Non è certamente un caso se le due materie più maltrattate nelle scuole e nelle università sono la storia e l'economia. Nessun'altra materia di studio è così afflitta da miti, leggende, e pure e semplici baggianate, nessun'altra assume così sinistramente le sembianze di una dottrina pseudoreligiosa come quelle che si possono considerare la memoria della società.
Senza l'esperienza del passato e la capacità di prevedere le conseguenze delle nostre azioni nel futuro, l'umanità è costretta nell'angusto spazio di un continuo presente, costantemente in apprensione per il buio che si estende alle sue spalle e di fronte ad essa, privata degli strumenti per decifrare le azioni dei suoi leader.
Lawrence W. Reed, presidente della Foundation for Economic Education, prova a dissipare almeno un poco quelle tenebre, leggendo gli eventi correnti nel libro della storia.
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Di Lawrence W. Reed
Diversi commentatori hanno notato alcuni paralleli interessanti tra la crisi finanziaria attuale e la Grande Depressione degli anni 30. Anche se sopravviveremo alla valanga di spesa di Washington, il Congresso e l'amministrazione Obama potrebbero ancora gettarci nella catastrofe se dovessero aumentare nettamente le tasse o le tariffe come il Congresso fece nel 1930 e nel 32. Ma non dovrebbero sfuggire alla nostra attenzione altri minacciosi paralleli con un'epoca antica.
Somme monumentali per i salvataggi. Sconvolgenti aumenti del debito pubblico. Concentrazione di potere nell'amministrazione centrale. Una scalata all'impazzata di gruppi d'interesse con infinite richieste al Tesoro. Appelli demagogici alla guerra di classe. Queste cose suonano tanto familiari nell'America del nono anno del ventunesimo secolo senza dubbio quanto dominarono lo sventurato stato sociale romano di due millenni orsono.
Durante gli anni declinanti della repubblica romana, una canaglia chiamata Clodius era candidato per il posto di tribuno. Corruppe l'elettorato con promesse di grano gratis a spese del contribuente e vinse. Da allora in poi, i romani in numero crescente abbracciarono la nozione che votare per vivere potrebbe essere più lucrativo del lavorare per vivere. Questo mise in moto la prima legge di Kershner, che prende il nome dall'economista Howard E. Kershner: “Quando un popolo autogorvernato conferisce al proprio governo il potere di prendere da qualcuno e di dare ad altri, il processo non si arresterà fino a che l'ultimo osso dell'ultimo contribuente non sarà stato spolpato.”
I candidati per le cariche romane spendevano ingenti somme per conquistare il favore pubblico, quindi, in seguito, saccheggiavano la popolazione per mantenere le loro promesse ai possidenti che li avevano eletti. Mentre la repubblica lasciava spazio alla dittatura, una successione di imperatori sviluppò il proprio potere sugli enormi passaggi di denaro che controllavano. Quasi un terzo della stessa città di Roma ricevette i pagamenti di aiuti pubblici prima della nascita di Cristo.
In risposta ad una crisi severa del credito e della moneta nel 33 A.D., l'amministrazione centrale estese il credito ad interesse zero su vastissima scala. La spesa pubblica a seguito della crisi aumentò.
Nel 91 A.D., il governo si occupava a fondo nell'agricoltura. L'imperatore Domiziano, per ridurre la produzione ed aumentare il prezzo del vino, ordinò la distruzione di metà delle vigne delle province.
Seguendo la guida di Roma, molte città all'interno dell'impero erano profondamente indebitate. A partire dall'imperatore Adriano all'inizio del secondo secolo, i comuni in difficoltà finanziaria ricevevano sussidi da Roma, e nello scambio perdevano una notevole quantità della loro indipendenza politica.
L'amministrazione centrale inoltre si assunse la responsabilità di fornire intrattenimento al popolo. Per mantenere il popolo felice venivano organizzati circhi elaborati e duelli di gladiatori. L'equivalente di cento milioni di dollari l'anno nella sola città di Roma è la stima di uno storico moderno di ciò che fu versato nei giochi.
