Per chi cerca di difendere la libertà dalla minaccia di un Leviatano sempre più violento e pericoloso potrebbe sembrare più normale trovare dei nemici a sinistra, nel campo cosiddetto “progressista,” e magari di trovare delle affinità o persino degli alleati nel campo conservatore. In fondo, i legami della società tradizionale sono proprio gli ostacoli che la bestia immonda, al di là delle mendaci dichiarazioni pubbliche, cerca di distruggere con maggiore ferocia: eliminati quelli, l'individuo è più che mai alla sua mercè.
Tuttavia Hoppe, nella trascrizione di questo discorso tenuto nel 1996 e tratto dal suo libro Democrazia, il dio che ha fallito, ci spiega perché non è questo il caso. Come non si può servire Dio e Mammona, così non si può esser servi del Leviatano senza distruggere i valori tradizionali e la libertà dell'individuo.
(Dedicato a tutti i blondettiani.)
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L'incoerenza intellettuale del conservatorismo
Di Hans-Hermann Hoppe
Il conservatorismo moderno, negli Stati Uniti e in Europa, è confuso e distorto. Sotto l'influenza della democrazia rappresentativa e con la trasformazione di Stati Uniti ed Europa in democrazie totali dalla Prima Guerra Mondiale, il conservatorismo è stato trasformato da una forza ideologica anti-egalitaria, aristocratica, anti-statalista in un movimento di statalisti culturalmente conservatori: la destra dei socialisti e dei democratici sociali.
La maggior parte dei sedicenti conservatori contemporanei sono preoccupati, come dovrebbero essere, del deperimento della famiglia, del divorzio, dell'illegittimità, della perdita di autorità, del multiculturalismo, della disintegrazione sociale, del libertinismo sessuale e del crimine. Tutti questi fenomeni che considerare come anomalie e deviazioni dall'ordine naturale, o quello che potremmo chiamare normalità.
Tuttavia, la maggior parte dei conservatori contemporanei (almeno la maggior parte dei portavoce dell'establishment conservatore) o non riconoscono che il loro obiettivo di ristabilire la normalità richiede i più drastici, persino rivoluzionari, cambiamenti sociali antistatalisti, o (se lo sanno) sono impegnati a tradire l'agenda culturale conservatrice dall'interno per promuovere un'agenda completamente diversa.
Che questo sia in gran parte vero per i cosiddetti neoconservatori non necessita qui di ulteriore spiegazione. Effettivamente, per quanto riguarda i loro capi, si può sospettare che la maggior parte di essi siano del secondo tipo. Non sono realmente interessati dagli argomenti culturali ma riconoscono che devono giocare la carta del tradizionalismo culturale per non perdere il potere e promuovere il loro obiettivo totalmente differente della democrazia sociale globale. [1] Il carattere fondamentalmente statalista del neoconservatorismo americano è riassunto al meglio da una dichiarazione di uno dei suoi campioni intellettuali di punta, Irving Kristol:
Un secondo ramo, un po' più vecchio ma al giorno d'oggi quasi indistinguibile del conservatorismo americano contemporaneo è rappresentato dal nuovo (post-Seconda Guerra Mondiale) conservatorismo lanciato e promosso, con l'assistenza della CIA, da William Buckley ed il suo National Review. Laddove il vecchio (pre-Seconda Guerra Mondiale) conservatorismo americano era stato caratterizzato decisamente da posizioni in politica estera decisamente anti-interventiste, i marchi del nuovo conservatorismo di Buckley sono stati il suo rabbioso militarismo e la politica estera interventista.
In un articolo, “L'opinione di un giovane repubblicano,” pubblicato su Commonweal il 25 gennaio 1952, tre anni prima del lancio del suo National Review, Buckley ha così riassunto quello che si sarebbe trasformato nel nuovo credo conservatore: alla luce della minaccia posta dall'Unione Sovietica, “noi [i nuovi conservatori] dobbiamo accettare il Grande Governo finché dura questa minaccia – perché né una guerra offensiva né una difensiva può essere intrapresa se non tramite lo strumento di una burocrazia totalitaria all'interno delle nostre coste.”
I conservatori, scriveva Buckley, avevano il dovere morale di promuovere “le vaste e produttive leggi fiscali necessarie a sostenere una vigorosa politica estera anticomunista,” così come “le grandi armate e forze aeronautiche, l'energia atomica, lo spionaggio, i comitati di produzione di guerra e la relativa centralizzazione del potere a Washington.”
Com'era logico aspettarsi, dopo il crollo dell'Unione Sovietica verso la fine degli anni 80, essenzialmente niente di questa filosofia è cambiato. Oggi, la continuazione e la conservazione dello stato sociale e bellico americano è semplicemente giustificata e promossa dai nuovi e dai neo-conservatori in egual misura riferendosi ad altri nemici e pericoli stranieri: la Cina, il fondamentalismo islamico, Saddam Hussein, gli “stati canaglia,” e la minaccia del “terrorismo globale.”
Tuttavia, è anche vero che molti conservatori sono genuinamente preoccupati dalla disintegrazione o disfunzione della famiglia e dal declino culturale. Sto pensando qui in particolare al conservatorismo rappresentato da Patrick Buchanan e dal suo movimento. Il conservatorismo di Buchanan non è affatto così diverso da quello dell'establishment del Partito Repubblicano come a lui ed ai suoi seguaci piace immaginare. In un aspetto decisivo la loro marca di conservatorismo è in completo accordo con quello dell'establishment conservatore: entrambi sono statalisti. Differiscono su cosa esattamente è necessario fare per ristabilire la normalità negli Stati Uniti, ma concordano che deve essere fatto dallo stato. Non c'è traccia di antistatalismo di principio né nell'uno né nell'altro.
