Saturday, April 12, 2008

Come smettere di preoccuparsi

Anche stavolta la capsula temporale del nostro inviato da Laputa rimane in garage, Giovanni Pesce preferisce infatti parlarci ancora un po' degli usi e costumi della sua isola felice, che a quanto pare ha scoperto il segreto per vivere sereni. Segreto che non è poi in effetti tale, ma che per noi sfortunati abitanti delle lande terrestri appare inarrivabile come una chimera!

Come scampare alla preoccupazione, infatti mentre facce poco raccomandabili ci ricordano da ogni angolo di strada che tra poco saranno – nuovamente – i nostri legittimi padroni? Spegnere la tv, la radio, staccare internet, non uscire più di casa e non rispondere alle telefonate potrebbe aiutare, ma a quel punto le conseguenze sulla propria salute mentale potrebbero anche essere peggiori. Ah, potessimo scoprire anche noi la strada per Laputa!...

Ma bando alla tristezza, vi lascio con il consueto augurio di buon fine settimana che spero le parole dell'esperto di cospirazioni del Gongoro contribuiscano a rendere più sereno che mai. A questo proposito vi ricordo: contro lo stress votare non aiuta. Anzi...
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Di Giovanni Pesce


Al centro di igiene mentale di Laputa si è tenuta una serie di conferenze organizzate per curare e prevenire un fastidioso vizio che ancora affligge la popolazione locale; l’obiettivo dei governanti è infatti concentrato sull’insegnamento pubblico dei metodi per smettere di preoccuparsi.

Conferenziere principale del corso è stato il pluridecorato gen. Turgidson, personaggio che avevamo già incontrato la settimana scorsa; a lui avevamo fatto riferimento discutendo il sottotitolo del “dr Strangelove, come ho imparato a smettere di preoccuparmi ed amare la bomba.”

Da quanto è emerso, nel corso delle conferenze, preoccuparsi non serve a nulla, anzi ha un effetto negativo sulle cose della vita; il risultato finale viene perseguito con altri sistemi e la mera preoccupazione fa perdere tempo, risorse e annebbia il cervello.

Solitamente la gente comune associa la preoccupazione con il raggiungimento del risultato ed è portata a pensare: “più mi preoccupo, meglio ottengo il risultato” generando un pasticcio clamoroso.
Per prendere una decisione operativa occorre avere la mente sgombra e il pensiero freddo ma non irrigidito dalla paura.

L’altro punto-chiave per smettere di preoccuparsi, oltre alla dimostrazione che il preoccuparsi non serve a nulla, è la rimozione della negazione della felicità.

Per negare la felicità, la società propone all’individuo un inserimento nel girone dei dannati economici: “duro lavoro - guadagno sudato - shopping compulsivo - senso di colpa” e molti si avventurano in quella spirale senza fine, creando dei modelli sociali.
Altro sentiero che conduce alla negazione della soddisfazione è una scarsa autovalutazione individuale; Dostoevskij e Churchill soffrivano molto di questa situazione.

Il preoccuparsi dovrebbe essere confinato ai minuti fisiologicamente necessari alle questioni tecniche, ritornarci sopra in tempi diversi predispone un ambiente favorevole alla formazione di stress psicologici.

A fine conferenza sono stati eseguiti dei saggi di ginnastica mentale per evidenziare i progressi raggiunti dal cervello nell’arte dell’abbandono del preoccuparsi ed i “figli di Laputa” si sono mostrati veri ginnasti.

Ormai i nostri concittadini sanno tenere separati, nella mente, i fatti veri e propri dai sentimenti ad essi collegati e sanno dare un valore appropriato ad ogni azione ed ad ogni pensiero.

Non è come da voi dove il mainstream angoscia il pubblico, giorno per giorno con notizie elaborate artificiosamente; qui lo stress è praticamente sconosciuto: lavoro, famiglia, vicini sono integrati in un sistema ad orologeria che concilia l’armonia del corpo con quella della mente.

Qui a Laputa il clima è buono, il vino ottimo e la felicità è a portata di mano: basta non negarsela da soli impegnandosi in imprese impossibili.
Non è un atteggiamento molto combattivo, ma il combattimento non rientra nei nostri schemi sociali; preferiamo socializzare tramite discussioni e grandi bevute collettive.

Sbagliamo?

5 comments:

  1. Ma quando diciamo che "lavoro, famiglia, vicini sono integrati in un sistema ad orologeria che concilia l’armonia del corpo con quella della mente" stiamo parlando del nostro passato, no?
    Se è così, basta tornare poveri. Non dovrebbe esser difficile, visti i tempi che corrono.
    Ciao. Ipo

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  2. Basta tornare poveri. Ok!

    Basta, però, tornare poveri, in una società equilibratamente povera.

    Tornare poveri in una società dove tutto si misura con il metro dell'economia "finta" è una morte civile.

