“Inherent in all government operation is a grave and fatal split between service and payment, between the providing of a service and the payment for receiving it.”
(Murray N. Rothbard, For a New Liberty)
Velocizzare la spesa pubblica e ammortizzatori sociali, queste le priorità del governo per “sostenere l'occupazione e far ripartire l'economia.” Continua quindi il periglioso viaggio nel girone keynesiano dell'economia simulata: finto sviluppo finanziato con i soldi sottratti al settore privato, che rispondendo alla crisi si contrae nel tentativo di ricostituire una base di capitale reale. Ma questo processo virtuoso non è gradito al premier imprenditore (sic), che come Roosevelt invita gli italiani ad “uscire di casa, a vivere come prima.”
No, per far ripartire l'economia ci vuole il “volano” delle opere pubbliche, 17,8 miliardi di soldi dei contribuenti canalizzati in opere che i consumatori non hanno richiesto, la cui utilità è quindi garantita solo dalle certezze di Berlusconi e Tremonti. Certezze che si scontrano però inevitabilmente con la dura realtà ben illustrata dall'esperienza giapponese negli anni 90, che a rileggerla oggi pare il progetto in scala di tutti gli interventi di governo messi in atto globalmente per affrontare l'attuale recessione :
Ed è risibile l'invito al consumo rivolto ai contribuenti, così come l'idea degli ammortizzatori sociali per chi si trova ad essere espulso dal mercato del lavoro: se davvero tutta questa spesa è diretta alla massa dei lavoratori, per quale misterioso motivo, allora, i loro salari sono stati decurtati in primo luogo di una sostanziosa percentuale? Se il problema che il governo dice di voler affrontare è la mancanza nelle tasche dei lavoratori di fondi sufficienti a sostenere i consumi e a provvedere agli eventuali periodi di disoccupazione, perché non evita di tassarli alla fonte?
A questa domanda ha risposto Mises nell'Azione Umana:
No, per far ripartire l'economia ci vuole il “volano” delle opere pubbliche, 17,8 miliardi di soldi dei contribuenti canalizzati in opere che i consumatori non hanno richiesto, la cui utilità è quindi garantita solo dalle certezze di Berlusconi e Tremonti. Certezze che si scontrano però inevitabilmente con la dura realtà ben illustrata dall'esperienza giapponese negli anni 90, che a rileggerla oggi pare il progetto in scala di tutti gli interventi di governo messi in atto globalmente per affrontare l'attuale recessione :
Nel 1992, per affrontare un'economia in ristagno ed il crollo azionario, il governo adottò un pacchetto di misure globale ammontante a 10,7 trilioni di yen, l'equivalente del 2,3 per cento del P.I.L. Un anno più tardi, per compensare il peggioramento della crisi economica, inaugurò un altro pacchetto di stimolo, il più grande nella storia. Nel 1994 una nuova amministrazione aggiunse il proprio enorme pacchetto di spesa. Quando tuttavia lo yen giapponese aumentò fortemente il suo valore nei mercati monetari del mondo, provocando la sofferenza di importanti industrie esportatrici, il governo lanciò nuovi progetti di opere pubbliche ed implementò il più grande pacchetto di stimolo di sempre.Il particolare che sembra sfuggire agli uomini di governo – a questo punto dobbiamo supporre per qualche imprecisata malformazione congenita – è che tutto ciò che essi possono fare è sottrarre dei soldi da una parte e spenderli da un'altra, senza alcuna possibilità né di prevederne l'eventuale ritorno, né di calcolare il danno provocato là dove sono stati prelevati. Nel settore privato l'imprenditore sottrae risorse al proprio consumo immediato per investirle in vista di una possibilità di consumare di più in futuro. Quando un governo si impegna nella spesa pubblica, invece, sottrae risorse sia dal consumo che dal possibile investimento di tutti, per finanziare investimenti che beneficiano solo alcuni, e spesso solo per un periodo limitato.
Allo stesso tempo, la Banca del Giappone abbassava il suo tasso di sconto al livello record dello 0,5 per cento. Per un momento l'economia sembrò recuperare, ma la disoccupazione continuava ad aumentare costantemente. Alcuni mesi più tardi, l'economia giapponese soffrì il più grande calo in 23 anni, contraendosi ad un tasso dell'11,2 per cento. [...]
Quando la speranza diventa disperazione, i politici sono tentati di accelerare la spesa pubblica. Nel 1998 il governo giapponese adottò un altro pacchetto completo di stimolo – il più grande di tutti i tempi – aumentando la spesa pubblica per le infrastruttura sociale. Dopo mesi di alterco politico, la Dieta si appropriò di circa 500 miliardi di dollari per salvare le principali 19 banche della nazione. Con una disoccupazione al 5,4 per cento, un altro pacchetto supplementare di stimolo di circa 195 miliardi di dollari era destinato a creare 700.000 posti di lavoro. La Banca del Giappone rivelò che aveva speso circa 580 miliardi di dollari per ripulire cattivi prestiti e promise di mantenere il proprio tasso di sconto “vicino allo zero.”
Ed è risibile l'invito al consumo rivolto ai contribuenti, così come l'idea degli ammortizzatori sociali per chi si trova ad essere espulso dal mercato del lavoro: se davvero tutta questa spesa è diretta alla massa dei lavoratori, per quale misterioso motivo, allora, i loro salari sono stati decurtati in primo luogo di una sostanziosa percentuale? Se il problema che il governo dice di voler affrontare è la mancanza nelle tasche dei lavoratori di fondi sufficienti a sostenere i consumi e a provvedere agli eventuali periodi di disoccupazione, perché non evita di tassarli alla fonte?