Ve lo illustro citando Samuel Francis, che era uno dei principali teorici e strateghi del movimento buchananita. Dopo aver deplorato la propaganda “anti-bianca” e “anti-occidentale,” il “laicismo militante, l'avido egoismo, il globalismo economico e politico, l'inondazione demografica ed il centralismo incontrollato dello stato,” parla di un nuovo spirito “prima l'America,” che “implica non solo il mettere gli interessi nazionali sopra quelli delle altre nazioni e di astrazioni come la ‘guida del mondo,’ ‘l'armonia globale,’ ed il ‘Nuovo Ordine Mondiale,’ ma anche il dare priorità alla nazione rispetto alla soddisfazione di interessi diversi e sub-nazionali.”
Come propone di risolvere il problema della degenerazione morale e del declino culturale? Non c'è il riconoscimento che l'ordine naturale nell'educazione significa che lo stato non abbia niente a che fare con essa. L'educazione è totalmente una questione di famiglia e dev'essere prodotta e distribuita da accordi cooperativi nel quadro dell'economia di mercato.
Inoltre, non c'è il riconoscimento che la degenerazione morale ed il declino culturale hanno cause più profonde e non possono essere curati semplicemente da cambiamenti nel programma di studio imposto dallo stato o da esortazioni e declamazioni. Al contrario, Francis propone che la rivoluzione culturale – il ripristino della normalità – possa essere realizzata senza un cambiamento fondamentale nella struttura degli stati sociali moderni. Effettivamente, Buchanan ed i suoi ideologhi difendono esplicitamente le tre istituzioni centrali dello stato sociale: la previdenza sociale, l'assistenza sanitaria statale e i sussidi di disoccupazione. Addirittura vogliono ampliare le responsabilità “sociali” dello stato assegnandogli il compito di “proteggere,” con restrizioni delle importazioni e delle esportazioni nazionali, i posti di lavoro americani, particolarmente nelle industrie di interesse nazionale, e di “isolare gli stipendi degli operai degli Stati Uniti dai lavoratori stranieri che devono lavorare per 1 dollaro l'ora o anche meno.”
In effetti, i buchananiti ammettono liberamente di essere statalisti. Detestano e ridicolizzano il capitalismo, il “laissez faire,” i mercati ed il commercio liberi, la ricchezza, l'élite e la nobiltà; e sostengono un nuovo conservatorismo populista – effettivamente proletario – che amalgama il conservatorismo sociale e culturale e l'economia socialista. Quindi, continua Francis,
(Per quanto riguarda la maggior parte dei capi della cosiddetta Destra Cristiana e della “maggioranza morale,” vogliono semplicemente rimpiazzare l'attuale élite liberale e di sinistra incaricata dell'educazione nazionale con un'altra, ovvero, loro stessi. “Da Burke in poi,” Robert Nisbet ha criticato questa posizione, “è stato un precetto conservatore e un principio sociologico fin da Auguste Comte che il modo più sicuro di indebolire la famiglia, o qualsiasi altro gruppo sociale vitale, è che il governo assuma, e quindi monopolizzi, le funzioni storiche della famiglia.” In contrasto, gran parte della destra americana contemporanea “è meno interessata dalle immunità burkeane dal potere del governo di quanto lo sia nel mettere il massimo di potere governativo nelle mani di coloro di cui ci si può fidare. È il controllo del potere, non la diminuzione del potere, ad occupare i primi posti.”)
Non approfondirò qui la questione se il conservatorismo di Buchanan attragga le masse e se la sua diagnosi della politica americana sia sociologicamente corretta. Dubito che questo sia il caso e certamente il destino di Buchanan nelle primarie presidenziali repubblicane del 1995 e del 2000 non indica altrimenti. Piuttosto, voglio rivolgermi alle questioni fondamentali: supponendo che eserciti tale attrazione; ovvero supponendo che il conservatorismo culturale e l'economia socialista possano essere psicologicamente combinati (cioè che una persona possa avere simultaneamente entrambe queste opinioni senza dissonanza cognitiva), possono anche essere efficacemente e praticamente (economicamente e prasseologicamente) unite? È possibile mantenere il livello attuale di socialismo economico (previdenza sociale, ecc.) e raggiungere l'obiettivo di ristabilire la normalità culturale (famiglie naturali e normali regole di comportamento)?
Buchanan ed i suoi teorici non avvertono l'esigenza di sollevare questo problema, perché credono che le politiche siano solamente una questione di volontà e potere. Non credono in cose come le leggi economiche. Se delle persone vogliono qualcosa abbastanza, e viene dato loro il potere di realizzare la loro volontà, tutto può essere realizzato. “L'economista austriaco morto” Ludwig von Mises, al quale Buchanan ha fatto riferimento sprezzante durante le sue campagne presidenziali, caratterizzò questa convinzione come “storicismo,” la posizione intellettuale del Kathedersozialisten tedesco, gli accademici Socialisti della Poltrona, che giustificavano ogni e qualsiasi misura statalista.
Ma il disprezzo e l'ignoranza dell'economia degli storicisti non altera il fatto che le inesorabili leggi economiche esistano. Non potete tenere la vostra torta ed allo stesso tempo mangiarla, per esempio. O ciò che consumate ora non potrà più essere consumato in futuro. O produrre più di un bene richiede di produrre meno di un altro. Nessun pio desiderio può far scomparire tali leggi. Credere diversamente può provocare soltanto il fallimento pratico. “In realtà,” notava Mises, “la storia economica è una lunga lista di politiche di governo che hanno fallito perché progettate con grande incuranza delle leggi dell'economia.” [3]
Alla luce delle elementari e immutabili leggi economiche, il programma buchananita di social-nazionalismo è solo un altro sogno tanto audace quanto impossibile. Nessun pio desiderio può alterare il fatto che mantenere le istituzioni centrali dell'attuale stato sociale e voler ritornare alla famiglia, le norme, il comportamento e la cultura tradizionali sono obiettivi incompatibili. Potete ottenerne uno – il socialismo (welfare) – o l'altro – la morale tradizionale – ma non potete avere entrambi, perché l'economia social-nazionalista, colonna dell'attuale sistema di stato sociale che Buchanan vuole lasciare intatto, è la vera causa delle anomalie culturali e sociali.