    Grazie al nostro sistema economico Laputiano, questi problemi da noi non esistono; me ne accorgo solo quando mi vengono recapitate le vostre bollette disumane.

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  3. La povertà è una antica tradizione della mia famiglia, ma non saprei dire se e quanto mi abbia giovato all'armonia di corpo e mente.

    Sicuramente però mi sento più preparato di altri ad affrontare l'inevitabile miseria prossima ventura.

    Forse potrei dare anche delle lezioni.

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  4. Grazie per la sollecita, duplice risposta. Se Gianni/Giovanni Pesce sta a Paxtibi come Renato Scimmia ad Ipo/Asno, siamo in buona compagnia.
    "La povertà è una antica tradizione della mia famiglia", che ti fa onore, che condividiamo e della quale si onoravano sia Gesù che Maometto (oltre alla maggior parte, per giunta quella migliore, della società umana).
    Con la scusa dell'artrosi, non aggiungo altro. Però faccio seguire parte di un commento testé lasciato presso Carlo, al post sull'Aspen, nel quale si cita l'isola felice dei "figli di Laputa".
    Caro Carlo,
    in effetti sono ben pochi gli illustri sconosciuti di questa lista. Ce n'è qualcuno in più, di sconosciuto, in quella del Bilderberg (che è mutevole, per giunta). Mi sa che, più si sale lungo la scala della notorietà pubblica, meno si conta in quella dell'influenza effettiva (il che non significa che siano inutili, gli utili idioti che prestano il loro nome a quelli che contano davvero).
    Andrea (#2) è sempre magnanimo. Vorrei anch'io credere che Fitoussi e Tremonti - se alludi a quest'ultimo - si siano semplicemente trovati davanti richieste che non potevano rifiutare. Il mio timore, invece, è che oggi la sola alternativa possibile sia 1) ossequiare il potere della finanza usuraia o 2) avere la stessa importanza dell'urtimu buttunu di la vrachetta. Tertium non datur, visto che la Chiesa sta lentamente scivolando verso la seconda condizione (il che ha almeno un pregio, nel suo smentire chi le attribuisce la prima condizione).
    Ci sarebbe l'Islam, in effetti, a rappresentare in qualche modo una collettività alla quale non si possono attribuire le suddette due condizioni. Ma non a caso l'aggressione occidentale è rivolta solo contro i musulmani. Sicché anche loro finiranno come i cristiani, vale a dire due di picche o urtimu buttunu di la vrachetta (quello che - traduco per i non iniziati al lessico calabro-saudita - non si abbottona mai, nei pantaloni maschili).
    Manca, finora, la voce di Pax. Perché è solo nella sua Laputa dalla povertà obbligatoria (e pertanto socialmente condivisa) che c'è qualche speranza. Ma, finché comanda l'usura, campa cavallo.
    Del resto, tornando ad Andrea, se la Chiesa contasse qualcosa potrebbe almeno scomunicare chi esercita l'usura. Torneremmo ipso facto al Medioevo (ed a Laputa).
    Pace a tutti.

    E pace a te. O a voi, se siete due.

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  5. Se Gianni/Giovanni Pesce sta a Paxtibi come Renato Scimmia ad Ipo/Asno

    Non so che relazione c'è tra R. Scimmia e Ipo, a scanso di equivoci preciso che io e Giovanni siamo persone diverse, anche se in contatto telepatico, e ci conosciamo solo attraverso la rete. Non so nemmeno che faccia abbia, anche se la immagino piuttosto simpatica.

    Per quanto riguarda l'usura, io come Rothbard non la considero un problema in sé. Infatti, se ti mancano i soldi, prima di ricorrervi, ci sono sempre almeno due strade: la frugalità, e il risparmio. In casi d'emergenza (che non dovrebbero essere, però, la necessità di chi si è giocato pure la moglie al videopoker!), come dice Rothbard, sarebbe meglio che di usurai ce ne fossero il più possibile, così da abbassarne le pretese.

    Per quanto riguarda invece l'usura delle banche, il problema è diverso perché queste prestano denaro non loro, se non addirittura denaro che non esiste, moltiplicando così la massa monetaria e abbattendo il potere d'acquisto, di modo che il prestito tocca pagarlo a tutti, risparmiatori frugali compresi. Ti assicuro che nella mia dignitosa povertà mi girano parecchio i cosiddetti nel vedermi costretto a pagare, in termini di valore degli spicci che ho in tasca, gli eccessi consumistici di ogni mammalucco massificato e intortato dalla tv.

    Ma questa non è usura, è una truffa con tutti i crismi, ad azione progressiva a scoppio programmato e, ormai, inevitabile. Usura significa solo che se prendi in prestito un uovo oggi dovrai restituire una gallina domani, e mi pare perfettamente logico e naturale.

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