A questa domanda ha risposto Mises nell'Azione Umana:
Non è necessario discutere con i fautori di questa politica di deficit. È evidente che il ricorso a questo principio della capacità di pagare dipende dall'esistenza di redditi e patrimoni che possano essere ancora tassati via. Non si può più ricorrervi una volta che questi fondi supplementari sono stati esauriti dalle tasse e da altre misure interventiste. [...]“I soldi ci sono, bisogna andarli a prendere,” ha detto D'Alema. Ma vediamo da dove arrivano questi soldi...
L'interventista nel sostenere una spesa pubblica supplementare non è informato del fatto che i fondi disponibili sono limitati. Non realizza che aumentare la spesa in un'area implica limitarla in altre. A suo parere c'è un'abbondanza di soldi a disposizione. Il reddito ed il patrimonio dei ricchi possono essere colpiti liberamente.
Gli alti tassi di imposta addizionale per i ricchi sono molto popolari tra gli interventisti dilettanti ed i demagoghi, ma assicurano soltanto modeste aggiunte agli introiti. Giorno per giorno diventa sempre più evidente che incrementi su vasta scala al totale della spesa pubblica non possono essere finanziati “strizzando i ricchi,” ma che il peso dev'essere portato dalle masse. La tradizionale politica fiscale dell'era dell'interventismo, i suoi glorificati strumenti della tassazione progressiva e le spese sontuose sono stati portati al punto in cui la loro assurdità non può più essere celata. Il famoso principio secondo cui, mentre la spesa privata dipende dalla dimensione del reddito disponibile, i redditi pubblici devono essere regolati secondo la spesa, si confuta da solo.Quindi, l'essenza dell'intervento è semplicemente questa: i soldi di chi è più colpito dalla recessione vengono usati per combatterla. Ovvero quello che succederebbe in ogni caso, visto che gli unici soldi disponibili (a parte quelli nella Zona Fantasma dei Bernanke e dei Trichet) sono quelli. Il ruolo dello stato in tutto ciò è banale: sostituirsi al giudizio dei consumatori nella scelta di come usare i soldi che essi hanno guadagnato. Ma che tale giudizio possa essere migliore è solo un assunto pretenzioso destinato ad essere smentito dalla realtà:
Un punto essenziale nella filosofia sociale dell'interventismo è l'esistenza di un fondo inesauribile a cui si può attingere per sempre. L'intero sistema dell'interventismo sprofonda quando questa fonte è prosciugata: il principio di Babbo Natale liquida sé stesso.Sì, è molto triste quando delle persone adulte credono a Babbo Natale.
Concetti chiari, limpidi.
ReplyDeleteIl particolare che sembra sfuggire agli uomini di governo – a questo punto dobbiamo supporre per qualche imprecisata malformazione congenita – è che tutto ciò che essi possono fare è sottrarre dei soldi da una parte e spenderli da un'altra,
Eppure, economisti popolo politici e giornalisti continuano a ragionare come se vi fosse un forziere da cui continuare ad attingere, all'infinito.
Si, direi che il buon Pax ha estratto dal cilindro un altro articolo cristallino. Purtroppo mentre lo leggo, lacrime sgorgano dai miei occhi nel pensare a quanta rincorsa abbiamo preso per buttarci nel burrone di fronte a noi. Rileggere le misure nipponiche e confrontarle con le misure che globalmente la manica di deficienti che governa sta prendendo, mi ha fatto davvero male.
ReplyDeleteE' il "bello" della democrazia. Se tutti si buttano nel baratro, tu li devi seguire per forza, come uno stupido lemming.
La verità è che anch'io, quando sono andato a cercarmi un articolo che descrivesse le misure adottate in Giappone, sono rimasto stupito dalla totale corrispondenza con quelle prese in questi mesi.
ReplyDeleteMa è ancora più sorprendente, forse, quanto precisa sia la descrizione di Mises del comportamento dei governi. Sembra di stare nel treno piombato di Cassandra Crossing...
Grazie ancora, avevo dei dubbi (espressi nell'altro articolo) che ora non sono più tali...
ReplyDeleteAnzi, a dire il vero già da ieri sera, quando ho letto e poi sentito le nuove misure varate, oltretutto il grosso andrà in opere assolutamente inutili.
Roberto
[i]Sembra di stare nel treno piombato di Cassandra Crossing...[i]
ReplyDeleteSolo che nelle prime carrozze non c'è chi è stato determinante perchè tutto questo accada, almeno per ora.
Meraviglioso.
ReplyDeleteUn grazie a chi si sbatte per mettere in rete certa "robaccia" rivoluzionaria...
Varrebbe la pena di leggerlo solo per la chiosa finale :)
Bene Infettato, allora risparmio la risposta nell'altro post. :-)
ReplyDeleteGrazie Gattaccio, a proposito: se vi è piaciuto l'ho postato su OkNotizie, potete votarlo con il tastino sopra l'articolo.
Votandolo rimane più tempo in prima pagina.
votato.
ReplyDeleteUna domanda che mi pongo: Non è che forse non si è tenuto conto di una variabile colossale, tanto grande che ci si para davanti agli occhi in tutta la sua immensità tanto da non lasciarci accorgere che esiste?
Negli anni '90, in Giappone, a quanto ammontava la pressione fiscale ?
Non penso che i margini di manovra siano gli stessi, visto che viaggiamo allegramente verso il 70%... o mi sbaglio ?
Non è che faremmo meno danni abuttare benzina sul fuoco ??
Guardate che i giapponesi a loro volta avevano "un bell'esempio" da seguire e non è un caso che siano andati in malora seguendo ciò che era stato già fatto negli States. I nippi hanno incominciato a scialacquare tutto quel che avevano messo da parte quando la loro banca centrale ha cominciato a seguire le politiche della FED. La cartastraccia è cartastraccia dappertutto.
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