Per chiarire questo, è necessario soltanto ricordare una delle leggi più fondamentali dell'economia che dice che ogni ridistribuzione obbligatoria di reddito o di patrimonio, a prescindere dai criteri su cui è basata, comporta il prendere da qualcuno – gli aventi qualcosa – e darla ad altri – i non-aventi di qualcosa. Di conseguenza, l'incentivo ad essere un avente è ridotto e quello ad essere un non-avente è aumentato. Ciò che l'avente ha è tipicamente un qualcosa considerato “bene,” e ciò che il non-avente non ha è qualcosa di “male” o una deficienza. Effettivamente, questa è l'idea stessa alla base di ogni ridistribuzione: alcuni hanno troppa roba buona ed altri non abbastanza. Il risultato di ogni ridistribuzione è che ciascuno quindi produrrà meno bene e sempre più male, meno perfezione e più deficienza. Sovvenzionando con i fondi di imposta (con i fondi presi da altri) la gente che è povera, sarà generata maggiore povertà (male). Sovvenzionando la gente perché disoccupata, sarà generata maggiore disoccupazione (male). Sovvenzionando le madri singole, ci saranno più madri singole e più nascite illegittime (male), ecc.
Ovviamente, questa comprensione di base si applica all'intero sistema della cosiddetta previdenza sociale che è stata applicata nell'Europa occidentale (a partire dagli anni 80 in avanti) e negli Stati Uniti (dagli anni 30): dell'“assicurazione” governativa obbligatoria contro la vecchiaia, la malattia, l'infortunio professionale, la disoccupazione, l'indigenza, ecc. Insieme con l'ancora più vecchio sistema della pubblica istruzione obbligatoria, queste istituzioni e pratiche equivalgono ad un massiccio attacco all'istituzione della famiglia e della responsabilità personale.
Sollevando gli individui dall'obbligo di provvedere ai propri reddito, salute, sicurezza, vecchiaia ed all'educazione dei bambini, il raggio e l'orizzonte temporale dell'approvvigionamento privato sono ridotti, ed il valore del matrimonio, della famiglia, dei bambini e dei rapporti di parentela è abbassato. Irresponsabilità, miopia, negligenza, malattia e perfino distruttivismo (mali) sono promossi, mentre responsabilità, previdenza, diligenza, salute e tradizionalismo (beni) sono puniti.
Il sistema obbligatorio di assicurazione per la vecchiaia in particolare, con cui i pensionati (i vecchi) sono sovvenzionati dalle tasse imposte ai guadagnatori di reddito correnti (i giovani), ha indebolito sistematicamente il legame naturale generazionale fra i genitori, i nonni ed i bambini. I vecchi non hanno più bisogno di contare sull'assistenza dei propri figli se non hanno provvisto alla propria vecchiaia; ed i giovani (con tipicamente meno ricchezza accumulata) devono sostenere i vecchi (con tipicamente più ricchezza accumulata) piuttosto che il contrario, come è tipico all'interno delle famiglie.
Di conseguenza, non solo la gente vuole avere pochi figli – ed in effetti, gli indici di natalità sono caduti alla metà dall'inizio delle moderne politiche di previdenza sociale (welfare) – ma anche il rispetto che i giovani accordavano tradizionalmente ai loro anziani è diminuito, e tutti gli indicatori della disintegrazione e del malfunzionamento della famiglia, quali i tassi di divorzio, illegittimità, pedofilia, abuso del genitore, abuso dello sposo, genitori singoli, solitudine, stili di vita alternativi ed aborto, sono aumentati.
Inoltre, con la socializzazione del sistema sanitario attraverso istituzioni come Medicaid e Medicare e la regolazione dell'industria assicurativa (limitando il diritto dell'assicuratore al rifiuto: per escludere qualsiasi rischio specifico come non assicurabile e per discriminare liberamente, secondo i metodi attuariali, fra differenti gruppi di rischio) un mostruoso macchinario di ridistribuzione della ricchezza e del reddito a scapito degli individui responsabili e dei gruppi a basso rischio ed in favore degli attori irresponsabili e dei gruppi ad alto rischio è stato messo in moto. Le sovvenzioni per i malati e gli handicappati allevano la malattia e la disabilità ed indeboliscono il desiderio di lavorare per vivere e di condurre una vita sana. Non si può far altro che citare l'“economista austriaco morto” Ludwig von Mises una volta di più:
Tuttavia una tale società a piena-occupazione non sarebbe prospera e forte; sarebbe composta da persone (famiglie) che, nonostante il lavoro dall'alba al crepuscolo, sarebbero condannate alla povertà e alla fame. Il protezionismo internazionale di Buchanan, anche se meno distruttivo di una politica di protezionismo interpersonale o interregionale, provocherebbe precisamente lo stesso effetto. Questo non è conservatorismo (i conservatori vogliono che le famiglie siano prospere e forti). Questo è distruttivismo economico.
Comunque, quello che dovrebbe essere ormai chiaro è che la maggior parte della degenerazione morale e del declino culturale, se non la loro totalità – i segni della de-civilizzazione – tutto intorno a noi è il risultato inevitabile dello stato sociale e delle sue istituzioni centrali. I conservatori classici e della vecchia scuola lo sapevano e si opposero vigorosamente alla pubblica istruzione ed alla previdenza sociale. Sapevano che gli stati, ovunque, erano intenti a dividere ed infine distruggere le famiglie e le istituzioni, gli strati e le gerarchie dell'autorità che sono il prodotto naturale delle comunità basate sulla famiglia per aumentare e rinforzare il proprio potere. Sapevano che per far ciò gli stati avrebbero dovuto approfittare della ribellione naturale dell'adolescente (giovane) contro l'autorità genitoriale. E sapevano che l'educazione e la responsabilità socializzate erano i mezzi per raggiungere questo obiettivo.
L'educazione e la previdenza sociali forniscono alla gioventù ribelle una via di fuga dall'autorità genitoriale (per potersi dare al continuo cattivo comportamento). I vecchi conservatori sapevano che queste politiche avrebbero emancipato l'individuo dalla disciplina imposta all'interno della comunità e della famiglia soltanto per porlo invece al controllo diretto ed immediato dello stato.
