. Una delle principali caratteristiche del periodo di espansione è stata la corruzione dei principi tradizionali della contabilità praticati nei secoli precedenti.
Nello specifico, l’accettazione dello Standard Internazionale di Contabilità (IAS) e la sua incorporazione nelle leggi di diversi paesi ha significato l’abbandono del principio di prudenza ed il fatto che la valutazione degli asset a bilancio (soprattutto finanziari) viene basata sul valore di mercato e non sui costi effettivamente sostenuti.
La decisione di abbandonare il principio di prudenza è stata influenzata dall’azione di analisti, banche d’investimento, ed in generale di tutte le parti interessate a gonfiare i valori contabili per avvicinarli al valore di mercato, che era cresciuto notevolmente nel clima di generale euforia finanziaria degli ultimi tempi.
Infatti, negli ultimi anni della bolla speculativa, i valori crescenti delle azioni venivano subito registrati come attività, col risultato che i bilanci risultavano migliori di quanto fossero in realtà, il che spingeva ad un ulteriore aumento del valore di mercato delle azioni, nel più tipico processo di loop.
Questa corsa selvaggia all’abbandono dei principi tradizionali di contabilità in favore di principi più in linea coi tempi correnti, ha significato che le aziende sono state valutate secondo supposizioni e criteri soggettivi, che hanno sostituito il criterio tradizionale basato sui costi storici. Successivamente il collasso dei mercati finanziari e la perdita di fiducia nel sistema bancario e nelle sue nuove pratiche hanno reso evidenti gli errori creati dall’applicazione dello IAS e dall’applicazione dei criteri creativi di valutazione.
Stati Uniti ed Europa hanno intrapreso azioni correttive per ridurre l’impatto delle decisioni precedenti, ma le nuove misure, seppur indirizzate correttamente, sono di breve respiro e sono state prese per i motivi sbagliati.
E’ certo che si sta cercando di chiudere il recinto dopo che i buoi sono scappati: la caduta di valore dei titoli tossici o inesigibili ha danneggiato la solvenza di molte istituzioni; queste erano però felici di applicare il nuovo IAS, che negli anni nei quali i valori di azioni e prodotti finanziari erano sopravalutati ha permesso loro di ottenere profitti elevati, dai quali erano spinti a prendere decisioni sempre più rischiose con l’impressione di non correre rischio alcuno.
Quindi vediamo che i nuovi standard agiscono in modo da esagerare gli effetti positivi durante la fase di prosperità del ciclo economico, creando un effetto di falsa ricchezza che spinge gli investitori a prendere rischi troppo elevati; ma quando gli errori si presentano nella loro evidenza, la perdita di valore degli asset fa perdere capitalizzazione alle aziende, che sono obbligate a vendere le proprie risorse per ricapitalizzarsi; ciò avviene però nel momento peggiore, quello in cui gli asset hanno perduto valore ed il mercato finanziario è fermo, quindi molte aziende non possono rimediare alla situazione e rischiano il fallimento.
Principi come lo IAS sono così perniciosi che devono essere immediatamente abbandonati, non solo per risolvere il prima possibile la crisi attuale, ma soprattutto perchè, nei periodi di prosperità, ci si attenga al principio di prudenza, che è stato utilizzato dai tempi di Luca Pacioli all’inizio del XV° secolo fino all’adozione del falso idolo IAS.
In breve, il più grande errore della riforma della contabilità è stato buttare a mare centinaia di anni di esperienza e di sostituirlo con il principio di valore atteso, che è una valutazione basata su una situazione momentanea sottoposta a distorsioni di tipo finanziario. Questa rivoluzione copernicana minaccia le solide fondamenta dell’economia di mercato per diversi motivi:
1.
Violare il tradizionale principio di prudenza e basare la valutazione degli asset sul valore attuale di mercato genera, a secondo delle condizioni del ciclo economico in cui ci si trova, surplus nei bilanci che non hanno (e in molti casi non avranno mai) corrispondenza a beni reali; il conseguente effetto di falsa ricchezza produce, specialmente durante la fase di boom del ciclo economico, la creazione di profitti esistenti solo sulla carta, l’assunzione di rischi non giustificati, la generazione di errori decisionali da parte degli imprenditori ed il consumo del capitale di una nazione a spese della struttura produttiva e della crescita di lungo periodo.
2.
Bisogna che sia chiaro che lo scopo principale della contabilità non è di riflettere i valori reali, che sono comunque soggettivi ed in parte dipendenti dall’andamento del mercato. Lo scopo principale è di consentire una prudente gestione delle risorse aziendali e prevenire il consumo di capitale, applicando standard conservativi e rigorosi, che assicurino la distribuzione dei profitti e la futura capitalizzazione dell’azienda.
3.