Sotto l'imperatore Antonino Pio, che governò dal 138 al 161 A.D., la burocrazia romana raggiunse proporzioni gigantesche. Alla fine, secondo lo storico Albert Trever, “l'implacabile sistema di tassazione, requisizione e lavori forzati era amministrato da un esercito di burocrati militari.... Gli ubiquitari agenti personali degli imperatori erano ovunque,” impiegati per schiacciare gli evasori fiscali.
C'era un'abbondanza di tasse da evadere. L'imperatore Nerone, riporta lo storico romano Gaio Svetonio in De Vitae Caesarum, una volta si fregò le mani dicendo, “tassiamo e tassiamo ancora! Facciamo in modo che nessuno possiede qualcosa!” Le tasse infine distrussero prima i ricchi, seguiti dalla classe media e da quella bassa. “Ciò che i soldati o i barbari risparmiarono, gli imperatori lo presero con le tasse,” secondo lo storico W.G. Hardy.
Nel tardo terzo secolo, l'imperatore Aureliano dichiarò i pagamenti di sussidi governativi un diritto ereditario. Fornì agli aventi diritto il pane cotto dal governo (anziché la vecchia pratica di dar loro il frumento e lasciar che si cuocessero il proprio pane) e aggiunse sale, carne di suino ed olio d'oliva gratis.
Roma patì per il veleno di tutti gli stati sociali, l'inflazione. Le richieste massicce al governo di spendere e sovvenzionare generarono pressioni per la moltiplicazione della moneta. Il conio romano era stato degradato da un imperatore dopo l'altro per pagare programmi costosi. L'argento una volta quasi puro, il denarius entro l'anno 300 era poco più di un pezzo di scarto contenente meno del cinque per cento d'argento.
I prezzi salirono alle stelle ed il risparmio scomparve. Gli uomini d'affari venivano diffamati persino mentre il governo continuava le sue pratiche spendaccione. I controlli dei prezzi devastarono ulteriormente un'economia privata tartassata e in declino. Entro il 476 A.D. quando i barbari spazzarono via l'impero dalle mappe, Roma aveva commesso suicidio morale ed economico.
Un'altra Grande Depressione dovrebbe effettivamente preoccuparci. Quella che seguì allo stato sociale romano è nota come gli Anni Bui e durò diverse centinaia di anni.
Senza l'esperienza del passato e la capacità di prevedere le conseguenze delle nostre azioni nel futuro, l'umanità è costretta nell'angusto spazio di un continuo presente, costantemente in apprensione per il buio che si estende alle sue spalle e di fronte ad essa, privata degli strumenti per decifrare le azioni dei suoi leader.
Lawrence W. Reed, presidente della Foundation for Economic Education, prova a dissipare almeno un poco quelle tenebre, leggendo gli eventi correnti nel libro della storia.
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Di Lawrence W. Reed
Diversi commentatori hanno notato alcuni paralleli interessanti tra la crisi finanziaria attuale e la Grande Depressione degli anni 30. Anche se sopravviveremo alla valanga di spesa di Washington, il Congresso e l'amministrazione Obama potrebbero ancora gettarci nella catastrofe se dovessero aumentare nettamente le tasse o le tariffe come il Congresso fece nel 1930 e nel 32. Ma non dovrebbero sfuggire alla nostra attenzione altri minacciosi paralleli con un'epoca antica.
Somme monumentali per i salvataggi. Sconvolgenti aumenti del debito pubblico. Concentrazione di potere nell'amministrazione centrale. Una scalata all'impazzata di gruppi d'interesse con infinite richieste al Tesoro. Appelli demagogici alla guerra di classe. Queste cose suonano tanto familiari nell'America del nono anno del ventunesimo secolo senza dubbio quanto dominarono lo sventurato stato sociale romano di due millenni orsono.
Durante gli anni declinanti della repubblica romana, una canaglia chiamata Clodius era candidato per il posto di tribuno. Corruppe l'elettorato con promesse di grano gratis a spese del contribuente e vinse. Da allora in poi, i romani in numero crescente abbracciarono la nozione che votare per vivere potrebbe essere più lucrativo del lavorare per vivere. Questo mise in moto la prima legge di Kershner, che prende il nome dall'economista Howard E. Kershner: “Quando un popolo autogorvernato conferisce al proprio governo il potere di prendere da qualcuno e di dare ad altri, il processo non si arresterà fino a che l'ultimo osso dell'ultimo contribuente non sarà stato spolpato.”