Ancora, essi sapevano, o almeno intuivano, che questo avrebbe condotto ad un infantilizzazione sistematica della società: una regressione, emozionalmente e mentalmente, dall'età adulta all'adolescenza o all'infanzia.
Al contrario, il conservatorismo – social-nazionalismo – populista-proletario di Buchanan mostra una completa ignoranza di tutto ciò. Combinare il conservatorismo culturale e lo statalismo sociale è impossibile e, quindi, un assurdo economico. Lo statalismo sociale – la sicurezza sociale in ogni sua forma, senso o genere – alleva il declino e la degenerazione morali e culturali. Di conseguenza, se si è effettivamente preoccupati per il deperimento morale dell'America e si vuole ristabilire la normalità nella società e nella cultura, ci si deve opporre a tutti gli aspetti del moderno stato sociale. Un ritorno alla normalità richiede niente di meno che l'eliminazione completa del sistema dell'attuale sicurezza sociale: dell'assicurazione contro la disoccupazione, della previdenza sociale, dell'assistenza sanitaria statale, della pubblica istruzione, ecc. – e quindi i quasi totali dissoluzione e smantellamento dell'attuale apparato statale e del potere di governo. Se si volesse davvero ristabilire la normalità, i fondi ed il potere del governo devono tornare, o persino scendere sotto, ai loro livelli del diciannovesimo secolo. Quindi, i conservatori allineare devono essere fautori del libero arbitrio di linea dura (antistatists). Il conservatorismo alla Buchanan è falso: vuole un ritorno alla moralità tradizionale ma allo stesso tempo sostiene il mantenimento delle stesse istituzioni responsabili della distruzione delle morali tradizionali.
La maggior parte dei conservatori contemporanei, allora, particolarmente fra le fila dei media, non sono conservatori ma socialisti – vuoi della specie internazionalista (gli statalisti nuovi e neo-conservatori del welfare-warfare, ed i globalisti democratici sociali), vuoi della varietà nazionalista (i populisti Buchananiti). I conservatori genuini devono opporrsi ad entrambi. Per ristabilire le norme sociali e culturali, i veri conservatori possono soltanto essere libertari radicali e devono chiedere la demolizione – come distorsione morale ed economica – dell'intera struttura dello stato interventista.
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Note
[1] sul conservatorismo americano contemporaneo vedi in particolare Paul Gottfried, The Conservative Movement, rev. ed. (New York: Twayne Publishers, 1993); George H. Nash, The Conservative Intellectual Movement in America (New York: Basic Books, 1976) Justin Raimondo, Reclaiming the American Right: The Lost Legacy of the Conservative Movement (Burlingame, Calif.: Center for Libertarian Studies, 1993);
[2] Samuel T. Francis, "From Household to Nation: The Middle American populism of Pat Buchanan," Chronicles (March 1996): 12-16; vedi inoltre idem, Beautiful Losers:Essays on the Failure of American Conservatism (Columbia: University of Missouri Press, 1993); idem, Revolution from the Middle (Raleigh, N.C.: Middle American Press, 1997).
[3] Ludwig von Mises, Azione umana. “I principi e le maggioranze democratiche,” scrive Mises, “sono ubriachi di potere. Devono ammettere riluttanti di essere soggetti alle leggi della natura. Ma rifiutano la nozione stessa di legge economica. Non sono forse i legislatori supremi? Non hanno il potere di schiacciare ogni avversario? Nessun signore della guerra vuole riconoscere alcun limite tranne quelli a lui imposti con una forza armata superiore. Gli scribi servili sono sempre pronti a promuovere tale compiacenza esponendo le dottrine appropriate. Chiamano le loro disturbate presunzioni ‘economia storica.’”
[4] Ludwig von Mises, Socialism: An Economic and Sociological Analysis (Indianapolis, md.: Liberty Fund, 1981), pp. 43 1-32.
Tuttavia Hoppe, nella trascrizione di questo discorso tenuto nel 1996 e tratto dal suo libro Democrazia, il dio che ha fallito, ci spiega perché non è questo il caso. Come non si può servire Dio e Mammona, così non si può esser servi del Leviatano senza distruggere i valori tradizionali e la libertà dell'individuo.
(Dedicato a tutti i blondettiani.)
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L'incoerenza intellettuale del conservatorismo
Di Hans-Hermann Hoppe
Il conservatorismo moderno, negli Stati Uniti e in Europa, è confuso e distorto. Sotto l'influenza della democrazia rappresentativa e con la trasformazione di Stati Uniti ed Europa in democrazie totali dalla Prima Guerra Mondiale, il conservatorismo è stato trasformato da una forza ideologica anti-egalitaria, aristocratica, anti-statalista in un movimento di statalisti culturalmente conservatori: la destra dei socialisti e dei democratici sociali.
La maggior parte dei sedicenti conservatori contemporanei sono preoccupati, come dovrebbero essere, del deperimento della famiglia, del divorzio, dell'illegittimità, della perdita di autorità, del multiculturalismo, della disintegrazione sociale, del libertinismo sessuale e del crimine. Tutti questi fenomeni che considerare come anomalie e deviazioni dall'ordine naturale, o quello che potremmo chiamare normalità.
Tuttavia, la maggior parte dei conservatori contemporanei (almeno la maggior parte dei portavoce dell'establishment conservatore) o non riconoscono che il loro obiettivo di ristabilire la normalità richiede i più drastici, persino rivoluzionari, cambiamenti sociali antistatalisti, o (se lo sanno) sono impegnati a tradire l'agenda culturale conservatrice dall'interno per promuovere un'agenda completamente diversa.