Dobbiamo ricordare che il valore di mercato non è oggettivo: nel mercato non esistono prezzi di equilibrio determinati da osservatori esterni indipendenti; anzi, la realtà è l’opposto, cioè il valore di mercato varia continuamente ed anche in modo esteso, quindi utilizzare il valore di mercato nei bilanci aziendali significa eliminare la chiarezza delle informazioni garantite in passato. I bilanci attuali sono diventati incomprensibili ed inutili agli agenti economici. Inoltre la volatilità dei mercati non permette ai bilanci redatti secondo i nuovi principi di essere strumenti di guida per i dirigenti aziendali che rischiano di commettere più errori che in passato.
4.
Gli standard tradizionali riportavano già nelle note del report annuale il valore di mercato dei principali asset, senza che ciò influenzasse la valutazione complessiva delle varie voci del bilancio. Inoltre questi standard erano anticiclici e permettevano una visione più a lungo periodo di quella fornita dai nuovi standard. E' adesso più difficile per gli investitori, non solo per i dirigenti aziendali, interpretare i bilanci in maniera corretta e capire quali sono le imprese realmente in condizione di creare ricchezza.
Conclusione
Come la guerra è troppo seria per farla fare ai generali, la contabilità è troppo vitale perché sia lasciata ad esperti, siano essi professori visionari, analisti, investitori o membri di commissioni internazionali. Tutti costoro hanno difeso in modo arrogante la loro falsa scienza e hanno recitato il ruolo dell’apprendista stregone, provocando la più grave crisi finanziaria mondiale dal 1929.
___________________________
Traduzione di Massimiliano “El Pasador” Belloni
J. Huerta de Soto è stato professore alla Complutense, ora insegna alla URJC (Universidad Rey Juan Carlos) di Madrid.
ReplyDeleteChi volesse iscriversi al Master che ogni anno specificamente viene tenuto sul tema della Scuola Austriaca di Economia, può attingere notizie sul sito www.urjc.es
Saludos
Ciao a tutti:
ReplyDeletenon capisco. Se tutti i problemi prospettati in questo articolo potrebbero essere risolti SOLO con una gestione oculata della moneta, perché prendersela con i criteri di contabilità? Se i prezzi dei beni non sono prezzi di mercato ma sono distorti, cosa ne può l'imprenditore? Non solo i bilanci sono una violazione della privacy già così, ma imporre all'imprenditore i criteri di valutazione fa parte di quella gestione centralizzata dell'economia che speravo tanto che Huerta de Soto combattesse. Se l'imprenditore vuole valorizzare gli asset al costo lo faccia! E se vuole farlo ai prezzi di mercato lo faccia!
Conclusione: Huerta de Soto avrà anche assimilato alcuni aspetti della Scuola Austriaca di Economia, in questo articolo ha dimostrato di non averne minimamente colto lo spirito. Che delusione...
Oh Ashoka! Aiutami tu...
Davide71
A Davide71: non hai colto il senso dell'articolo di HdS. I principi di contabilità che risalgono a Luca Pacioli (che a sua volta li aveva tratti dai mercanti veneziani) sono regole precise, come i principi tradizionali del diritto: la Scuola Austriaca non insegna a fare quel c...zzo che vuoi. Credo che sia tu ad averne travisato lo spirito. Io conosco personalmente Huerta de Soto e ti assicuro che di economisti più rigorosi di lui è difficile trovarne. Saludos
ReplyDeleteRisposta all'anonimo:
ReplyDeletese conoscessi come funziona la contabilità sapresti che ogni asset viene innanzitutto contabilizzato al costo d'acquisto. Solo dopo si può decidere di contabilizzarlo ai prezzi di mercato segnando una plusvalenza (tassabile) oppure una minusvalenza (cioé una perdita). Perciò non vi è nessun arbitrio da parte dell'imprenditore o speculatore che sia. HdS pare inserirsi nella linea anti -speculazione che, se è vera speculazione e non manipolazione, non dovrebbe essere osteggiata da uno che si definisce "austriaco".
davide71
a Davide71: continui a non capire. Le regole vere (di diritto, di contabilità ecc...) sono principi immutabili, insiti nella natura delle cose; se poi qualche legislatore le muta, non per questo esse cessano di esistere. L'"austriaco" vero è lo studioso delle regole di natura; non è, ripeto, quello che dice: fate come c...zzo volete, senza regole. Cerca di capire, Davide; se non ci arrivi, amen.
ReplyDeleteSaludos
Risposta all'anonimo:
ReplyDeletenon capisco. Pazienza. Io ho sempre pensato che il "principio di prudenza" sia una "raccomandazione in merito alla linea di condotta" non un "principio immutabile insito nelle leggi di Natura". Boh...
Davide71