I candidati per le cariche romane spendevano ingenti somme per conquistare il favore pubblico, quindi, in seguito, saccheggiavano la popolazione per mantenere le loro promesse ai possidenti che li avevano eletti. Mentre la repubblica lasciava spazio alla dittatura, una successione di imperatori sviluppò il proprio potere sugli enormi passaggi di denaro che controllavano. Quasi un terzo della stessa città di Roma ricevette i pagamenti di aiuti pubblici prima della nascita di Cristo.
In risposta ad una crisi severa del credito e della moneta nel 33 A.D., l'amministrazione centrale estese il credito ad interesse zero su vastissima scala. La spesa pubblica a seguito della crisi aumentò.
Nel 91 A.D., il governo si occupava a fondo nell'agricoltura. L'imperatore Domiziano, per ridurre la produzione ed aumentare il prezzo del vino, ordinò la distruzione di metà delle vigne delle province.
Seguendo la guida di Roma, molte città all'interno dell'impero erano profondamente indebitate. A partire dall'imperatore Adriano all'inizio del secondo secolo, i comuni in difficoltà finanziaria ricevevano sussidi da Roma, e nello scambio perdevano una notevole quantità della loro indipendenza politica.
L'amministrazione centrale inoltre si assunse la responsabilità di fornire intrattenimento al popolo. Per mantenere il popolo felice venivano organizzati circhi elaborati e duelli di gladiatori. L'equivalente di cento milioni di dollari l'anno nella sola città di Roma è la stima di uno storico moderno di ciò che fu versato nei giochi.
Sotto l'imperatore Antonino Pio, che governò dal 138 al 161 A.D., la burocrazia romana raggiunse proporzioni gigantesche. Alla fine, secondo lo storico Albert Trever, “l'implacabile sistema di tassazione, requisizione e lavori forzati era amministrato da un esercito di burocrati militari.... Gli ubiquitari agenti personali degli imperatori erano ovunque,” impiegati per schiacciare gli evasori fiscali.
C'era un'abbondanza di tasse da evadere. L'imperatore Nerone, riporta lo storico romano Gaio Svetonio in De Vitae Caesarum, una volta si fregò le mani dicendo, “tassiamo e tassiamo ancora! Facciamo in modo che nessuno possiede qualcosa!” Le tasse infine distrussero prima i ricchi, seguiti dalla classe media e da quella bassa. “Ciò che i soldati o i barbari risparmiarono, gli imperatori lo presero con le tasse,” secondo lo storico W.G. Hardy.
Nel tardo terzo secolo, l'imperatore Aureliano dichiarò i pagamenti di sussidi governativi un diritto ereditario. Fornì agli aventi diritto il pane cotto dal governo (anziché la vecchia pratica di dar loro il frumento e lasciar che si cuocessero il proprio pane) e aggiunse sale, carne di suino ed olio d'oliva gratis.
Roma patì per il veleno di tutti gli stati sociali, l'inflazione. Le richieste massicce al governo di spendere e sovvenzionare generarono pressioni per la moltiplicazione della moneta. Il conio romano era stato degradato da un imperatore dopo l'altro per pagare programmi costosi. L'argento una volta quasi puro, il denarius entro l'anno 300 era poco più di un pezzo di scarto contenente meno del cinque per cento d'argento.
I prezzi salirono alle stelle ed il risparmio scomparve. Gli uomini d'affari venivano diffamati persino mentre il governo continuava le sue pratiche spendaccione. I controlli dei prezzi devastarono ulteriormente un'economia privata tartassata e in declino. Entro il 476 A.D. quando i barbari spazzarono via l'impero dalle mappe, Roma aveva commesso suicidio morale ed economico.
Un'altra Grande Depressione dovrebbe effettivamente preoccuparci. Quella che seguì allo stato sociale romano è nota come gli Anni Bui e durò diverse centinaia di anni.
Molto bello.
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