Che questo sia in gran parte vero per i cosiddetti neoconservatori non necessita qui di ulteriore spiegazione. Effettivamente, per quanto riguarda i loro capi, si può sospettare che la maggior parte di essi siano del secondo tipo. Non sono realmente interessati dagli argomenti culturali ma riconoscono che devono giocare la carta del tradizionalismo culturale per non perdere il potere e promuovere il loro obiettivo totalmente differente della democrazia sociale globale. [1] Il carattere fondamentalmente statalista del neoconservatorismo americano è riassunto al meglio da una dichiarazione di uno dei suoi campioni intellettuali di punta, Irving Kristol:
“[I]l principio alla base di un welfare conservatore dev'essere semplice: ove possibile, alla gente dovrebbe essere permesso di tenere i propri soldi – piuttosto che trasferirli (per mezzo delle tasse allo stato) – a condizione che li utilizzino in un certo modo definito.” [Two Cheers for Capitalism, New York: Basic Books, 1978, p. 119].Questa opinione è essenzialmente identica a quella tenuta dai moderni social-democratici europei post-marxisti. Il Partito Social-Democratico tedesco (SPD), per esempio, nel suo programma Godesberg del 1959, adottò come suo motto centrale lo slogan “tanto mercato quanto possibile, tanto stato quanto necessario.”
Un secondo ramo, un po' più vecchio ma al giorno d'oggi quasi indistinguibile del conservatorismo americano contemporaneo è rappresentato dal nuovo (post-Seconda Guerra Mondiale) conservatorismo lanciato e promosso, con l'assistenza della CIA, da William Buckley ed il suo National Review. Laddove il vecchio (pre-Seconda Guerra Mondiale) conservatorismo americano era stato caratterizzato decisamente da posizioni in politica estera decisamente anti-interventiste, i marchi del nuovo conservatorismo di Buckley sono stati il suo rabbioso militarismo e la politica estera interventista.
In un articolo, “L'opinione di un giovane repubblicano,” pubblicato su Commonweal il 25 gennaio 1952, tre anni prima del lancio del suo National Review, Buckley ha così riassunto quello che si sarebbe trasformato nel nuovo credo conservatore: alla luce della minaccia posta dall'Unione Sovietica, “noi [i nuovi conservatori] dobbiamo accettare il Grande Governo finché dura questa minaccia – perché né una guerra offensiva né una difensiva può essere intrapresa se non tramite lo strumento di una burocrazia totalitaria all'interno delle nostre coste.”
I conservatori, scriveva Buckley, avevano il dovere morale di promuovere “le vaste e produttive leggi fiscali necessarie a sostenere una vigorosa politica estera anticomunista,” così come “le grandi armate e forze aeronautiche, l'energia atomica, lo spionaggio, i comitati di produzione di guerra e la relativa centralizzazione del potere a Washington.”
Com'era logico aspettarsi, dopo il crollo dell'Unione Sovietica verso la fine degli anni 80, essenzialmente niente di questa filosofia è cambiato. Oggi, la continuazione e la conservazione dello stato sociale e bellico americano è semplicemente giustificata e promossa dai nuovi e dai neo-conservatori in egual misura riferendosi ad altri nemici e pericoli stranieri: la Cina, il fondamentalismo islamico, Saddam Hussein, gli “stati canaglia,” e la minaccia del “terrorismo globale.”
Tuttavia, è anche vero che molti conservatori sono genuinamente preoccupati dalla disintegrazione o disfunzione della famiglia e dal declino culturale. Sto pensando qui in particolare al conservatorismo rappresentato da Patrick Buchanan e dal suo movimento. Il conservatorismo di Buchanan non è affatto così diverso da quello dell'establishment del Partito Repubblicano come a lui ed ai suoi seguaci piace immaginare. In un aspetto decisivo la loro marca di conservatorismo è in completo accordo con quello dell'establishment conservatore: entrambi sono statalisti. Differiscono su cosa esattamente è necessario fare per ristabilire la normalità negli Stati Uniti, ma concordano che deve essere fatto dallo stato. Non c'è traccia di antistatalismo di principio né nell'uno né nell'altro.
Ve lo illustro citando Samuel Francis, che era uno dei principali teorici e strateghi del movimento buchananita. Dopo aver deplorato la propaganda “anti-bianca” e “anti-occidentale,” il “laicismo militante, l'avido egoismo, il globalismo economico e politico, l'inondazione demografica ed il centralismo incontrollato dello stato,” parla di un nuovo spirito “prima l'America,” che “implica non solo il mettere gli interessi nazionali sopra quelli delle altre nazioni e di astrazioni come la ‘guida del mondo,’ ‘l'armonia globale,’ ed il ‘Nuovo Ordine Mondiale,’ ma anche il dare priorità alla nazione rispetto alla soddisfazione di interessi diversi e sub-nazionali.”
Come propone di risolvere il problema della degenerazione morale e del declino culturale? Non c'è il riconoscimento che l'ordine naturale nell'educazione significa che lo stato non abbia niente a che fare con essa. L'educazione è totalmente una questione di famiglia e dev'essere prodotta e distribuita da accordi cooperativi nel quadro dell'economia di mercato.
Inoltre, non c'è il riconoscimento che la degenerazione morale ed il declino culturale hanno cause più profonde e non possono essere curati semplicemente da cambiamenti nel programma di studio imposto dallo stato o da esortazioni e declamazioni. Al contrario, Francis propone che la rivoluzione culturale – il ripristino della normalità – possa essere realizzata senza un cambiamento fondamentale nella struttura degli stati sociali moderni. Effettivamente, Buchanan ed i suoi ideologhi difendono esplicitamente le tre istituzioni centrali dello stato sociale: la previdenza sociale, l'assistenza sanitaria statale e i sussidi di disoccupazione. Addirittura vogliono ampliare le responsabilità “sociali” dello stato assegnandogli il compito di “proteggere,” con restrizioni delle importazioni e delle esportazioni nazionali, i posti di lavoro americani, particolarmente nelle industrie di interesse nazionale, e di “isolare gli stipendi degli operai degli Stati Uniti dai lavoratori stranieri che devono lavorare per 1 dollaro l'ora o anche meno.”
In effetti, i buchananiti ammettono liberamente di essere statalisti. Detestano e ridicolizzano il capitalismo, il “laissez faire,” i mercati ed il commercio liberi, la ricchezza, l'élite e la nobiltà; e sostengono un nuovo conservatorismo populista – effettivamente proletario – che amalgama il conservatorismo sociale e culturale e l'economia socialista. Quindi, continua Francis,
mentre la sinistra poteva conquistare l'Americano Medio con le sue misure economiche, lo ha perso con il suo radicalismo sociale e culturale, e mentre la destra poteva attirare l'Americano Medio con gli appelli alla legge e all'ordine e la difesa della normalità sessuale, della morale e religione convenzionale, delle istituzioni sociali tradizionali e con le invocazioni al nazionalismo ed al patriottismo, lo ha perso quando ha riproposto le sue vecchie formule economiche borghesi.Ne consegue che sia necessario unire le politiche economiche della sinistra con il nazionalismo ed il conservatorismo culturale e della destra, per creare “una nuova identità che sintetizza sia gli interessi economici che le lealtà nazional-culturali della classe media proletarizzata in un movimento politico separato ed unificato.” [2] Per ovvi motivi questa dottrina non viene chiamata così, ma c'è un termine per questo tipo di conservatorismo: si chiama o social-nazionalismo o nazional-socialismo.
(Per quanto riguarda la maggior parte dei capi della cosiddetta Destra Cristiana e della “maggioranza morale,” vogliono semplicemente rimpiazzare l'attuale élite liberale e di sinistra incaricata dell'educazione nazionale con un'altra, ovvero, loro stessi. “Da Burke in poi,” Robert Nisbet ha criticato questa posizione, “è stato un precetto conservatore e un principio sociologico fin da Auguste Comte che il modo più sicuro di indebolire la famiglia, o qualsiasi altro gruppo sociale vitale, è che il governo assuma, e quindi monopolizzi, le funzioni storiche della famiglia.” In contrasto, gran parte della destra americana contemporanea “è meno interessata dalle immunità burkeane dal potere del governo di quanto lo sia nel mettere il massimo di potere governativo nelle mani di coloro di cui ci si può fidare. È il controllo del potere, non la diminuzione del potere, ad occupare i primi posti.”)
Non approfondirò qui la questione se il conservatorismo di Buchanan attragga le masse e se la sua diagnosi della politica americana sia sociologicamente corretta. Dubito che questo sia il caso e certamente il destino di Buchanan nelle primarie presidenziali repubblicane del 1995 e del 2000 non indica altrimenti. Piuttosto, voglio rivolgermi alle questioni fondamentali: supponendo che eserciti tale attrazione; ovvero supponendo che il conservatorismo culturale e l'economia socialista possano essere psicologicamente combinati (cioè che una persona possa avere simultaneamente entrambe queste opinioni senza dissonanza cognitiva), possono anche essere efficacemente e praticamente (economicamente e prasseologicamente) unite? È possibile mantenere il livello attuale di socialismo economico (previdenza sociale, ecc.) e raggiungere l'obiettivo di ristabilire la normalità culturale (famiglie naturali e normali regole di comportamento)?
Buchanan ed i suoi teorici non avvertono l'esigenza di sollevare questo problema, perché credono che le politiche siano solamente una questione di volontà e potere. Non credono in cose come le leggi economiche. Se delle persone vogliono qualcosa abbastanza, e viene dato loro il potere di realizzare la loro volontà, tutto può essere realizzato. “L'economista austriaco morto” Ludwig von Mises, al quale Buchanan ha fatto riferimento sprezzante durante le sue campagne presidenziali, caratterizzò questa convinzione come “storicismo,” la posizione intellettuale del Kathedersozialisten tedesco, gli accademici Socialisti della Poltrona, che giustificavano ogni e qualsiasi misura statalista.
Ma il disprezzo e l'ignoranza dell'economia degli storicisti non altera il fatto che le inesorabili leggi economiche esistano. Non potete tenere la vostra torta ed allo stesso tempo mangiarla, per esempio. O ciò che consumate ora non potrà più essere consumato in futuro. O produrre più di un bene richiede di produrre meno di un altro. Nessun pio desiderio può far scomparire tali leggi. Credere diversamente può provocare soltanto il fallimento pratico. “In realtà,” notava Mises, “la storia economica è una lunga lista di politiche di governo che hanno fallito perché progettate con grande incuranza delle leggi dell'economia.” [3]
Alla luce delle elementari e immutabili leggi economiche, il programma buchananita di social-nazionalismo è solo un altro sogno tanto audace quanto impossibile. Nessun pio desiderio può alterare il fatto che mantenere le istituzioni centrali dell'attuale stato sociale e voler ritornare alla famiglia, le norme, il comportamento e la cultura tradizionali sono obiettivi incompatibili. Potete ottenerne uno – il socialismo (welfare) – o l'altro – la morale tradizionale – ma non potete avere entrambi, perché l'economia social-nazionalista, colonna dell'attuale sistema di stato sociale che Buchanan vuole lasciare intatto, è la vera causa delle anomalie culturali e sociali.
Per chiarire questo, è necessario soltanto ricordare una delle leggi più fondamentali dell'economia che dice che ogni ridistribuzione obbligatoria di reddito o di patrimonio, a prescindere dai criteri su cui è basata, comporta il prendere da qualcuno – gli aventi qualcosa – e darla ad altri – i non-aventi di qualcosa. Di conseguenza, l'incentivo ad essere un avente è ridotto e quello ad essere un non-avente è aumentato. Ciò che l'avente ha è tipicamente un qualcosa considerato “bene,” e ciò che il non-avente non ha è qualcosa di “male” o una deficienza. Effettivamente, questa è l'idea stessa alla base di ogni ridistribuzione: alcuni hanno troppa roba buona ed altri non abbastanza. Il risultato di ogni ridistribuzione è che ciascuno quindi produrrà meno bene e sempre più male, meno perfezione e più deficienza. Sovvenzionando con i fondi di imposta (con i fondi presi da altri) la gente che è povera, sarà generata maggiore povertà (male). Sovvenzionando la gente perché disoccupata, sarà generata maggiore disoccupazione (male). Sovvenzionando le madri singole, ci saranno più madri singole e più nascite illegittime (male), ecc.
Ovviamente, questa comprensione di base si applica all'intero sistema della cosiddetta previdenza sociale che è stata applicata nell'Europa occidentale (a partire dagli anni 80 in avanti) e negli Stati Uniti (dagli anni 30): dell'“assicurazione” governativa obbligatoria contro la vecchiaia, la malattia, l'infortunio professionale, la disoccupazione, l'indigenza, ecc. Insieme con l'ancora più vecchio sistema della pubblica istruzione obbligatoria, queste istituzioni e pratiche equivalgono ad un massiccio attacco all'istituzione della famiglia e della responsabilità personale.
Sollevando gli individui dall'obbligo di provvedere ai propri reddito, salute, sicurezza, vecchiaia ed all'educazione dei bambini, il raggio e l'orizzonte temporale dell'approvvigionamento privato sono ridotti, ed il valore del matrimonio, della famiglia, dei bambini e dei rapporti di parentela è abbassato. Irresponsabilità, miopia, negligenza, malattia e perfino distruttivismo (mali) sono promossi, mentre responsabilità, previdenza, diligenza, salute e tradizionalismo (beni) sono puniti.
Il sistema obbligatorio di assicurazione per la vecchiaia in particolare, con cui i pensionati (i vecchi) sono sovvenzionati dalle tasse imposte ai guadagnatori di reddito correnti (i giovani), ha indebolito sistematicamente il legame naturale generazionale fra i genitori, i nonni ed i bambini. I vecchi non hanno più bisogno di contare sull'assistenza dei propri figli se non hanno provvisto alla propria vecchiaia; ed i giovani (con tipicamente meno ricchezza accumulata) devono sostenere i vecchi (con tipicamente più ricchezza accumulata) piuttosto che il contrario, come è tipico all'interno delle famiglie.
Di conseguenza, non solo la gente vuole avere pochi figli – ed in effetti, gli indici di natalità sono caduti alla metà dall'inizio delle moderne politiche di previdenza sociale (welfare) – ma anche il rispetto che i giovani accordavano tradizionalmente ai loro anziani è diminuito, e tutti gli indicatori della disintegrazione e del malfunzionamento della famiglia, quali i tassi di divorzio, illegittimità, pedofilia, abuso del genitore, abuso dello sposo, genitori singoli, solitudine, stili di vita alternativi ed aborto, sono aumentati.
Inoltre, con la socializzazione del sistema sanitario attraverso istituzioni come Medicaid e Medicare e la regolazione dell'industria assicurativa (limitando il diritto dell'assicuratore al rifiuto: per escludere qualsiasi rischio specifico come non assicurabile e per discriminare liberamente, secondo i metodi attuariali, fra differenti gruppi di rischio) un mostruoso macchinario di ridistribuzione della ricchezza e del reddito a scapito degli individui responsabili e dei gruppi a basso rischio ed in favore degli attori irresponsabili e dei gruppi ad alto rischio è stato messo in moto. Le sovvenzioni per i malati e gli handicappati allevano la malattia e la disabilità ed indeboliscono il desiderio di lavorare per vivere e di condurre una vita sana. Non si può far altro che citare l'“economista austriaco morto” Ludwig von Mises una volta di più:
esser malato non è un fenomeno indipendente dalla volontà cosciente. ... L'efficienza dell'uomo non è soltanto un risultato della sua condizione fisica; dipende in gran parte dalla sua mente e dalla sua volontà. ... L'aspetto distruttivo dell'assicurazione contro gli incidenti e le malattie si trova soprattutto nel fatto che tali istituzioni promuovono gli incidenti e le malattie, ostacolano il recupero e molto spesso generano, o ad ogni modo intensificano ed allungano, i disordini funzionali che seguono la malattia o l'incidente. ... Perché sentirsi sano è del tutto diverso da esser sano in senso medico. ... Indebolendo o distruggendo completamente la volontà di stare bene e lavorare, l'assicurazione sociale genera le malattie e l'incapacità di lavorare; produce l'abitudine a lamentarsi – che è in sé una nevrosi – e nevrosi di altri tipi. Come istituzione sociale esso rende la gente ammalata corporalmente e mentalmente o almeno contribuisce a moltiplicare, allungare ed intensifichare la malattia. ... L'assicurazione sociale ha così reso le nevrosi degli assicurati una malattia pubblica pericolosa. Se tale istituzione verrà estesa e sviluppata le malattie si diffonderanno. Nessuna riforma può essere di qualche aiuto. Non possiamo indebolire o distruggere la volontà alla salute senza produrre malattie. [4]Non desidero spiegare qui l'assurdità economica dell'idea persino più nefasta delle politiche protezioniste (di protezione degli stipendi americani) di Buchanan e dei suoi teorici. Se avessero ragione, il loro argomento per la protezione economica consisterebbe in un atto d'accusa di tutto il commercio e ad una difesa della tesi che ogni famiglia sarebbe più ricca se non scambiasse mai nulla con nessun altro. Certamente, in questo caso nessuno potrebbe mai perdere il lavoro e la disoccupazione dovuta alla concorrenza “sleale” sarebbe ridotta a zero.
Tuttavia una tale società a piena-occupazione non sarebbe prospera e forte; sarebbe composta da persone (famiglie) che, nonostante il lavoro dall'alba al crepuscolo, sarebbero condannate alla povertà e alla fame. Il protezionismo internazionale di Buchanan, anche se meno distruttivo di una politica di protezionismo interpersonale o interregionale, provocherebbe precisamente lo stesso effetto. Questo non è conservatorismo (i conservatori vogliono che le famiglie siano prospere e forti). Questo è distruttivismo economico.
Comunque, quello che dovrebbe essere ormai chiaro è che la maggior parte della degenerazione morale e del declino culturale, se non la loro totalità – i segni della de-civilizzazione – tutto intorno a noi è il risultato inevitabile dello stato sociale e delle sue istituzioni centrali. I conservatori classici e della vecchia scuola lo sapevano e si opposero vigorosamente alla pubblica istruzione ed alla previdenza sociale. Sapevano che gli stati, ovunque, erano intenti a dividere ed infine distruggere le famiglie e le istituzioni, gli strati e le gerarchie dell'autorità che sono il prodotto naturale delle comunità basate sulla famiglia per aumentare e rinforzare il proprio potere. Sapevano che per far ciò gli stati avrebbero dovuto approfittare della ribellione naturale dell'adolescente (giovane) contro l'autorità genitoriale. E sapevano che l'educazione e la responsabilità socializzate erano i mezzi per raggiungere questo obiettivo.
L'educazione e la previdenza sociali forniscono alla gioventù ribelle una via di fuga dall'autorità genitoriale (per potersi dare al continuo cattivo comportamento). I vecchi conservatori sapevano che queste politiche avrebbero emancipato l'individuo dalla disciplina imposta all'interno della comunità e della famiglia soltanto per porlo invece al controllo diretto ed immediato dello stato.
Ancora, essi sapevano, o almeno intuivano, che questo avrebbe condotto ad un infantilizzazione sistematica della società: una regressione, emozionalmente e mentalmente, dall'età adulta all'adolescenza o all'infanzia.
Al contrario, il conservatorismo – social-nazionalismo – populista-proletario di Buchanan mostra una completa ignoranza di tutto ciò. Combinare il conservatorismo culturale e lo statalismo sociale è impossibile e, quindi, un assurdo economico. Lo statalismo sociale – la sicurezza sociale in ogni sua forma, senso o genere – alleva il declino e la degenerazione morali e culturali. Di conseguenza, se si è effettivamente preoccupati per il deperimento morale dell'America e si vuole ristabilire la normalità nella società e nella cultura, ci si deve opporre a tutti gli aspetti del moderno stato sociale. Un ritorno alla normalità richiede niente di meno che l'eliminazione completa del sistema dell'attuale sicurezza sociale: dell'assicurazione contro la disoccupazione, della previdenza sociale, dell'assistenza sanitaria statale, della pubblica istruzione, ecc. – e quindi i quasi totali dissoluzione e smantellamento dell'attuale apparato statale e del potere di governo. Se si volesse davvero ristabilire la normalità, i fondi ed il potere del governo devono tornare, o persino scendere sotto, ai loro livelli del diciannovesimo secolo. Quindi, i conservatori allineare devono essere fautori del libero arbitrio di linea dura (antistatists). Il conservatorismo alla Buchanan è falso: vuole un ritorno alla moralità tradizionale ma allo stesso tempo sostiene il mantenimento delle stesse istituzioni responsabili della distruzione delle morali tradizionali.
La maggior parte dei conservatori contemporanei, allora, particolarmente fra le fila dei media, non sono conservatori ma socialisti – vuoi della specie internazionalista (gli statalisti nuovi e neo-conservatori del welfare-warfare, ed i globalisti democratici sociali), vuoi della varietà nazionalista (i populisti Buchananiti). I conservatori genuini devono opporrsi ad entrambi. Per ristabilire le norme sociali e culturali, i veri conservatori possono soltanto essere libertari radicali e devono chiedere la demolizione – come distorsione morale ed economica – dell'intera struttura dello stato interventista.
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Note
[1] sul conservatorismo americano contemporaneo vedi in particolare Paul Gottfried, The Conservative Movement, rev. ed. (New York: Twayne Publishers, 1993); George H. Nash, The Conservative Intellectual Movement in America (New York: Basic Books, 1976) Justin Raimondo, Reclaiming the American Right: The Lost Legacy of the Conservative Movement (Burlingame, Calif.: Center for Libertarian Studies, 1993);
[2] Samuel T. Francis, "From Household to Nation: The Middle American populism of Pat Buchanan," Chronicles (March 1996): 12-16; vedi inoltre idem, Beautiful Losers:Essays on the Failure of American Conservatism (Columbia: University of Missouri Press, 1993); idem, Revolution from the Middle (Raleigh, N.C.: Middle American Press, 1997).
[3] Ludwig von Mises, Azione umana. “I principi e le maggioranze democratiche,” scrive Mises, “sono ubriachi di potere. Devono ammettere riluttanti di essere soggetti alle leggi della natura. Ma rifiutano la nozione stessa di legge economica. Non sono forse i legislatori supremi? Non hanno il potere di schiacciare ogni avversario? Nessun signore della guerra vuole riconoscere alcun limite tranne quelli a lui imposti con una forza armata superiore. Gli scribi servili sono sempre pronti a promuovere tale compiacenza esponendo le dottrine appropriate. Chiamano le loro disturbate presunzioni ‘economia storica.’”
[4] Ludwig von Mises, Socialism: An Economic and Sociological Analysis (Indianapolis, md.: Liberty Fund, 1981), pp. 43 1-32.
Caro Pax,
ReplyDeletestai mettendo a dura prova le mie già scarse cellule grigie. Ogni tuo post richiede un'accurata digestione, soprattutto quando ti manda un boccone di traverso (penso all'ottimo Vance).
Ma è il solito Hoppe, qui, ad avermi entusiasmato. Per quanto possa valere la mia opinione, devo considerare risolta ogni mia perplessità precedente. Se lo stato moderno, occhiuto ed asfissiante, non è lo Stato tradizionale (rappresentato in Italia, fino ad ieri, dai Borboni e caratterizzato da un'ingerenza minima nei confronti delle microcomunità locali), siamo d'accordissimo.
Mi ha fatto ricredere, inoltre, Carlo, col commento n° 11 ad un suo post, qui.
E soprattutto ho pensato ad uno dei più celebri passi del Tao-te-king (§ 60), che paragona il "governare un paese" al "friggere i pesciolini [che, meno li stuzzichi, li smucìni e li sfrocoléi, meglio è]".
Se ne hai voglia, qualche considerazione ulteriore è alla fine di un post dedicato, appunto, a questo Hoppe, qui.
questo video, realizzato nella promozione di una maggiore accettazione sociale dei bambini in Germania. Dato che la legalizzazione dell'aborto in questo paese, i bambini sono stati valutati meno. Dopo la campagna, il tasso di natalità è cresciuta. Credo che qualcosa di simile a quella in Europa. Anche in Italia.
ReplyDeletehttp://es.youtube.com/watch?v=3r35Tb5FZQo
Santiago Chiva (Granada, Spagna)